“Quant’è vero Dio”: il nuovo libro di Sergio Givone

L’incontro si terrà giovedì 4 aprile alle 21 nell’aula polivalente del seminario vescovile – via Puccini, 36. Interviene Sergio Givone, filosofo, autore del volume.

Il recentissimo libro di Sergio Givone «Quant’è vero Dio. Perché non possiamo fare a meno della religione» (Edizioni Solferino, 2018) si è imposto con vigore all’attenzione pubblica, suscitando un ventaglio di reazioni singolarmente ampio, trascorrendo dagli apprezzamenti marcati (in numero rilevante) alle critiche di acuto taglio polemico (in misura ridotta). Un libro, insomma, che non lascia indifferenti.

Un’opera dai molti livelli – quelli profondi anche piuttosto difficili -, che affronta le questioni essenziali senza infingimenti e senza risposte schematizzate o ormai fuori tempo.
Al centro sta la domanda sul ruolo che la religione ha avuto, e continua ad avere, all’interno della nostra società.

Gli ingranaggi tramite cui la riflessione si articola sono rappresentati dai classici nuclei di discussione: il rapporto tra la fede religiosa e la ragione autosufficiente e quello fra legge e giustizia, il significato di “laicità”, il tema della “libertà” e quello, drammatico, della presenza del “male” e della “sofferenza” nel mondo (così inconciliabile con un Creatore onnipotente e buono), la condizione che è stato definita “l’imbarazzo del monoteismo”, la valutazione del progresso tecnologico, soprattutto di ambito genetico, la connessione tra potere temporale e potere spirituale… I nuclei tematici sono dunque quelli tradizionali, ma sono le risposte a risultare particolarmente feconde e innovative.
Per di più, le risposte di Givone rappresentano una delle difese della religione più soddisfacenti di sempre, nient’affatto protette dal paravento di asserzioni di natura dogmatica o catechistico, piuttosto intenzionalmente aperte al dibattito, in quanto formulate sul piano della ragione dialogica, ovvero quella razionalità che ama confrontarsi, migliorarsi, accrescere la propria prospettiva attraverso l’ascolto e l’assunzione degli opposti punti di visuale.

È questo lo spirito che, da sempre, anima anche il Centro culturale “Maritain”, che, partendo dalla dichiarata ispirazione cristiana, tenta di offrire a tutta la cittadinanza, a qualunque sistema di credenza faccia riferimento, un luogo privilegiato di discussione su temi rilevanti di interesse generale.

a.v.

Sergio Givone

Sergio Givone è uno dei più autorevoli filosofi della scena contemporanea non solo italiana.
Già docente di Estetica presso le Università di Perugia, Torino e Firenze, ha tenuto lezioni alle Università di Parigi, Madrid, Stanford, Tokyo e molte altre.
La sua bibliografia è piuttosto ampia, variando dal saggio di storia della filosofia, all’opera teoretica originale, fino alla forma letteraria.
Si ricordano, tra le pubblicazioni più famose:
Storia del nulla, Laterza, 1995, Favola delle cose ultime, Einaudi 1998, Il bibliotecario di Lebniz, Einaudi 2005, Storia dell’estetica, Laterza 2008, Non c’è più tempo, Einaudi 2008, Luce d’addio. Dialoghi dell’amore ferito, Olschki 2016, Sull’infinito, Il Mulino 2018.




La “Madonna di Piazza” dalla Cattedrale a Palazzo Strozzi

Tre opere d’arte  in prestito da Pistoia a Firenze per la mostra “Verrocchio, il maestro di Leonardo”. Tra i capolavori pistoiesi anche la Madonna di Piazza della Cattedrale di San Zeno. È qui che si conservano altre opere significative del grande artista del Rinascimento.

Pistoia concede il prestito di tre opere d’arte alla mostra “Verrocchio, il maestro di Leonardo”, che dal 9 marzo al 14 luglio prossimi sarà aperta a Firenze in Palazzo Strozzi, con una sezione speciale al Museo Nazionale del Bargello. Si tratta del busto del Salvatore di Agnolo di Polo, conservato nella seconda sala del Museo Civico d’arte antica in Palazzo Comunale, dell’affresco che raffigura San Girolamo e una santa martire di Andrea del Verrocchio, custodito nel complesso di San Domenico, e della Madonna di Piazza, un dipinto a tempera su tavola di Andrea del Verrocchio e Lorenzo di Credi, conservato nella Cattedrale di San Zeno.

Le tre opere d’arte sono state portate a Firenze nei giorni scorsi, avvalendosi della ditta Arteria, specializzata nel trasporto di opere d’arte, con l’ausilio di automezzi climatizzati, dotati di allarme e sospensioni idrauliche, per garantire la tutela delle opere durante tutte le fasi di movimentazione.

