Lutto nella Chiesa Pistoiese: è morto don Fernando Grazzini

Ieri 19 novembre si è spento all’età di 91 anni don Fernando Grazzini.

Don Fernando Grazzini, nato il 16 luglio 1927 a Casalguidi, è stato storico parroco della Parrocchia di Sant’Andrea a Pistoia.

Ordinato sacerdote nel 1950 don Fernando è stato cappellano presso la Parrocchia della Vergine fino al 1952, quindi parroco a Piazza fino al 1969. Don Fernando ha poi insegnato per diversi anni nel Seminario Diocesano, prestando servizio anche come assistente diocesano dalla Gioventù femminile di Azione Cattolica. Dal 1967 ha svolto il suo ministero presso la parrocchia di Sant’Andrea, dove è rimasto in carica fino al 2015. Canonico dal 1963, dal 1986 fino al 2015 è stato anche amministratore parrocchiale della parrocchia di San Filippo e assistente AGESCI del Pistoia 1. Per quasi quarant’anni è stato presbitero della comunità neocatecumenale.

Negli ultimi anni don Fernando è stato pesantemente segnato da una vecchiaia che gli ha tolto lucidità e lo ha sempre più fiaccato nel fisico. Ha abitato fino agli ultimi giorni nella canonica di Sant’Andrea, dove ha trascorso gran parte della sua esistenza, nella parrocchia che tanto lo ha apprezzato e tanto ha ricevuto dal suo servizio umile e fedele. Don Fernando è stato, tra l’altro, un uomo di grande carità: una carità silenziosa, fatta di ascolto paziente e personale che lo spingeva ad accogliere col sorriso quanti bussavano alla sua porta.

Don Grazzini sarà esposto al saluto di fedeli e amici nella chiesa di Sant’Andrea a partire dal pomeriggio di oggi, 20 novembre. Le esequie, presiedute da Mons. vescovo Fausto Tardelli, saranno celebrate domani, mercoledì 21 novembre alle ore 15 sempre nell’antica pieve di Sant’Andrea.

redazione




Accanto ai poveri in un mondo ferito. La missione delle Francescane dei Poveri

Domenica 18 novembre si celebra la seconda Giornata Mondiale dei Poveri istituita da Papa Francesco. Nella nostra città l’attenzione verso chi è più fragile e bisognoso è la missione quotidiana delle suore Francescane dei Poveri. Una presenza discreta ma operosa che in occasione di questa Giornata offre la propria riflessione e testimonianza.

Quante situazioni di sofferenza ed emarginazione avete incontrato in questi anni a servizio dei poveri fino ad oggi? Quali sono i vostri ambiti di evangelizzazione e servizio?

Per noi Suore Francescane dei Poveri il 2018 è un anno importante perché celebriamo i 20 anni della nostra presenza a Pistoia. Sono tante le situazioni di sofferenza ed emarginazione che in questo lungo periodo abbiamo incontrato, e varie le realtà in cui ci siamo sentite chiamate a lavorare: il servizio in Caritas diocesana, l’accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale, l’accoglienza di mamme con bambini con problemi di dipendenze, la pastorale nei campi rom e sinti, la pastorale con gli anziani soli ed ammalati, la pastorale famigliare e il servizio di consulenza a favore di coppie in difficoltà, l’insegnamento e il sostegno nelle scuole materne a favore di bambini con disagio, la pastorale carceraria e la pastorale giovanile per giovani e adolescenti alla ricerca di senso e riferimenti.

Come nasce il vostro carisma?

Il carisma delle Suore Francescane dei Poveri è quello di sanare le piaghe di Cristo Crocifisso specialmente nei poveri e nei bisognosi, attraverso l’amore e il servizio. La nostra famiglia religiosa nasce in Germania nel 1845 ad opera della Beata Francesca Schervier, la quale dedicò tutta la sua vita al servizio tra i poveri ed i malati. La nostra missione è ancora oggi quella di testimoniare l’amore di Dio attraverso la cura di ogni singolo individuo, specialmente i poveri ed i sofferenti, facendoci strumento di compassione e speranza all’interno del nostro mondo ferito.

Come si concretizza in diocesi la vostra missione incentrata sull’insegnamento della vostra fondatrice, la scelta radicale dei poveri?

Attualmente il nostro servizio in Diocesi di Pistoia si svolge presso due strutture, una per l’accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale e con altri disagi, l’altra per l’accoglienza di mamme e bambini per donne che hanno avuto problemi di dipendenze. Ed inoltre siamo impegnate nella pastorale con i rom e i sinti, nella pastorale famigliare ed in quella giovanile, e nella visita a persone anziane ed ammalate della parrocchia di San Benedetto.

Il desiderio che da sempre ha animato la nostra fondatrice Francesca Schervier e che ancora oggi ci guida è quello di riconoscere la presenza di Gesù in ogni fratello e sorella che incontriamo. Sono loro, le persone speciali che Dio continua ad affidarci per condividere la loro vita, e attraverso percorsi a volte molto difficili ritrovare fiducia in sé stessi, recuperare stima e dignità, vivere un fallimento, una malattia, i sogni infranti, le aspettative deluse, la mancanza di speranza nel futuro a causa dei problemi economici. Provare ad essere voce di chi non ha voce, in una società in cui vince chi urla più forte o solo chi ha successo, perché ciascuno possa mostrarsi per ciò che veramente è, al di là dei pregiudizi e di ciò che dai mass media e dai social network viene sbandierato. Provare a farlo perché, anche i più poveri, hanno dei nomi, dei volti e delle storie, perché crediamo nella possibilità, al di là delle nostre differenze di essere fratelli e sorelle.

San Francesco e santa Chiara oggi sono ancora due figure capaci di attrarre l’attenzione dei giovani?

