Pasqua di Risurrezione
(Domenica 9 aprile 2023 – Cattedrale di San Zeno Pistoia)
Cosa cerchiamo tutti noi in fondo nella vita, carissimi fratelli e sorelle? Che cosa cerca ogni uomo e donna di questa terra, appartenga a un popolo o all’altro, sia ricco o indigente, acculturato o semplice?
Domande a cui forse non è poi così difficile rispondere se ci guardiamo appena un po’ dentro di noi. Cerchiamo felicità, star bene, in salute e avendo a disposizione dei beni per una vita dignitosa e libera; desideriamo libertà e pace ma soprattutto rispetto, attenzione, comprensione. Quello che vorremmo è di essere riconosciuti, amati, considerati; di stare a cuore a qualcuno che non ci tradisca e di cui ci si possa fidare; desideriamo di poter amare qualcuno ed essere nel contempo riamati. In una parola, potremmo dire che tutti gli uomini, tutti noi cerchiamo una vita piena, armoniosa, bella, affrancata dalla miseria e dalla fragilità, piena di amore donato e ricevuto.
Però, sta di fatto, che tutto poi alla fine si infrange nella ineluttabilità della morte che viene a spezzare ogni sogno, ogni legame, ogni prospettiva. E con la morte, le mille cose che ne sono un segno chiaro e ci rendono infelici: la violenza, le guerre, le malattie, gli odi, i rancori, le ingiustizie. Mille e mille bastoni fra le ruote vengono a far cadere i nostri sogni e più profondi desideri di bene. La vecchiaia macina gli anni e nessun trattamento estetico riesce a fermarla. La povertà segna disperatamente la situazione di vita di tanti e le ristrettezze economiche insidiano quella di molti altri.
Di fronte a tutto questo, si è escogitata una soluzione, si è individuata una via d’uscita che ha indubbiamente il suo fascino. La troviamo già ben espressa in antico da un formidabile poeta come Orazio: “carpe diem, quam minimum credula postero”; “Afferra cioè l’attimo che ti è dato e non attenderti granché dal domani”. Ripresa poi nel pieno rinascimento nel famoso componimento carnascialesco di Lorenzo il Magnifico: “Quant’è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”. Questa soluzione è la via dell’accontentarsi, senza farsi troppi problemi. La via rinunciataria che con il non pensarci, mira all’indifferenza, a farsi una corazza talmente spessa per cui ogni cosa ci passa sopra senza scalfirci più di tanto.
E la morte? Che avvenga rapidamente e senza dolore. Che neanche ci se n’accorga. Come si dice spesso: questa sarebbe la migliore morte. E se la vita si mette male, non risponde a ciò che ci aspettavamo oppure rimane ferita in modo troppo doloroso, perché prolungarla? Perché non concluderla lì, chiedendo solo di essere assistiti per evitare il dolore?
Questo modo di pensare ha sicuramente il suo fascino, come ho detto, perché, almeno all’apparenza, toglie il disagio e la sofferenza dell’amaro confronto tra le aspettative e i desideri e quello che invece la vita ci offre. Appare anche una soluzione nobile, perché accetta la vita così come è, cercando di fare il meglio possibile in ogni istante e accettando stoicamente che non ci sia un senso per la nostra esistenza. Come cantava qualche anno fa un noto cantautore italiano: “Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha… e se non ce là, domani arriverà lo stesso”. Perché arrovellarci il cervello e il cuore per tentare di risolvere una contraddizione che è impossibile risolvere? Meglio accontentarsi. Ma non lo dico in senso dispregiativo.
E’ una posizione anche dignitosa, lo ripeto, come l’esprime in un celebre aforisma un grande uomo come Tiziano Terzani: “Trovo che vi sia una bella parola in italiano che è molto più calzante della parola felice, ed è contento, accontentarsi: uno che si accontenta è un uomo felice”.
Il messaggio cristiano però è un altro. Va detto. La via, la soluzione cristiana è un’altra ed è esattamente quella che promana dal mattino di Pasqua e che noi oggi annunciamo al mondo: Cristo è risorto! È veramente risorto!
