L’arte del lavoro: un incontro tra arte, fede e dottrina sociale della Chiesa

Il lavoro “come Dio comanda”, com’era e come la vogliamo.
Una serata tra arte, fede e dottrina sociale della Chiesa a cura dell’Ufficio diocesano per la Pastorale sociale e del lavoro

Libero, creativo, partecipativo e solidale. È il lavoro che vogliamo, così come lo definisce Papa Francesco al n.192 di Evangelii Gaudium. Una sintesi efficace dalla quale si è generato e sviluppato un percorso che ha coinvolto credenti e parti sociali divenuto il tema dell’ultima Settimana Sociale dei cattolici italiani (la 48°) svoltasi a Cagliari. Un evento che, in generale, ha contribuito ad animare il dibattito nel paese. La Chiesa (e quindi la Pastorale Sociale e Lavoro) è infatti consapevole della distanza che ci separa dal lavoro che vogliamo, cioè dal “lavoro buono”, e ha dunque messo al centro della propria attenzione il tema del lavoro come opportunità imprescindibile per affermare la dignità della persona e la sua capacità di collaborare all’opera creatrice di Dio.

Per questa ragione quest’anno, in occasione del mese di maggio, tradizionalmente dedicato a riflettere sui temi connessi al lavoro e all’occupazione, l’Ufficio di Pastorale Sociale della nostra Diocesi ha deciso di affrontare questo tema in modo particolare: intendiamo cioè ripensare come è stato concepito il lavoro, che ruolo ha avuto nel corso del tempo e come ha condizionato la nostra storia.

Ci aiuteranno magistralmente in tale intento la Prof.ssa Mariella Carlotti, insegnante e storica dell’arte e don Cristiano D’Angelo, vicario diocesano per la Pastorale, nel corso di una conversazione che si terrà lunedì 27 alle ore 20.45 presso la Sala capitolare del Convento di San Francesco.

La prof.ssa Carlotti ci illustrerà i contenuti espressi dalle formelle trecentesche del Campanile di Giotto, sottolineando come le immagini scolpite rappresentino, con grande efficacia figurativa, una concezione autenticamente umana del lavoro, concezione che oggi è veramente necessario riscoprire. Don Cristiano d’Angelo, a partire da alcuni brani tratti dalle Sacre Scritture, ci farà riflettere sul valore del lavoro umano come collaborazione all’opera creativa di Dio.

Selma Ferrali




Davide e Mical nel libro di Samuele. Pubblicato il lavoro di dottorato di don Cristiano d’Angelo

È stata pubblicato in questi giorni il lavoro di dottorato di don Cristiano d’Angelo, parroco di Bonistallo, Vicario Episcopale per la Pastorale e docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale. Qui don Cristiano ha conseguito il Dottorato in Teologia, “summa cum laude” nel marzo 2017. Oggi, con la pubblicazione della sua tesi ottiene pienamente il titolo di dottorato in qualità di “doctor creatus”.

Il suo lavoro, dato alle stampe per la casa editrice “La Cittadella” nella collana Studi e ricerche Sezione Biblica è intitolato: Davide e Mical. (ISBN 9788830816886) Prezzo euro 19.90.

La prima parte del libro si propone si indagare come si è formato il libro di Samuele, cercando di riconoscere nel testo attuale i segnali delle versioni precedenti. Il Libro di Samuele è infatti il frutto di un’opera di scrittura che va dall’VIII secolo fino all’epoca ellenistica.

La seconda parte riguarda in particolare le storie di Davide che lo mettono in relazione con le figlie di Saul, e soprattutto di Mical che diventò sua moglie; un testo attuale dal punto di vista narrativo e letterario. Lo studio infatti, si sofferma nel ripercorrere la storia di una donna che si innamora ma che il padre usa come una pedina per attirare Davide a corte ed eliminarlo. Usata dallo stesso Davide per acquisire il diritto al trono, Mical salverà anche la vita alla sposo, ma varie traversie allontaneranno sempre di più i due. Resta celebre, ed esempio, l’episodio in cui Mical arriva a disprezzare Davide che balla semi nudo davanti all’arca dell’alleanza. La storia di Mical è dunque il racconto di una trasformazione: dall’obbedienza al padre alla disobbedienza, dall’amore per Davide al disprezzo.