«Il prestito a Palazzo Strozzi rappresenta un grande riconoscimento e una eccellente valorizzazione di alcune delle opere d’arte che Pistoia custodisce, con cura, da secoli – evidenzia il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi –. La mostra “Verrocchio, il maestro di Leonardo” di Palazzo Strozzi è uno degli eventi di punta delle celebrazioni leonardiane del 2019, una retrospettiva straordinaria, con prestiti concessi da una trentina di prestigiose istituzioni straniere e altrettante italiane, oltre che da collezioni private. Siamo orgogliosi di essere tra queste e che tre capolavori presenti nella nostra città siano stati scelti da esperti di fama internazionale per arricchire la mostra di Firenze. La nostra città è ricca di opere d’arte legate al Verrocchio, che invito a venire ad ammirare a Pistoia una volta che saranno rientrate anche le tre attualmente in prestito.»

Nei mesi scorsi, in vista dei prestiti, il busto del Salvatore e l’affresco di San Girolamo sono stati sottoposti a interventi di manutenzione e restauro realizzati, a spese degli organizzatori della mostra, rispettivamente da Filippo Tattini, con la collaborazione di Lucia Maria Bresci, e da Laura Lucioli, sotto l’alta sorveglianza di Maria Cristina Masdea della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e per le province di Pistoia e Prato.

Il busto del Salvatore di Agnolo di Polo (che si formò nella bottega fiorentina di Andrea del Verrocchio) è una scultura in terracotta dipinta di 74 cm di altezza, raffigurante Cristo in atto di benedire. Fu commissionata allo scultore fiorentino nel 1498 dalla Pia Casa della Sapienza di Pistoia per essere collocata nella sala dell’Udienza del Collegio Forteguerri, l’attuale biblioteca Forteguerriana, da dove è pervenuta nelle civiche raccolte d’arte.

Il restauro è consistito principalmente nella rimozione dello strato di deposito dalla superficie e di vecchie stuccature riconducibili a precedenti restauri, e nel consolidamento per mettere in sicurezza le parti pericolanti. Si è reso necessario anche un trattamento antitarlo sulla mano destra, che risulta essere stata ricostruita in legno in epoca imprecisata.

La raffigurazione di San Girolamo e una santa martire, alta circa 4 metri, è un affresco di Andrea del Verrocchio staccato dall’originale collocazione e montato su supporto rigido, oggi posizionato nella sagrestia del complesso di San Domenico.

L’intervento eseguito sull’opera è consistito soprattutto in un riordino poiché il capolavoro non evidenziava grandi problemi conservativi. Iniziato i primi di gennaio e durato due mesi, il restauro ha riportato alla luce un’incisione sul muro, effettuata straordinariamente senza cartone o spolvero, particolarmente preziosa e importante per restituire maggiore matericità e tridimensionalità al volto del santo. Il recupero ha anche evidenziato una spina che trafigge una zampa del leone e un rivoletto di sangue che scende fino a terra.

La Madonna di Piazza è un dipinto a tempera su tavola di Andrea del Verrocchio e Lorenzo di Credi, conservato nella Cattedrale di San Zeno. La tavola fu commissionata al Verrocchio negli anni settanta del Quattrocento, ma rimase a lungo incompiuta nella bottega fiorentina del maestro. Il lavoro fu poi completato da Lorenzo di Credi.

Il dipinto è collocato nell’attuale cappella del Santissimo Sacramento che ha inglobato, all’inizio del XVII secolo, l’antica chiesina della Madonna di Piazza, edificio un tempo con accesso autonomo dal corpo della cattedrale. L’ambiente è coperto da una cupoletta che nei prossimi mesi sarà oggetto di un restauro e di una ripulitura finanziati dagli organizzatori della mostra fiorentina.

Il dipinto della Madonna di Piazza non ha invece richiesto alcun intervento di restauro, ma è stato sottoposto a indagini di studio non invasive.

Il Verrocchio a Pistoia. La presenza del Verrocchio e dei suoi principali allievi è documentata, a Pistoia, anche da altri capolavori come, ad esempio, il monumento funebre in marmo avviato nel 1474 dal Verrocchio in onore del cardinale Niccolò Forteguerri nella Cattedrale di San Zeno (da cui proviene anche la figura intera del cardinale, eseguita successivamente dal Lorenzetto, che si conserva tra le sculture del Museo Civico collocate nell’atrio del Palazzo Comunale), e la pala d’altare con una Sacra Conversazione del pittore Lorenzo di Credi, custodita nel Museo Civico d’arte antica del Palazzo comunale e proveniente dallo Spedale del Ceppo.