L’annuncio della Pasqua cristiana è tutto racchiuso dentro questo fatto reale e concreto ma affidato esclusivamente alla fede. Che cosa crediamo, in definitiva, noi cristiani? In qualcosa che sfida la stessa ragione e che può sembrare assurdo. Qualcosa che va contro la nostra evidenza quotidiana. Qualcosa che ci provoca e in qualche modo ci sfida ma che ci offre anche una prospettiva che da senso a tutta la nostra esistenza.
Gesù, uomo di Palestina che passò per le strade di quella terra operando guarigioni ed annunciando la venuta di un Regno non alla pari con quelli del mondo ma nuovo ed eterno; proclamatosi figlio unigenito di Dio venuto a cercare chi si era perduto, finì la sua vita terrena come un malfattore, appeso al legno di una croce. Aveva preannunciato questa sua morte, nell’umiliazione e nel disprezzo di tanti, ma aveva anche preannunciato anche qualcosa di inaudito e cioè che la morte non lo avrebbe tenuto prigioniero per molto tempo. Al mattino di un giorno dopo il sabato di 2000 anni fa, alcune donne trovarono il sepolcro dove era stato sepolto quell’uomo, vuoto. Di lì a poco, esse stesse e i suoi discepoli lo incontrarono, vivo di una vita nuova e splendente. Con i segni della passione subita sul corpo; non un fantasma, non un’idea, un’immaginazione ma una persona concreta, luminosa e bella ma palpabile, sperimentabile ai sensi, capace di toccare ed essere toccato, di condividere un pasto. Come aveva predetto, i suoi lo hanno incontrato e ascoltato ancora per quaranta giorni dopo i fatti della Pasqua, prima di chiudere definitivamente la sua presenza terrena e stabilirsi in una condizione di presenza diversa ma ugualmente reale. Tanto che noi crediamo essere qui anche stanotte in mezzo a noi, Signore della vita, vincitore della morte e di ogni cattiveria umana.
Una storia questa che ha certo dell’incredibile, ma che noi annunciamo ancora al mondo e alla quale noi crediamo con tutto noi stessi perché ci ha conquistato il cuore e ci ha fatto sentire che essa parla di me e di voi, di ogni uomo e donna della terra, offrendo ad ogni uomo o donna del mondo una prospettiva assolutamente nuova ma che corrisponde pienamente alle aspettative profonde del cuore umano.
Sì, perché quell’uomo Gesù, che noi crediamo essere Dio venuto sulla terra, morto e risorto, ci ha detto che la sua vicenda anticipa la nostra, che la vittoria sulla morte è anche per noi, che nessuna cattiveria, umiliazione o sconfitta potrà renderci impossibile la pienezza della vita, che i nostri desideri infiniti di felicità e di amore possono essere appagati. Ad una condizione però. C’è una condizione fondamentale: che cerchiamo cioè di vivere come Lui ha vissuto, con Lui, per Lui e in Lui. Se cerchiamo di vivere secondo la sua parola, secondo quanto ci ha insegnato, amando con piena generosità Dio e il nostro prossimo, cercando prima di tutto quel regno di giustizia e di pace che egli ha iniziato, dimenticando in poche parole noi stessi e il nostro io per ritrovarlo nell’amore donato senza aspettarsi contraccambio. Paradossalmente, Egli ci ha insegnato che la felicità che cerchiamo, la potremo raggiungere non cercandola ma impegnandoci per fare gli altri felici.
La risurrezione di Cristo da speranza agli uomini e alle donne che desiderano vivere in pienezza, dando un senso anche alle contraddizioni dell’esistenza. Non ci fa essere dei rassegnati, che si accontentano o si ubriacano dell’attimo che fugge, rendendoci indifferenti. Ci fa invece addirittura guardare in faccia la morte e chiamarla sorella. Anche quella cruenta che altri possono procuraci.
Chi nella storia ha ascoltato il Signore Gesù crocifisso e risorto, chi ha vissuto al suo modo, chi ha donato la sua vita per seguirlo nell’amore dei fratelli ma anche chi, non conoscendolo, ha seguito con sincerità la propria coscienza dove risuona la voce di Dio, sta qui oggi davanti a noi a testimoniarci la verità delle promesse di Cristo, mentre la luminosità e bellezza della loro vita, anche se ha conosciuto sofferenza e morte, rischiara la scena del mondo e da speranza all’umanità.