In conclusione si arriva a comprendere come la redazione finale del testo proponga una critica aspra e disincantata della monarchia e del potere.

Don Cristiano è collaboratore di diverse riviste: Vivens Homo, Parole di Vita, Parola spirito e vita. Tra le sue pubblicazioni: Il libro di Rut. Commento teologico e letterario (2004); L’amore del trafitto (2007); Non è per caso. Sussidio per la catechesi con i fidanzati (2008).

 




Addio a Buscioni, contemplativo dell’anima segreta delle cose

L’artista, nato a Pistoia il 13 luglio 1931 è scomparso il 6 maggio. A lui dedichiamo un breve ricordo.

La Gerusalemme Celeste nel rosone della Chiesa di San Paolo apostolo è una delle ultime opere consegnate da Umberto Buscioni alla città di Pistoia. Una vetrata che completa un ciclo avviato nel 1992 con la conversione di San Paolo nella vetrata dietro l’altare, ma che è anche il sigillo della spiritualità dell’artista a cui oggi Pistoia e la nostra diocesi consegnano l’estremo saluto e un affettuoso ricordo.

Anche ad uno sguardo profano, chi ha potuto osservare la bella retrospettiva – quasi il diario di un’anima- ospitata recentemente a Palazzo Fabroni era in grado di cogliere nelle diverse tappe del percorso artistico di Buscioni un’originale carica spirituale. Una nota che attraversa le svolte del suo stile, personalissimo e mutevole com’è proprio dei grandi, che soli sono capaci di cambiare, mettersi in discussione, percorrere nuove strade.

Buscioni ha descritto in pittura, nella sua stagione più pop, oggetti quotidiani illustrati nella pubblicità e nella vita quotidiana, consegnandoli alla poesia del colore, della forma e dell’immaginazione. Un viaggio limpido, a tratti ironico e familiare, ma in cui è anche possibile cogliere un lento e contemplativo riacquisire le cose: “l’anima segreta delle cose” come riportava felicemente il titolo della mostra a lui dedicata qualche mese fa. Una spiritualità del quotidiano, in cui camicie, cravatte, motociclette, hanno la capacità di ribaltare la prospettiva, riportare all’attenzione l’assente, aprire a forze e movimenti ulteriori che smuovono lo spirito con le cose.  Un mondo in cui cogliere la ventata «che non sai dove viene e dove va», ma anche la luce che è dentro la realtà.

Negli ultimi dipinti c’è il pathos dolente di una meditazione sull’esistenza che prende il tono dell’elegia, come nel dipinto “il cappotto dei nostri inverni”: una giaccone attorniato da croci, dove la gruccia stessa si fa croce e la veste memoria, guscio di vita vissuta, rimando alla fragilità di chi la indossa.

Un itinerario di arte e di vita che anche a San Paolo è possibile cogliere dalla conversione di San Paolo, con i suoi rimandi alla grande pittura in una traduzione pop che pure mantiene una carica spirituale e una tensione emotiva altissime, fino alle poesie in figura delle vetrate, dove l’elemento religioso è nella metafora del fiore e della luce, da intendersi nei diversi momenti del giorno e della storia della salvezza; fino alla Gerusalemme celeste, sintesi di un percorso umano e artistico: con le sue geometrie e i movimenti delle forme e dei colori ormai proiettati nell’eterno.

U.F.




Un giorno da ricordare a lungo, nel segno di Leonardo da Vinci

A 500 anni dalla morte del genio rinascimentale il vescovo Tardelli ha celebrato una messa di suffragio nella chiesa di Santa Croce a Vinci. L’occasione per visitare i luoghi natali di Leonardo e ricordare il suo profilo umano e spirituale.

