Vita, lavoro, vocazione: Policoro incontra il Seminario

Gli animatori del progetto Policoro incontrano la comunità del Seminario

Vita, lavoro, vocazione: sono questi alcuni dei temi che hanno animato la mattinata di incontro e riflessione che si è tenuta sabato 9 febbraio in seminario.

Protagonisti di questo incontro sono stati i giovani animatori di comunità del progetto Policoro, provenienti da dieci diocesi della regione Toscana e la comunità del Seminario Diocesano di Pistoia.

È stata una bellissima occasione di dialogo fraterno in cui esperienze di vita quotidiana ed esperienze di vita ecclesiale hanno trovato una sintesi e perché no, un nuovo vigore e un rinnovato entusiasmo per guardare avanti ed essere, come dice Papa Francesco: il presente di Dio (Papa Francesco, omelia a conclusione della GMG di Panama 2019).

L’incontro, inserito nel cammino formativo degli animatori di Policoro, è stato avviato dal saluto di Edoardo Baroncelli, responsabile diocesano ma anche coordinatore regionale del Progetto, che ha inteso sottolineare l’importanza dell’intreccio tra lavoro e vocazione e la dimensione ecclesiale della proposta di Policoro.

I giovani referenti del Progetto dopo aver condiviso coi seminaristi un momento di preghiera con la celebrazione delle lodi mattutine, hanno presentato il percorso formativo da loro vissuto all’interno del Progetto Policoro e hanno poi accolto le testimonianze dei seminaristi i quali, chi più chi meno, hanno avuto delle brevi o lunghe esperienze nel mondo del lavoro che sono state in alcuni casi determinanti per leggere nella loro vita i segni della presenza del Signore, fino a scoprire il dono della vocazione. È stato anche un momento per fare una fotografia alle varie problematiche che affliggono i giovani alla ricerca della stabilità, anche professionale che si lega a  doppio filo con molteplici aspetti della realtà (lavoro, famiglia, amicizie, affettività…), e ai diversi tipi di approccio con cui i giovani si affacciano a questa realtà.

Nel documento finale del Sinodo dei Vescovi si legge: «Nel reale tutto è connesso: la vita familiare e l’impegno professionale, l’utilizzo delle tecnologie e il modo di sperimentare la comunità, la difesa dell’embrione e quella del migrante. La concretezza ci parla di una visione antropologica della persona come totalità e di un modo di conoscere che non separa ma coglie i nessi, apprende dall’esperienza rileggendola alla luce della Parola, si lascia ispirare dalle testimonianze esemplari più che dai modelli astratti. Ciò richiede un nuovo approccio formativo, che punti all’integrazione delle prospettive, renda capaci di cogliere l’intreccio dei problemi e sappia unificare le diverse dimensioni della persona. Questo approccio è in profonda sintonia con la visione cristiana che contempla nell’incarnazione del Figlio l’incontro inseparabile del divino e dell’umano, della terra e del cielo» (Sinodo dei vescovi – Documento Finale. I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, n.57).
La riflessione ed il dialogo su questa dimensione di integralità della persona ha stimolato giovani e seminaristi a considerare alla luce della Rivelazione diverse esperienze che spesso hanno tratti in comune (intraprendenza, sconforto, mille colloqui e concorsi affrontati, l’esperienza con i Centri per l’impiego, le incertezze ed i timori che spesso attanagliano chi si interroga sul senso della propria vita…).

La conclusione dell’incontro è stata affidata alle sapienti parole di papa Francesco citato dal rettore del Seminario don Ugo Feraci, che ha condiviso un passaggio dell’omelia della messa conclusiva della Giornata Mondiale della Gioventù di Panama: «Voi, cari giovani, non siete il futuro. Ci piace dire: “Voi siete il futuro…”. No, siete il presente! Non siete il futuro di Dio: voi giovani siete l’adesso di Dio! Lui vi convoca, vi chiama nelle vostre comunità, vi chiama nelle vostre città ad andare in cerca dei nonni, degli adulti; ad alzarvi in piedi e insieme a loro prendere la parola e realizzare il sogno con cui il Signore vi ha sognato. Non domani, adesso, perché lì, adesso, dov’è il tuo tesoro, lì c’è anche il tuo cuore (cfr Mt 6,21); e ciò che vi innamora conquisterà non solo la vostra immaginazione, ma coinvolgerà tutto. Sarà quello che vi fa alzare al mattino e vi sprona nei momenti di stanchezza, quello che vi spezzerà il cuore e che vi riempirà di meraviglia, di gioia e di gratitudine. Sentite di avere una missione e innamoratevene, e da questo dipenderà tutto (cfr Pedro Arrupe, S.J., Nada es más práctico). Potremo avere tutto, ma, cari giovani, se manca la passione dell’amore, mancherà tutto. La passione dell’amore oggi! Lasciamo che il Signore ci faccia innamorare e ci porti verso il domani!».

Alessio Bartolini

Ricordiamo che il Progetto Policoro è anche online: visita la pagina web sul sito diocesano
o la pagina Facebook:




Missione Panama!

Caterina Pelagalli racconta la sua esperienza alla GMG di Panama

Quarantuno persone, quarantuno cuori, quarantuno bagagli diversi, quarantuno giovani e meno giovani pronti a “lasciare” la propria vita e la propria quotidianità per vivere qualcosa che rimarrà indelebile dentro di noi per sempre. Quarantuno volontari, tutti uniti da una grande ed unica passione: la Misericordia.