(comunicato Comune di Pistoia-Diocesi di Pistoia)




L’arte appassionata di Artemisia

Lo storico dell’arte Alessandro Grassi, autore di un volume monografico sulla pittrice, tratteggia la vicenda umana e artistica dell’artista.

di don Ugo Feraci

Artemisia Gentileschi è la pittrice del Seicento più nota al mondo, forse una delle artiste più famose di tutti i tempi: la sua vicenda umana e artistica, continua ancora oggi ad appassionare. Proprio in questi giorni ha suscitato grande interesse la riscoperta di una stesura più antica sotto un suo dipinto raffigurante Santa Caterina d’Alessandria conservato alla Galleria degli Uffizi. Le analisi realizzate in occasione del restauro dagli esperti dell’Opificio delle Pietre Dure infatti, avrebbero rivelato un suo autoritratto nascosto analogo ad un dipinto acquisito recentemente dalla National Gallery di Londra. In entrambi i dipinti Artemisia presta il volto alla santa principessa martire, anche se il dipinto fiorentino sembra combinare i suoi tratti con quelli di Caterina de’ Medici, figlia del granduca Ferdinando. Insomma, Artemisia continua a far parlare di sé, lasciando tracce evidenti della sua forte personalità. Alla pittrice ha recentemente dedicato un volume monografico (“Artemisia Gentileschi”, Pacini 2018, 272 pp.) Alessandro Grassi. Alessandro è docente, storico dell’arte della nostra diocesi, ma anche iconografo: sono sue, ad esempio, le pitture per la nuova sala parrocchiale di Vignole; a lui abbiamo chiesto di introdurci alla scoperta di Artemisia e della sua arte.

Poche artiste hanno raggiunto la notorietà di Artemisia. Un successo recente che l’ha vista protagonista di numerose mostre, libri, perfino un film e un libro a fumetti. Perché?

Moltissimo è dovuto all’attualità della sua parabola esistenziale, profondamente segnata dalla violenza carnale che, diciassettenne, subì nella propria casa da parte di Agostino Tassi, un collega di suo padre Orazio (anch’egli pittore). Dopo il romanzo scritto nell’immediato dopoguerra da Anna Banti – moglie del grande storico dell’arte Roberto Longhi, il primo ad aver rivalutato l’arte della Gentileschi – il peso di questi risvolti biografici è divenuto sempre crescente, contribuendo da una parte a far conoscere la pittrice in tutto il mondo ma anche, dall’altra, a farne l’icona di pensieri e movimenti moderni, del tutto legittimi, ma storicamente estranei alla sua vicenda.

Spesso si dà una lettura femminista della sua storia, quasi che l’arte si trasformasse in occasione di riscatto di genere a partire dalla violenza. È proprio così?

È la lettura più facile e immediata – direi anzi la più “spendibile” – nel nostro tempo, tristemente segnato da innumerevoli episodi di violenza sulle donne. Tuttavia credo che il torto più grande che si possa fare, oggi, alla femminilità di Artemisia sia voler innescare a tutti i costi un nesso di causa-effetto, come se la Gentileschi sia divenuta un’artista per superare il trauma dello stupro. Credo che renda maggior onore alla donna Artemisia dire semplicemente che era una grande pittrice, e che lo sarebbe stata anche senza quella tragedia.

Artemisia aveva conoscenze importanti a Firenze, tra cui lo stesso Galileo Galilei…

Sì. In una lettera scritta molti anni dopo, nel 1635, quando già risiedeva a Napoli, Artemisia ringrazia l’anziano Galileo – ormai confinato ad Arcetri – di essersi operato, a suo tempo, per farle pagare dall’amministrazione medicea il compenso della celebre Giuditta che decapita Oloferne, oggi agli Uffizi. Ma a Firenze, dove divenne la prima donna ad essere ascritta all’Accademia del Disegno, tra il 1613 e il 1620 Artemisia aveva stretto amicizia anche con altri intellettuali, come Michelangelo Buonarroti il Giovane e Jacopo Soldani, o il pittore Cristofano Allori. Alcuni di loro furono padrini di battesimo dei suoi figli, a testimonianza di un legame umano molto stretto.

Artemisia era donna del suo tempo: un secolo, il Seicento, di passioni forti, di fede, sentimento, poesia e violenza. Che mondo descrive Artemisia nei suoi quadri?

Devo dire che non mi sembra di ritrovare un afflato autenticamente cristiano nella sua arte, sebbene abbia dipinto anche scene sacre. Senza dubbio i temi più significativi riguardano le gesta delle eroine, tratte sia dalla Bibbia che dal mondo classico – Giuditta, Susanna, Medea, Cleopatra, Lucrezia… –, che manifestano una spiccata forza morale e una volontà persino terribile. È nella raffigurazione di queste passioni che Artemisia dà il meglio di sé. D’altronde, una fra le molte discussioni erudite dell’Accademia dei Desiosi a Roma, che Artemisia frequentava, dibatteva se nell’agire umano avesse più peso l’intelletto, cioè la parte raziocinante, o la volontà, intesa come sede degli affetti: non dubito che la Gentileschi propendesse per la seconda tesi.

Qual è, per te, il suo dipinto più significativo? Perché?

Difficile rispondere; ma direi la giovanile Susanna oggi a Pommersfelden. È firmata e datata 1610 e dunque precede di un anno lo stupro da parte di Agostino Tassi. Tuttavia lo sgomento della bella ma ancor acerba Susanna, che si vede insidiata dalla concupiscenza dei vecchioni, sembra quasi una sorta di premonizione di quanto sarebbe avvenuto.