Il 2 maggio del 1519 Leonardo da Vinci lasciava la vita terrena in terra di Francia, nel castello di Cloux (oggi Clos Lucé) presso la residenza reale di Amboise, dove era stato accolto con dignità regale e onori degni di un grandissimo da Francesco I re di Francia tre anni prima.

Nel quinto centenario della morte, giovedì 2 maggio a Vinci si sono tenuti alcuni eventi commemorativi, fra i quali ricordiamo l’apertura dei due nuovi musei, il Museo Ideale Leonardo da Vinci, – che riapre dopo nove anni in pieno centro storico -, e il museo del Rinascimento del vino a villa da Vinci, nella zona di Streda; altro evento importante, la messa a dimora nella tenuta di Villa Dianella delle barbatelle realizzate con i cloni estratti dalla vigna milanese di Leonardo nella casa degli Atellani, recentemente riscoperta attraverso un progetto di grande rilevanza scientifica.

La giornata si è conclusa con la messa solenne celebrata nella chiesa di Santa Croce a Vinci da sua eccellenza monsignor Fausto Tardelli vescovo di Pistoia. Accolto dalla popolazione accorsa numerosa e dal parroco titolare della chiesa monsignor Renato Bellini, che ha concelebrato, monsignor Tardelli ha prima visitato la casa natale di Leonardo ad Anchiano e poi è sceso a Vinci per la celebrazione; ad accoglierlo nella città del Genio ha trovato il sindaco Giuseppe Torchia, accompagnato dal vice sindaco e dall’assessore alla cultura, che hanno poi partecipato alla funzione religiosa, svoltasi in orario serale, alle 21.

Il vescovo, durante la sua omelia, si è soffermato a lungo sulla figura di Leonardo tratteggiandone i caratteri in quanto uomo, con tutte le sue debolezze, le sue fragilità, solitudini e dubbi. Un’analisi profonda condotta da un’angolazione che spesso viene lasciata in ombra, ma assolutamente necessaria per poter comprendere la complessità della figura del Vinciano. Al termine della celebrazione, monsignor Bellini ha invitato il sindaco all’ambone per un saluto alla comunità riunita in chiesa per onorare il figlio più illustre della città. Il sindaco si è soffermato sulla necessità di scavare nell’animo del Genio, indagando in profondità sul suo personale rapporto con la fede e con Dio; un tema suggestivo, spesso accostato ad alcuni scritti individuati nel suo immenso lascito, ma soprattutto ad alcuni enigmatici dipinti. Vogliamo ricordarne uno su tutti, il San Giovanni Battista conservato al Louvre, dove quell’indice rivolto verso il cielo è l’esito di una serie di ritocchi compiuti sul quadro fino agli ultimi giorni di vita da Leonardo. Quell’indice levato in un gesto enigmatico di altissima spiritualità fece esclamare a Pablo Picasso: «Da Vinci promette il Paradiso».

Dopo la messa, il vescovo ha salutato i fedeli presenti e si è recato in processione verso il fonte battesimale al quale è stato probabilmente battezzato Leonardo, sempre nella chiesa di Santa Croce. Infine, insieme al sindaco ed ai presenti, monsignor Tardelli è stato accompagnato dall’assessore alla cultura del comune di Vinci all’interno del castello dei Conti Guidi per visitare la mostra “Leonardo a Vinci. Alle origini del Genio”, che ospita l’originale del disegno di paesaggio del 1473 di Leonardo e diversi documenti inerenti la vita del giovane artista nel borgo natio. Un giorno da ricordare a lungo.

Paolo Santini




Online la biblioteca di don Gastone Lastrucci

La biblioteca privata di Don Gastone Lastrucci, donata al Comune di Lamporecchio, accessibile on line.

Sabato 4 maggio, ore 10.30, nell’ambito di “Lamporecchio che scrive: incontri con autori del territorio e su temi di storia locale”, rassegna a cura della biblioteca comunale Don Siro Butelli in collaborazione con Promocultura, è stato presentato il fondo “Don Gastone Lastrucci”, composta da circa 1072 opere libri, donati nel 1995, degli eredi del parroco, al Comune di Lamporecchio e oggi riordinato e catalogato per essere accessibile on line attraverso il sito della Rete Documentaria Pistoiese (ww.redop.it).