Siamo partiti per Panama senza sapere cosa ci aspettava, forse anche un po’ timorosi. Ma è indescrivibile ciò che abbiamo trovato. Ci hanno fatto sentire a casa, fin dal primo momento; ci hanno trattato come se fossimo loro figli, accuditi ed accompagnati per tutta l’esperienza. È difficile poter trasmettere a parole quello che ogni giorno abbiamo vissuto, impossibile poter descrivere i rapporti che sono nati tra noi ed i bomberos (i vigili del fuoco di Panama): non basterebbero paginate intere per raccontarvi ogni singola esperienza che abbiamo fatto. L’unica cosa che possiamo fare è esserne grati, grati con il cuore in mano. Grati al movimento delle Misericordie, che ha permesso ad ognuno di noi di poter crescere spiritualmente, umanamente e professionalmente; ci ha permesso di amare la nostra divisa ancora di più, ci ha fatto conoscere persone nuove, che sono entrate nel nostro cuore e da lì non usciranno mai.

Grati al Benemerito Corpo dei Bomberos, che ci ha sostenuto in ogni momento, condiviso con noi i momenti più belli della GMG. I Bomberos hanno pregato con noi e scherzato, insieme abbiamo mangiato e giocato. Ci siamo aiutati reciprocamente come se ci conoscessimo da sempre, abbiamo imparato gli uni dagli altri, abbiamo pianto insieme, ci siamo salutati all’aereoporto con il nodo alla gola. In particolar modo vogliamo ringraziare Lourdes, il tenente del corpo dei Bomberos, che ci ha accolto il primo giorno quando siamo arrivati e ci ha fatto da mamma per tutta la missione. Una persona semplice, una donna con la D maiuscola, un insieme di coraggio, fermezza, forza ed immensa dolcezza. Non la dimenticheremo mai.

Abbiamo vissuto la GMG dall’inizio alla fine, da vicino e da lontano. L’abbiamo vissuta per le strade, l’abbiamo vissuta nei ristoranti e nei supermercati, l’abbiamo vissuta sul mare e nelle chiese di Panama. Incontravamo giovani ovunque, pronti a fare una foto o lasciarci un ricordo; abbiamo ricevuto “grazie” gratuiti, come se tutti sapessero e ci fossero grati per il servizio che stavamo facendo insieme ai bomberos. Abbiamo trovato giovani pieni di gioia, canti e balli in tutta Panama, gioia dietro ad ogni angolo della città, bandiere di tutti i colori che coloravano le strade di aria nuova, genuina, fresca, viva. I panamensi ci salutavano suonando il clacson della macchina, le commesse dei negozi ci salutavano come se ognuno di noi fosse un dono che gli era stato donato, ci regalavano ricordini del posto come se niente fosse, senza che sapessero da dove venivamo e chi fossimo. Un’umanità che al giorno di oggi colpisce nel più profondo dell’anima.

E poi Papa Francesco: ancora una volta un colpo dritto al cuore; sorrisi indimenticabili che ci hanno toccato da vicino ogni volta che passava con la sua papamobile, parole con una forza devastante, capaci di cambiarti la vita, parole piene di emozione e adrenalina, come se fossero pillole di vitamine. Avete presente quando ci sentiamo stanchi, deboli, tristi e prendiamo le vitamine per tirarci su? Ecco, Papa Francesco ha un’ immensa capacità di entrarti dentro e renderti la forza per vivere la vita come il dono più prezioso che ci è stato fatto.

Voglio chiudere queste mie poche righe con una delle frasi di Papa Francesco che mi ha colpito: «Cari giovani, voi non siete il futuro ma l’adesso di Dio». Dobbiamo essere il presente, vivere l’adesso come se fosse l’unica cosa che ci rimane, dobbiamo cambiarlo se non ci va bene, dobbiamo amarlo e rispettarlo, e ringraziare il Signore per aver avuto l’opportunità di viverlo: Esta es la juventud del Papa!

 

Caterina Pelagalli




Un nuovo umanesimo per la medicina

Intervista al dottor Stefano Bartolini, noto neurologo Pistoiese, sul tema della giornata mondiale del malato.

a cura di Daniela Raspollini

Spesso il malato è colto da paura e smarrimento; quanto è importante il ruolo del medico nella relazione con il malato?

Per rispondere appare sempre più impellente la domanda: come è cambiata la professione del medico e quale sarà o dovrà essere il medico del futuro? Personalmente penso di essere stato testimone nella mia vita professionale, dai primi momenti iniziali fino al momento del pensionamento, di tutto il percorso di cambiamento della identità del medico e del conseguente rimodellamento del rapporto medico-paziente. Già le parole ed i termini che vengono usati per identificare i ruoli (dirigente medico piuttosto che medico, cittadino od utente piuttosto che paziente) testimoniano un profondo mutamento proprio nel modo in cui il medico concepisce se stesso o viene percepito dagli altri. A testimonianza di questa transizione culturale è interessante citare un articolo comparso recentemente su una delle più prestigiose riviste mediche internazionali (The New England Journal of Medicine, 10/11/2016). I due autori (D.I. Rosenthal e A. Verghese) già nel titolo del loro editoriale ponevano la domanda fondamentale: Meaning and the Nature of Physicians’ Work -Il significato e la natura del lavoro del medico. Quanto affermato in questo articolo rappresenta una fedele fotografia dei problemi che attualmente mettono in discussione la figura del medico per quanto concerne la sua identità ed il senso della sua professione e conseguentemente gli autori affrontano anche la tematica dei problemi emotivi (paura e smarrimento) spesso vissuti dalle persone malate.

