Questi tempi difficili: lettera del vescovo alla Diocesi

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Il vescovo si rivolge al popolo di Dio in una lettera scritta a margine delle indicazioni per il prossimo anno pastorale, parlando delle tante tensioni che si leggono nella società odierna. E anche nella Chiesa.

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Tempi difficili

di Mons. Fausto Tardelli

PISTOIA 7/9/2018 – «Quanta amarezza provo di questi tempi! Ormai son vecchio, eppure tempi così non mi ricordo di averne mai vissuti. Sarà pure che oggi veniamo rapidamente a conoscenza di molte cose come in passato non succedeva; sta di fatto che il quadro generale mi pare davvero preoccupante. Mi sembra di vedere un po’ dovunque la dignità umana calpestata senza ritegno; vedo corruzione, malaffare e falsità. Faccio fatica a scorgere un futuro bello e radioso. Anche a livello nazionale e locale, il clima a volte è pesante, sicuramente complice lo squinternato modo di comunicare e di reagire che è di oggi e che degenera in un battibecco infinito e in una ormai mal celata chiamata alle armi per bande contrapposte –… e ci si divide, ci si disprezza, ci si denigra… Che pena!

Ciò che però mi fa più male è la condizione della chiesa dei nostri tempi. Sia chiaro: io ritengo che la Chiesa di oggi sia di gran lunga migliore di quello che sembra o di come la si dipinge – basti pensare al numero di coraggiosi testimoni del vangelo che hanno perso tutto, persino la vita per Cristo, proprio in questi decenni. Ciononostante, mi rendo conto che c’è bisogno di una profonda conversione e di una rinnovata formazione cristiana, a partire da noi vescovi e preti, perché c’è sporcizia nella chiesa, c’è lassismo, mondanità, immoralità, adattamento alle convinzioni e agli usi del mondo, travisamento della fede trasmessa dagli apostoli e della morale cristiana, superficialità, indisciplina; c’è la nefandezza criminale della pedofilia e, cosa assai grave, mancanza di amore che veste i panni della calunnia, della maldicenza, del giudizio sommario e dell’invidia. Più che altro però, la crisi che viviamo è crisi di fede più che di morale; crisi di fede in Dio e in Gesù Cristo morto e risorto. Sento che la mia vita e la vita della chiesa deve convertirsi al Signore. La Chiesa si deve concentrare su Gesù Cristo che è il suo sposo e il suo Signore, accettando l’umiliazione di riconoscersi debole e peccatrice in tante sue membra ma anche annunciandolo senza vergogna come la Via, la Verità e la Vita. Solo così sarà luce e sale. Il problema principale della chiesa è la fedeltà al suo Signore, alla Verità fatta amore e all’amore reso autentico dalla Verità, non altro.

In mezzo a questa temperie, è necessario che il nostro cuore non sia turbato e che non cadiamo in tentazione. Gesù ci ha detto che per portare frutto, la vite deve essere potata. Credo che il nostro sia tempo di potatura. Che fa male, perché taglia, ma permette alla vite di fruttificare. Da questo punto di vista, i nostri giorni sono un momento di grazia che ci permette di dare testimonianza di fede autentica. “Non abbiate timore”, ripete il Signore risorto ai suoi tremanti apostoli, segnati anch’essi dal tradimento di quasi tutti. “Non abbiate paura, io ho vinto il mondo!” Su queste parole fondiamo dunque la nostra speranza e quindi la nostra gioia, anche di questi tempi.

Proprio quando il momento della prova si fa più stringente, diventa importante andare all’essenziale e ancorarsi fortemente ad alcune semplici ma fondamentali certezze. Indicarle, ritengo sia un mio compito di Vescovo perché il Popolo che il Signore mi ha affidato non abbia a smarrirsi.

