Dalla Francia al Montalbano, attraverso un viaggio ultraterreno, la storia dell’eremita Baronto e del suo compagno Desiderio. La chiesa di Pistoia li ricorda ogni 26 marzo
Baronto nacque in Francia da una nobile famiglia, probabilmente a Limoges, al tempo del re merovingio Teodorico III (673/75-691). Dopo una vita dedita ai piaceri si ritirò, assieme al figlio, Aglioaldo, nel monastero di San Pietro di Longoreto, nei pressi di Bourges. Ammesso all’ordine monastico, Baronto divenne un fedele servitore di Dio.
Un mattino una febbre lo ridusse improvvisamente in fin di vita, tanto da sembrare morto, ma il mattino successivo, dopo che per un’intera giornata e una notte era stato vegliato dai suoi confratelli, improvvisamente si risvegliò e narrò un sublime viaggio che la sua anima aveva compiuto tra le gioie celesti e i terribili tormenti dell’inferno. Caduto in un sonno profondo, raccontò Baronto, gli vennero incontro due demoni che strangolandolo cercarono di condurlo all’inferno. Per fortuna lo soccorse l’arcangelo Raffaele, che dopo un’aspra lotta con i demoni, decise di portarlo davanti al tribunale dell’eterno Giudice. Superato il vicino monastero di Méobecq e oltrepassato l’inferno, San Raffaele e Baronto, accompagnati dai due demoni, giunsero alla prima porta del paradiso, dove molte anime dei suoi confratelli monaci erano in attesa del giorno del Giudizio. I quattro varcarono poi altre due porte, incontrando prima migliaia di vergini e di fanciulli biancovestiti, poi, oltre la terza, una folla di santi incoronati e sacerdoti, che sedevano su troni in dimore costruite di mattoni d’oro. Oltre la quarta porta non era possibile andare e Baronto riuscì a scorgere solo un’intensa luce. Raffaele inviò un angelo a chiamare Pietro che, appena giunto, si sorprese che un monaco del suo convento dovesse essere condotto all’inferno. I demoni, allora, accusarono Baronto di vari peccati. San Pietro, dopo aver avuto l’ammissione da Baronto stesso delle sue colpe, invitò i demoni a considerare che, avendo egli fatto l’elemosina, confessato i suoi peccati ai sacerdoti e consacrato la sua vita al servizio di Dio, si era mostrato degno di un riscatto totale. I demoni, non convinti, insisterono nel volere il giudizio diretto di Dio. San Pietro li mise allora in fuga minacciando di colpirli con le sue tre chiavi; fece poi riaccompagnare Baronto alla prima porta del paradiso, dove questi incontrò un suo confratello incaricato di ricondurlo nel suo corpo. Una volta incamminatosi sulla via del ritorno, Baronto vide prima Abramo poi, seppure con fatica per l’oscurità e il fumo, intravide nell’inferno migliaia e migliaia di dannati incatenati e divisi secondo i peccati, tra cui distinse i vescovi Vulfoledo di Bourges e Didone di Poitiers. Scorse infine un luogo ove erano posti i dannati che, avendo compiuto in vita oltre ai peccati anche qualche buona azione, ricevevano, come refrigerio quotidiano, una manna ristoratrice. Superato l’inferno, Baronto e il suo accompagnatore ritornarono al monastero. Qui l’anima di Baronto, rimasta sola si trascinò fino al letto e rientrò nel suo corpo attraverso la bocca.