Riassumendo brevemente le maggiori criticità appaiono essere: il tempo di cura -inteso come il tempo che il medico passa “accanto” alla persona ammalata nelle classiche procedute sanitarie- appare drasticamente ridotto. Più del 40-50% della giornata lavorativa di un medico viene speso di fronte allo schermo di un computer a svolgere compiti “burocratici”. È ridotto anche il tempo di relazione “faccia a faccia” con le altre figure mediche professionali mediche e non. Nonostante la retorica che il paziente sia al centro della cura, in realtà esso non lo è affatto. Il paziente spesso è non più, infatti, una persona in carne ed ossa, ma un file elettronico dove sono trascritti tutti i suoi dati, non solo sanitari. L’intero sistema sanitario, incluso il suo finanziamento, poggia pesantemente su questa rappresentazione digitale del paziente per la cui definizione è stato coniato un nuovo termine “iPatient”. Esiste spesso una discrepanza fra i report di qualità forniti dalle aziende, dove si afferma che il paziente gode in maniera uniforme e diffusa di ottime cure e l’esperienza concreta del paziente che invece ha una opinione totalmente diversa ed è portato ad avere sentimenti di paura e smarrimento. I medici appaiono sempre più disaffezionati al loro lavoro che viene giudicato troppo burocratico. Il fenomeno del burnout dei medici appare diffuso ed allarmante; infatti sembra che la depressione o sintomi depressivi interessino circa un quarto di loro.

Gli autori concludono la loro analisi sottolineando, in maniera del tutto condivisibile, la necessità di rimodellare un nuovo umanesimo della medicina e di richiamarsi al senso originale della professione medica: accompagnare la sofferenza degli altri e provvedere al loro conforto e cura.
A tal fine propongono di ripensare l’uso delle tecnologie informatiche per l’utilizzo ottimale delle stesse e di recuperare allo stesso tempo alcune pratiche tradizionali della pratica medica tali da ridurre la sensazione di distanza ed abbandono percepita dagli ammalati. A mio parere è attraverso questo nuova “alleanza” che si può aiutare le persone malate a superare le proprie paure ed allentare il senso di smarrimento che talvolta vivono all’interno delle strutture sanitarie.

 

Il papa nel suo messaggio afferma: «la cura dei malati ha bisogno di professionalità e di tenerezza, di gesti gratuiti e semplici come una carezza». A partire dalla sua esperienza come vuole commentare queste parole?

Le classiche pratiche sanitarie come la visita a letto dell’ammalato, la raccolta della anamnesi accurata dal paziente stesso, il colloquio con la famiglia, il contatto fisico concreto con le mani nella vista medica sono sempre più ridotte a vantaggio della registrazione dei dati su files elettronici.
La figura del paziente è come se fosse depersonalizzata ed anche la sua realtà corporea è come se fosse alienata. L’invito di Papa Francesco è quindi attualissimo in quanto ci richiama non solo alla professionalità, quindi anche all’obbligo morale della conoscenza e dell’impegno, ma anche alla “prossimità e vicinanza” alla persona che soffre nella malattia attraverso la tenerezza, gesti semplici gratuiti come una carezza o una parola, uno sguardo, un momento di attesa a bordo del letto per comunicare con coloro che sono deboli perché ammalati, timorosi del loro futuro e alla ricerca di dare un senso della loro sofferenza, della loro intera vita o addirittura della possibile morte. Le piccole ed umili cose sono in genere quelle che hanno maggior significato nel rapporto fra le persone.

A fronte di una cultura e di una mentalità che rifiutano la malattia e la sofferenza che significato assume questa giornata?

È vero che esiste una visione prometeica della medicina per cui la ricerca medica appare onnipotente ed in grado di curare qualsiasi malattia e di allungare indefinitivamente la vita fino ai suoi limiti estremi. Questa fiducia illimitata nella scienza e nella tecnica ha portato a considerare la malattia come un accidente, ha svuotato di senso il limite e la sofferenza umana. Addirittura la morte viene vissuta come uno scandalo per cui rappresenta l’ultimo tabù rimasto nella nostra società che tende quindi a nasconderla ed a non parlarne. In realtà la malattia, la sofferenza e la morte non possono essere negate perché l’uomo ne fa esperienza quotidiana. La loro negazione non può non provocare l’emarginazione e l’indifferenza verso chi soffre. La giornata mondiale del malato è segno rinnovato ed attuale di attenzione, rispetto ed amore verso le persone sofferenti ed anche risposta all’invito di Papa Francesco che ci esorta a seguire l’esempio di Madre Teresa di Calcutta che ha scelto i poveri e gli ammalati ed i morenti per testimoniare attraverso la sua carità l’amore di Dio per i poveri e gli ammalati.

Il papa nel suo messaggio richiama l’importanza del volontariato e della gratuità. È possibile custodire questo atteggiamento anche da professionista della sanità?

Sì, se intendiamo per gratuità l’atteggiamento interiore di disponibilità a soccorrere che è principio fondante della professione medica. Questa particolare vocazione è ben rappresentata artisticamente nella formella robbiana (visitare gli infermi) esposta sul frontale del nostro Ospedale del Ceppo e, in forma di parabola, nella parabola del Buon Samaritano.
L’ atteggiamento del donare rappresenta le fondamenta della professione medica, sia o no legata alla remunerazione pecuniaria. Il professionista della sanità dona le proprie conoscenze professionali, i propri sentimenti di vicinanza empatica al paziente ed insieme riceve a sua volta dalla persona malata il dono della fiducia, della stima e talvolta della amicizia.
Esistono poi forme di gratuità “assoluta” di cui non mancano esempi nella società civile, dove si esprimono in molteplici forme di volontariato, la cui funzione di sussidiarietà è fondamentale nel mondo della sanità. Anche il professionista della sanità che opera all’interno delle strutture, così come il volontario che dedica gratuitamente il suo tempo alla cura degli altri, può e deve essere ispirato dallo spirito del dono gratuito delle propria persona nel prendersi cura degli altri, sopratutto quando sono più deboli, sofferenti ed ammalati.

Personalmente cosa sente di aver ricevuto “gratuitamente” dal Signore?

Tutto e di aver restituito ai fratelli solo una piccolissima e minima parte di quei talenti che mi sono stati affidati.