La prima di queste certezze è che la chiesa non soccomberà agli assalti del mondo e del maligno. Sono sicuro che il maligno sia all’opera, pur se non è certo una novità perchè da sempre il diavolo odia la chiesa e i discepoli di Cristo. L’azione del maligno si muove sempre in due direzioni: seminare zizzania e spingere i discepoli di Cristo al tradimento. E noi, facilmente cadiamo nella trappola. Le conseguenze sono drammatiche, perchè la zizzania mette l’uno contro l’altro, crea sfiducia e sospetto reciproco, quindi blocca ogni cosa, mentre il tradimento di Cristo produce scoraggiamento, porta alla rabbia e alla violenza e infine alla distruzione della casa di Dio. La chiesa però è “indefettibile” per esplicita promessa del Signore. Se scompare da un luogo – e questo purtroppo può accadere – rinasce però in un altro. Lo Spirito santo non l’abbandona: le porte degli inferi non prevarranno contro di essa e sempre rifiorirà dalle sue ceneri, come l’araba fenice, perché Dio ha la capacità di trarre il bene addirittura dall’azione del maligno. Anche oggi, di questi tempi, nonostante le nefandezze di una parte del clero e i peccati di molti cristiani, la chiesa resta santa per la santità della Vergine Maria e di tutti coloro che hanno dato e continuano a dare la vita per Cristo e per i fratelli. Non dobbiamo dunque impressionarci, spaventarci, andare in confusione. Non bisogna farci saltare i nervi. E’ ciò a cui punta il maligno. Piuttosto dobbiamo mantenerci il più possibile saldi nella fede, impegnati nella carità e fiduciosi nella speranza, mentre infuria la tempesta, soffiano i venti e le onde paiono sommergere la barca di Pietro. A volte il Signore “dorme” sulla barca…. Sembra assente e che ci lasci in preda alle onde. “Non ti importa che siamo perduti?” Gridano gli apostoli… Ma Gesù, calmando le acque, amabilmente li rimproverò: “Perché avete paura? Non avete ancora fede?”

Una seconda fondamentale certezza su cui ancorarci è il Credo che professiamo, cioè la fede espressa e condensata nel credo. In tempi difficili, non c’è da inseguire le opinioni dell’uno o dell’altro. In tempi difficili si deve restare saldi sull’essenziale, in quella che è la “fede cattolica trasmessa dagli apostoli”, come si dice nel canone romano. Il Credo dunque, con tutti i suoi articoli. Il quale non è astrazione, non è teoria. La “Dottrina” della fede non è un’elucubrazione cervellotica; è invece vita; è Gesù Cristo stesso, espresso in parole umane. Ciò che si professa con la bocca e con la mente è la vita vissuta da Cristo e la vita della Trinità comunicata a noi. Il Credo esprime la fede cattolica alla quale dobbiamo restare fedeli. Come si dice nel rito del battesimo e della Cresima a conclusione delle promesse battesimali: “Questa è la nostra fede, questa è la fede della chiesa e noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù.” Il Credo esprime la parola di Dio nella sua sostanza ed è la chiave interpretativa delle stesse Sacre Scritture che non bastano da sole a esprimere la Rivelazione di Dio: occorre infatti anche la tradizione vivente della chiesa che si è condensata, così possiamo dire, proprio nel simbolo apostolico o niceno-costantinopolitano. Strettamente unita alla professione di fede c’è poi la morale cristiana, basata sui comandamenti di Dio e sull’insegnamento degli apostoli, anch’esso trasmesso nella chiesa lungo i secoli; esplicitazione dell’unico e duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, in specie del più povero e derelitto.

C’è cambiamento nella fede e nella morale lungo i secoli? Cambiamento no; non può esserci. Progresso, maggiore comprensione, precisazioni, esplicitazioni e correzione del tiro, si. Nel campo morale, ancor più che in quello della dottrina, com’è ovvio trattandosi di questioni legate strettamente ai mutevoli usi e costumi degli uomini. Sempre però in un processo di sviluppo e mai di cambiamento. Così come ciascuno di noi muta nel tempo, pur rimanendo sempre la stessa persona.

Teniamoci dunque stretti al Credo; ripetiamolo, impariamolo a memoria, approfondiamolo, preghiamolo; insieme ai comandamenti e agli insegnamenti morali degli apostoli, trasmessi nella tradizione della chiesa. Il magistero della chiesa dei nostri tempi, facendo tesoro del Concilio Vaticano II, ha spiegato il Credo e il contenuto della morale cristiana nel “Catechismo della chiesa cattolica”, unendovi anche una riflessione sui Sacramenti per la vita cristiana e sulla preghiera del Padre nostro; un grande dono dunque, questo libro, e uno strumento molto utile da tenere in grande considerazione.