«Il carisma di Chiara e Francesco, parla anche alla nostra generazione, e ha un fascino soprattutto per i giovani» (Benedetto XVI, in occasione alla XXVII Giornata Mondiale della Gioventù)
I motivi per cui questi due santi possono attrarre ancora oggi i giovani crediamo siano vari. Ne citiamo due a noi molto cari: l’amore per l’autenticità e per le relazioni fraterne.
Chiara e Francesco erano giovani quando hanno iniziato a dare ascolto e voce a quello che desideravano veramente. Hanno trovato tra la confusione e il materialismo del tempo Qualcuno di credibile da seguire, un Dio incarnato nei lebbrosi, nei fratelli e nelle sorelle, fragile e libero…. Un Dio “inaspettatamente” vicino. Hanno saputo inseguire i loro sogni osando, rischiando di perdere affetti, sicurezze per essere davvero se stessi. Hanno imparato che il fratello e la sorella che Dio mette loro accanto sono il bene più prezioso che potessero avere. A volte scomodo, ma a volte un aiuto per imparare a farsi dono.
Crediamo che i giovani siano assetati di relazioni autentiche in cui scoprirsi amati così come sono senza la necessità di maschere o compromessi che soffocano i desideri più veri.

Qual è l’aspetto che più vi colpisce nel messaggio del Papa sulla Giornata Mondiale dei poveri?

Nel messaggio per la giornata mondiale dei poveri il Papa sottolinea l’intervento di Dio a favore dei poveri come un atto di cura che non solo risolleva dalla povertà ma restituisce dignità. Questo chinarsi di Dio verso l’uomo, curando in qualche modo le ferite della povertà e aiutando il povero a rialzarsi ci piace perché è un passaggio molto vicino al nostro carisma e alla nostra missione. Esso rappresenta lo sforzo quotidiano di chiunque nella Chiesa voglia impegnarsi a favore dei poveri, nell’ascoltare il loro grido e rispondere con un farsi “presenza” amorosa.
«La salvezza di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità».

I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. In questa giornata si può cogliere anche un messaggio di speranza?

Certamente sì. Il messaggio del Papa ed il Salmo 34, da cui è tratto il titolo del messaggio per quest’anno («Questo povero grida ed il Signore lo ascolta») contiene in sé un chiaro messaggio di Speranza. Il salmista fa esperienza in prima persona di povertà, sa trasformarla però in un canto di lode e di ringraziamento al Signore perché spera con certezza e sperimenta sulla propria pelle che il suo grido è ascoltato dal Signore. Il Signore poi non si limita all’ascolto ma risponde a questo grido con la sua azione liberante, che è azione di guarigione. Il povero grida a Dio nella speranza di essere ascoltato ma anche con la certezza di essere liberato. La sua speranza è fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a lui.

Daniela Raspollini




Un “piano Marshall” per i cristiani d’Iraq

Intervista ad Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla chiesa che soffre – Italia.
Tra il 23 e 25 novembre sarà in diocesi un sacerdote iracheno per sensibilizzare i fedeli sulla situazione dei cristiani in medio oriente.

Sarà prossimamente a Pistoia, tra il 23 e il 25 novembre un sacerdote iracheno della piana di Ninive, tristemente famosa per i massacri e le distruzioni operate contro i cristiani dallo Stato Islamico. La sua presenza è coordinata da ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre). Aiuto alla Chiesa che Soffre è una fondazione di diritto pontificio nata nel 1947 per sostenere la Chiesa in tutto il mondo, con particolare attenzione laddove è perseguitata. Abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandro Monteduro, presidente ACS-Italia per conoscere meglio la situazione dei cristiani in Iraq e l’impegno di ACS.

Come si presenta la situazione dopo la distruzione dei villaggi cristiani di Ninive da parte dell’Isis?

La ricostruzione nella Piana di Ninive continua, e prosegue anche il “Piano Marshall” di Aiuto alla Chiesa che Soffre per sostenere i cristiani d’Iraq. Dall’8 maggio 2017, giorno dell’apertura dei primi cantieri nei villaggi di Bartella, Karamless e Qaraqosh, i risultati raggiunti sono straordinari. Secondo l’ultimo aggiornamento del 6 novembre scorso, i cristiani rientrati nell’intera Piana di Ninive sono 41.057. Le abitazioni private distrutte o danneggiate dai jihadisti in due anni sono state 14.035; le proprietà finora riparate sono state 5.746. A coordinare i lavori è il Comitato per la Ricostruzione di Ninive, istituito il 27 marzo 2017 dalle tre Chiese d’Iraq, caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa, con la collaborazione di ACS. Dall’inizio dell’avanzata dell’ISIS nel giugno 2014, ACS ha sostenuto progetti emergenziali e umanitari in Iraq per un totale di quasi 40 milioni di euro. Ciò fa della Fondazione la prima organizzazione nella Piana di Ninive per entità di aiuti.

ACS offre un aiuto importante e concreto alla popolazione di quelle terre nella ricostruzione, ma resta anche il problema della sofferenza spirituale che ha lasciato la violenza dell’ISIS. La gente come affronta questa difficoltà?

La mission di ACS non è solo umanitaria, al contrario è squisitamente pastorale. Ogni nostro progetto ha lo scopo ultimo di agevolare l’evangelizzazione in territori in cui la persecuzione crea ostacoli apparentemente insormontabili. Da parte loro i cristiani di queste nazioni reagiscono con fortezza e fede. Ho visto molte croci sui containers nei quali erano ospitate le famiglie sfollate. Il loro esempio deve insegnare molto ad un’Europa che ha largamente abbandonato le proprie radici cristiane.

Papa Francesco esorta a favorire la permanenza di famiglie nella loro terra d’origine. Che speranza c’è a riguardo?

Il Papa come sempre è lungimirante. I corridoi umanitari, infatti, non rappresentano un’autentica soluzione. Sappiamo dai diretti interessati che i cristiani perseguitati non vogliono emigrare, al contrario vogliono restare in patria. Per questo motivo, gli unici corridoi umanitari che reputiamo necessari sono quelli “di ritorno”. ACS ha coerentemente avviato la ricostruzione di abitazioni e luoghi di culto anche in Siria. Dal 2011 all’agosto 2018 la Fondazione ha finanziato progetti a favore delle comunità cristiane siriane per un totale di 27.428.485 euro.

Quale sarà il futuro del cristianesimo in quelle terre?

Lo sa solo la Provvidenza. Certamente noi abbiamo il dovere di fare quanto è in nostro potere. Anzitutto è necessario pregare per le Cristianità di queste nazioni, in secondo luogo è opportuno continuare a diffondere informazione di qualità per sensibilizzare adeguatamente l’opinione pubblica, in terzo luogo è particolarmente utile sostenere, sulla base della personale disponibilità finanziaria, i progetti di aiuto ai fratelli sofferenti.