Daniela Raspollini




Quando il Vangelo si fa social: un incontro con don Dino Pirri

Incontro con don Dino Pirri presso i locali parrocchiali della Chiesa del Sacro Cuore di Montemurlo.

L’incontro, fissato per venerdì 8 Febbraio alle ore 21.15, è organizzato dall’Azione Cattolica di Pistoia ed è aperto a tutti, in particolare ai ragazzi e genitori che vogliono approfondire la conoscenza riguardo gli scenari digitali.

don Dino Pirri

Nato a San Benedetto del Tronto l’8 luglio 1972, ordinato presbitero il 2 maggio 1998.
È stato vicario parrocchiale a “San Benedetto Martire” in San Benedetto del Tronto (2000-2001) e al “Sacro Cuore di Gesù” in Martinsicuro (2001-2003). Parroco a “San Pietro Apostolo” in Valdaso (2003-2007) e a “San Niccolò” in Acquaviva Picena (2007-2009).
Inoltre è stato assistente diocesano ACR (2000-2005), Assistente AGESCI zona Picena (2004-2009), membro del Consiglio presbiterale (2007-2013), assistente nazionale ACR (2009-2014).
Su TV 2000 ha condotto “Sulla strada” commentando il vangelo della domenica dal 2014 al 2017.
Ha pubblicato con l’ Edizioni Ave: “Dalla sacrestia a Gerico” e “Cinguettatelo sui tetti. Il vangelo di Marco su Twitter“.
È parroco a “San Martino” e alla “Madonna della Speranza” in Grottammare dal 2015.
Dal 2017 è Vicario nella forania “Madonna di San Giovanni”, che comprende le parrocchie di Cossignano, Cupra Marittima, Grottammare e Ripatransone.

Intervista a don Dino Pirri
L’esigenza di ascoltare i giovani, il bisogno di superare paure e il “si è sempre fatto così”

Don Pirri incontrerà i ragazzi di AC della diocesi di Pistoia. Come ha accolto questo invito? È la prima volta che viene in diocesi?

Sono stato già nella diocesi di Pistoia in occasione di un incontro con l’Azione Cattolica quando ero assistente nazionale dell’ACR. Ma ho un legame particolare con la vostra terra, poiché mia madre ha insegnato in una scuola di Monsummano quando ero ancora bambino. Quest’ultimo invito lo accolgo con molta gioia, ma anche con la trepidazione di dover essere capace di corrispondere alle attese, poiché non ho competenze specifiche sul tema della comunicazione, solo un po’ di esperienza. Mi ritengo soltanto un artigiano della comunicazione.

Secondo lei i giovani desiderano coltivare una propria spiritualità? Quali ostacoli e quale sostegno incontrano più spesso?

Questa domanda dovremmo rivolgerla ai giovani. Spesso, anche nella Chiesa, parliamo dei giovani e al posto dei giovani, senza ascoltarli e lasciar parlare loro. Ho visto con gioia che il recente Sinodo dei Vescovi è stato un tentativo nuovo in questo senso: una Chiesa in ascolto dei giovani. Forse l’ostacolo più grande è proprio l’assenza di luoghi di ascolto. Il miglior sostegno potrebbe essere la credibilità degli adulti. Ma ripeto: dovremmo chiedere ai giovani.

Quali sono le difficoltà più consistenti che ha riscontrato nell’opera di evangelizzazione?

L’ostacolo principale che ho incontrato è stata la conservazione di schemi pastorali, che probabilmente non rispondono più al nostro tempo, e la necessità di occuparmi in attività che hanno poco a che fare con l’evangelizzazione ma sono richieste dal servizio a una parrocchia: le manutenzioni, la custodia dei luoghi, le questioni economiche, gli adempimenti delle diverse normative. Nell’azione pastorale in quanto tale mi sono più volte trovato davanti al muro del pregiudizio sulla Chiesa e della presunzione di essere cristiani.

Si parla molto di giovani e mondo social; una realtà spesso accusata di molti guai e pericoli. È davvero tutto da buttare?

Ci sono i pericoli e i guai, che fanno parte del limite umano, ma non c’è nulla da buttare. Spesso c’è l’ignoranza nell’utilizzo di questi strumenti che porta a una loro squalifica o sopravvalutazione. Non bisogna cadere in nessuno dei due errori. La realtà non può essere negata, ma deve essere attraversata, analizzata e ricomposta. I social sono come un luogo abitato da tanta gente, in cui si possono fare incontri significativi, pericolosi o virtuosi; esperienze che fanno crescere oppure esperienze che feriscono. Non ci sogneremo mai di lasciare un bambino o un adolescente da solo in un luogo così vasto, ma neppure possiamo chiuderlo in casa, impedendogli di fare qualsiasi esperienza, e quindi di crescere.

Lei ha scritto un libro molto apprezzato dal titolo: «Cinguettatelo sui tetti» (AVE 2013) raccogliendo mini commenti al Vangelo di Marco. Come nasce l’idea del primo twitter/libro?

In quegli anni cominciavo a conoscere e sperimentare questo mondo “social”, domandandomi come mai noi preti non ne avessimo colto ancora le potenzialità avendo un messaggio bellissimo da comunicare, cioè il Vangelo. Ho incontrato tante persone e ho imparato tante cose, che proverò a raccontare nell’incontro di venerdì. «Cinguettatelo sui tetti» nasce un po’ da questo incrocio, tra il desiderio di comunicare il Vangelo e l’incontro con persone desiderose di lasciarsi provocare da esso.

Si è da poco concluso il sinodo dedicato ai giovani. Cosa lo ha colpito di più del sinodo e del suo documento finale?

Più che i contenuti, come ho accennato prima, mi ha colpito il metodo seguito nei lavori. Il desiderio dei vescovi di ascoltare e di lasciar parlare i giovani. La disponibilità dei giovani a confrontarsi liberamente con i loro pastori.

