Ultimo dell’anno 2022

ULTIMO DELL’ANNO 2022
(Cattedrale di S. Zeno, 31 dicembre 2022)

 

Non è stato davvero un bell’anno quello che abbiamo appena trascorso. No. Non è stato buono. Non sto qui ad elencare le situazioni difficili che si sono susseguite l’una all’altra senza soluzione di continuità: le abbiamo ben presenti. E la cosa drammatica è che siamo ancora pienamente dentro a questa serie di difficoltà che ostacolano il nostro irrefrenabile desiderio di vivere con gioia la vita. Anche la morte del nostro amato Papa emerito Benedetto XVI° conclude con un dolore tutto particolare questo 2022.

Di fronte alle angustie dell’esistenza e alle piaghe della storia, come pure di fronte a disastri che coinvolgono la vita di tante persone, anticamente si faceva una considerazione elementare ma direi profondamente ingiusta. Si diceva che tutto il male che capitava nel mondo, non era che una specie di castigo divino per la ribellione dell’uomo di fronte alle leggi sante di Dio.
Abbiamo – e meno male – abbandonato definitivamente questa concezione sbagliata della giustizia divina e abbiamo smesso da tempo di parlare di punizione per i peccati dell’umanità. Giustamente, direi, dal momento che conosciamo il volto misericordioso del Padre che ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo non per condannare il mondo ma per salvarlo.

Eppure, ho come l’impressione che, come dice il detto popolare, con l’acqua sporca, si sia a volte buttato via anche il bambino che si voleva lavare. E dico questo per un motivo preciso. Non ci si è semplicemente limitati a buttar via la pessima idea del castigo divino: a sparire dal nostro orizzonte di pensiero e di pratica di vita, come pure dalle valutazioni sul vivere sociale, è stata addirittura l’idea stessa di “peccato”. Chi oggi parla più di peccato? C’è forse qualche comportamento che venga riconosciuto come “peccaminoso”? Rientra mai questa categoria nelle analisi dei mali della società? Direi proprio di no. Al suo posto si sono fatti strada ben altri concetti e modi di pensare. Ecco per es. un concetto molto in voga: non peccato ma reato. Il reato, quello si, è esecrabile. Ma attenzione: il reato lo stabilisce la legge umana, non quella divina e c’è sempre distinzione tra reato e reato. Quello che a me torna è sempre gravissimo – e in genere i rei sono sempre gli altri – quello che a me invece non torna è puro legalismo che vuole imbrigliare la libertà. Altra parola che ha preso ormai preso il posto del concetto di peccato è “discriminazione”. Veramente il male sopra ogni altro male. Laddove però spesso essa è intesa come il disaccordo degli altri con quello che noi facciamo e diciamo, anzi, con quello che a noi piace fare e dire.

Mi pare infine che un altro concetto abbia ormai preso il posto del “peccato”: quello di turba psicologica o più genericamente disturbo di carattere psicologico o psichiatrico. Anche in questo caso, se applicato a se stessi, è un modo ben collaudato per togliersi di dosso ogni responsabilità; se applicato agli altri, diventa comunque un alibi per giustificare ogni tipo di comportamento.
Siamo dunque – come vediamo – ben lungi dal concetto di “peccato”, direi ormai quasi del tutto scomparso dalla percezione della coscienza individuale e collettiva. Quel peccato che il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce con Sant’Agostino «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna» (sant’Agostino). Offesa a Dio, nella disobbedienza al suo amore che ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana (compendio 392), che può riguardare direttamente Dio, il prossimo o noi stessi. (compendio 393). Che distrugge in noi la carità, ci priva della grazia santificante, ci conduce alla morte eterna dell’inferno se non ci si pente (compendio 395). Che si condensa spesso nelle strutture di peccato, situazioni sociali o istituzioni contrarie cioè alla legge divina. (compendio 400).

Carissimi fratelli ed amici, a me pare davvero urgente recuperare il senso autentico del peccato, riconoscerlo in noi e nel mondo e, al termine di questo anno, imparare a chiedere sinceramente perdono per i nostri peccati. Per i peccati degli uomini e delle donne del nostro tempo; per i numerosi peccati dell’umanità. Riconoscendo con coraggio che i nostri peccati personali finiscono per coagularsi in strutture di peccato che rovinano la società. Le sofferenze del mondo, le profonde ingiustizie, le violenze e le guerre, come ogni negazione della dignità della persona umana fin dal suo concepimento, sono peccato; sono manifestazione del peccato di ciascuno di noi. I mali del mondo non sono certo il castigo di Dio che invece è Padre giusto e infinitamente misericordioso: essi sono però la conseguenza amara delle nostre scelte scellerate, delle scelte che poniamo nella nostra libertà.

Con il salmo Miserere diciamo allora stasera con convinzione: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”.
Certamente però il recupero dell’dea di peccato nella coscienza personale e nel vivere sociale non può che essere accompagnato e direi preceduto, dalla percezione dell’amore misericordioso di Dio per noi. Se l’acuta coscienza del nostro peccato non si accompagnasse e non fosse preceduta dalla straordinaria e stupefacente certezza che Dio ci è venuto a cercare, che si è fatto piccolo bambino per noi; che per noi ha assunto la nostra condizione umana, in tutto fuorché nel peccato, fino ad abbracciare l’umiliazione di una condanna e della morte di croce; se non fosse così, la coscienza del peccato diventerebbe un peso insopportabile e angoscia mortale, desiderio di autodistruzione oppure sfida contro tutti e contro tutto. In preda al peccato, senza via di uscita, l’uomo è portato a distruggersi, distruggendo gli altri e il mondo in cui abita.

Ma noi possiamo cantare stasera con Maria, la Vergine Santa, la Madre di Dio, “grandi cose ha fatto in noi l’Onnipotente e santo è il suo nome”. Con Maria meditiamo nel cuore tutto quello che il Signore ci ha dato e ci ha detto anche in questo anno. Con Maria, Madre di Dio, siamo pronti anche noi a riconoscere il dono grande che Dio ci ha fatto nel chiamarci a collaborare con Lui alla diffusione della sua misericordia nel mondo, nonostante tutti i nostri peccati. Maria SS.ma è nostra madre, madre di Dio e madre nostra, più grande di tutti noi, ma creatura come noi, senza macchia di peccato, emblema e aurora di una umanità nuova possibile per la grazia di Cristo.

Ecco allora che con animo grato riconosciamo i segni dell’amore di Dio che egli non ha smesso di darci nella nostra vita anche in quest’anno. Sono tanti i doni che ancora egli ci ha fatto, se ci pensiamo bene. Tanti sono i suoi gesti di premura e di attenzione; infinita la sua pazienza con la quale ha raccolto le nostre fragili volontà e ci ha rimesso in piedi. Ecco perché tradizionalmente, alla fine dell’anno, cantiamo a cuore pieno e voce aperta il Te Deum: un antico inno della chiesa che è un inno di grazie e di riconoscenza, per tutti i doni ricevuti ma soprattutto per il dono più grande di tutti: che per noi e la nostra salvezza Egli discese dal cielo e ha preso dimora in mezzo a noi.