La biblioteca privata di Gastone Lastrucci accoglie opere a stampa a stampa di vario argomento e tipologia, fra le quali spiccano, per consistenza, quelle riguardanti la storia locale, la storia generale, l’arte, la religione, la sociologia, la narrativa e la poesia, alla quale si uniscono 18 volumi pregevoli volumi antichi, a carattere religioso, editi nel secolo XVIII. Una biblioteca, oggi espressione della formazione culturale ed ecclesiastica del sacerdote, amata, custodita e accresciuta negli anni con edizioni di grande interesse e particolarità.

Alla presentazione del progetto, realizzato grazie ai contributi dati dalla Regione Toscana, alla Rete documentaria pistoiese, hanno partecipato, Maria Stella Rasetti, coordinatrice della rete documentaria pistoiese, Francesca Rafanelli, catalogatrice e bibliotecaria, con una riflessione sul Il fondo Lastrucci. Appunti per una storia del collezionismo librario”, Elena Lombardi, catalogatrice con l’intervento sulla “La catalogazione online del fondo Lastrucci”) e Ivo Torrigiani con “Un ricordo di Monsignor Lastrucci”.

Ha moderato, l’incontro Serena Marradi, della biblioteca comunale Don Siro Butelli, alla presenza di molti ospiti tra i quali la famiglia del parroco.

Serena Marradi (Biblioteca don Siro Butelli, Lamporecchio)

 




Tutti giovani nessun giovane: incontro don Armando Matteo

Nuovo appuntamento a cura del Centro Culturale “J. Maritain” . Don Armando Matteo, docente di Teologia fondamentale della Pontificia Università Urbaniana, presenterà una riflessione sul rapporto tra i giovani e la fede.

L’evento avrà luogo presso l’Aula Magna del Seminario Vescovile (via Puccini, 36 – Pistoia) giovedì 9 maggio alle ore 21. 00

Una recente indagine sui giovani (tra i 15 e i 20 anni) e la religione ha messo in luce gli aspetti positivi e negativi che le nuove generazioni vedono nella chiesa e nella trasmissione della fede. Numerosi sono gli aspetti positivi, assai maggiori quelli negativi. Soffermiamoci su questi.

Innanzitutto v’è l’aspetto biblico. Negli anni sessanta, J. Danielou, nel libretto “Genesi 1-11”, attestava che il racconto di Adamo ed Eva era la principale causa dell’abbandono della fede cristiana. Oggi il fenomeno è così deflagrato che introdurre in un discorso dotato di ragionevolezza con un giovane tali personaggi non è più motivo di critica, ma solo di commiserevole abbandono del dialogo. Poi, è indicata la questione della violenza del Dio dell’Antico Testamento, con i tratti così accentuati di nazionalismo, misoginia, intolleranza religiosa e non solo. Temi oggi molto sensibili, su cui sembra non bastare più la formula: “bisogna saper interpretare”.

Il secondo bersaglio critico è l’aspetto liturgico-sacramentale, dove i simboli della Tradizione cristiana hanno ormai smarrito del tutto, per i giovani, la loro potenza evocativa e significativa. Quindi compare l’aspetto sociale, dove a creare maggior distacco sono le ostentate ricchezze della chiesa e dei suoi testimoni, le mercificazione del sacro (statuette di padre Pio, souvenir dei luoghi di apparizioni della Madonna …), le discriminazione nei confronti del sesso femminile (sacerdozio solo maschile) e del diverso. E a proposito di sesso, le indicazioni sul tema ancora sostenute dalla Chiesa appaiono, alla stragrande maggioranza dei giovani, lontane ormai tre o quattro generazioni. Sugli aspetti prettamente teologici e su quelli scandalistici soprassediamo. Osservazioni, quindi, anche più dure rispetto a quelle emerse nel recente Sinodo dei giovani.