Per il suo incontro pistoiese cosa ci dobbiamo aspettare?

Anche questa sarebbe una domanda da fare a chi parteciperà. Da parte mia c’è la curiosità di imparare qualcosa di nuovo, mettendo a disposizione qualche esperienza e qualche riflessione. Ecco, mi aspetto una bella sorpresa, ma non so ancora dire quale. Come disse Gesù: «Venite e vedete!».

Daniela Raspollini




I migranti e noi(?). La nota dell’AC di Pistoia

Quello che sta accadendo ormai da molti anni nei nostri mari è sconcertante, non ci sono parole per poterlo esprimere.

Come Azione Cattolica di Pistoia più volte ci siamo domandati come sia possibile assuefarci banalmente all’indifferenza. Assistiamo a delle prese di posizioni brutali su come il naufragio, la chiusura dei porti, le torture libiche e la prigionia gratuita siano solo un effetto collaterale tollerabile per far fronte al problema di gestione del fenomeno migratorio. I migranti non solo non vengono più ritenuti meritevoli di un futuro, ma vengono usati come strumento di contrattazione politica internazionale. Non si tratta più di gestione di un fenomeno internazionale; non si tratta più di insostenibilità del welfare locale e di scontro socio-culturale tra popoli che spesso hanno poco da raccontarsi. Le difficoltà ci sono e nessuno le nega, ma i nostri fratelli muoiono ingiustificatamente e senza sceglierlo. Tutto questo non è comprensibile perché la barbarie, la morte e l’indifferenza non fanno parte dell’uomo in quanto tale. Il Padre ci ha pensato con Amore, ci ha dato molti doni tra cui: il pensare e fare per affrontare la vita quotidiana; l’immaginare per sognare e costruire il nostro futuro; la capacità del “prendersi cura” per rispettare se stessi e per saper vivere con e per gli altri. L’uomo è questo e niente di più, l’insieme di molti doni speciali che rendono autentica e inviolabile la vita.

I fenomeni migratori esistono da sempre e sono problematici, ci fanno paura, implicano fatica, ma niente giustifica il disprezzo per un migrante economico, un rifugiato o addirittura per le vittime di tratta (le più numerose) che semplicemente celebrano i doni del Padre, quello di pensare e fare un viaggio, di sognare una vita migliore e di prendersi cura di sé tessi, dei loro figli e della loro cultura.

Tutto ciò è in antitesi con la Creazione «creò l’uomo a sua immagine e somiglianza» ed il Vangelo «amatevi gli uni e gli altri come io ho amato voi». Per questo è insussistente l’accusa di chi imputa alla Chiesa e a coloro che difendono l’umanità di prendere posizioni politiche. La difesa della vita non ha colore politico e tacere in questo momento sarebbe un crimine. Il nostro essere Chiesa si esprime nello smuovere le coscienze e riportare le comunità ad una riflessione democratica e umana sui temi di questi tempi di cui quello dell’immigrazione. Ed è oggi questa immagine di Chiesa che ci deve rendere orgogliosi, dalla sua struttura all’ultimo dei fedeli. Una Chiesa che l’associazione sente come una Madre nel cogliere l’urgenza di dover dire, fare, intervenire, perché la Vita deve essere sempre trasformata in un’occasione di Gioia affinché le sia resa Grazia.

L’Azione Cattolica di Pistoia in questo tempo complesso oltre ad offrire il suo servizio è presente con la preghiera per ogni persona, chiamata a fare delle scelte, a prendere posizioni o esprimere opinioni.

Crediamo che il “meglio” per ciascuno di noi non possa passare dal desiderare il “peggio” per altri.

Siamo vicini all’Italia che lavora sul campo, che si espone per la difesa dei diritti umani e come associati cercheremo di essere promotori di valori evangelici che mirano alla costruzione di una società più giusta e solidale non contaminata da ansie e paure.

La Presidenza Diocesana




Domenica 3 febbraio è la Giornata nazionale per la vita

L’attività e gli appuntamenti del Movimento per la Vita di Pistoia

La parola alla nuova presidente Graziana Malesci. Domenica 3 febbraio una santa messa per la Vita alla Chiesa di San Paolo a Pistoia.

A cura di Daniela Raspollini

Il Movimento per la Vita e Centro di Aiuto alla Vita di Pistoia promuovono anche quest’anno a livello locale la Giornata per la Vita che sarà celebrata in tutte le diocesi domenica 3 febbraio sul tema «è vita, è futuro».
Abbiamo incontrato per l’occasione la nuova presidente del Movimento e Centro di Aiuto alla Vita di Pistoia Graziana Malesci, molto conosciuta in diocesi per la sua lunga carriera scolastica, prima come docente e successivamente come preside e per il suo impegno costante in ambito sociale.

«Facevo già parte da sei anni del direttivo del Centro Aiuto alla vita di Pistoia e, sollecitata dal momento un po’ critico che sta attraversando il Movimento, ho avvertito l’esigenza di dare la mia disponibilità. Adesso uno degli obiettivi da perseguire sarà proprio quello di dare nuova vitalità al Centro, affinchè riprenda la sua attività in continuità con quanto è stato fatto nel passato grazie al costante impegno della presidente onoraria Giuliana Zoppis, del presidente uscente Giancarlo Brusoni e dei diversi volontari, verso i quali vorrei esprimere stima e fiducia per il loro impegno a servizio della vita.
Il Movimento ha lo scopo di aiutare le mamme in difficoltà che si trovano a portare avanti una gravidanza; negli ultimi tempi si sono rivolte al Centro 120 famiglie in gravi condizioni sociali.
Di recente è stato realizzato il “Progetto Gemma” con lo scopo di sostenere una gravidanza difficile fornendo un contributo di oltre duemila euro. Ad oggi l’attività del movimento continua e si propone, inoltre, di realizzare un progetto di formazione per volontari sostenuto a livello regionale.
Una priorità a breve scadenza, il 31marzo pv, è rappresentata dal Concorso Europeo dal titolo “Avrò cura di te”, riservato agli studenti delle scuole superiori e delle Università.
Un appuntamento importante, inoltre, sarà proprio il prossimo 3 febbraio con la celebrazione della Santa messa presso la chiesa di San Paolo alle ore 10. Abbiamo inoltre pensato di costituire un’equipe che dovrà sensibilizzare i medici del territorio sulle problematiche che riguardano la salvaguardia della vita».