Lamporecchio ricorda il suo “Monsignore”

Presentato nel suo paese natale un volume dedicato a Sabatino Ferrali, sacerdote e storico

Sabato 23 febbraio l’associazione culturale “Accademia di Masetto” di Lamporecchio ha dedicato un pomeriggio al ricordo di Monsignor Sabatino Ferrali. L’occasione dell’incontro è stata data dalla recente pubblicazione degli atti della giornata di studi, che la Società Pistoiese di Storia Patria e il Centro italiano di studi di Storia e d’Arte di Pistoia, nel quadro del programma di Pistoia Capitale, destinarono a Monsignor Ferrali nel gennaio 2017.

All’incontro, tenutosi nella sala della Biblioteca comunale “Don Siro Butelli”, erano presenti Alberto Cipriani e Giorgio Francesconi, curatori del volume degli atti da titolo «Sabatino Ferrali nella cultura pistoiese del secondo Novecento» (Società Pistoiese di Storia Patria, Pistoia 2018).

Cipriani, nel suo intervento, ha testimoniato il profondo legame che lo ha legato a Ferrali, o meglio a Monsignore come tutti i pistoiesi lo chiamavano. Oltre che per i sicuri meriti scientifici, infatti, la comunità pistoiese e in particolare un gruppo di giovani pistoiesi a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, devono molto alla generosa creatività, all’amicizia formativa che Ferrali sapeva esprimere. Medievista, storico diocesano e studioso di storia ecclesiastica pistoiese, Ferrali, nutritosi di solidi studi classici, ha sempre cercato la collaborazione di giovani che sollecitava allo studio serio della storia e in particolare della storia di Pistoia. Il suo incontro con Ferrali, ha ricordato Cipriani, avvenne in occasione della costituzione del Centro italiano di Studi di Storia e d’Arte di Pistoia. Un’istituzione che Ferrali volle fortemente e della quale fu cofondatore e vicepresidente e la cui importanza è attestata dai ventisei volumi di atti relativi ad altrettanti convegni fin qui pubblicati.

Francesconi, dopo aver ricordato il legame di Ferrali con la Società Pistoiese di Storia Patria, ha rilevato la straordinaria personalità poliedrica di Ferrali, studioso e promotore di relazioni culturali, che gli consentirono di portare a Pistoia prestigiosi studiosi di storia e di arte. Ferrali fu un intellettuale originale nel panorama della cultura pistoiese del secondo Novecento, a tratti “inattuale”. A partire dalla sua salda formazione classica e teologica, egli, ha osservato Francesconi, non fu incline ai richiami della modernità, come attestano le reazioni non sempre accondiscendenti con le novità introdotte dal Concilio Vaticano II. Ferrali non amava la mediazione, affrontava gli uomini e le cose con autorevolezza e, a tratti, con autoritarismo, salvo, poi, saper trasformare questi coriacei atteggiamenti in affettuosa accoglienza e simpatica compagnia. In questa dimensione della personalità, secondo Francesconi, possiamo vedere l’origine “campagnola” di Monsignore.

Sabatino Ferrali nacque, infatti, a Lamporechio nel 1900 e a Lamporecchio era tornato come Proposto dal 1935 e il 1950, quando fu nominato canonico e parroco della Cattedrale. L’amore per la sua origine rimase sempre vive, ha rimarcato Francesconi, leggendo un passo tratto da una prefazione che Monsignore scrisse a un volumetto sui dolci popolari toscani e nelle quali, parlando della festa del primo maggio a San Baronto, dei brigidini, dei berlingozzi, seppure con una scrittura sempre particolarmente curata, riaffiorano in modo quasi incontenibile i ricordi della fanciullezza e l’amore per le sue terre di origine.

Gli interventi dei presenti hanno seguito quest’ultima traccia, ossia il legame di Monsignore con Lamporecchio: sulla base di ricordi diretti o indiretti sono stati rievocati da parenti, chierichetti e allievi – Monsignore fu, negli anni tra 1935 e 1950 oltre che parroco a Lamporecchio, insegnante e preside della Scuola Media di Larciano – frammenti di vita quotidiana di Sabatino Ferrali sacerdote, insegnante, uomo di famiglia. Un bel pomeriggio, dunque, ricco e intenso in ricordo dello studioso rigoroso, dell’austero Monsignore, ma anche dell’uomo che conservava un profondo legame con la sua Lamporecchio.
Ivo Torrigiani




Sonate di Händel e capricci di Viviani

Due importanti appuntamenti per l’Accademia internazionale d’organo e musica antica Giuseppe Gherardeschi

Sabato 9 e domenica 10 marzo alle ore 18.30, presso la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola sarà possibile ascoltare l’esecuzione integrale delle sonate per flauto traverso e clavicembalo di Georg Friedrich Händel. L’evento è realizzato in collaborazione con l’Istituto superiore di studi musicali Rinaldo Franci di Siena. Le sonate, tra le più belle del periodo barocco, saranno eseguite con uno straordinario strumento antico: il flauto traverso J. H. Rottenburgh (1720 circa) dell’Accademia Gherardeschi di Pistoia. L’ingresso è libero.