Ad oggi quali sono le opere concretamente realizzate da ACS?

Mi limito ai dati definitivi del 2017. Per quanto riguarda le aree di intervento, si confermano al primo posto i progetti di costruzione e ricostruzione (32,8% degli aiuti), con ben 1.212 tra cappelle, chiese, conventi, seminari e centri pastorali edificati o restaurati. Seguono gli aiuti umanitari e di emergenza (15,7%), una parte dell’impegno ACS che si amplia di anno in anno, e le intenzioni di Sante Messe (15,4%). Nel 2017 hanno beneficiato di questo particolare sostegno, fondamentale in aree povere in cui i sacerdoti non possono contare su nessun altra forma di sussistenza, 40.383 sacerdoti e religiosi, uno ogni 10 nel mondo, i quali hanno celebrato 1.504.105 Sante Messe secondo le intenzioni dei benefattori di ACS, ovvero una Santa Messa ogni 21 secondi. Importante anche il supporto alla formazione dei seminaristi: sono stati 13.643 quelli aiutati nel 2017, e quindi uno ogni 9 nel mondo. ACS ha inoltre provveduto al sostentamento di 12.801 religiose, ovvero una ogni 52 nel mondo, con un incremento di oltre il 15% rispetto al 2016.

Altri ambiti di interventi riguardano la traduzione e la pubblicazione di testi religiosi e l’apostolato mediatico, ovvero il sostegno a mezzi di comunicazione quali radio e tv cristiane, i corsi di formazione per laici, e l’acquisto di mezzi di trasporto per agevolare la pastorale di missionari e missionarie. Sono stati 1.120 i mezzi di trasporto donati nel 2017: 424 automobili, 257 motociclette, 429 biciclette, 4 camion, 3 pullman e 3 barche.

In questo quadro è stato estremamente rilevante il sostegno dei benefattori italiani. Nel 2017 ACS-Italia ha visto un incremento di circa il 9% della raccolta, che ha raggiunto quota 3.679.035 euro.  Un altro dato significativo è il rilevante aumento del numero dei benefattori italiani, dai 10.949 del 2016 ai 13.012 dello scorso anno. Molti dei progetti concretizzatisi grazie al contributo italiano sono stati realizzati in Iraq e in Siria. Tra le offerte a beneficio dei cristiani siriani ricordiamo in particolare la campagna di Natale 2017, per un totale di oltre 250.000 euro, e il progetto Goccia di latte, che con una raccolta di oltre 207.000 euro ha permesso di donare latte in polvere a tanti bambini cristiani di Aleppo.

Avete promosso un progetto di ricostruzione molto importante; si tratta di un’operazione eccezionale per i Cristiani in Iraq, ce ne può parlare?

Si tratta del più volte citato “Piano Marshall”, che noi abbiamo chiamato “Ritorno alle radici”. Dopo la sconfitta militare dell’ISIS i cristiani d’Iraq hanno espresso il desiderio di fare ritorno ai loro villaggi nella Piana di Ninive, ormai liberati. Senza un aiuto esterno, tuttavia, non sarebbero stati in grado di riparare le loro case, né le infrastrutture pubbliche. Il costo della ricostruzione delle sole abitazioni private è stato infatti stimato in 250 milioni di dollari; inoltre, nel mutevole quadro politico della Piana di Ninive, hanno avuto difficoltà a far valere il loro diritto al ritorno. Per scongiurare il rischio della scomparsa del Cristianesimo in Iraq, e riconoscendo il diritto al ritorno di ogni persona che si trova nella condizione di sfollato, le tre Chiese cristiane presenti nella Piana di Ninive (caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa) hanno istituito, con il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre, il Comitato per la Ricostruzione di Ninive (Nineveh Reconstruction Committee – NRC) in modo da: promuovere e finanziare il ritorno dei cristiani ai rispettivi villaggi; pianificare e monitorare la riedificazione e rendere conto dell’utilizzo dei fondi ricevuti; informare l’opinione pubblica sullo stato di avanzamento del ritorno dei cristiani in Iraq; invitare tutti i governi e la comunità internazionale a intraprendere le necessarie azioni politiche al fine di assicurare a tali cristiani il rispetto del diritto a far ritorno alle proprie case.

ACS, impegnando parte della generosità dei propri benefattori, ha finanziato la ristrutturazione delle case mentre continuava ad offrire cibo e alloggio agli sfollati cristiani della Piana ancora in attesa di rientrare nei propri villaggi. Ho già fatto cenno alla situazione attuale con i dati aggiornati. Si tratta di un “cantiere aperto”, che testimonia la straordinaria generosità dei cattolici, anche dei fedeli italiani, i quali, al contrario da tanti stereotipi, sono concretamente solidali con i loro fratelli sofferenti in ogni parte del mondo.

Daniela Raspollini




Bassetti a Pistoia nel ricordo di La Pira

Il presidenti CEI ha ricevuto a Pistoia il premio internazionale per la pace

«Il pane e la grazia»: due parole che dicono in sintesi chi era La Pira, che «con il pane intendeva scuola, casa, lavoro e poi “grazia” con cui indicava la dimensione soprannaturale»; questo era il suo «umanesimo cristiano». Il card. Bassetti, domenica 4 novembre nella Cattedrale di San Zeno a Pistoia, ha tratteggiato così la figura del servo di Dio Giorgio La Pira, il sindaco santo, in occasione della celebrazione del premio internazionale per la pace a lui dedicato e organizzato dal Centro Studi Donati. Dal 1972, infatti, il Centro Studi “G. Donati”, realizza a Pistoia importanti iniziative culturali di sensibilizzazione e promozione della pace, portando nella città toscana personalità di primo piano del mondo civile ed ecclesiale. Quest’anno ha conferito il premio al Cardinale Bassetti come riconoscimento del suo impegno in campo sociale, in particolare verso «le famiglie in difficoltà economiche, emarginati e migranti» come per il «contributo diretto ed incisivo alla costruzione di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza come antidoto ad odi e razzismi». Il premio conferito a Bassetti, ha sottolineato il vescovo di Pistoia mons. Fausto Tardelli, «è un riconoscimento per tutta la chiesa italiana che, senza far troppo rumore, con un lavoro quotidiano e attento è impegnata a costruire un mondo di giustizia e fraternità».