Restituire dignità al concepito, sostenere la maternità

Dal Movimento per la vita di Quarrata una riflessione sul messaggio CEI per la Giornata per la vita

La prossima giornata per la vita voluta dalla Chiesa è un’ occasione preziosa e importante per tutte le comunità parrocchiali e per tutta la società per riflettere sulla dignità della persona umana.
L’uomo fin dal concepimento è tale perché la stessa scienza ce lo dimostra, perché quel DNA che esiste dal concepimento rende unico e irripetibile ognuno di noi e il processo di sviluppo autonomo di quella piccola cellula fecondata ci rivela qualcosa di meraviglioso: quel cuore che già batte fin dai primi giorni della fecondazione è qualcosa che ci commuove e ci fa riflettere.
Quel piccolo esserino che cresce in modo autonomo, anche se accolto e protetto nel seno materno, è la dimostrazione che è un uomo, uno di noi, appartenente alla specie umana e quindi ha gli stessi diritti di tutti gli esseri umani, deve essere riconosciuto nella sua dignità, tutelato e protetto. Ogni bambino che nasce è segno di speranza per la sua famiglia e per tutta l’umanità.
Se ripartiremo dal riconoscimento di questo piccolo uomo, che Madre Teresa definiva il più povero tra i poveri, restituiremo valore a tutti gli altri esseri umani, a tutti i poveri della Terra, a tutti i bambini, perché finalmente tutti saranno considerati uguali, degni di rispetto e attenzione.
I Centri di Aiuto alla Vita hanno aiutato a nascere 200.000 bambini. Per far sì che possano nascere più bambini basterebbe far conoscere il servizio che si promuove nei Centri di Aiuto alla Vita, attraverso l’ascolto, la condivisione e l’aiuto concreto alle mamme. I Centri di Aiuto alla Vita dovrebbero essere la prima espressione di vera accoglienza di ogni comunità, perché nessuna donna sia costretta ad abortire. È la solitudine, la paura di non farcela che spesso spinge una donna ad abortire. Restituendo alla maternità il valore e l’attenzione che merita da parte di tutti si restituisce alla società intera un volto più umano, in cui ognuno potrà riscoprire i valori fondanti per una nuova umanità e aiutare anche le nuove generazioni a restituire più valore all’esistenza umana.

Elisabetta Michelozzi




«É vita, è futuro!» Il messaggio CEI per la Giornata per la vita

Riscoprire il valore e la bellezza della vita dal concepimento alla vecchiaia.

Il messaggio dei Vescovi italiani (CEI) per la 41ᵃ Giornata Nazionale per la Vita (3 febbraio 2019) vuole essere un messaggio di speranza, un incoraggiamento a costruire un futuro positivo, sostenendo la vita in tutte le sue declinazioni.
Con lo slogan «É vita, è futuro», i vescovi italiani hanno ribadito che la vita va difesa e tutelata dal primo istante fino al suo termine naturale, e soltanto un programma a tutto campo per «accogliere, custodire e promuovere» la vita umana può garantire un avvenire migliore per tutti.
La sfida si gioca nel presente, nelle scelte e nelle azioni dell’oggi, che avranno conseguenze negli anni che verranno. Per questo i vescovi hanno individuato alcuni ambiti prioritari, in cui l’impegno dei cristiani e della società civile deve essere particolarmente incisivo. Innanzitutto nella cura della famiglia in quanto culla della vita e degli anziani, per ritrovare -come ha detto Papa Francesco- una solidale «alleanza tra le generazioni», quindi nella cura dei giovani, affinché la mentalità antinatalista e la mancanza di lavoro siano contrastati da un «patto per la natalità» condiviso dalle forze culturali e politiche, infine nella cura di ogni persona in situazione di fragilità: dai bambini nel grembo materno, ai malati, ai poveri, fino ai migranti e ai profughi, senza dimenticare il necessario rispetto della “casa comune” che il Signore ha creato per tutti.

Se guardiamo la realtà italiana vediamo che ci sono luci ed ombre. Dal recente rapporto del Ministero della Salute sulla legge 194/78 emerge il fatto positivo che dal 1983 l’aborto volontario è in progressiva diminuzione in Italia e il tasso di abortività è fra i più bassi tra quelli dei paesi occidentali e che l’obiezione di coscienza tra i ginecologi è pari al 68.4%.
Tuttavia si tratta di un apparente bilancio ottimistico, infatti, ad una analisi più attenta, dall’esponenziale aumento della cosiddetta «contraccezione d’emergenza» (Norlevo o pillola del giorno dopo ed ellaOne o pillola dei 5 giorni dopo), che non ha più l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni, si deduce che gli aborti farmacologici sono sempre di più e restano esclusi dal computo dei dati reali ed ufficiali.

Resta il fatto che, in base al numero degli aborti effettivi, ogni anno un’intera città scompare: nel 2017 una città di oltre 80 mila abitanti! Senza contare gli aborti chimici. Con la conseguenza che il calo demografico è sempre più marcato e mancano intere generazioni di giovani.

