A dieci anni dalla morte di Eluana
di Samuel Pisani
Eluana Englaro era una giovane donna di Lecco che aveva da poco compiuto ventuno anni, e che a seguito di un incidente stradale avvenuto il 18 gennaio 1992 ha vissuto per diciassette anni in stato vegetativo.
Respirava spontaneamente e regolarmente, la funzione cardiaca, quella digestiva e le altre attività organiche erano intatte, gli occhi potevano rimanere aperti, le pupille reagivano, persistevano i riflessi del tronco e spinali, ma non vi era alcun segno di attività psichica e di partecipazione all’ambiente e le uniche risposte motorie riflesse consistevano in una ridistribuzione del tono muscolare. Eluana, contrariamente a quanto talora si è letto sui giornali, non aveva affatto l’ “elettroencefalogramma piatto”, non era attaccata a nessuna “spina” e non necessitava di macchinari. Eluana giaceva nel letto di un istituto religioso di Lecco, detto delle “Misericordine”, e poteva stare per qualche tempo seduta in poltrona. Eluana non era una malata in coma, né si trovava in fase “terminale”. Non avendo la possibilità di deglutire, era nutrita mediante un sondino naso-gastrico.
La situazione giudiziaria ha inizio quando nel 1999, il padre e tutore Beppino Englaro, decise di ricorrere alla magistratura per chiedere la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale attuata nei confronti della figlia Eluana, accompagnando a sostegno della richiesta molteplici deposizioni di amiche della figlia volte a dimostrare l’incompatibilità dello stato in cui versava e del “trattamento di sostegno forzato” che le consentiva “artificialmente” di sopravvivere con le sue precedenti idee e principi sulla vita e sulla dignità individuale.
A partire da qui infatti, il numero delle decisioni divenne proficuo. Ne sono derivate tre diverse vicende giudiziarie, che hanno investito, in primo grado il Tribunale di Lecco, in secondo grado la Corte di Appello di Milano, in terzo grado la Corte di Cassazione, per un totale di ben nove decisioni (primo procedimento: Lecco 2 Marzo 1999, Milano 31 dicembre 1999; secondo procedimento: Lecco, 20 luglio 2002, Milano 17 ottobre 2003, Cassazione 20 aprile 2005; poi ancora un terzo processo: Lecco 2 febbraio 2006, Milano 16 dicembre 2006, Cassazione 16 ottobre 2007 e infine, in sede di rinvio: Corte d’Appello di Milano 9 luglio 2008 che autorizza il padre Beppino Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il “trattamento di idratazione ed alimentazione forzata” che manteneva in vita la figlia Eluana per «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno».
Così i giornali del 10 luglio: sentenza su Eluana: “stop all’alimentazione”. Il Vaticano: “è eutanasia”, è il titolo del Corriere della Sera; I giudici: “Ora Eluana può morire”. La Chiesa: “E’ eutanasia”, la Repubblica, in prima pagina; e poi, “Sia fatta la volontà di Eluana”, il titolo con la foto della ragazza lecchese, in apertura sull’ormai estinto quotidiano L’Unità.
Il 31 Luglio 2008 la Procura Generale di Milano decide di ricorrere in cassazione contro il decreto della Corte d’Appello di Milano.
Lo stesso giorno la Camera dei Deputati, seguita, l’indomani, dal Senato, decide di sollevare davanti alla Corte Costituzionale il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007, lamentando una sostanziale invasione del campo, uno sconfinamento, da parte della Suprema Corte e dei giudici di Milano, nel potere legislativo che spetta al Parlamento.
L’8 ottobre la Corte Costituzionale, con l’ordinanza 334 del 2008, dichiara inammissibili i ricorsi presentati da Camera e Senato.
Passa poco più di un mese e, l’11 novembre 2008, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Domenico Iannelli, sostiene la non ammissibilità del ricorso della Procura Generale di Milano, perché: «non è intervenuto a tutela di un interesse pubblico, ma a proposito di “una situazione oggettiva individuale”, non di pertinenza della procura generale». Secondo Iannelli, insomma, la procura non era legittimata ad intervenire con un ricorso in Cassazione.
Beppino Englaro, come aveva già fatto nell’attesa di altre sentenze, parlando della figlia dice: «Non rispondo al Vaticano, non rispondo a nessuno, ognuno dica quello che vuole, ormai io la mia strada so qual’è e la percorro con la coscienza pulita, con la voce più limpida che posso, con il totale rispetto di quello che voleva mia figlia Eluana».
Tutto questo fino a quando il 13 novembre 2008, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 27145, respinge il ricorso della Procura generale di Milano, con le seguenti motivazioni: «E’ inammissibile, per difetto di legittimazione, l’impugnazione presentata dal P.M. presso la Corte d’Appello avverso il decreto con il quale la stessa Corte d’Appello – applicando il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione (sentenza n. 21748 del 2007) – accoglieva l’istanza congiunta del tutore (padre) e del curatore speciale di persona in stato vegetativo permanente dal 1992 e autorizzava l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione di sondino nasogastrico».
Intanto, Beppino Englaro è sempre più determinato a dare esecuzione a questa sentenza. Il problema che si presenta è quello di trovare una struttura sanitaria idonea ad accogliere Eluana, per poter applicare il protocollo di fine vita.
Dopo il rifiuto della Regione Lombardia a concedere una delle sue strutture, pubblica o privata, da altre regioni viene dichiarata la disponibilità ad accogliere le richieste della famiglia Englaro.
Ma la lunga vicenda giudiziaria non finisce qui. Il 26 gennaio 2009, il TAR della Lombardia accoglie il ricorso della famiglia Englaro contro la Regione, che si era rifiutata di indicare una struttura dove poter sospendere l’alimentazione e l’idratazione alla giovane lecchese.
La discussione sulle sentenze, però, si interrompe del 2 febbraio 2009, quando Eluana Englaro viene prelevata da un equipe medica nella casa di cura “Beato Luigi Talamoni” di Lecco e, a bordo di un’ambulanza, condotta in Friuli, a Udine, presso la casa di cura “La Quiete”. La mattina del 5 febbraio, si inizia a diminuire l’alimentazione ad Eluana.
Lunedì 9 febbraio 2009, è il giorno dell’epilogo. Eluana Englaro muore nella casa di cura “La Quiete” di Udine, per arresto cardio-circolatorio. Sono le 20:10. In Senato è incorso il dibattito sul Ddl che deve portare il Parlamento a legiferare in materia di alimentazione e idratazione negli stati vegetativi persistenti.
All’indomani, i giornali italiani escono con questi titoli: “Niente moratoria per Englaro”, Il Foglio; “Loro si svegliano e lei muore subito”, Libero; “L’hanno uccisa”, il Giornale; “Eluana muore, scontro in Senato”, Corriere della Sera; “In pace”, l’Unità; “Eluana, il calvario è finito”, la Repubblica; “Il tempo del raccoglimento e della preghiera”, L’Osservatore Romano. Avvenire, prima titola: “Eluana è morta, giustizia è fatta”; poi sceglie per l’edizione in edicola: “Dio ora stringe la sua mano”.
L’11 febbraio successivo, dall’esame autoptico effettuato su ordine della procura della Repubblica di Trieste, si è evinto che la causa dell’arresto cardio-circolatorio di Eluana Englaro è derivata dalla disidratazione.
I riflettori si spengono. Cala il sipario. E il paese, dinanzi al primo caso di “Eutanasia all’Italiana”.