Sono passati tredici anni, ma don Alfredo Pacini, sulle pagine de La Vita già ammoniva i lettori a ricordarselo bene: San Zeno vescovo, patrono della cattedrale di Pistoia, era un nero africano (probabilmente della Mauritania). «La sua figura – recitava il sottotitolo del suo intervento – torna di attualità come monito per i nostri tempi». La candida statua di marmo ritta sulla facciata della cattedrale non solletica troppo l’attenzione dei pistoiesi, richiamati, almeno d’estate, dall’apostolo Jacopo intabarrato di rosso. Facciamo fatica a immaginare quel san Zeno con i tratti e la pelle dei nostri fratelli africani. Forse lo trascuriamo un po’ -nonostante il prezioso reliquiario che contiene il suo braccio e i fasti sciistici d’un tempo che richiamano il suo nome-, crediamo, però che si sia rallegrato, giovedì 10 settembre in Cattedrale, quando, dal suo busto dipinto sopra il portale maggiore assisteva alla Veglia per i migranti presieduta dal Vescovo Tardelli.
Una serata insolita e intensa organizzata dalla Caritas diocesana e dell’Associazione San Martino di Porres, che ha assunto i toni di una veglia penitenziale e una forte carica emotiva.
Le sorelle della Fraternità Apostolica di Gerusalemme ci aiutano, attraverso qualche ricordo scritto per l’occasione, a riannodare il filo di una serata avviata da «un momento di preghiera molto forte e commovente, a livello personale e comunitario, grazie, prima di tutto, alla Parola di Dio che invitava, nel libro del Deuteronomio, ad “amare i forestieri, poiché anche voi foste forestieri nel paese d’Egitto”, e che nel Vangelo di Matteo al capitolo 25 proseguiva: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. “Ero straniero – incalzano drammaticamente le parole del Vangelo – e non mi avete accolto..”».
«Anche la lettura dell’omelia di Papa Francesco pronunciata a Lampedusa l’8 luglio del 2013 per denunciare la globalizzazione dell’indifferenza – appuntano le sorelle della Fraternità Apostolica -, è servita a scuotere le coscienze: “Chi di noi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle?… Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi …”».
Non c’è molto da aggiungere alle parole di Cristo e a quelle del papa. Neppure il vescovo ha inteso addolcirle o chiosarle, ma ha risposto, in modo immediato e originale, all’appello proposto nell’Angelus di Domenica 6 settembre da Papa Francesco: «Di fronte alla tragedia di decine di migliaia di profughi che fuggono dalla morte per la guerra e per la fame, e sono in cammino verso una speranza di vita, il Vangelo ci chiama, ci chiede di essere “prossimi”, dei più piccoli e abbandonati. A dare loro una speranza concreta … Pertanto, in prossimità del Giubileo della Misericordia, rivolgo un appello alle parrocchie, alle comunità religiose, ai monasteri e ai santuari di tutta Europa ad esprimere la concretezza del Vangelo e accogliere una famiglia di profughi. Un gesto concreto in preparazione all’Anno Santo della Misericordia … Mi rivolgo ai miei fratelli Vescovi d’Europa, veri pastori, perché nelle loro diocesi sostengano questo mio appello, ricordando che Misericordia è il secondo nome dell’Amore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
Alla concretezza rimandano anche le parole del vescovo Tardelli pronunciate durante la Veglia. Parole che hanno richiamato, in primo luogo, le cause del drammatico esodo che vive il nostro tempo: le divisioni e le guerre che insanguinano il mondo islamico, le speculazioni delle grandi lobby finanziarie, gli atteggiamenti neocolonialisti che destabilizzano e impoveriscono il continente africano e spingono tanti giovani a tentare la fortuna in Occidente. Giovani, affermava il vescovo, più da “adottare” che da accogliere indistintamente; da istruire e integrare, per quanto possibile. Presenze che interpellano e invitano alla mobilitazione anche i numerosi sacerdoti provenienti dal continente africano che operano nella nostra Diocesi.