Un altro fronte preoccupante è costituito dal fine vita, dalle persone con gravissime disabilità e dai malati terminali. Aspettiamo la relazione sulla legge delle cosiddette DAT (o testamento biologico) che il Ministero della Salute deve presentare entro aprile al Parlamento.
La grave crisi demografica e l’invecchiamento della popolazione, uniti alla disgregazione delle famiglie, produrrà negli anni a venire un vulnus sociale difficilmente recuperabile in tempi brevi.
Anche Papa Francesco, nell’intervista rilasciata ai giornalisti in aereo di ritorno dalla GMG di Panama, ha espresso in modo chiaro la situazione attuale, dicendo:

«qui a Panama vedevo i genitori che alzavano i loro bambini e ti dicevano: questa è la mia vittoria, questo è il mio orgoglio, questo è il mio futuro. Nell’inverno demografico che noi stiamo vivendo in Europa – e in Italia sottozero – ci deve far pensare. Qual è il mio orgoglio? Il turismo, le vacanze, la villa, il cagnolino? O il figlio?».

Occorre invertire la rotta. La Chiesa, da questo punto di vista, può dare un grande contributo alla società italiana, formando alla verità del Vangelo. Educando le coscienze può incidere sulle scelte di vita delle persone e soprattutto dei giovani, per andare controcorrente e non conformarsi alla mentalità del mondo.
Riscoprire la bellezza e la gioia della proposta di vita cristiana conduce in modo naturale, senza obblighi legalistici, ma per attrattiva, a uno stile di vita nuovo, inconcepibile allo sguardo mondano.
Testimoniare che è bello vivere come Gesù ci comanda, anche se siamo fragili e inadeguati, perché con la preghiera ed i sacramenti si può tutto.

La grazia di Dio aiuta i bambini a crescere sereni, i fidanzati ad essere casti, gli sposi ad aprirsi alla vita senza mettere a rischio il proprio matrimonio con la contraccezione, gli anziani a superare la solitudine e il senso di inutilità, i malati e i disabili ad amare la vita e a sentirsi i privilegiati del Signore.

Ripartire da Dio, dall’invito di San Benedetto di «non anteporre nulla all’amore di Cristo», è l’unico vero e vincente programma per un presente ed un futuro migliori.

Ufficio per la Pastorale con la famiglia




Gmg 2019: Qui Panama #3

Dalla nostra inviata a Panama Caterina Pelagalli.

È stata una giornata particolarmente intensa. Il servizio è iniziato stamani mattina alle 11 ed è terminato ora (20.20). Siamo stanchi, ma pieni. Abbiamo incontrato tanta gente: la nostra divisa attira l’attenzione di tutto il mondo. Si fermano a chiedere foto, ballare e per regalarci ricordini, ringraziandoci in tutte le lingue per essere qui, avendo attraversato l’oceano per prestare servizio. È incredibile di quanta gente diversa, provenienti da paesi diversi, con culture e necessità diverse, siano accomunate da qualcosa di così grande: l’amore.

Giovedì l’arrivo del papa a Panama e il saluto ai giovani pellegrini, ieri il papa ha partecipato alla via Crucis con oltre 400mila giovani. 

 

 




Dalla comunità umana alle social network communities e viceversa?

Dalle social network communities alla comunità umana c’è continuità o un salto nel vuoto?

Dalla comunità umana, come da quella ecclesiale, alle social network communities verrebbe da dire che una continuità, di fatto, si trova; alzi la mano chi non è almeno membro di un gruppo whatsapp della parrocchia, dei catechisti o del coro. Quanti, tra i cattolici, non rilanciano o commentano la pagina del proprio parroco o del proprio gruppo di preghiera? Insomma, dal reale al digitale il passo è breve, anzi, immediato. Forse fin troppo, al punto che varrebbe la pena chiedersi se nel mondo digitale, come in quello reale, ci stiamo da veri cristiani. Insomma, dalla comunità umana a quella social una continuità la c’è; ma sarà vero anche il contrario?

Non tutte le social network communities infatti, sembrano avere un corrispettivo nella “comunità umana”. Per questo il titolo del messaggio di Papa Francesco per la 54a giornata delle comunicazioni sociale, “Dalle social network communities alla comunità umana”, se pure appaia meno tecnico del messaggio precedente -incentrato sulle famigerate fake news- può toccare nel vivo il lavoro degli operatori della comunicazione.

In primo luogo perché invita a riflettere su ciò che diventa motivo di aggregazione “social” e spinge a discernere nel mare magnum di gruppi, cerchie, movimenti e sommovimenti interni alla rete. Il guaio, infatti, afferma Francesco, è che «troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri)».

Cosa ci aggrega sulla rete? La rabbia, il dissenso, la paura? Oppure quei gusti che un algoritmo conosce meglio di noi? «Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo – ricorda il papa – diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo». Quale “noi” descrive la rete e …molto giornalismo? Il noi degli sfiduciati o degli incattiviti?

E i cattolici dove si trovano sulla rete? Come si presentano? Come sono descritti? Ipocriti o veri credenti? Minoranza creativa o rissosa? Quale Chiesa descrivono le comunicazioni sociali del 2019?

Il successo della rete e soprattutto dei social network, d’altra parte, ribatte su un’esigenza antropologica fondamentale: non siamo fatti per stare soli; non possiamo fare a meno di vivere in relazione. Nel messaggio del papa le parole di San Basilio, vissuto nel lontano IV secolo, suonano decisamente azzeccate: «Nulla, infatti, è così specifico della nostra natura quanto l’entrare in rapporto gli uni con gli altri, l’aver bisogno gli uni degli altri».