Nel cartellone dei tradizionali “Vespri d’Organo” dell’Accademia Gherardeschi si segnala anche un altro concerto evento ancora presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola venerdì 22 marzo alle ore 21.15.

L’appuntamento è con i Capricci Armonici da chiesa e da camera di Giovanni Bonaventura Viviani (1678). Giovanni Buonaventura Viviani, una delle più importanti figure del barocco musicale italiano, nacque nel 1638 a Firenze e incominciò a lavorare ancora diciottenne come violinista presso la corte di Innsbruck dal 1656 fino almeno al 1660. Tra il 1672 ed il 1676 fu maestro della cappella di corte a Innsbruck dell’imperatore Leopoldo I. Dal 1678 al 1682 fu impresario teatrale a Napoli. Nel 1686 divenne maestro di cappella del principe di Bisignano. Dal gennaio del 1687 al dicembre del 1692 fu maestro di cappella alla Cattedrale di Pistoia, dove probabilmente morì l’anno successivo.
Viviani, compose e pubblicò nel 1678 i «Capricci armonici da chiesa e da camera à violino solo et sonate per tromba sola». I suoi capricci verranno eseguiti integralmente nella chiesa di Sant’Ignazio di Pistoia sull’organo di Willem Hermans del 1664, che certamente il Viviani ha ascoltato nell’ultimo periodo della sua vita. Per questo motivo proprio in sant’Ignazio verrà realizzato un CD con l’integrale dei Capricci nell’esecuzione degli stessi musicisti che li presenteranno in concerto.
Il concerto vedrà Enrico Parizzi al violino, Simone Amelli alla tromba e Nicola Lamon all’organo.

Per info: http://www.accademiagherardeschi.it

redazione




Evangelizzare con le icone: nasce l’associazione “Laboratorio San Damiano”

Dopo due anni di gestazione, domenica 10 Febbraio u.s. ha preso concretamente avvio la vita dell’Associazione “Laboratorio San Damiano” con la prima assemblea e l’elezione del Consiglio Direttivo.

In realtà la storia parte da molto lontano. Già nel 2000 suor Donatella Grechi, appartenente all’ordine delle Clarisse di Pistoia, ebbe una intuizione geniale e lungimirante: creare un centro di studio e approfondimento delle icone cristiane come mezzo di evangelizzazione, curando contemporaneamente il lato artistico, storico, teologico, culturale ed ecumenico, senza mai dimenticare il cammino di fede di ciascuno. Partendo da una passione personale per l’iconografia cristiana suor Donatella chiamò a sé maestri iconografi tra i quali Giancarlo Pellegrini di Bologna, iniziatore del laboratorio, Vittoria Zanoncelli di Pistoia, Aleksandr Stal’nov di San Pietroburgo e successivamente Francesca Pari di Pesaro, costituendo un gruppo che ha sviluppato l’insegnamento delle antiche tecniche pittoriche con cui si esprimeva l’arte cristiana antica, nei secoli in cui si leggeva la Sacra Scrittura attraverso le immagini dipinte sui muri o sulle tavole appese nelle chiese.

Dopo la scomparsa di suor Donatella nel luglio del 2016, anima e mente del laboratorio, si è posto il problema di portare avanti l’attività del laboratorio in un modo organizzato e coerente, da qui è nata la necessità di un’associazione che lavorasse in continuità con quanto era stato fatto fino ad allora. Così circa un anno fa undici persone, Giancarlo Pellegrini, Francesca Pari, Manola Noci, Carmelina Codella, Letizia Venturini, Armando Bottacci, Britta Haggner, Maria di Corato, Maria Luisa Giogoli, Daniela Pinzauti e la Madre clarissa suor Maria Pia, hanno elaborato uno statuto che è stato sottoposto al Vescovo di Pistoia, che in seguito ha riconosciuto l’Associazione Laboratorio San Damiano come Associazione Privata di Fedeli della Diocesi di Pistoia.

Adesso comincia la vera e propria vita dell’Associazione che si prefigge innanzitutto di continuare la sua attività di corsi, che non è mai cessata grazie alla disponibilità dei maestri, e poi di implementarla con conferenze, visite guidate, mostre e qualsiasi altro mezzo per coinvolgere chiunque si volesse avvicinare a questa arte antica e così rappresentativa della fede cristiana.

Per qualsiasi informazione: laboratoriosandamiano@gmail.com




Dalla Bibbia alla letteratura

Riceviamo e rendiamo nota questa iniziativa.

