II° venerdì di Quaresima 2017 anno A
San Bartolomeo in pantano
“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli”.
All’inizio del cammino delle stazioni quaresimali ci vogliamo soffermare proprio su questa affermazione di Gesù contenuta nel vangelo che abbiamo appena ascoltato.
Di che giustizia si parla? Di quella degli scribi e dei farisei. Essi consideravano il comportamento di una persona soltanto dal punto di vista della legge. La legge era per loro il punto di riferimento; adempiere alla legge li faceva sentire giusti. A posto cioè. Magari discutevano a lungo su che cosa la legge di Mosè volesse nei casi concreti ma l’obiettivo era quello di adempiere a dei comandi. E con l’adempimento dei comandi, essi nutrivano l’orgoglioso compiacimento di essere bravi, giungendo persino a disprezzare coloro che non riuscivano ad osservare la legge, si ponevano quindi su di un piedistallo di superiorità. Accadeva poi anche spesso che l’osservanza della legge fosse sbandierata per essere ammirati dagli uomini e a volte, osservando scrupolosamente la lettera della legge, nella vita agivano però contro lo spirito autentico di essa, risultando così degli ipocriti. In diverse occasioni il Signore Gesù ha polemizzato con gli scribi e i farisei.
Scribi e farisei c’erano allora, ai tempi di Gesù, ma ci sono anche oggi, quando ci si riempie la bocca di belle parole magari di moda, si ama apparire e si ricerca la visibilità dell’applauso e degli onori del mondo ma poi nella vita personale non si pratica la virtù, non ci si impegna in una vita personale coerente; oppure ancora quando ci si indigna e si protesta per le malefatte degli altri, ci si erge a giudici inflessibili rivendicando per sé una moralità che gli altri invece non avrebbero; oppure ancora, quando si riduce il cristianesimo a pratiche religiose, a consuetudini o a moralismi bigotti magari pieni di pregiudizi nei confronti degli altri.
Il Signore Gesù ci invita piuttosto a superare decisamente questa giustizia. Ci invita a fare molta attenzione a non cadere in una interpretazione di tal genere della vita cristiana. Altrimenti, dice Gesù, “non si entra nel Regno dei cieli”. Non perché Lui ce lo impedirà per punizione ma perché non saremo adatti al Regno, non ne saremo capaci, non avremo le caratteristiche del Regno di Dio.
Osserviamo però con particolare attenzione ciò che ci chiede il Signore. Egli non ci invita ad aggiungere qualche altro comandamento a quelli della legge o ad alzare semplicemente l’asticella delle obbligazioni di legge. Ci invita piuttosto ad andare oltre, verso una qualità diversa, qualcosa di nuovo: ci invita cioè in definitiva, se ci pensiamo bene, ad avere il cuore stesso di Dio.
Questa è la giustizia che Gesù ci domanda: avere il cuore misericordioso di Dio. Questa è l’autentica conversione a cui siamo chiamati. Ricordiamoci delle parole di Gesù in altra parte del vangelo: siate misericordiosi come è misericordioso il padre vostro che è nei cieli; siate perfetti come è perfetto il padre vostro che nei cieli. Questo invito di Gesù l’abbiamo sentito anche nel vangelo proclamato poco fa: non basta non far del male, non basta nemmeno fare un po’ di bene agli altri; ci vuole qualcosa di più, occorre andare a riconciliarsi addirittura quando non noi, ma l’altro ha qualcosa contro di noi; dobbiamo amare anche i nemici. Pure la minima offesa è inaccettabile. In definitiva ci è chiesto di avere il cuore grande, infinito, di Dio per amare come lui ama ogni creatura. Lui che come abbiamo sentito nella prima lettura, non ha piacere della morte del malvagio ma piuttosto che desista dalla sua condotta e viva. Lui che offre a tutti, sempre, in qualsiasi momento dell’esistenza – fosse anche l’ultimo respiro come la storia del buon ladrone ci insegna – e qualsiasi cosa uno abbia commesso, la possibilità di pentirsi e trovare la vita.
Una giustizia così intesa, l’avere cioè il cuore di Dio, capite bene fratelli e sorelle carissimi, è impresa che non avrà mai fine per tutta la nostra vita terrena e forse ci vorrà anche un po’ di vita oltre la stessa morte. E’ un cammino profondo di trasformazione interiore, di cambiamento del cuore, che non si arresta fintanto che Cristo non sia tutto in noi. Di questo cammino, quello quaresimale che abbiamo intrapreso col mercoledì delle ceneri non è che un piccolo segno e un aiuto. Ogni giorno della nostra vita dunque sarà sempre poco; ogni giorno la misura non potrà mai essere colma. Sempre di più, sempre più intensamente; così è la vita dietro a Cristo, la vita alla sua sequela: occorre avere il cuore di Dio, essere nel cuore di Dio per amare come Lui e con Lui. Solo così si entra nel suo Regno e già fin d’ora se ne può gustare il sapore.
Ma questa meta altissima non è raggiungibile con il semplice esercizio della volontà, anche se è necessaria la decisione della nostra volontà e la nostra attiva collaborazione. Avere il cuore di Dio è frutto della Grazia. E’ opera dello Spirito Santo in noi. E’ dono che è dato a chi lo chiede con insistenza, con umiltà, con costanza; a chi cerca, a chi bussa, a chi domanda e supplica. E’ dono che viene dall’alto.
Allora carissimi fratelli e sorelle, chiediamo questa sera a Dio il dono di un cuore nuovo; domandiamo di avere il suo cuore in noi, di amare dunque nella misura di Dio e al modo di Dio e cerchiamo di vedere il nostro cammino quaresimale sotto questa luce; cioè come un desiderio struggente e ardente che si fa preghiera e disponibilità affinchè il nostro cuore batta all’unisono col cuore di Cristo e tutti, ma proprio tutti coloro che incontriamo, in specie i più poveri e derelitti possano trovare spazio dentro di noi, in un cuore che si sforza di amare al modo di Dio.
+ Fausto Tardelli, vescovo