Successivamente a questa straordinaria esperienza, narrata nella Vita Baronti, Baronto supplicò insistentemente il suo abate affinché gli consentisse di lasciare la Gallia sia per pregare sulla tomba di San Pietro, che aveva sottratto la sua anima ai demoni, sia per dedicarsi totalmente alla preghiera e alla vita ascetica. Ottenuto il permesso giunse a Roma e, dopo aver pregato sulla tomba di San Pietro, tornò verso la Toscana, dove si fermò sulle colline vicino Pistoia in un luogo che a lui sembrò adatto alla vita di preghiera. Subito vi costruì una capanna poi, pregando intensamente il Signore, scavò con le proprie mani sul vicino pendio facendone scaturire una sorgente. Rimasto in questo luogo Baronto si dedicò giorno e notte alla contemplazione di Dio; essendosi diffusa la sua fama di santità un uomo, di nome Desiderio, si affiancò a lui condividendone la scelta di vita; Desiderio fu poi seguito da altri quattro giovani. Quando Baronto morì il suo corpo fu sepolto dai suoi discepoli nella cappella da lui stesso edificata.
Per i prodigi che vi si sarebbero verificati, la tomba di San Baronto divenne meta di un continuo pellegrinaggio, tanto che dopo molto tempo alcuni notabili di quella terra costruirono un monastero, nel quale in seguito fu traslato il suo corpo per volere del vescovo di Pistoia, Restaldo (attorno al 1018). Fin qui la tradizione agiografica.
Veniamo ora al monastero e al culto del santo. L’abbazia di S. Baronto ha una storia ultramillenaria. N. Rauty, sulla base delle indicazioni contenute nel manoscritto sulla vita e degli elementi architettonici degli edifici monastici, ha individuato tre fasi relative alla sua antica costruzione. Secondo questa ipotesi, al tempo di Baronto (VII-VIII secolo) sarebbero state costruite alcune celle eremitiche e una cappella per il culto dove fu sepolto inizialmente il santo. Attorno a questo primo nucleo a partire dall’VIII secolo si sarebbe poi sviluppato un organismo architettonico più complesso: un monastero, nel quale fu traslata la salma dell’eremita al tempo del Bvescovo Restaldo (attorno al 1018). Infine, attorno al 1050, vi fu un nuovo intervento per trasferire vicino alla tomba di Baronto anche i corpi di Desiderio e dei suoi compagni.
Nei primi secoli del Basso Medioevo, grazie a lasciti e oblazioni, l’abbazia divenne ricca e fiorente, tanto che nel 1276/77 essa era tassata con una decima di 40 lire, inferiore nella diocesi di Pistoia solo a quella della cattedrale di San Zeno e di San Bartolomeo. A partire dal XIV secolo però, iniziò il declino della comunità monastica, vuoi per la crisi degli ordini monastici benedettini, vuoi perché questo luogo fu coinvolto nelle lotte tra Lucca, Pistoia e Firenze. La cura successivamente fu affidata ad un abate commendatario che spesso non viveva nell’abbazia ma beneficiava delle sue rendite e affidava la sua cura ad un cappellano. Nel 1577 passò sotto il controllo della Badia fiorentina e nel 1732 divenne prioria. Ciò che rimase costante nei secoli fu il culto del santo che, pur avendo un carattere locale, è rimasto vivo fino al secondo dopoguerra.
Molti sono i segni di questa lunga permanenza del culto: in quest’occasione vorrei ricordarne almeno due. Le storie e le cronache antiche, come abbiamo visto, narrano che la fama dei miracoli avvenuti grazie all’intercessione dei Santi Baronto e Desiderio fu tale che prima le popolazioni vicine e poi quelle lontane fecero a gara a «correre qua ad invocare e venerare i sacri corpi dei santi ivi sepolti. Fin dalla Francia, dicon le cronache sarebbero venute qui […] turbe di pellegrini». Fino alla fine del XIX secolo di questo antico splendore rimaneva una traccia: si trattava di sei statuette raffiguranti S. Baronto e i suoi compagni eremiti. Erano -scriveva A. Mazzanti nel 1920- «graziose, pregevoli, antichissime figurine di bronzo, rilevate dalla parte anteriore e piane dalla parte per cui erano affisse [all’altare] con chiodi pure di bronzo al gradino [un dossale di legno], alte una spanna (dicon le memorie). Oggi anche questo pregevole resto di antichità è miseramente scomparso». In effetti per alcuni decenni non si ebbero più notizie di queste statuette, fino a quando nel 1963, durante un convegno a Spoleto, mons. S. Ferrali per una fortuita coincidenza incontrò una studiosa francese, S. Gauthier direttrice del laboratorio degli smalti di Limoges, che lo informò dell’esistenza di un antico smalto di Limoges a bassorilievo raffigurante S. Baronto, conservato negli Stati Uniti al Museo Oberlin (Ohio). I successivi contatti tra Mons. Ferrali e la studiosa francese portarono al convincimento che si trattasse di una delle statuette scomparse dalla Chiesa di S. Baronto, se non altro per la fattura conforme alle descrizioni antiche, ma soprattutto per la scritta S. Barontus incisa nell’aureola; ricordo infatti, che quella pistoiese è l’unica chiesa al mondo dedicata a questo santo. Il manufatto risale al XIII secolo ed è un segno evidente dell’antico culto di San Baronto.