Dinanzi a questa situazione, nessuno meglio di Armando Matteo può aiutare ad orientare e interpretare. Da anni – a partire dal suo testo disruptive del 2009 «La prima generazione incredula» – il sacerdote si occupa della questione, con indagini sul campo, studi teorici, illuminanti riflessioni. La prima generazione incredula del titolo del libro è proprio quella dei nostri giovani, che non si oppone con virulenza alla religione, ma molto più semplicemente vive come se la questione religiosa fosse cosa che non li tange. Una generazione che relega la fede a dimensione di età infantile e quindi si chiede: «Ma cosa significa essere cristiani, quando non si è più bambini?». Armando Matteo ha uno sguardo lucido su questo problema: le attività ecclesiali relative al mondo giovanile sono impietosamente fallimentari, l’attuale pastorale giovanile non riesce a generare nuovi credenti, occorre avere la forza di smettere di fare “come si è sempre fatto”.

Sia chiaro che in tutto questo il colpevole non è tanto il giovane, quanto la generazione adulta che non riesce a trasmettere efficacemente il valore di ciò in cui crede e ha creduto. Anche in questo il teologo è icastico: «Viviamo in una società che parla tanto dei giovani solo per farli fuori», «facciamo fatica a sentire la mancanza dei giovani che mancano». È come se gli adulti continuassero a dire ai giovani: «non abbiamo bisogno di voi, vogliamo rimanere giovani noi». «Questo produce paralisi della fiducia, gli adulti, che dovrebbero essere coloro che traghettano i giovani verso la vita, in realtà fanno opera di contenimento, spegnimento delle passioni. C’è un grande disagio, un grido di giustizia dei giovani, perché quando gli adulti non fanno gli adulti, i giovani non possono fare i giovani». «La più grande bufala oggi in giro è che i nostri giovani siano il problema e noi adulti saremmo la soluzione». E nei periodi di crisi emergono, per reazione, le posizioni tipiche del semi-fondamentalismo, anche in ambiente ecclesiale: «Certamente questo approccio, le idee super-chiare e super-distinte, hanno una certa attrattiva, ma non mi sembra sia la risposta migliore, anche perché l’atteggiamento dell’irrigidimento è sempre una strategia a breve respiro… la specie umana non agisce così». Non la rassegnazione insegna Matteo, ma la speranza e il desiderio di recuperare: «il cristianesimo che abbiamo ereditato non è l’unica possibilità di cristianesimo». Di queste alternative potremo discutere con il teologo nella serata organizzata dal Centro Maritain.

A.V.

Armando Matteo è docente di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana in Roma. È stato assistente ecclesiastico nazionale della Fuci, dal 2005 al 2011. Tra i suoi numerosi saggi, ricordiamo «La prima generazione incredula», «Tutti muoiono troppo giovani», «La fuga delle quarantenni» (tutti Rubbettino editore), «Il Dio mite. Una teologia per il nostro tempo» (San Paolo, 2017); «La Chiesa che manca. I giovani, le donne e i laici nell’Evangelii gaudium» (San Paolo, 2018). L’ultimo libro in ordine di apparizione è «Tutti giovani, nessun giovane. Le attese disattese della prima generazione incredula» (Piemme 2018).




Depressione, accidia e notte spirituale

Lunedì 29 aprile in Seminario la presentazione del volume di suor Marie-Liesse Pouls. Un aiuto a discernere e curare i disagi dell’anima.

Se la depressione è considerata il male del secolo, la nostra provincia ha il triste primato di essere tra le principali consumatrici in Italia di antidepressivi. Un’onda di disagio che infetta anche lo Spirito, ma della quale, però, si è anche poco informati. Non è sempre immediato, infatti, saper distinguere la depressione dall’accidia e da altri fenomeni che toccano la mistica come la notte spirituale.
Il libro di Suor Marie-Liesse Pouls, sorella della Fraternità di Gerusalemme molto conosciuta a Pistoia, «Depressione, accidia e notte spirituale» (Tau editrice, 2019) ha il pregio di fare chiarezza sui disagi della psiche e dell’anima.

