Abbiamo chiesto ad alcuni giovani di proporre una riflessione sulle parole chiave del dialogo tra Gesù a Nicodemo. Un brano, contenuto nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni, in cui è possibile isolare un piccolo “vocabolario” di “spiritualità” da cui è stato preso spunto per le tematiche discusse nell’edizione 2018 de “i Linguaggi del divino – Rinascere dall’alto”.
Sofia Bartone, 18 anni propone la sua riflessione su: «Carne»
«Carne»
L’uomo è Dio, ma solo in potenza. Difatti esiste una grande e fondamentale differenza tra i due: la carne del corpo. Eppure San Tommaso sottolinea che nella nostra stretta appartenenza a Dio risiede la massima distanza tra noi e Lui. Il suo ragionamento si applica al concetto di essere: per l’uomo si tratta di una qualità a cui partecipa, mentre per quanto concerne Dio, Egli è l’essere stesso.
Tale concetto di trascendenza è anche ciò che più avvicina il nostro corpo a quello di Gesù, incarnazione di Dio, e allo stesso tempo ciò che più lo allontana. Per noi la carne è un limite, non a caso gli antichi greci associavano il suono di σωμα (corpo) a quello di σημα (tomba). In questo modo i nostri antenati spiegavano, attraverso una chiara somiglianza di suono, che la limitazione dell’uomo è l’involucro dell’anima, a causa del quale siamo tutti legati ad una dimensione terrena.
La carne dice la nostra condanna ad essere per sempre limitati e un legame inscindibile con il carattere bestiale, che difatti a volte affiora in noi e prende il sopravvento sulla ragione. Quando la razionalità viene meno, non siamo in grado di giudicare fino a che punto ci è concesso arrivare senza sfociare nell’ingiustizia e nel peccato. Sono proprio tutti i bisogni che scaturiscono dalla nostra componente “corporea” a trarci in inganno. Ad esempio la lussuria, la gola, la pigrizia … sono tutti eccessi legati all’esigenza di assuefare le pulsioni del corpo che non percepisce limiti. Sempre dall’interno di noi scaturiscono tutte le cose che ci mettono in difficoltà, ci tentano e ci inducono al peccato. Siamo noi che influenzati dal nostro carattere terreno portiamo nel mondo creato da Dio avidità, violenza, tristezza e così via.
Perché allora anche Cristo non è stato colto da tutte queste tensioni che in noi si traducono come debolezze della carne? E come è possibile che, invece, la sua stessa carne sia diventata pane per tutti noi? Proprio questa diversità nell’uguaglianza è ciò che rende trascendente l’entità di Cristo alla nostra semplice carne fino a rendere il suo corpo salvifico. Dunque per poter abbracciare la nostra scintilla divina presente in noi in atto, è necessario alimentarla attraverso il pane spirituale dell’Eucarestia. Una volta giunto il momento della riconciliazione finale a Lui, sarà come nascere una seconda volta, ma, a differenza della prima, senza limiti.