Terza stazione quaresimale
IV venerdì di Quaresima – San Bartolomeo 2 marzo 2018 – Letture anno A
L’abbiamo sentito ora nel vangelo: una donna si reca al pozzo per attingere acqua. Ne ha bisogno. L’acqua è infatti una necessità per l’uomo. Non sappiamo che cosa stesse pensando quella donna, che cosa stesse rimuginando tra sé nel tragitto solitario che la conduce al pozzo in quell’ora calda del giorno – era mezzogiorno. Ce lo possiamo forse immaginare: a casa un uomo ad attenderla; il suo compagno. È il sesto uomo della sua vita. È già stata sposata per 5 volte. Ora si è accompagnata con un sesto uomo, senza sposarsi. È per giunta una samaritana; cioè reietta dal popolo ebraico. Chissà quante cose le passano per la testa in quel momento. È stanca di dover venire ogni giorno al pozzo. Forse anche della sua vita un po’ sconclusionata, emarginata. Ha bisogno d’acqua. È lì per questo. Ma in lei possiamo riconoscere benissimo un’altra sete, quella forse di riuscire a dare finalmente una svolta alla sua vita, dopo i fallimenti sperimentati; forse è anche un po’ scoraggiata di fronte alle macerie della sua esistenza. Lo si capisce bene da tutto il dialogo che si instaura con Gesù e dal finale del racconto. Riprendendo la prima lettura dal libro dell’esodo, possiamo benissimo vedere nella sete della donna, tutta la sete di un popolo e del mondo intero: “in quei giorni il popolo soffriva per mancanza di acqua”.
Davanti alla donna c’è Gesù. È lì, al pozzo, stanco, affaticato, affamato – i suoi erano andati a cercare del cibo. Si è seduto e anch’egli ha sete. Una profonda sete. Ma non dell’acqua del pozzo. Egli ha sete dell’anima di quella donna; ha sete dell’anima di ognuno di noi; ha sete di me e della mia vita. Egli, stanco, sta cercando me, come canta un antico e ingiustamente abbandonato inno liturgico: “quaerens me sedisti lassus” Tu, signore sedesti stanco per cercare me, per darmi il tuo amore, per salvarmi dal non senso della mia vita, dal male nel quale spesso sono incatenato. La stanchezza del Signore Gesù è la sua croce d’amore, è la fatica del buon pastore che va per dirupi e rovi a cercare la pecora perduta e caricarsela sulle spalle. La richiesta che Gesù fa alla donna, rileva questa sua sete: “dammi da bere”, cioè, dammi la tua anima, dammi la tua persona, lasciati amare, lasciati salvare, apri il tuo cuore a me e sarai salva.
Due assetati dunque s’incontrano nel racconto evangelico: la sete della donna e quella di Cristo si incontrano. L’una è in cerca di salvezza, anche se ancora bene non lo sa. Sarà necessario tutto il dialogo d’amore di Cristo perché lo comprenda e capisca dove può trovare l’acqua che zampilla per la vita eterna. L’altra sete, quella di Cristo, è in cerca di lei e di noi, di ciascuno di noi per donarci l’acqua via del suo amore, l’acqua che disseta e ristora, purifica e fa germogliare la vita. Se queste due seti si incontrano è esplosione di gioia, è trionfo di speranza; è l’inizio di un giorno nuovo splendente di sole, di un sole che non tramonta.
Che la nostra sete e quella di Cristo si incontrino: questo allora c’è da augurarsi stasera, per la nostra vita, per il nostro cammino quaresimale che ci conduce alla Pasqua. Che si incontrino: lo dobbiamo desiderare, attendere, cercare, con tutte le nostre forze. Non solo per noi e per la nostra vita ma per la vita del mondo, per ciascuno dei quasi 8 miliardi di persone che abitano la faccia della terra.
Questo desiderio, questa speranza dell’incontro di una sete con l’altra, si accompagna però a sofferenza, purtroppo, perché non sempre accade, sia nella nostra vita personale, che in quella delle nostre comunità e società, come nel mondo.
“In quei giorni, il popolo soffriva per la mancanza di acqua”. Parole antiche, dell’esodo… Ma quanto attuali! Quanto contemporanee, quanto dolorosamente vere. Perché, anche materialmente è proprio così: oggi un sacco di persone soffrono per la mancanza di acqua. “Sono circa 900 milioni le persone che non hanno accesso ad acqua potabilmente sicura. Sono almeno 1,8 milioni i bambini sotto i cinque anni che muoiono ogni anno per malattie collegate alla qualità dell’acqua: uno ogni 20 secondi.” (fonte Il Corriere). Un dramma incredibile che non ci può lasciare indifferenti e che ci deve vedere in qualche modo impegnati alla sua risoluzione. Ma le parole dell’Esodo sono attuali perché il dramma della mancanza di acqua per tanta gente, ci rivela il dramma ancora più grave, della mancanza dell’acqua viva, dell’acqua della Grazia nel cuore delle persone.
Non è difficile riconosce che siamo tutti degli assetati, che abbiamo sete di vita e di amore, sete di gioia e di bene, sete di felicità e di pace….. non è difficile riconoscerla, questa sete, dentro di noi e nel cuore dell’umanità. Al tempo spesso però dobbiamo riconoscere che spesso non ci si abbevera alla fonte buona. Spesso la nostra sete, la si soddisfa bevendo acqua putrida, di pozzanghere sudice e maleodoranti, acqua velenosa; all’apparenza cristallina e pura ma in realtà piena di germi mortiferi. Dobbiamo riconoscerlo, quest’oggi in particolare, nel cammino della quaresima e domandarci seriamente dove ci abbeveriamo, da dove attingiamo l’acqua e se l’acqua che attingiamo non sia per caso inquinata. Domandiamoci qual è l’oggetto dei nostri desideri; che cosa cerchiamo; quali sono le soddisfazioni che andiamo cercando; le nostre nascoste aspirazioni; i piaceri con i quali ci illudiamo di compensare la nostra sete di amore vero. Domandiamoci inoltre se per soddisfare la nostra sete, invece di amare e donare come ci ha insegnato il Signore, sfruttiamo gli altri, utilizzandoli per i nostri fini.
Sia come sia, però il Signore Gesù continua a dirci come alla samaritana: dammi da bere. Apri il tuo cuore a me; se tu cerchi l’acqua viva della vita eterna, vieni a me. L’acqua che cerchi “sono io, che parlo con te”. E ce lo dice anche questa sera, qui, in questa celebrazione eucaristica dove l’altare è per tutti noi, il pozzo di Giacobbe dove egli ci attende.