Il suo intervento si è chiuso con un appello all’accoglienza rivolto a famiglie, associazioni, comunità parrocchiali e religiose della Diocesi.
La disponibilità all’accoglienza, aperta principalmente a nuclei familiari o a piccoli numeri di profughi per assicurare una più proficua integrazione e una cura maggiore, dovrà essere comunicata esclusivamente alla Caritas Diocesana (Sede: via Puccini 36 Pistoia, tel. 0573 976133; fax 0573 28616; caritas@diocesipistoia.it ) La Chiesa di Pistoia, infatti, provvederà a organizzare una “task-force” di esperti per gestire ordinatamente e in accordo con il Governo italiano, la distribuzione e l’assistenza ai migranti.
La Diocesi dedicherà presto a questa tragedia umanitaria un Osservatorio permanente sul fenomeno migratorio a Pistoia coordinato dalla Caritas e dall’Ufficio Migrantes per meglio conoscere e rispondere alle problematiche connesse con queste migrazioni di popoli. Non un invito generico o deresponsabilizzante, bensì una chiamata alla corresponsabilità che investe tutta la Chiesa a partire dal vescovo. Un appello da declinare in “accogliamo”, piuttosto che in un generico “accogliete”, come poteva suggerire, in questi giorni, la civetta di alcuni quotidiani.
Un appello sorretto, in occasione della Veglia, dalle drammatiche testimonianze di quattro giovani migranti africani (Costa d’Avorio, Mali e Gana) ospitati a Marliana. La Cattedrale, infatti, ha ascoltato commossa e in silenzio le tragiche peripezie di ragazzi scampati a vendette fratricide e guerre manipolate dai grandi stati europei, di fughe provocate dai conflitti tra cristiani e musulmani. Viaggi rischiosi attraverso la terra e il mare. «Si parla molto dei morti affogati nel mediterraneo -raccontava uno di loro- ma altrettante migliaia di clandestini sono morti nel disperato tentativo di attraversare il deserto del Niger per giungere in Libia». Lì la temperatura arriva a 50 gradi e la sete non perdona. «I cadaveri e gli scheletri di chi non resiste al viaggio affiorano tra la sabbia». La Libia, poi, è un inferno da cui fuggire al più presto dove regnano insicurezza e violenza. Mentre raccontano con cruda schiettezza le loro storie era facile riconoscere in loro gli atteggiamenti, la timidezza, i sogni e l’incoscienza dei giovani che appena fuori della Cattedrale, popolano la Sala e il nostro centro storico.
Le parole del Vangelo suonano scomode, specialmente quando ci chiamano ad agire prima persona. Ma, d’altra parte, viene da chiedersi se non possa ripartire da qui la riscoperta delle nostre radici cristiane. Proprio quelle radici che alcuni ritengono minacciate dai migranti. Non potrebbe cominciare anche da questo invito una nuova evangelizzazione fatta di gesti concreti?
«E ai pistoiesi – scriveva don Pacini – il patrono della cattedrale non avrà forse niente da dire? Anche tra noi vi sono indifferenza, egoismi e formalismo religioso. La speranza è che San Zeno … ci aiuti con forti richiami alla coerenza di vita cristiana». Ci aiuti e ci stuzzichi, dunque, il vescovo Zeno attraverso le parole di un suo sermone.
«Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? (Malachia 2,10) Chiunque ha coscienza della propria nobiltà ama il fratello e non aspetta di sentirsi dire qualcosa dalla legge, perché con un ammonimento non venga meno in qualcosa all’esercizio della pietà: e tanto si ama in lui, che senza di lui si odierebbe. Si aggiunga poi che Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, affinché dalla contemplazione dell’immagine fossimo indotti a riverire la verità, e la cosa è arrivata al punto che se qualcosa di male o di bene abbiamo fatto a qualcuno, crediamo di averlo fatto a Dio» (Patrologia Latina XI, Liber I, Tractatus II. De Spe, Fide et Charitate, col. 276).