Al termine della premiazione Bassetti ha presieduto la santa messa in Cattedrale, concelebrata dal vescovo e da alcuni sacerdoti della diocesi di Pistoia. Il cardinale ha ricordato Giorgio La Pira anche nella sua omelia, dove, riprendendo il brano evangelico, annotava come il sindaco santo avesse compreso bene che non esiste alcuna contrapposizione tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. «Due amori che si identificano», dove il «prossimo è un altro te stesso». Chiunque incontrasse, credente o non credente, La Pira lo considerava «un membro del corpo di Cristo». Forte della propria formazione tomista vedeva «alcuni già inseriti nella grazia, altri in potenza, ma tutti ordinati alla salvezza di Dio». Bassetti ha poi ricordato un episodio legato alla sua memoria viva del sindaco santo. Quando, giovane seminarista, partecipava alla ‘messa dei poveri’ alla chiesa della Badia, accorrevano lì tutti i poveri di Firenze, «con i loro cappottoni lunghi» e «il berretto un mano». Quando si sistemavano sulle panche in chiesa al caldo molti si addormentavano; allora gli zelanti andavano a riscuoterli per svegliarli: c’è il professore che parla… «Ma la Pira li fermava dicendo: “lasciateli stare, perché hanno trovato un momento di quiete nella loro vita e loro stanno il contemplando il volto di Dio. Questa era la concezione che La Pira aveva dell’uomo. E allora aveva capito che in fondo questo vangelo -amare Dio e amare il prossimo con tutto se stesso- è il compimento di tutta la vita umana».

Accanto al Card. Bassetti, sono stati premiati fra’ Mauro Gambetti, rettore del sacro convento di Assisi per il suo impegno nella costruzione di un convivenza fraterna fra popoli e religioni diverse. Accogliendo il premio Padre Gambetti ha preannunciato che il prossimo anno sarà proprio la Conferenza Episcopale Toscana a farsi pellegrina ad Assisi per portare olio alla lampada della tomba di Francesco e pregare per la pace.
Altri premi sono stati consegnati a Sigfrido Ranucci, giornalista RAI conduttore di Report, e Aurelio Amendola, fotografo pistoiese noto in tutto il mondo per aver ritratto artisti e opere d’arte di assoluto rilievo come le sculture di Donatello o Michelangelo. Un riconoscimento speciale è stato assegnato a Nadia Vettori, missionaria laica della diocesi di Pistoia, che ha trascorso oltre quarant’anni a Manaus in Amazzonia, quindi a Balsas nello stato del Maranhao.

La premiazione di quest’anno è stata preceduta da un piccola “marcia” per la pace intitolata Peacetoia, organizzata dal Centro Donati insieme ad altri enti socio assistenziali, associazioni presenti sul territorio pistoiese e gli scout AGESCI e CNGEI. Un’iniziativa festosa e colorata, che ha portato numerosi giovani, in un clima di musica e festa, per le vie del Centro Storico fino alla Cattedrale di Pistoia. Davanti al Battistero è stato poi collocato un olivo a cui sono stati appesi pensieri di pace e fraternità composti dai giovani partecipanti alla marcia, mentre sul campanile della Cattedrale è stata appesa una grande bandiera della pace. «I popoli vogliono la pace» ha ricordato al termine dall’iniziativa il vescovo Tardelli; «la guerra la vogliono solamente i potenti che vogliono fare il loro interesse».

Ugo Feraci




Cosa chiedono i giovani alla Chiesa?

Padre Simone Panzeri dell’equipe di pastorale giovanile di Pistoia propone la propria riflessione sul Sinodo dei giovani appena concluso

Si è appena concluso il sinodo dei giovani. Un evento che ha visto un grande impegno per l’ascolto dei giovani di tutto il mondo. Il sinodo, infatti, è stato preparato da un lungo lavoro di ascolto che ha fatto sintesi delle risposte al questionario del Documento preparatorio da parte delle Diocesi e dei Movimenti; di quanto pervenuto attraverso un questionario online, dagli atti di un Seminario internazionale tenutosi a Roma nel 2017 a cui hanno partecipato giovani ed esperti di tutto il mondo e, infine, dalle osservazioni libere pervenute da singoli laici o da gruppi di diversa estrazione.

Un impegno non indifferente che ha coinvolto anche la Chiesa di Pistoia. Abbiamo raccolto il commento di padre Simone Panzeri, membro dell’equipe di Pastorale Giovanile della Diocesi di Pistoia.

Padre Simone, la Chiesa Cattolica, seguendo il desiderio di papa Francesco, ha portato avanti un grande sforzo nell’ascolto dei giovani in vista del Sinodo. Qual è la tua opinione in merito?

Ciò che mi stupisce prima di tutto è questo ascolto reale da parte della Chiesa di tanti giovani del mondo credenti o no. A questo livello ricordo anche gli sforzi e le riflessioni fatte nella Diocesi di Pistoia per cercare i modi e i mezzi più adatti per andare a cercare i giovani e ascoltarli, soprattutto quelli che vivono più lontani dai nostri ambienti classici. Mi ha colpito questo sforzo di Chiesa di andare “in uscita” verso i giovani, non per proporre loro qualcosa, ma per lasciarsi interrogare da loro, dai loro bisogni e desideri.

Un secondo punto su cui sono rimasto colpito è che i giovani «non vogliono essere considerati come una categoria svantaggiata (…) ma come la risorsa più importante per un futuro migliore» (Guida alla lettura dell’Instrumentum Laboris n°1.3). Leggendo questo mi sono detto che davvero su questo punto Dio ci chiama ad un’autentica conversione pastorale! Ho pensato a quante volte ho partecipato a progetti che partivano dalla domanda «cosa fare per i problemi dei giovani? Come aiutarli a superare le difficoltà legate alla loro età, condizione sociale …?». Qui i giovani ci stanno dicendo di guardarli con un occhio diverso: sono un tesoro da cui attingere per costruire il futuro. Hanno in sé una carica profetica che, se ben compresa e indirizzata, può aprire davvero vie nuove per la Chiesa e l’umanità.

Su questo sono stato toccato personalmente anche durante un campo scuola fatto nella missione dei Padri Betharramiti di Katiola in Costa d’Avorio con 20 giovani francesi, italiani e africani. Anche in quella occasione, da più giovani durante i momenti di condivisione e di verifica, ho percepito e sentito lo stesso appello: «siamo il vostro tesoro, la vostra risorsa più bella, guardateci così!».

