Epifania (6 gennaio 2022)

Solennità dell’Epifania
Pistoia, Cattedrale di San Zeno, 6 gennaio 2022

 

Come si fa a non rimanere colpiti dalla bellezza della prima lettura di questa Messa? Un brano – quello tratto dal profeta Isaia – che ci riempie il cuore di gioia. Che parla di luce. Di luce più forte di ogni tenebra. Anche se tenebre e nebbia ricoprono la terra e avvolgono i popoli, la luce del Signore risplende e illumina ogni cosa. E la visione gioiosa di Isaia si completa con l’immagine dell’affluire di popoli e ricchezze di ogni tipo a Gerusalemme, alla città santa.

Quello che la lettura di Isaia ci vuol far capire è che, aldilà di ogni apparenza contraria, nella mente di Dio c’è un progetto di luce e di gioia per l’umanità. E che se il Verbo si è fatto carne, come noi affermiamo e crediamo, è esattamente per portare a compimento questo progetto di luce, di gioia e di pace.

Come ci fa bene allora riascoltare l’annuncio di questo progetto, a noi uomini così spesso divisi e in lotta l’uno contro l’altro! Ci fa bene ascoltare le parole del profeta Isaia, assaporarle, gustarle in tutta la loro bellezza. Esse ci confermano la volontà di Dio, il suo progetto, il suo disegno. E siamone certi: il Signore Dio è di parola e non torna indietro. Lo porterà avanti e lo condurrà in porto. A noi è chiesto di credere. E’ chiesto di non dubitare, di non lasciarci sopraffare dalle apparenze contrarie, di non lasciarci convincere dalle tenebre e dalla nebbia che avvolgono i popoli del mondo. A noi è chiesto di avere una fede grande, nutrita di speranza e di operosa carità. A noi è chiesto, nel nostro piccolo, di contribuire come possiamo alla realizzazione del disegno di Dio, diventando ogni giorno, secondo la espressione evangelica, “operatori di pace”, edificando cioè la pace come degli artigiani, secondo l’immagine usata spesso da Papa Francesco.

Nella seconda lettura, tratta dalla lettera di San Paolo agli Efesini, il disegno di Dio, il suo progetto di amore, viene chiamato “mistero” ad indicare non tanto la sua incomprensibilità o misteriosità, quanto piuttosto la profondità e grandezza di un progetto che è nella mente di Dio e che solo da Lui viene rivelato. Questo progetto, San Paolo ci dice con chiarezza in cosa consiste: “le genti sono chiamate in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo”. Eccolo, descritto, esplicitato, il progetto di Dio, il suo disegno di salvezza universale. E San Paolo, con la sua vita dopo la conversione, si è messo totalmente al servizio del compimento di questo disegno di salvezza. Con la sua opera di evangelizzatore, di predicatore, di fondatore di comunità, ha collaborato con Dio alla realizzazione del suo disegno universale di pace e di salvezza. E proprio nella testimonianza dell’apostolo Paolo credo ci sia da rilevare qualcosa che oggi rischia purtroppo di essere equivocato nella società ma a volte anche nella chiesa: come se cioè l’opera del cristiano e della chiesa nel mondo al servizio del Regno di Dio e della realizzazione del progetto di Dio, consistesse esclusivamente nel lavorare alla risoluzione dei problemi della società o delle persone, tra l’altro su un piano sostanzialmente materiale. Senza togliere niente al valore di questa attenzione agli altri a partire dalle necessità più immediate e concrete, la testimonianza di San Paolo ci ricorda però che per la chiesa, collaborare al disegno di Dio, significa innanzitutto annunciare Gesù Cristo, morto e risorto, così anche per il cristiano. Uno specifico compito che solo la chiesa e il cristiano possono portare al mondo. Come ci ricordava già San Paolo VI nella Evagelii Nuntiandi del 1975 (n. 14): “La chiesa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa che è il memoriale della sua morte e della sua gloriosa risurrezione.” E lo stesso documento ancora attualissimo attualissimo aggiunge (n. 18 – 19): “Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, e, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: ……. la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri. Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi sconvolgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità, che sono in contrasto con la Parola di Dio e col disegno della salvezza.”

Tutto quanto sono andato dicendo fin qui, trova poi plastica espressione nella storia misteriosa dei magi d’oriente che giungono a Betlemme da terre lontane, seguendo una stella, per adorare il bambino, portando a lui doni regali. La chiamata dei popoli alla fede qui è resa esplicita dal cammino di questi personaggi misteriosi che non appartengono al popolo di Israele ma simboleggiano tutti i popoli della terra. Si manifesta così l’universalità del disegno di Dio che è per tutti gli uomini e per tutti i popoli e nello stesso tempo si comprende che solo nell’adorazione del bambino, nel riconoscimento cioè della regalità di questo bambino e quindi della misericordia del Dio vivente, l’umanità può trovare pace e comunione, quella fraternità tanto desiderata da ogni uomo ma così difficile da realizzare.

Carissimi amici e fratelli, ora è il momento di fare come hanno fatto i magi. Il vangelo sottolinea che, dopo aver adorato, se ne tornarono alle loro case, portando con sé qualcosa da raccontare, da testimoniare, da far conoscere. Ecco ciò che anche ognuno di noi, dovunque sia la sua casa, è chiamato a fare. Facendo attenzione, come fecero loro, a non ripassare da Erode, come a dire che anche noi, nel nell’impegno di portare l’annuncio del salvatore, speranza di ogni uomo, dove viviamo, non dobbiamo farci distrarre dalle cose del mondo o finire inghiottiti dalle tenebre e dalla nebbia che avvolgono il mondo.