Un altro segno del culto di San Baronto più vicino nello spazio e nel tempo è quello che possiamo trovare visitando la cattedrale di San Zeno (ringrazio l’arch. S. Martini per questa segnalazione). Nella cappella, detta di S. Atto (già S. Rocco e della Città) posta alla destra del presbiterio, si può ammirare, sopra l’urna di San Atto, la pala del pittore Mattia Preti raffigurante l’Incoronazione della Vergine con i Santi Baronto e Desiderio (metà XVII sec.). La tela non fu dipinta per la cappella di San Atto, ma per un altare dedicato ai santi Baronto e Desiderio voluto dalla famiglia Foresi. L’altare, posto nella navata sinistra, passò poi ai patronati Benesperi e Buonfanti. Nella trasformazione della cattedrale del 1836 fu trasferito su quella destra, vicino alla porta del crocifisso poi, in seguito ad ulteriori modifiche, l’altare fu soppresso e la tela portata nella attuale cappella. Al centro della scena c’è un angelo custode che indirizza verso l’empireo, dove ad accoglierlo ci sono la Vergine e la Trinità. In basso, in uno sfondo naturalistico, ci sono le due grandi figure di S. Baronto e S. Desiderio. Vicino hanno tre attributi iconografici: una cesta posta a fianco del monaco Desiderio, un libro (la Visio?) vicino all’eremita Baronto e uno zampillo d’acqua tra i due, in ricordo della fonte scaturita miracolosamente.
Ivo Torrigiani
La fortuna della Visio Baronti
La tradizione agiografica di San Baronto si fonda su due testi: la Visio Baronti, presente in alcuni codici risalenti all’età carolingia e datati a partire dal IX-X secolo, e la Vita Baronti redatta tra l’XI e il XII secolo, il cui manoscritto è andato smarrito, pertanto oggi la conosciamo nella trascrizione degli Acta sanctorum (Anversa, 1668). La Visio ebbe un’ampia circolazione nel medioevo come attestano le numerose copie manoscritte rimaste: lo storico tedesco W. Levison ricordava all’inizio del secolo scorso che nelle biblioteche europee erano ancora rintracciabili di questo testo oltre quindici codici, redatti tra IX e il XV. La Visio negli ultimi decenni è stata oggetto di numerosi studi. Da un lato gli storici di letteratura medievale si sono rivolti alla Visio ritenendola uno dei primi testi da cui prese l’avvio un nuovo genere letterario, che trovò il suo culmine poetico nella Commedia dantesca; d’altro lato gli storici del medioevo, impegnati nella ricostruzione dell’evoluzione delle rappresentazioni dell’aldilà nell’Europa medievale, l’hanno assunta come esempio di descrizione del Paradiso e dell’Inferno: in questo senso J. Le Goff l’ha indicata come fondamentale per la ricostruzione dell’immaginario medievale.
Per saperne di più: «La Vita e la Visio Sancti Baronti Monaco, eremita, santo» a cura di Ivo Torrigiani e Maria Virginia Porta San Baronto, Parrocchia di San Baronto, Ass. pro loco Amici di San Baronto, 2013.