Solennità di San Giuseppe
Cecina, Livorno (20 marzo 2017)
Un uomo silenzioso, Giuseppe. Nei vangeli non ci vengono mai riferite sue parole. Sembra non ne usasse molte. Di poche parole, egli è però concreto, attento ascoltatore di Dio, facitore della sua Parola. Nemmeno ci vien raccontato molto di lui nei vangeli.
Quello che però ci vien detto è estremamente significativo. I vangeli ci parlano della sua fede quando dovette affrontare la sorpresa di Maria, sua promessa sposa incinta. Lo troviamo acconto a Maria nel viaggio a Betlemme e al momento della nascita del bambino. I vangeli ci narrano ancora che per volere di Dio, Giuseppe condusse in Egitto con la sua sposa Gesù per proteggerlo dalla furia di Erode. Lo vediamo portare il bambino al tempio per la circoncisione. Poi ci vien detto che il bambino Gesù cresceva con lui e Maria a Nazaret, dove faceva il falegname. Quando Gesù ebbe 12 anni e si perse a Gerusalemme, con Maria lo cercò con grande dolore e lo ritrovò nel tempio tra i dottori. Poi più niente. Giuseppe sembra sparire del tutto dalla scena dei vangeli. Di lui non si parlerà più. Non sappiamo che cosa ne sia stato di lui, quando sia morto, per quale ragione, se abbia lasciato detto qualcosa a Maria e a Gesù.
Per questo sembrerebbe quasi una figura secondaria nel vangelo. Ma non è affatto così. Giuseppe è un grande, grandissimo uomo e uno straordinario santo.
Giustamente la Chiesa ha introdotto in ogni Messa, nella preghiera eucaristica, il ricordo di lui. Perché egli è un veramente un gigante della fede, della speranza e della carità. Il padre di cui tutti i figli avrebbero bisogno, lo sposo che ogni donna potrebbe augurarsi, il custode amoroso di ogni buona causa, il maestro da cui ogni discepolo del Signore dovrebbe imparare.
Vogliamo una chiara dimostrazione del valore di quest’uomo? Non occorrono molte parole. Giuseppe fu amato da Maria SS. che accettò di diventare sua sposa! Forse tante volte non ci pensiamo a questo fatto. Non ci facciamo debito caso. Pensiamo a Maria SS. e ne contempliamo la bellezza, la santità. La onoriamo come regina del cielo, Madre Immacolata di Gesù; assunta in cielo nella gloria; specchio di ogni virtù, la più alta, la più sublime, la più santa di tutte le creature. Non pensiamo però che la Madonna si è innamorata di Giuseppe; lo ha amato di un amore tenerissimo; ne è diventata la sposa; si è unita in matrimonio con Lui! Poteva forse Maria innamorarsi di un uomo senza valore? Avrebbe potuto la “piena di grazia” accettare di diventare la sposa di un uomo senza virtù? Se l’amore è fatto di stima, di apprezzamento, di trasporto, di fascino, ciò vuol dire che Maria SS.ma ha trovato in Giuseppe tutto questo ma soprattutto ha trovato in lui ciò che più conta in una persona e cioè la disponibilità a compiere la volontà del Signore; la fede e l’obbedienza al disegno d’amore di Dio sulla propria vita; la capacità di rinunciare al proprio io per mettersi al servizio dell’altro. Ecco dunque la dimostrazione più chiara della grandezza umana e di fede di San Giuseppe: essere stato scelto da Maria quale suo compagno di vita.
Allora, carissimi fratelli, amiamo anche noi quest’uomo e mostriamogli anche tutta la nostra riconoscenza. Si. Credo che gli dobbiamo anche tanta, tanta riconoscenza. Perché ha custodito con infinito amore, con grandissima premura, Maria e Gesù. Che avrebbe fatto Maria da sola? Come avrebbe potuto affrontare il disagio della nascita di Gesù, della fuga in Egitto, della vita di Nazaret. E cosa avrebbe potuto fare lo stesso Dio incarnato Gesù, piccolino e indifeso, bisognoso di tutto, se non avesse trovato un babbo che lo custodisse, lo crescesse nella fede di Israele, gli insegnasse un mestiere, lo istruisse sulle cose della vita.
Sì, dobbiamo essere grati infinitamente a Giuseppe perché ha custodito con tanta premura Maria e Gesù. E lo ha fatto anche per noi, perché noi tutti potessimo godere della presenza di Maria e in particolare del figlio unigenito del Padre Gesù.