Un corso di 4 lezioni all’Università del Tempo libero, coordinato dal Prof. David Pratesi e condotto insieme a Don Vincenzo Arnone

Il corso rileva, come tema generale, la nuova attenzione della teologia per la letteratura. Tra le proposte critiche recenti spicca quella di A. Spadaro (Docente di “Introduzione all’esperienza della letteratura”), il quale, muovendo dal potere di dire proprio del linguaggio letterario, valorizza nei suoi libri la letteratura come esperienza vitale. Vivere tale esperienza è – come nel verso di E. Dickinson «Abito nella possibilità» – un trasferirsi nella possibilità esistenziale offerta dal testo; è anche come nell’immagine del roveto biblico – un ardere di un fuoco inestinguibile, capace di rigenerare il lettore alla vita ed alla vita dello Spirito. In tal modo il critico legge autori e opere in una luce nuova: come avviene per O. Wilde, nella cui celebre Ballata egli coglie «un cammino di fede implicito». Il corso propone quindi un capolavoro della narrativa russa che E. Montale definì «un miracolo che ognuno deve salutare con commozione», dove le moderne linee narrative si intrecciano con la Passione di Gesù, «il più alto dei temi possibili», e l’Autore «si congiunge con la più profonda tradizione» russa: la «vena messianica».
Come Dio si muove sul palcoscenico è il titolo di un saggio-excursus di V. Arnone sulla religiosità nel teatro fin dai Greci, ospitato in un volume che raccoglie anche le sue cinque pièces teatrali, da lui definite «teatro dell’anima e della parola». Infine, se «Qoèlet è stato riconosciuto, forse ancor più che Giobbe, l’altro specchio di Leopardi sia dalla critica leopardiana sia dagli esegeti» (L. Marcon), i riflessi della ricerca del libro sapienziale sul senso autentico dell’esistenza sono presenti anche in grandi poeti italiani del secolo scorso.
Il corso, aperto a tutti, sarà tenuto dal Prof. David Pratesi e da don Vincenzo Arnone.

Docente di inglese all’’ITCS Pacini di Pistoia, David Pratesi ha insegnato Lingua e Traduzione Inglese nelle Facoltà di Lingue delle Università della Tuscia e di Bologna.
Don Vincenzo Arnone, ha al suo attivo opere di saggistica, narrativa, poesia e teatro. È anche direttore della rivista di letteratura “Sulle tracce del frontespizio”.

Riportiamo qui sotto le informazioni relative a sede, svolgimento, contenuti del corso ed iscrizioni:

Giovedì 07 Febbraio – BIBBIA E LETTERATURA – La ballata del carcere di Reading, di O. Wilde (Prof. D. Pratesi)
Giovedì 14 Febbraio – BIBBIA E NARRATIVA – Il maestro e Margherita, di M. Bulgakov (Prof. D. Pratesi)
Giovedì 21 Febbraio – BIBBIA E TEATRO – Come Dio si muove sul palcoscenico, di V. Arnone (Don V. Arnone)
Giovedì 28 Febbraio – BIBBIA E POESIA – Qoèlet (Ecclesiaste) e alcuni grandi poeti italiani (Prof. D. Pratesi)

Le lezioni si terranno alle ore 17.00 nella nuova sede dell’Università del Tempo Libero, presso l’UNISER, Polo Universitario Pistoiese, Via S. Pertini 158, Pistoia (a 300 metri dalla Stazione Ferroviaria accanto alla Biblioteca S. Giorgio).

Le iscrizioni si ricevono presso la segreteria della stessa: tel 0573 3620305. La segreteria è aperta la mattina dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 12.00 e il pomeriggio dalle 16.00 alle 17.00 (solo nei giorni di lezione).
E-mail: univertempolibero.pt@tiscali.it | www.univertempolibero.it




Un libro per le “Donne di Preghiera”

Un itinerario attraverso i monasteri di clausura pistoiesi a cura di Maria Valbonesi e Anna Agostini

Sabato 2 febbraio, festa della Candelora e giornata mondiale della vita consacrata, alle ore 16.30, presso la sala sinodale dell’antico Palazzo dei Vescovi, sarà presentato dal vescovo Fausto Tardelli e dal can. Diego Pancaldo il libro «Donne di preghiera. Un itinerario attraverso monasteri di clausura pistoiesi», edito da Polistampa, col contributo della Fondazione Conservatorio di San Giovanni Battista.
Il libro, infatti, riprende e sviluppa il contenuto di alcune visite promosse dal Comitato San Jacopo ai monasteri femminili pistoiesi, e consiste di tre saggi: uno di Anna Agostini sul monastero delle Clarisse e due di Maria Valbonesi su quello delle Benedettine da Sala e delle Salesiane. Il volume, dedicato alla memoria di mons. Mario Leporatti, presenta anche una introduzione storico-teologica di Franco Biagioni, presidente del Meic di Pistoia e anch’egli membro del Comitato di San Jacopo.