L’insistenza sulla costruzione e la ricerca dell’identità dice che ho sempre bisogno di un altro che mi aiuti a scoprirla, che mi riconosca o conosca, mi apprezzi, mi dica da dove vengo e chi sono, e per cosa sono fatto. E se non trovo nessuno che me lo dica mi metterò una divisa, mi svenderò un po’ di più rendendomi appetibile o un po’ più scollacciata, cercherò qualcuno a cui assomigliare. Per chi è solo o si sente solo la rete è sempre alla portata di mano. Uno spazio aperto sulla propria comfort zone –anestetizzata o intristita che sia- in cui si rischia facilmente però, di ferire e farsi ferire anche pesantemente. Eppure perfino il più isolato può accontentarsi di sbocconcellare o ricercare il sapore di una presenza online.

Ma se dall’altra parte della rete non c’è nessuno che abbia lo spessore e la concretezza di un padre, di una madre, di un amico o un fratello i rischi del cyberbullismo, gli spettri della solitudine, della tristezza e del populismo saranno pronti a risucchiarci. La rete si trasforma in «una ragnatela capace di intrappolare».

L’antidoto più efficace per un rischio del genere –ricorda il messaggio- è custodire una metafora ben nota alla tradizione della chiesa: quella del corpo e delle membra. «Perciò, bando alla menzogna e dite ciascuno la verità al suo prossimo, perché siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25)… La verità infatti si rivela nella comunione. La menzogna invece è rifiuto egoistico di riconoscere la propria appartenenza al corpo; è rifiuto di donarsi agli altri, perdendo così l’unica via per trovare sé stessi». La metafora del corpo e delle membra ci ricorda l’importanza di dire la verità, di imparare cioè a comunicare davvero, a stare dentro le relazioni.

«La Chiesa stessa – precisa il papa-  è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like”, ma sulla verità, sull’“amen”, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri», dove la comunione dice ciò che riceviamo e ciò che diventiamo per grazia.

Un invito che tocca tutti, ma che anche in questo caso raggiunge il lavoro quotidiano del comunicatore di professione, perché la verità chiede di prendere posizione, forse anche controcorrente, chiede fatica, ma sempre unifica chi le appartiene e la trasmette, e alla lunga convince e libera.

La menzogna, invece, massifica senza comunione, disgrega e rivela l’interesse di una parte, di un potere forte, occulto o manifesto che cresce e crea consensi su comunità fragili e disorientate.

ugo feraci – ufficio comunicazioni sociali e cultura




GMG 2019: QUI PANAMA #2

Dalla nostra “inviata” Caterina Pelagalli a Panama

Tra poco ci sarà la santa Messa celebrata da Papa Francesco, che da stamani sta girando per Panama, tra istituzioni e fedeli. La gente è emozionatissima, i panamensi non riescono a trattenere le lacrime dalla gioia. Vedere tanti colori, tante bandiere, cori pieni di forza ed energia, riempie di gioia. Sarebbe bello che tutti i giovani del mondo, potessero vivere un esperienza simile: la chiesa entrerebbe nella vita di ognuno di essi.

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Riprendiamo da Agensir alcuni passaggi del discorso del Papa ai giovani

“Il cristianesimo non è un insieme di verità da credere, di leggi da osservare, o di proibizioni. Visto così non è per nulla attraente. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato tanto, che desidera e chiede il mio amore. Il cristianesimo è Cristo”. Ai 200mila giovani che affollano oggi il Campo Santa Maria La Antigua, per la cerimonia di accoglienza e apertura della Gmg, il Papa ha citato “un santo di queste terre”, Oscar Arnulfo Romero, vero e proprio faro della Gmg di Panama fin dai primi discorsi pubblici. Il cristianesimo, ha sintetizzato Francesco, “è portare avanti il sogno per cui Lui ha dato la vita: amare con lo stesso amore con cui ci ha amato”. “Non ci ha amato un pochino, ci ha amato totalmente, con tenerezza, con amore”, ha aggiunto a braccio.

“Che cosa ci tiene uniti? Perché siamo uniti? Che cosa ci spinge ad incontrarci?”, le domande incalzanti del Papa: “La certezza – la risposta – di sapere che siamo stati amati con un amore profondo che non vogliamo e non possiamo tacere e ci provoca a rispondere nello stesso modo: con amore. È l’amore di Cristo quello che ci spinge. Un amore che non si impone e non schiaccia, un amore che non emargina e non mette a tacere, un amore che non umilia e non soggioga. È l’amore del Signore, amore quotidiano, discreto e rispettoso, amore di libertà e per la libertà, amore che guarisce ed eleva. È l’amore del Signore, che sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato. È l’amore silenzioso della mano tesa nel servizio e nel donarsi senza vantarsi”. “Credi in questo amore?”, la domanda che dà il “tu” al popolo giovane: “Non abbiate paura di questo amore concreto, che è dare la vita. E questa è stata la stessa domanda e chiamata che ha ricevuto Maria. L’angelo le domandò se voleva portare questo sogno nel suo grembo e renderlo vita, renderlo carne. E Maria aveva l’età di tante ragazze come voi, e ha detto: ‘Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola’”. “Non era stupida, sapeva quello che sentiva il suo cuore, sapeva che cos’era l’amore”, ha aggiunto a braccio: “Ha saputo dare vita al sogno di Dio. Ed è la stessa cosa che l’angelo vuole chiedere a te, a te, a me: hai coraggio? Vuoi dare carne a questo sogno con le tue mani, i tuoi piedi, il tuo sguardo, il tuo cuore? Vuoi che sia l’amore del Padre ad aprirti nuovi orizzonti e a portarti per sentieri mai immaginati e pensati, sognati o attesi, che rallegrino e facciano cantare e danzare il cuore? Sapremo dire all’angelo, come Maria: ‘Eccoci, siamo i servi del Signore, avvenga per noi…’?”. “Ci sono domande a cui si può rispondere solo in silenzio”.