Ed infine, un terzo punto, che mi ha fatto molto riflettere del documento preparatorio, è che dai dati raccolti, emerge come i giovani «soffrono per la mancanza di accompagnatori autentici e autorevoli che li aiutino a trovare la loro strada» (Guida alla lettura dell’Instrumentum Laboris n°1.5). Su questo punto siamo chiamati in causa tutti noi adulti, educatori, sacerdoti, religiose…: come stiamo guidando i giovani che incontriamo? A volte ho l’impressione che siamo un po’ “in ritirata” su questa missione di accompagnatori: o ne diventiamo i “migliori amici” perdendo di vista il nostro servizio per farli crescere e ripiegandoli sul “come è bello stare insieme” e basta, o ne facciamo i “volontari” a cui chiedere una moltitudine di servizi e presenze per darci la soddisfazione che abbiamo un bel gruppo giovani intorno a noi. Ma, mi domando, quanto li ascoltiamo veramente? Quanto tempo “perdiamo” per sederci a parlare della loro vita, dei loro ideali, dei loro desideri? Oggi, credo, i giovani abbiano bisogno di un rapporto a tu per tu con qualcuno di reale che li faccia scoprire il tesoro che sono, che li tiri fuori dalla massa piatta delle reti digitali, li alzi dai divani della pigrizia e li accompagni nella vita vera.

Cosa possono fare gli adulti, gli educatori, le parrocchie … per i giovani?

Credo che emerga l’importanza di riscoprire l’importanza della vocazione di accompagnatori delle nuove generazioni da parte degli adulti che vivono a contatto coi giovani e sentono questo come la loro missione. Mi chiedo quanto si faccia ancora con lo spirito di “rispondere ai problemi” dei giovani e non nell’ottica di questo sinodo che ci chiede di guardare ai giovani come alla “risorsa” per trovare le risposte alle domande sul nostro futuro. È una provocazione forte che, credo, Dio ci faccia attraverso la voce dei giovani del nostro tempo. In effetti, credo si aprano due prospettive interessanti di crescita per noi adulti e realtà impegnate coi giovani.
La prima: ritrovare o incoraggiare il nostro servizio di accompagnatori. E questo richiede darci tempo per essere ben preparati a questo compito. Molto spesso la buona volontà non basta e il rischio è quello di cadere nell’improvvisazione e nel pressapochismo sterile e dannoso. I giovani chiedono da noi adulti un impegno serio, degli accompagnatori preparati, perché ci affidano la loro vita quando ci chiedono questo servizio di aiuto e sostegno. Dovremmo anche essere disponibili a dedicare a loro più tempo e spazio d’ascolto, perché non è facile appunto “perdere del tempo” per ascoltare e stare coi giovani.
La seconda: condividere coi giovani le nostre domande sul futuro. Nella mia piccola esperienza coi giovani in parrocchia o nei campi di missione, ho provato a condividere con loro alcune preoccupazioni per il futuro delle attività pastorali messe in atto per loro: cosa ne pensate delle nostre iniziative? Come vedete noi sacerdoti, educatori, etc? Secondo voi cosa ci manca per essere “più incisivi”? Cosa ci suggerite per l’animazione vocazionale, giovanile, pastorale…? Quello che ho accolto dalle risposte è stato che i giovani ci chiedono di parlargli di noi, del concreto delle nostre esistenze, di chi siamo, dello spirito che anima le nostre scelte di vita e di fede.
Questo esempio, se vogliamo piccolo, può dar vita a un ascolto più ampio di come i giovani ci vedono, di come guardano alla chiesa, alla fede e di cosa i giovani ci chiedono a livello personale, di gruppo di catechesi, di parrocchia e, perché no, di Diocesi. Potrebbe essere la scoperta di un tesoro che non vediamo e che ci può aprire prospettive nuove per il futuro.

Daniela Raspollini




Il Cardinale Bassetti a Pistoia per il Premio La Pira

Il 4 novembre sarà celebrata la XXXVI Giornata Internazionale della pace, cultura e solidarietà, il tradizionale appuntamento promosso dal Centro studi G. Donati che vedrà come ogni anno, la consegna di premi ad importanti personalità nazionali e internazionali.

Un appuntamento orfano, quest’anno, di Giancarlo Niccolai, compianto promotore di questo appuntamento e figura di primo piano della politica e della cultura locale.

La trentaseiesima giornata della pace, cultura e solidarietà ha come tema «insieme per un cammino di pace» e quest’anno si articolerà in tre diversi appuntamenti che si svolgeranno nei giorni 3-4-5 novembre 2018.

Il 3 novembre nella sala conferenze della Fondazione Caript alle ore 10 si terrà la premiazione dei vincitori del premio letterario “Giorgio la Pira” che consegnerà un riconoscimento speciale al “Diario di Ferri Giuseppe” (Campagna di Russia 1944).

il 4 novembre la celebrazione del Premio per la Pace sarà invece preceduta da una Marcia della Pace.  Il Centro stesso ha voluto promuovere l’evento ispirandosi al titolo della giornata per fare insieme “un cammino di pace”. L’iniziativa è promossa dal Centro Studi “G. Donati” e coorganizzata da scout dell’AGESCI, scout laici del CNGEI, CEIS, Culturidea, Ente Camposampiero. La marcia inizierà alle ore 15 da Piazza San Francesco per poi arrivare in Piazza Duomo, procedendo in modo festoso accompagnata dalla musica e da un “bandierone delle bandiere” che raccoglierà le diverse realtà intervenute. La conclusione della marcia è prevista per le 16.30, quando nella Cattedrale di San Zeno avrà inizio la cerimonia di consegna dei premi della pace, cultura e solidarietà 2018.

Quest’anno il Centro Studi “G. Donati” consegnerà il premio intitolato a Giorgio La Pira alle seguenti personalità: S. Em. Card. Gualtiero Bassetti (presidente C.E.I), Fra Mauro Gambetti (Custode del Sacro Convento di San Francesco di Assisi), Sigfrido Ranucci (giornalista d’inchiesta – conduttore del programma RAI “Report”), Aurelio Amendola (fotografo pistoiese di fama internazionale). Nell’ambito della cerimonia sarà consegnato un riconoscimento alla Sig.ra Nadia Vettori, infermiera e missionaria laica che ha trascorso oltre 40 anni di missione in Brasile.