Il suo lavoro che rielabora la tesi di licenza realizzata presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma sarà presentato nell’Aula Magna del Seminario di Pistoia lunedì 29 aprile alle ore 21.

Interverrà l’autrice, il dottor Raffaello Spiti, psichiatra, neurologo e psicoterapeuta; don Giordano Favillini, della Fraternità Apostolica di Gerusalemme, Beatrice Iacopini docente e filosofa.

La serata sarà accompagnata dal canto di un coro proveniente dall’Olanda, paese da cui proviene Marie-Liesse, che si esibirà con alcuni brani intonati al tema della presentazione.
Il coro gospel “Gioia” di Landgraaf, guidato dal maestro Louk Kockelkoren, terrà anche un concerto il giorno successivo, martedì 30 aprile alle ore 21.15 presso la Basilica della Madonna dell’Umiltà. Due appuntamenti da non perdere.




Sergio Mattarella a Vinci

La visita del Presidente della Repubblica nel giorno natale di Leonardo

A Vinci nell’anno delle Celebrazioni Leonardiane per i 500 anni dalla morte del grande genio arriva il Presidente Sergio Mattarella.
È un giorno speciale: una festa per la gente, ma anche un’occasione per ribadire la straordinaria capacità di Leonardo di vedere al di là dei limiti della conoscenza del suo tempo, ben caratterizzato dai due poli dell’umanesimo e della scienza.

«Appunto perché figlio di quel tempo in cui la cultura non riconosceva frontiere ed accomunava nello scambio delle esperienze tutta l’Europa malgrado i contrasti e le guerre interne, qualsiasi geo-tentativo di leggere la sua opera entro confini organizzati nei secoli successivi tra le scienze o tra i territori e tra i popoli apparirebbe fallace e soprattutto riduttivo del contributo immenso che Leonardo ha recato al progresso dell’umanità». In questo passaggio del discorso pronunciato dal Presidente della Repubblica a Vinci lunedì 15 aprile, giorno della nascita di Leonardo, c’è un messaggio semplice e profondo allo stesso tempo: da una parte si riconosce il Rinascimento come una realtà senza frontiere, pienamente europea, dall’altra c’è il richiamo ad evitare l’errore di “incasellare” Leonardo, più volte fatto nel passato.

L’attesa del Presidente della Repubblica, che il 2 maggio si recherà ad Amboise dove Leonardo è morto, era vivissima nei giorni precedenti a Vinci e nel territorio; grandissimo quindi, è stato il calore trasmesso lunedì scorso dalla gente. Mattarella, tra i personaggi politici più stimati nel paese, rappresenta, in effetti, uno dei pochi riferimenti condivisi per la fiducia e la stima che riscuote.
Nel palco ufficiale si sono alternati il sindaco Giuseppe Torchia, il presidente della Regione Enrico Rossi, il presidente delle celebrazioni leonardiane Paolo Galluzzi, il ministro della cultura Alberto Bonisoli, ma anche due giovani studenti della scuola media: Alice ed Edoardo. Tra gli ospiti anche il vescovo di Pistoia Fausto Tardelli e il vescovo di San Miniato Andrea Migliavacca.
A Vinci Mattarella ha inaugurato la mostra «Leonardo a Vinci. Alle origini del genio» ospitata presso il Museo Leonardiano dove è esposto il disegno di Leonardo “Paesaggio 8P” in prestito dal Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, prima opera conosciuta del Genio, datata 5 agosto 1473. La mostra è incentrata sul tema del paesaggio e sulle testimonianze che svelano notizie, anche poco note, relative alla sua infanzia e prima giovinezza, trascorse a Vinci.
A Vinci Mattarella così ha definito Leonardo:

«Un grande toscano, un grande italiano, allora protagonista assoluto della scena europea, oggi riferimento insopprimibile nel mondo!».