Carissimi amici, davvero ringraziamo San Giuseppe ma cerchiamo anche di imparare da lui. Soprattutto due cose, direi: a obbedire con fede alla volontà di Dio e a operare il bene in concreto e nel silenzio. Sono le caratteristiche più belle di Giuseppe: un uomo di fede, che si fida di Dio, innanzitutto. Che non capisce a volte come stanno le cose, che a volte si tormenta perché non comprende. Non tutto gli è chiaro. Non tutto va come forse aveva pensato. Anche il suo matrimonio con Maria, il rapporto con questa giovane donna, forse nella sua testa non se l’era immaginato come poi si è realizzato. Eppure si fida di Dio. Si abbandona alla sua volontà. Con la stessa fede di Abramo va dove Dio gli indica e fa ciò che Dio gli chiede. Non recrimina. Non si lamenta. Accetta nella fede con gioia il suo compito e cammina nell’adempimento della sua missione. E poi, in secondo luogo, eccolo operare il bene in concreto e nel silenzio. Opera, agisce. Non chiacchiera. Mette in pratica, lavora, realizza. Sistema le cose, provvede alle necessità della famiglia di Nazaret. Custodisce con cura chi gli è stato affidato. E soprattutto, il bene lo fa nel silenzio. Non per essere ammirato. Non per destare ammirazione negli uomini. Lo fa e basta. Perché è bene. Perché è ciò che il Signore gli chiede. Non suona la grancasse e, terminato il suo compito, se ne va in punta di piedi. Lasciò questa terra sommessamente appena adempiuto il suo compito, accompagnato nella morte da una grande consolazione: la compagnia di Maria SS. e di Gesù, morendo tra le loro braccia.
Permettetemi ora che termini questa mia breve riflessione ricordando un uomo che di San Giuseppe ha portato sicuramente i tratti e che in qualche modo ne ha ripreso le sembianze: il Vescovo Mansueto, vostro indimenticato pastore per alcuni anni. Non ebbe una sua propria famiglia ma fu sposo premuroso e custode sapiente e fedele della chiesa volterrana che amò di un amore tenerissimo e appassionato; come amò e custodì nella prova, anche la chiesa pistoiese e infine la famiglia dell’Azione Cattolica.
Generato e cresciuto nella chiesa madre di Lucca dove respirò a pieni polmoni la fede di un popolo davvero credente, ha però ha affinato doti, capacità e senso ecclesiale innanzitutto nella chiesa volterrana, di cui divenne vescovo durante l’anno giubilare del 2000. Volterra rimarrà sempre nel suo cuore – e lo posso testimoniare personalmente –il suo primo dolcissimo amore: la chiesa dove imparò a essere padre e comprese per la prima volta che cosa significhi “custodire” la sposa di Cristo, la chiesa, attraverso l’esercizio del ministero episcopale. Volterra che era a lui carissima anche perché lì ha vissuto i suoi ultimi anni terreni la mamma Bruna.
Il vescovo Mansueto, pur dotato di una vivace intelligenza, del dono dello scrivere e del parlare, di un’ottima preparazione culturale e di un grande gusto per il bello, con la possibilità perciò di innalzarsi sopra la massa, ha voluto restare sempre un figlio del popolo, schivo e semplice, fino al termine della sua esistenza. La sua fede è stata sempre popolare e si è trovato perfettamente a suo agio con le espressioni della pietà della gente semplice. Persona estremamente sensibile, ha conosciuto il tormento dell’intelligenza, le domande che inquietano e il senso della caducità di tutte le cose, acutamente consapevole della nostra condizione di viandanti e pellegrini, del grigiore che avvolge normalmente la vita. Ma sapeva trasformare tutto questo in gioia piena di umanità, in bonaria e acuta ironia, nell’allegria dell’amicizia ricercata e coltivata. E chi lo incontrava percepiva lo spessore profondo della sua fede autentica, non sbandierata, sofferta e serena a un tempo e dava pace e sostegno.
Egli ha amato profondamente la Chiesa – lo voglio sottolineare – Una Chiesa che ha sognato bella e senza rughe ma che ha accettato pur nelle sue debolezze, miserie e contraddizioni. Ha continuato ad amarla senza riserve tutta la vita, questa Chiesa, così com’era e come gli si presentava di volta in volta; ha continuato ad amarla e ha insegnato ad amarla com’è non come la si vorrebbe, perché sempre comunque sposa di Cristo.
La malattia e la morte lo hanno trovato pronto, anche se i giorni del male che lo ha ghermito sono stati per lui una dura scuola che ha perfezionato la sua preparazione al dono della vita nel momento della morte. Posso testimoniare personalmente che ha affrontato nella luce della fede, i primi sintomi, poi la diagnosi terribile della malattia, poi l’operazione, la degenza in ospedale, l’affievolirsi delle forze, lo spegnersi di ogni speranza umana e infine la morte. Sempre ben consapevole della sua situazione, ha confidato nel Signore e il Signore lo ha sostenuto. E’ stato duramente provato, tra alti e bassi, piccole riprese e ricadute. Sempre sereno e con una grande pace nel cuore, affidato completamente a Gesù, pieno di amore per Lui e per le persone che sono passate attraverso la sua esistenza e che ha portato sempre con sé. Posso attestare di persona la sua fede rocciosa, la sua delicatezza d’animo, l’abbandono fiducioso e gioioso nelle mani del Signore. Credo e concludo che il vescovo Mansueto non solo sia stato ma sia ancora oggi per tutti noi, davvero un grande amico, un maestro e un testimone della gioia vera, quella del Vangelo.
+ Fausto Tardelli, vescovo