Se oggi a Pistoia sopravvivono soltanto due monasteri di vita contemplativa, tra XVII e XVIII secolo solo in città se ne contavano almeno diciannove. Un impoverimento non soltanto numerico, ma soprattutto spirituale. Come scrive nella sua presentazione don Luca Carlesi, arciprete della cattedrale, i monasteri di clausura non sono fuori del mondo, bensì «collocati nel cuore del mondo, testimonianza di un mondo altro da quello che conosciamo, luoghi dove si “prega, si ama, si lavora”; profezia del mondo futuro», perchè «il mondo, la società umana o sarà spirituale o non sarà».
Come evidenzia anche il titolo del libro, l’attività fondamentale delle monache, come di tutte le monache di clausura, è la preghiera; una preghiera assidua, instancabile, rivolta a Dio affinchè resti aperta agli uomini la via della salvezza. In questo mistico esercizio della carità Benedettine e Clarisse hanno preservato nei secoli e continuano ai giorni nostri, nonostante le difficoltà, le crisi e -diciamolo pure- le persecuzioni che hanno dovuto affrontare, delle quali i tre saggi di questo libro offrono un’attenta ricostruzione, sia negli aspetti generali che in quelli particolari di ciascun monastero.

 




A Pistoia la teologia alternativa di Armido Rizzi

Il teologo Carmine di Sante presenta il suo ultimo volume dedicato al pensiero del suo maestro

Le associazioni «Il Granello di Senape» Pistoia e «Casa della Solidarietà» di Quarrata invitano alla presentazione del libro:

Carmine Di Sante, Dentro la Bibbia. La teologia alternativa di Armido Rizzi

L’incontro, che prevede la presenza dell’autore, avrà luogo sabato 12 gennaio 2019 alle ore 17.30 nella sala del convento delle suore domenicane di Pistoia in Piazza S. Domenico. In questo suo nuovo contributo Carmine di Sante ricostruisce lo straordinario percorso teologico di Armido Rizzi, suo maestro, con il pregio di riassumere in un’unica opera un pensiero che si dispiega in decine di pubblicazioni e numerosi articoli. L’ingresso è libero. 

Carmine Di Sante

Carmine Di Sante è nato a Bisenti (TE) nel 1941, ha studiato teologia all’Istituto Teologico dei Frati Minori di Assisi, si è specializzato in Scienze liturgiche al Pontificio Istituto S. Anselmo di Roma, si è laureato in Psicologia all’Università «La Sapienza» di Roma e ha lavorato per quasi vent’anni al SIDIC (Service International de Documentation Judéo-Chrétienne) di Roma. Ha pubblicato molti saggi, tra i quali La preghiera d’Israele. Alle origini della liturgia cristiana, Marietti 2009 (tradotto in inglese, francese, olandese, ceco e portoghese); Parola e terra. Per una teologia dell’ebraismo, Cittadella 2011; Lo straniero nella Bibbia. Ospitalità e dono, San Paolo 2012; La passione di Gesù. Nonviolenza e perdono, San Paolo 2013; Dio e i suoi volti. Per una nuova teologia biblica, San Paolo 2014; Il perdono nella Bibbia, nella teologia, nella prassi ecclesiale, Queriniana 2016.

Armido Rizzi

È nato a Belgioioso (Pavia) nel 1933, si è laureato in teologia all’Università Gregoriana di Roma e in Filosofia all’Università di Genova. Ha insegnato filosofia della religione, ermeneutica filosofica e teologia sistematica nelle Facoltà italiane della Compagnia di Gesù e dagli inizi degli anni ’70 si è dedicato al «Servizio della Parola» in forma itinerante presso comunità e gruppi cristiani.

 




Don Primo Mazzolari: un parroco che parla al mondo intero

A Parigi un convegno internazionale promosso dalla Santa Sede sul parroco di Bozzolo. Tra i relatori Mariangela Maraviglia

Sotto il patrocinio dell’UNESCO e in collaborazione con la Fondazione “Don Primo Mazzolari”, la Missione Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO e la Diocesi di Cremona hanno organizzato il 29 novembre 2018 un convegno internazionale sulla figura di don Primo Mazzolari, parroco novecentesco del paese di Bozzolo, che alla diocesi di Cremona fa parte.

L’incontro, dal titolo Il messaggio e l’azione di pace di don Primo Mazzolari (1890-1959), si è svolto a Parigi presso la sede Unesco e ha visto la partecipazione del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di monsignor Antonio Napolioni, Vescovo di Cremona, di don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, di Guy Coq, presidente onorario dell’associazione “Amis d’Emmanuel Mounier”. Tra i relatori, anche la nostra collaboratrice Mariangela Maraviglia, membro del comitato scientifico della Fondazione “Don Primo Mazzolari” e autrice di diversi studi – monografie, articoli, curatele di volumi – dedicati al parroco cremonese. «Riflettere su come il pensiero e l’azione di questo sacerdote può aiutarci tutti a vivere il nostro tempo con coraggio e aiutare a costruire ciò che Papa Francesco chiama la civiltà dell’amore» è stato l’obiettivo del congresso nelle parole del card. Pietro Parolin.