Silvano Guerrini


Un video per scoprire i “luoghi di Leonardo”

Vinci, Anchiano, Vitolini, Bacchereto… località del Montalbano legate alla vicenda biografica del genio del Rinascimento di cui nel 2019 si ricordano i 500 anni dalla morte, ma anche località tradizionalmente legate alla diocesi di Pistoia. A Vinci, nella chiesa di Santa Croce, si conserva quello che tradizionalmente è ricordato come il fonte battesimale di Leonardo. Ad Anchiano, borgata sulle pendici del Montalbano, si trova ancora la sua “casa natale”. Ma le colline, le torri, i paesi della sua terra ritornano anche nei disegni e in alcuni progetti leonardiani. Un territorio da conoscere e visitare della nostra diocesi presentato in un breve video realizzato da Silvia Gualandi: «I Luoghi di Leonardo nella Diocesi di Pistoia». I luoghi e i paesaggi di Leonardo sono accompagnati dalle parole di Giorgio Vasari, il celebre artista rinascimentale autore delle altrettanto famose “Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori”. Il montaggio è a cura di Elena Degli’Innocenti.

Il filmato è disponibile sul canale youtube diocesano “Diocesi di Pistoia”.




Beato Bonaventura Bonaccorsi

Bonaventura Bonaccorsi (Pistoia, XIII sec. – Orvieto, 14 dicembre 1315 ca.)

Memoria liturgica – 14 dicembre

A Orvieto in Umbria, beato Bonaventura da Pistoia, sacerdote dell’Ordine dei Servi di Maria, che, mosso dalla predicazione di san Filippo Benizi, lo aiutò a ricomporre la pace tra le fazioni in molte città d’Italia (Martirologio Romano).

Il Beato Bonaventura Bonaccorsi

A cura di Maria Valbonesi

Fra tutti i santi e beati della Chiesa pistoiese Buonaventura Bonaccorsi è quello che dispone della più ampia rappresentazione iconografica: una sequenza di ben venti lunette affrescate da pittori diversi con la storia della sua vita nel chiostro della Santissima Annunziata. La prima lunetta ce lo mostra in atteggiamento autoritario e marziale, in mezzo al tumulto della guerra civile che insanguina le vie di Pistoia. Infatti Buonaventura apparteneva a un’antica e ricca famiglia ghibellina e ben presto cominciò a distinguersi negli scontri fra le fazioni, fino a diventare «capo e gran fomentatore» di quella ghibellina, anzi, secondo un contemporaneo, particolarmente crudele e sanguinario, «peggiore di tutti gli altri». Ma nel maggio del 1276, dopo aver sentito predicare fra Filippo Benizzi, il Generale dell’ordine dei servi di Maria Annunziata che da poco si era stabilito anche a Pistoia, improvvisamente Buonaventura decise di cambiare vita.

La conversione, specialmente se improvvisa, è sempre un mistero perché comporta l’intervento della Grazia divina; e tanto più in questo caso, perché della predica di fra Filippo sappiamo soltanto che cercava di placare l’ira delle fazioni e di quello che sia avvenuto nell’animo di Buonaventura non sappiamo nulla. Certo è che fra Filippo gli permise di seguirlo e di vestire l’abito dei Servi solo a condizione che prima chiedesse pubblicamente perdono ai suoi nemici. Come si può vedere nelle seguenti lunette di Cecco Bravo: «ritrovati ad uno ad uno singolarmente tutti i suoi nemici in qual si voglia luogo, in casa o in piazza, o soli o accompagnati che gli trovassi, con una humiltà indicibile e con un fonte di lacrime che gli piovevano dagli occhi, a tutti chiese perdono».

Da quel momento, dopo un anno di duro noviziato nel convento di Monte Senario, per quasi quarant’anni fra Buonaventura Bonaccorsi fu al servizio del suo Ordine, come predicatore e come priore dei conventi di Orvieto, Montepulciano, Bologna, poi di nuovo Montepulciano, nel 1307 Pistoia, dove costituì la compagnia delle sorelle dell’Addolorata, e infine ancora una volta Orvieto, dove morì nel 1315. Ma soprattutto fu in continua missione di pace, quella pace a cui fra Filippo Benizzi l’aveva convertito, persuadendolo che non c’è bene maggiore che si possa fare agli uomini su questa terra.

