Dammi da bere

Venerdì della III° settimana di quaresima – 29 marzo 2019. Terza stazione quaresimale (24ore per il Signore)

“Dammi da bere”

In queste ultime 3 stazioni quaresimali, seguendo quello che ci consente la liturgia, celebriamo l’Eucaristia con le letture del ciclo domenicale A, per cui abbiamo stasera la storia della samaritana, venerdì prossimo quella del cieco nato e il successivo quella di Lazzaro. Un percorso tipicamente pasquale che ci introduce direttamente nel mistero della nostra salvezza.

Che dire della storia della samaritana? Il bellissimo testo giovanneo ci presenta un dialogo straordinario tra Gesù che, stanco, si ferma al pozzo di Giacobbe, e questa donna samaritana dai molti mariti, che va ad attingere acqua.

Un dialogo incalzante, dove Gesù si mostra quel fine pedagogo che è. Un colloquio di salvezza, perché conduce pian piano la donna alla luce della conversione, alla gioia di una scoperta che rinnova profondamente la sua vita e la rende testimone gioiosa del Messia.

Un dialogo, nel quale possiamo benissimo entrare anche noi, nel senso che possiamo benissimo ritrovarci nei panni di questa donna che incontra il Signore. In effetti, il Signore anche con ciascuno di noi intesse un colloquio. Tutta la nostra vita diciamo pure che è un dialogo con Lui. Un dialogo di salvezza. Fin dal seno materno. Ancor prima addirittura che fossimo formati nel seno di nostra madre, Dio ci ha chiamato, ci ha interpellato, è entrato in dialogo con noi. Possiamo anzi ben dire che noi esistiamo proprio perchè Dio ci ha rivolto la parola, ci ha chiamato dalle tenebre del nulla all’esistenza. Noi siamo “costituiti” da questo dialogo che Dio intesse con noi per condurci vita piena, alla pienezza della comunione, facendoci superare quell’afasia, quella mancanza di parola e di comunicazione, quella incapacità di dialogo che caratterizza il peccato e una vita nel peccato.

Il dialogo di salvezza di Dio con ciascuno di noi, si è reso visibile in Gesù Cristo, parola vivente di Dio eterno. Verbo eterno del Padre, Egli ha preso carne umana per entrare in dialogo concreto con noi a partire dalla nostra stessa carne, dalla nostra stessa esperienza umana. In fondo, la vita di Cristo sulla terra, che cosa è stata se non un dialogare continuo con noi uomini? Se non un entrare in una conversazione umana per condurci attraverso il suo dialogare con noi uomini, con noi peccatori, sbandati, refrattari e dal cuore indurito, oltre il peccato; per farci entrare in quel divino colloquio che intercorre tra le persone della stessa indivisa Trinità?

E così, ognuno di noi vive questo dialogo con il Signore per tutta la sua vita. Lui ci parla, ci incontra, attende risposta; aspetta le nostre lentezze; tace silenzioso per rispettare la nostra libertà, pronto però a rivolgerci ancora la parola, per spronarci ad essere nuovi, a riprendere in mano la nostra vita, a camminare dietro a lui nella gioia che si fa amore verso i fratelli. Tutto ci parla di Lui; in ogni uomo è Lui che ci parla; così nelle Sacre Scritture come nei santi sette segni; così nell’intero creato e nella storia.

Vivere questo colloquio a tu per tu col Signore, accettare di dialogare con lui, dicendogli ciò che siamo, ciò che desideriamo, i nostri turbamenti e le nostre miserie; ascoltando la sua parola vivificante che penetra fin nel midollo delle nostre ossa, discutendo anche con lui quando ciò che accade ci risulta incomprensibile e persino inaccettabile, tutto questo è la dinamica profonda della vita cristiana, e nel mantenere vivo questo dialogo col Signore, come fa, pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, la donna samaritana, c’è la via della nostra salvezza.

Nel dialogo con la donna di Samaria vorrei ora brevemente soffermarmi sull’inizio. Su quella prima parola che Gesù le rivolge: “Dammi da bere”. Una richiesta che dobbiamo sentire rivolta a ciascuno di noi stasera. Particolarmente vorrei sottolineare il fatto che questa richiesta il Signore Gesù tante volte ce la rivolge attraverso gli altri, attraverso cioè chi è nel bisogno e ha sete, è affamato, nudo, ammalato, carcerato o pellegrino, oppure dubbioso, afflitto, nell’ignoranza o nel peccato. Rispondere a questa richiesta è dialogo di salvezza per noi: gli altri infatti sono sempre coinvolti nel dialogo tra noi e Dio. Inevitabilmente, necessariamente coinvolti. Non c’è dialogo col Signore che non includa anche i fratelli.

La sete, la fame, l’indigenza, la sofferenza di chi è nel disagio, qui da noi e nel mondo, allora non può lasciarci indifferenti. Se così fosse, sarebbe davvero una falsità essere qui e celebrare devotamente l’Eucaristia; sarebbe un falso dialogo col Signore: un dialogo menzognero; una contraddizione in termini.

Domandiamoci allora se almeno ci accorgiamo della sete che c’è intorno a noi, del bisogno che c’è in coloro che ci circondano, a partire da chi ci sta accanto, per arrivare fino alle necessità di chi abita lontano da noi. Bisogno di sostegno materiale certo ma anche e soprattutto di sostegno spirituale. Sete di acqua che disseta il corpo e di pane che lo nutre ma anche sete e fame della parola di Dio, perché “non di solo pane vive l’uomo”. Sete di acqua che si attinge ai pozzi della terra ma anche e soprattutto direi, sete di acqua viva che si attinge dal costato di Cristo. Rientrando in noi stessi, forse ci accorgeremo di quanti poveri lazzari bussano alla porta del nostro cuore e quanto invece questa porta rimanga chiusa o, nel migliore dei casi, socchiusa. Il Signore però nei nostri fratelli, insiste: “Dammi da bere” e sulla croce, la domanda è ancora più stringete: “Ho sete”. Chiediamo allora stasera allo Spirito Santo che ci apra gli occhi per vedere la sete che c’è attorno a noi e chiediamogli che questa sete ci tocchi profondamente e ci inquieti, di una santa inquietudine. E lo Spirito ci faccia anche capire che noi chiesa, noi cristiani, se da una parte ci dobbiamo impegnare con ogni uomo di buona volontà perché tutti abbiano su questa terra il necessario per vivere dignitosamente, dall’altra siamo chiamati a dare al mondo quell’acqua viva che è Cristo, quell’acqua che risana l’uomo dalle ferite del male e che lo rende “creatura nuova”.