Il cardinale – dopo l’introduzione di mons. Francesco Follo, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO, che ha portato tra l’altro il saluto di Papa Francesco, e dopo l’intervento del vescovo di Cremona – ha ripercorso la vita di questo sacerdote che, avendo «affrontato il dramma della guerra» prima come soldato semplice poi come cappellano militare, ha maturato «convinzioni che lo condurranno a diventare un costruttore di pace del XX secolo». È la «dura realtà della guerra» che «lo aiuta a comprendere che tra il Vangelo e la violenza la distanza è abissale». Dagli anni dei regimi totalitari in cui Mazzolari «ha avuto il coraggio di opporsi con forza a tutte le forme di ingiustizia e razzismo», al sostegno alla Resistenza «come esercizio di una coscienza che voleva preservare l’umanità dall’incubo della violenza»; dalle indicazioni nel periodo della seconda guerra mondiale sul discernimento del «bene e vero» in una «realtà che non è mai limpida», all’impegno per l’educazione della coscienza («il mito del dovere come esattamente opposto al primato della coscienza morale») o la convinzione della necessità di una istituzione sovranazionale come garante di pace: questi alcuni passaggi della vita e dell’azione di don Primo messi in luce dal Segretario di Stato vaticano.

A Mariangela Maraviglia era assegnato il tema La parola ai poveri da don Primo Mazzolari a Papa Francesco. «Nella Chiesa che dà la parola ai poveri disegnata oggi da Papa Francesco, si ritrova l’eco delle speranze che ancora comunicano la vita e l’opera di don Mazzolari», ha affermato la storica. Maraviglia ha segnalato l’attualità della figura del parroco lombardo, rimarcata più volte dallo stesso Bergoglio nei suoi interventi dedicati al prete italiano, a partire da quello letto nel corso della visita da lui resa alla sua tomba il 20 giugno del 2017. Don Primo è stato un «sacerdote coraggioso» che «fin dagli anni Trenta del Novecento faceva dell’attenzione ai poveri che apre all’esercizio della misericordia un cardine imprescindibile della vita cristiana», ha ricordato Maraviglia, sottolineando come tale attenzione segni particolamente l’attuale pontificato e stabilisca «indubbie e a prima vista singolari sintonie tra due esperienze storicamente e geograficamente distanti».

Ha quindi proposto alcuni «elementi e motivi di tale consonanza» ripercorrendo brevemente la vicenda di Mazzolari, le fonti del suo pensiero, la condivisione con personaggi e ambienti della storia dei suoi anni. Bibbia, Vangelo, Padri della Chiesa, Francesco d’Assisi, furono i fondamenti su cui si innestò la lettura dei francesi Charles Péguy, Georges Bernanos, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, e degli italiani che avvertiva vicini, per primo il sindaco di Firenze Giorgio La Pira con la sua Attesa della povera gente. Ispirazioni che non furono raccolte solo nella sperduta parrocchia di Bozzolo, ma anche da varie personalità con cui Mazzolari fu in contatto e spesso in amicizia: don Lorenzo Milani e la sua passione educativa che si faceva scuola di emancipazione per gli ultimi; don Zeno Saltini e la sua Nomadelfia, città della fraternità e dell’accoglienza di bambini abbandonati, figure, queste, entrambe valorizzate dalle recenti visite di papa Francesco nei luoghi della loro presenza; i più giovani religiosi David Maria Turoldo ed Ernesto Balducci, spesi in opere di carità e nella predicazione sui temi della giustizia e della pace; don Arturo Paoli che, allontanato forzosamente dall’Italia nel 1954, scriveva a don Primo della necessità di «essere come i poveri»; Giuseppe Dossetti, che avrebbe ispirato il discorso sui poveri e sulla povertà della Chiesa pronunciato dal cardinale Giacomo Lercaro al Concilio Vaticano II. Un discorso raccolto in particolare dall’episcopato della Chiesa latinoamericana, che fece della «opzione preferenziale per i poveri» la cifra del suo rinnovamento.

Papa Francesco, ha sottolineato Maraviglia, «conferendo nuova centralità a una Chiesa che sia sempre più “Chiesa povera e per i poveri”, fa propria oggi una richiesta e un impegno che sorgeva dalle voci più sensibili del cristianesimo del secolo scorso, e tra queste la voce viva e partecipe di don Mazzolari». E ha concluso: «Dare la parola ai poveri è compito acquisito per la Chiesa contemporanea. Ne detta l’esigente revisione interna alla luce della radicalità evangelica; la pone come uno dei pochi baluardi, forse l’ultimo baluardo rimasto a contrastare il dominio di poteri onnivori e disumani. È una sfida non meno ardua di quanto si mostrò nel Novecento vissuto da Mazzolari».