E forse proprio la vittoria della pace sulla guerra vollero significare i frati dell’Annunziata quando nel corso del XVII secolo fecero decorare da quattro valenti pittori (Cecco Bravo, Giovanni Martinelli, Alessio Gimignani e il Leoncini) ben venti lunette del loro chiostro con le storie del beato Buonaventura Bonaccorsi – beato fin da vivo, secondo la voce popolare- ma ufficialmente per la Chiesa solo dal 1822.

Maria Valbonesi




“Quant’è vero Dio”: il nuovo libro di Sergio Givone

L’incontro si terrà giovedì 4 aprile alle 21 nell’aula polivalente del seminario vescovile – via Puccini, 36. Interviene Sergio Givone, filosofo, autore del volume.

Il recentissimo libro di Sergio Givone «Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione» (Edizioni Solferino, 2018) si è imposto con vigore all’attenzione pubblica, suscitando un ventaglio di reazioni singolarmente ampio, trascorrendo dagli apprezzamenti marcati (in numero rilevante) alle critiche di acuto taglio polemico (in misura ridotta). Un libro, insomma, che non lascia indifferenti.

Un’opera dai molti livelli – quelli profondi anche piuttosto difficili -, che affronta le questioni essenziali senza infingimenti e senza risposte schematizzate o ormai fuori tempo.
Al centro sta la domanda sul ruolo che la religione ha avuto, e continua ad avere, all’interno della nostra società.

Gli ingranaggi tramite cui la riflessione si articola sono rappresentati dai classici nuclei di discussione: il rapporto tra la fede religiosa e la ragione autosufficiente e quello fra legge e giustizia, il significato di “laicità”, il tema della “libertà” e quello, drammatico, della presenza del “male” e della “sofferenza” nel mondo (così inconciliabile con un Creatore onnipotente e buono), la condizione che è stato definita “l’imbarazzo del monoteismo”, la valutazione del progresso tecnologico, soprattutto di ambito genetico, la connessione tra potere temporale e potere spirituale… I nuclei tematici sono dunque quelli tradizionali, ma sono le risposte a risultare particolarmente feconde e innovative.
Per di più, le risposte di Givone rappresentano una delle difese della religione più soddisfacenti di sempre, nient’affatto protette dal paravento di asserzioni di natura dogmatica o catechistico, piuttosto intenzionalmente aperte al dibattito, in quanto formulate sul piano della ragione dialogica, ovvero quella razionalità che ama confrontarsi, migliorarsi, accrescere la propria prospettiva attraverso l’ascolto e l’assunzione degli opposti punti di visuale.

È questo lo spirito che, da sempre, anima anche il Centro culturale “Maritain”, che, partendo dalla dichiarata ispirazione cristiana, tenta di offrire a tutta la cittadinanza, a qualunque sistema di credenza faccia riferimento, un luogo privilegiato di discussione su temi rilevanti di interesse generale.

a.v.

Sergio Givone

Sergio Givone è uno dei più autorevoli filosofi della scena contemporanea non solo italiana.
Già docente di Estetica presso le Università di Perugia, Torino e Firenze, ha tenuto lezioni alle Università di Parigi, Madrid, Stanford, Tokyo e molte altre.
La sua bibliografia è piuttosto ampia, variando dal saggio di storia della filosofia, all’opera teoretica originale, fino alla forma letteraria.
Si ricordano, tra le pubblicazioni più famose:
Storia del nulla, Laterza, 1995, Favola delle cose ultime, Einaudi 1998, Il bibliotecario di Lebniz, Einaudi 2005, Storia dell’estetica, Laterza 2008, Non c’è più tempo, Einaudi 2008, Luce d’addio. Dialoghi dell’amore ferito, Olschki 2016, Sull’infinito, Il Mulino 2018.