Al termine, alle ore 18, verrà concelebrata la Santa Messa presieduta dal Cardinale Bassetti.

Daniela Raspollini




In preghiera per il Sinodo

Si apre oggi il sinodo dei vescovi dedicato ai giovani.

Al Sinodo (3-28 ottobre), sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, prenderanno parte 266 padri sinodali. Fra di loro anche 36 giovani tra 18 e 29 anni, scelti in rappresentanza dei diversi continenti e delle diverse categorie interessate (seminari, ordini religiosi, associazioni, pastorale giovanile).

Perché un sinodo sui giovani?

«La Chiesa – si può leggere nel documento preparatorio del Sinodo – ha deciso di interrogarsi su come accompagnare i giovani a riconoscere e accogliere la chiamata all’amore e alla vita in pienezza, e anche di chiedere ai giovani stessi di aiutarla a identificare le modalità oggi più efficaci per annunciare la Buona Notizia. Attraverso i giovani, la Chiesa potrà percepire la voce del Signore che risuona anche oggi».

Perché ascoltare i giovani?

Mons. Tardelli, qualche mese fa, in un’intervista dedicata al sinodo affermava: «I giovani non sono un “problema”: sono una meravigliosa realtà di cui dovremmo esser grati al Signore e che dovremmo amare come una sua consolazione. In realtà il problema siamo noi, abbarbicati al nostro potere, alla presunta saggezza degli anni accumulati sulle spalle. In fondo, abbiamo paura che i giovani ci prendano il posto e per questo non gli diamo fiducia, dimostrando in sostanza che non li vogliamo. È così purtroppo anche per la chiesa: non sempre siamo disposti ad accoglierli e a lasciarli esprimere con il loro desiderio di vivere e di ridere, col loro modo di pensare e di sentire, accettando con buona pace che non rientrino nei nostri schemi ideologici.

Io credo che i giovani ci pongano una domanda imbarazzante: la società ci vuole? Ci amate, ci desiderate, ci rispettate?»

Con quale credibilità i vescovi possono parlare ai giovani oggi?

La chiesa degli scandali e degli abusi non chiede forse di interrogarsi in primo luogo, e con una certa urgenza, sull’identità del sacerdote in un tempo di profonda crisi? Non sarebbe stato meglio rimandare il sinodo sui giovani a tempi migliori? La proposta è arrivata dagli Stati Uniti, formulata in una lettera inviata a Papa Francesco dal vescovo di Philadelphia qualche settimana fa.
Il dubbio è legittimo, ma francamente lascia anche un po’ perplessi. Non soltanto perché il sinodo era ormai alle porte, ma anche perché al sinodo dei giovani la Chiesa arriva dopo una lunga preparazione e un coinvolgimento così diffuso che non ha molti precedenti. Il lavoro dei vescovi sarà sicuramente centrale, ma a partire da quanto gli stessi giovani hanno potuto esprimere. Nè saranno soli a comporre una sintesi e una riflessione.
Il sinodo, infatti, è la grande occasione in cui la voce dei giovani risuona con forza nella chiesa. Una voce che arriva dai giovani cattolici, ma non solo, perché – come papa Francesco ha spesso ripetuto – il sinodo è il sinodo di tutti i giovani. Che cosa hanno da dire i giovani alla Chiesa? Non sono forse, prima ancora di esserne il futuro, Chiesa anche loro?

Recentemente, al convegno regionale vocazionale toscano, don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio per le vocazioni della Chiesa Cattolica ha ricordato ai presenti l’intervento che una giovane studentessa, Martina di 24 anni, ha rivolto a Papa Francesco in occasione della Giornata dei giovani italiani. Vale forse la pena ripercorrerlo.

«Abbiamo bisogno di punti di riferimento, appassionati e solidali. Non pensa che all’orizzonte siano rare le figure di adulti davvero stimolanti? Perché gli adulti stanno perdendo il senso della società, dell’aiuto reciproco, dell’impegno per il mondo e nelle relazioni? Perché questo tocca qualche volta anche i preti e gli educatori? Io credo che valga sempre la pena di essere madri, padri, amici, fratelli…per la vita! E non voglio smettere di crederci!».

Viene da pensare che il Sinodo sia propria l’opportunità per lasciarsi scomodare da queste domande. Una chiesa fragile e incidentata, impantanata nelle polemiche e in un pensiero -e forse anche in uno zelo- troppo mondano, ha forse una buona occasione per ritrovare se stessa e le ragioni della sua missione e bellezza.

Tutti possiamo accompagnare il Sinodo con la nostra preghiera. L’ufficio di Pastorale giovanile diocesano ricorda infatti la preghiera preparata per l’occasione.




Disposizione del vescovo: pregare il rosario per la Chiesa

Disposizione del vescovo di Pistoia

Rispondendo all’appello del Santo Padre Francesco chiedo alle parrocchie e comunità cristiane della diocesi come pure ai singoli fedeli, che ogni giorno, durante tutto il mese mariano di ottobre si reciti a gruppi o singolarmente il Santo Rosario con l’intenzione data dallo stesso Papa: “chiedere alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi.”

Al termine del Santo rosario, recitato in gruppo o singolarmente, sempre su suggerimento di Papa Francesco, si aggiungano le preghiere “Sub tuum praesidium” rivolta alla Vergine Santa e “Sancte Michael Archangele” rivolta a San Michele.

Sub tuum praesidium

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine Gloriosa e Benedetta.

Sancte Michael Archangele

San Michele Arcangelo, difendici nella lotta: sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo domini e Tu, Principe della Milizia Celeste, con il potere che ti viene da Dio, incatena nell’inferno satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per il mondo per far perdere le anime. Amen.

Pistoia, 29 settembre 2018

+Fausto Tardelli




Cosa intendi con ‘vocazione’?

Don Michele Gianola (CEI) al convegno vocazionale regionale: riscoprire il senso profondo della parola ‘vocazione’ per mettere le basi di una nuova pastorale giovanile vocazionale.

Se dico pastorale vocazionale cosa ti salta in mente? Forse niente o forse una ‘trappola’ per incastrare futuri preti o religiose?