Una terza fondamentale certezza che ci deve guidare in questi tempi è che il Papa è il successore di Pietro ed è anche, come diceva Santa Caterina, “il dolce Cristo in terra”. Nei suoi confronti ci vuole rispetto, amore e docilità. E’ sempre “infallibile”? No di certo. Solo in pochi casi si può parlare di infallibilità, quando cioè si pronuncia “ex cathedra”; in ogni caso però occorre ascoltare con molta attenzione il suo magistero e confrontarsi seriamente con esso. Lo si doveva fare ieri con S. Giovanni Paolo II e con Benedetto XVI; lo si deve fare oggi con Papa Francesco. Possiamo non condividere pienamente qualcosa; ci può piacere di più o di meno questo o quel Papa. Anche lui è prima di tutto un discepolo di Cristo e deve rispondere alla chiamata alla santità. Può essere persino manchevole in qualcosa – la storia ce lo insegna – eppure non perde mai le sue caratteristiche di Vicario di Cristo e a lui si devono comunque devozione, affetto e ascolto sincero. Siamo inoltre certi che egli non potrà mai insegnarci autorevolmente qualcosa che ci faccia deviare dagli insegnamenti di Cristo: lo Spirito Santo infatti l’assiste, aldilà dei suoi meriti personali. Nei suoi confronti non ci vuole certo servilismo nè adulazione, che sono atteggiamenti da cortigiani, non da fratelli e figli che gli vogliono veramente bene. Chi vuol essere cattolico però non può fare a meno del Papa e non può non pregare per lui: “Dominus conservet eum et vivificet eum et beatum faciat eum in terra e non tradat eum in animam inimicorum eius.” “Il Signore lo conservi, Gli doni vita e salute, lo renda felice sulla terra e Lo preservi da ogni male. Amen.”

Ultima fondamentale certezza da custodire gelosamente in tempi di crisi è la presenza accanto a noi della Vergine Maria. La nostra madre celeste ci è stata affidata da Gesù ai piedi della croce, nel momento supremo del suo totale dono di sé. E’ stata affidata a noi e noi siamo stati affidati a lei e lei, lungo tutti i secoli è sempre venuta in soccorso a noi nelle nostre necessità. In ogni luogo della terra possiamo dire, in ogni chiesa e angolo di strada, si trova una sua immagine, un suo ricordo. “Prega per noi peccatori”: è il grido che si leva dai cuori in tempesta e angosciati per il male. Lei è l’esempio fulgido della fede. L’immagine candida di un mondo senza peccato. Lei ha vinto la corruzione e la morte, prima creatura ad essere totalmente redenta dall’amore di Cristo. Lei è la chiesa; l’immagine della chiesa; essa stessa chiesa nel vero senso della parola e insieme a tutti i beati e i santi, corona di gloria alla Trinità, abitando già il mondo che verrà e verso il quale siamo in cammino. Rimanere attaccati a Maria è salvaguardia della fede, custodia della vita cristiana, consolazione nella burrasca, guida nel cammino. E’ la stella che guida il nocchiero, cantava un antico inno popolare. Stare attaccati a lei non ci porterà mai fuori strada. Preghiamola dunque con fiducia, con la dolce preghiera del rosario e come ci insegna a fare un’antichissima e bellissima invocazione: “Sub tuum praesidium confugimus, Sancta Dei Genetrix. Nostras deprecationes ne despicias in necessitatibus, sed a periculis cunctis libera nos semper, Virgo gloriosa et benedicta.” “Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.”

Indefettibilità della Chiesa, perennità del Credo degli apostoli, carisma petrino del Papa e presenza materna della Madonna, sono dunque le quattro certezze che ancorano in sicurezza la nostra vita, anche in questi tempi difficili. Rinsaldati in esse e affidandoci con fiducia al Signore, possiamo allora affrontare la realtà del mondo nel quale viviamo, senza scoraggiarci. Potremo allora essere per chi lo vorrà, lievito e fermento, sale e luce, pur consapevoli di tutti i nostri limiti e peccati. Potremo essere davvero una “chiesa in uscita”; non solo un ospedale da campo ma persino una forza di pace che edifica il Regno di Dio nella mischia del mondo. Sperimentando nella propria debolezza la serena e beatificante “gioia del vangelo”».

+Fausto Tardelli