Don Michele Gianola, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per le vocazioni, prova a definire le nuove piste dell’attenzione pastorale verso i giovani. Lo fa alla luce del prossimo sinodo dei vescovi, con in una mano l’Instrumentum laboris del sinodo e il documento uscito dal pre-sinodo del marzo scorso, e nell’altra il magistero di Papa Francesco. L’occasione è il secondo convegno regionale vocazionale toscano, svoltosi a Poggibonsi presso la parrocchia di San Giuseppe, sabato 15 settembre.
Il tema dell’incontro, già dal titolo – «Mettere le basi di una pastorale giovanile vocazionale di ampio respiro» – traccia l’esigenza di riformulare proposte e cammini, non soltanto nell’intreccio tra pastorale vocazionale e pastorale giovanile.

Quali sono le basi da cui promuovere un progetto unitario di pastorale giovanile vocazionale?
Don Michele invita a riscoprire con attenzione la parola “vocazione” e i suoi ‘derivati’. Vocazionale, ad esempio, è una parola quasi abusata. «Non tutti i giovani hanno chiaro cosa significhi». E poi occorre «ripulirla dall’idea che Dio abbia già un progetto bell’e pronto per te, che pure solo a fatica è possibile scoprire». Si tratta di un’idea distorta perché «la vocazione -precisa don Michele- non è qualcosa a cui dobbiamo acconsentire e basta, ma un progetto che si realizza insieme al Signore». «L’altra idea che dobbiamo smontare – prosegue – è che l’uomo faccia tutto da solo: è il mito del self made man. La vita è invece una sinergia con Dio: è Lui che ti introduce nell’esistenza e ti aiuta a scoprire il disegno giusto per te. Quanto è bello far scoprire a un giovane che la vita è ancora tutta da costruire insieme a Dio!». Una pastorale giovanile vocazionale dovrebbe ricordarti che «se non sai che fare della tua vita occorre mettersi alla sequela del maestro».

L’individualismo diffuso di oggi è l’altro problema che ci troviamo davanti quando parliamo di vocazione. La vocazione, invece, non è mai un progetto esclusivo, la rotta per una traversata in solitaria, ma «riconoscere che occorre uscire dal sentirsi intrappolati in se stessi. La vocazione è essere ‘per’ qualcuno. Ricordarsi, come ci invita a fare papa Francesco che “Io sono una missione su questa terra” (EG 273)». Anche per questo vale la pena ricordarsi di parlare di ‘vocazioni’ e non soltanto di ‘vocazione’ al singolare. Il corpo di Cristo che è la Chiesa è fatto di vocazioni connesse tra loro: il ministero ordinato, le diverse attività dei laici, la vita consacrata. Quando parliamo di vocazione «non l’individualismo, ma la fantasia dello Spirito. Siamo dentro la vocazione per essere uniti e non divisi».

Un ultimo, importante, nodo da sciogliere è l’idea che la vocazione significhi sganciarsi dalla realtà, quando, invece, «la realtà, le cose che incontri nel bene e nel male plasmano la tua vita, provocano la tua esistenza. C’è una storia in cui il Signore parla». È vero, d’altra parte, che non sempre le proposte pastorali mordono la realtà. Vale la pena rileggere quanto i giovani hanno messo per scritto al termine della riunione pre-sinodale del marzo scorso, quando in più di trecento ragazzi da tutto il mondo e di diverse confessioni religiose hanno riflettuto insieme sul tema del sinodo. Don Michele ha ricordato in particolare un passaggio: «I momenti cruciali per lo sviluppo della nostra identità comprendono: decidere il nostro indirizzo di studi, scegliere la nostra professione, decidere ciò in cui credere, scoprire la nostra sessualità e fare le scelte definitive per la vita». La nostra pastorale tiene presenti questi momenti ‘cruciali’ per i giovani?
«I giovani – si legge ancora in quel documento – sono profondamente coinvolti e interessati in argomenti come la sessualità, le dipendenze, i matrimoni falliti, le famiglie disgregate, così come i grandi problemi sociali, come la criminalità organizzata e la tratta di esseri umani, la violenza, la corruzione, lo sfruttamento, il femminicidio, ogni forma di persecuzione e il degrado del nostro ambiente naturale. Questi sono elementi di profonda preoccupazione nelle comunità vulnerabili in tutto il mondo». I giovani sono interessati alla realtà del nostro tempo. Li sappiamo accompagnare in questo interesse?
Un altro punto estremamente attuale emerso dalla riflessione dei giovani è l’esigenza di «”trovare un luogo di appartenenza: un sogno condiviso che oltrepassa continenti e oceani”. Un desiderio che esprime come i giovani cercano qualcuno che si fidi di loro, una chiesa che li aiuti a trovare una vocazione e a guarire dalle proprie ferite».

Gli stimoli di don Michele sono stati poi tradotti, all’interno di un tempo di condivisione in gruppi, in alcune domande e proposte concrete sviluppate dai partecipanti al convegno. Anche se gli interrogativi hanno superato le proposte vale la pena prenderli in considerazione.
Quanto è disposta la Chiesa ad essere aperta ai giovani? Quanto sa essere in uscita tra loro, come tra gli anziani e le famiglie? I giovani si attendono un accompagnamento. Come fare una proposta per un cammino di discernimento, come aiutarli a scoprire la propria missione? Come farsi evangelizzare dai giovani?

Tra le risposte/proposte è emersa l’esigenza di incentivare percorsi di formazione per accompagnatori e guide spirituali, ma anche la necessità di accogliere i giovani, ascoltandoli con spirito di conversione; coinvolgere, nelle dinamiche di ascolto e accompagnamento, il popolo di Dio in particolare le famiglie. È emerso anche l’invito ad approfondire lo stimolo della comunione ecclesiale per dare una testimonianza credibile di Chiesa, perché unità e testimonianza evangelica si sostengono a vicenda. Un’espressione di papa Francesco può fare sintesi con efficacia: «porta aperta, preghiera e stare inchiodati alla sedia per ascoltare i giovani» (discorso ai partecipanti al Convegno vocazionale nazionale – giovedì 5 gennaio 2017).

U.F.




Don Pino Puglisi e i giovani

In occasione della visita di Papa Francesco a Palermo rendiamo disponibile on-line l’articolo dedicato a don Pino Puglisi uscito sul numero 21 del settimanale “La Vita” (3 giugno 2018).

A 25 anni dal suo martirio l’eredità del Beato Puglisi continua a portare frutto tra le giovani generazioni

Il prossimo 15 settembre, 25° anniversario dell’assassinio di Padre Pino Puglisi Papa Francesco si recherà in viaggio a Palermo, dove visiterà i luoghi “simbolo” di padre Pino nel quartiere Brancaccio. Vogliamo riproporre la figura di don Pino attraverso le parole del dott. Domenico De Lisi. Domenico è stato vicino a don Puglisi fino alla sua morte, ed è assistente sociale al Centro Padre Nostro, nato nel 1991 nel quartiere Brancaccio di Palermo per volontà dello stesso sacerdote.

 

Padre Pino è stato un educatore instancabile. Come vive l’eredità di don Pino nel Centro Padre Nostro?

Oggi manteniamo la sua intensa spiritualità e il suo alto profilo educativo, ma anche la sua concretezza. Padre Pino era un uomo del fare. Eppure la sua era un’azione prevalentemente pastorale. L’apertura del Centro Padre Nostro non era indirizzata soltanto a finalità assistenziali, ma rivolta a promuovere la dignità dell’uomo, la sua identità cristiana e poi, certamente, anche a formare una coscienza civile.

Cosa ci puoi raccontare della sua opera di evangelizzazione dei giovani, svolta in un territorio segnato da tanta violenza tra famiglie malavitose?

A Brancaccio padre Pino ha concepito il proprio ministero in un senso più missionario, rivolto all’integrazione sul territorio; fece uso delle scienze sociali per la lettura del quartiere e si fece aiutare da ‘assistenti sociali missionari’. Il primo anno a Brancaccio volle conoscere quello di cui aveva bisogno la gente, lasciando emergere i bisogni reali. Si accorse che mancavano spazi di aggregazioni e formazione, così cominciò a realizzare un centro anziani, una scuola, un asilo, un centro sportivo… molte altre cose poi si sono concretizzate nel tempo. Quest’anno ad esempio, inizieremo a realizzare un asilo nido, proprio nel cuore di Brancaccio. L’analisi di don Puglisi richiedeva degli interventi mirati che alla lunga hanno fatto fiorire un quartiere molto degradato. Da un punto di vista concreto, ma anche di formazione delle coscienze si è indubbiamente dato molto da fare.

Oggi al Centro Padre Nostro facciamo svolgere lavori utili come pena sostitutiva al carcere, inoltre in questi anni si è costituita una rete con le scuole per parlare di legalità, passando per la testimonianza diretta. Tante attività sono oggi possibili grazie al sacrificio di don Pino.

Eppure all’inizio del suo ministero a Brancaccio padre Pino non riuscì a fare breccia sulla sua comunità, che si presentava come una realtà molto chiusa, abituata a una semplice pratica sacramentale. Don Pino fece questo, ma anche altro. Uscì fuori, incontro alla gente, non era un uomo “contro” qualcuno, ma un uomo “per”, per l’uomo per la sua dignità. Per questo non volle mai scendere a compromessi, pur cercando un dialogo con chi era mafioso. Ai malavitosi domandava: «perché ce l’avete con noi? Perché ve la prendete con chi vuole migliorare le vite e il quartiere di tanta gente?».

Nella sua prossima visita papa Francesco visiterà alcuni luoghi legati a don Pino..

Nel 2014 abbiamo riaperto la sua casa, trasformandola in un luogo di testimonianza. Lì si vede la sua povertà: don Pino viveva con niente, ma era ricco dentro. La sua casa era piena di libri, libri sparsi ovunque. Questa casa museo è diventata importante per far emergere gli aspetti fondamentali di Puglisi. Era l’amico prete, che aveva sempre orecchio e spazio per ascoltarti. Amava lo studio e la conoscenza: è bello sfogliare i suoi libri e vedere quanto aveva sottolineato. E poi don Pino era il prete della preghiera, che era il suo pane quotidiano. La preghiera lo ha fatto restare saldo fino a quella sera del 1993. Quel «me lo aspettavo» con cui accolse i suoi assassini spiazzò il killer. Il suo sorriso fu “disarmante”, al punto che chi l’ha ucciso, diventato collaboratore di giustizia, ha aiutato a fare chiarezza sulla dinamica della sua morte.

Don Pino si occupò anche dei piccoli, offrendo loro la possibilità di giocare, studiare e sottraendoli al loro degrado sociale..

Quando venne a Brancaccio cominciò a organizzare molte attività rivolte ai minori e alle famiglie. Credeva molto nella figura dell’assistente sociale all’interno della comunità. Sapeva che da prete non poteva dare tutte le risposte alle esigenze della gente. Cominciò ad animare il territorio. Questo lo fece rendere sospetto agli occhi della mafia. La sua morte fu dovuta al boss Graviano perché ‘questo prete’, «rompeva le scatole, non ci lasciava in pace» proprio per la sua azione pedagogico educativa.

 A distanza di 25 anni dalla sua morte com’è cambiata la realtà giovanile di Brancaccio?

In questi anni abbiamo accompagnato molti di loro in un processo di crescita, molti li abbiamo portati a completare un percorso scolastico, altri sono maturati, anche grazie alle famiglie. Anche soltanto sapere che alcuni ammettono di avere problemi e si rivolgono a noi è un successo, significa un riconoscimento ma anche una maturazione. Al centro Padre nostro proponiamo gli elementi dell’accoglienza, del sacrificio, della solidarietà e i frutti si vedono.

In vista del prossimo Sinodo dei Giovani, quale messaggio ti sentiresti di far arrivare ai vescovi in base alla testimonianza di don Pino?

A me piacerebbe che tutti i giovani facessero le esperienze che ho fatto io. Io ho vissuto nella difficoltà, ma ho avuto degli adulti significativi. Perché possano esserci dei giovani motivati è fondamentale trovare un adulto significativo che si prende cura di te e ti fa crescere. Questo rapporto duale, che nella nostra comunità era molto presente, resta fondamentale. Nella Chiesa questa esperienza c’è, occorre sostenerla. Basterebbe dire questo: essere adulti significativi per i giovani di oggi.

 Daniela Raspollini