Vescovo Tardelli: una nuova “Vita” per il cammino della Diocesi

La nota del vescovo che illustra alla chiesa di Pistoia il prossimo rilancio del settimanale

Col primo di Marzo prossimo, il nostro Settimanale diocesano “La Vita”, avrà un rilancio per essere sempre di più, strumento efficace di informazione e di formazione, di comunione e di testimonianza cristiana nei nostri territori. Un servizio che il settimanale ha portato avanti con determinazione lungo questi anni e che ora vede una nuova fase che chiede l’impegno di tutti e una responsabile accoglienza da parte dei singoli, come delle comunità parrocchiali, delle case religiose e delle aggregazioni ecclesiali.

Il nostro settimanale può tentare questa nuova avventura perchè viene sostenuto e incoraggiato dal quotidiano cattolico “Avvenire”, giornale credo conosciuto da tutti per la sua qualità e la sua autorevolezza nel panorama della comunicazione a mezzo stampa in Italia. Dal primo di Marzo infatti, “La Vita”, voce della chiesa pistoiese, sarà distribuito insieme ad “Avvenire”, voce della Chiesa in Italia. Ciò sarà senz’altro motivo di grande arricchimento e di qualificazione sia della informazione in genere che dello stesso nostro settimanale.

Ci apprestiamo tra l’altro come chiesa diocesana a celebrare il primo Sinodo dopo il Concilio Vaticano II. Già siamo in cammino per prepararlo e fare in modo che sia veramente espressione di una chiesa in ascolto della Parola, al servizio degli uomini per la testimonianza del Vangelo. Nello stesso tempo ci predisponiamo a vivere l’anno santo Iacobeo, il 2021, che ci permetterà di confrontarci con l’esempio dell’apostolo Giacomo. Tutto questo necessita anche di una buona comunicazione e il settimanale diocesano unito ad “Avvenire”, ci permetterà di camminare tutti insieme sulla stessa strada.

Vorrei dunque che si comprendesse l’importanza di questo mezzo di comunicazione e si sentisse il bisogno di utilizzarlo, da una parte all’altra della diocesi, perché cresca la comunione nella condivisione delle esperienze e della vita delle varie comunità; si qualifichi la formazione in particolare dei laici attraverso i suggerimenti che vengono dalle pagine del settimanale; si offra infine una voce nuova e cattolica all’interno dei vari territori che compongono la diocesi di Pistoia.

Il mio pressante invito dunque è che “La Vita” con “Avvenire”, si diffonda capillarmente in tutto il territorio diocesano; mi auguro che siamo molti gli abbonati e moltissimi coloro che lo acquistano nelle chiese parrocchiali o anche nelle edicole. Facciamo uno sforzo in questo senso, senza lasciarsi prendere dal pessimismo o da quello scetticismo che è perdita di speranza.

Chiedo inoltre che ci si renda disponibili anche a collaborare fattivamente per la redazione del settimanale, la raccolta delle notizie dai vari territori e la diffusione nelle parrocchie.

Affido questo nuova impresa con molta fiducia alla materna intercessione di Maria Santissima, a Colei che ha diffuso nel mondo la più bella notizia di tutti tempi: Cristo Signore.

Pistoia 11 febbraio 2020, memoria della B. Vergine di Lourdes

+ Fausto Tardelli, vescovo




Libere di amare nella consacrazione al Signore

La vita delle religiose nella nostra diocesi è un patrimonio prezioso di bene e di spiritualità; testimonianza di libertà da ricordare, accogliere e valorizzare.

 

Nel giorno in cui la Chiesa ha ricordato la Presentazione del Signore al Tempio molte consacrate hanno rinnovato durante la celebrazione Eucaristica, in Cattedrale, la loro professione religiosa. Ciascuna ha fatto memoria del giorno in cui ha liberamente scelto di vivere in povertà, castità e obbedienza.

Obbedienza a Dio  è ascolto e accettazione profonda della Sua volontà che impegna ad una ricerca attenta e a una presa di coscienza seria di cosa sia il vero bene.

Povertà è impegno per una vita sobria e in fraterna condivisione, motivata dalla consapevolezza della propria non autosufficienza e dalla gratitudine di chi sa di ricevere tutto in dono.

Castità è impegno per rendere feconda di amore la nostra vita, per rendersi disponibili a coloro che si sentono non amati, amati male, indesiderati, rifiutati, scartati; impegno per rinnovare l’autostima del cuore e il progressivo e sempre possibile affievolirsi dell’amore vero.

Voti pronunciati e rinnovati non nella prospettiva di una rinuncia, di un distacco, ma nella possibilità di poter vivere in pienezza e libertà.

Noi religiose, infatti, ci sentiamo libere di testimoniare l’esistenza di Dio e dei valori spirituali in un mondo secolarizzato, libere di testimoniare una vita semplice, sobria e libera di amare tutti e tutto.

Con la professione religiosa inoltre, le religiose sono state “inviate” come portatrici di sapienza e di vicinanza cristiana con i mezzi, le forme e le opere ritenute via via più utili ed efficaci: nelle scuole, negli ospedali, negli spazi parrocchiali, in associazioni, in case famiglie, accanto a minori, anziani o molto altro. Anche Pistoia ha fatto “esperienza” della loro presenza nel corso del tempo. La loro “missione” non è stata solo un incarico, uno spazio di attività; non soltanto un’offerta di servizi, ma sintesi di parole e gesti che ha lasciato intravedere una «grande esperienza di Dio, e una ricchezza umana e spirituale a livello personale, comunitario e di famiglie religiose».

Oggi purtroppo la presenza delle religiose in Diocesi sta diminuendo: istituti e monasteri non ci sono più. Le congregazioni ancora presenti vivono una complessità di problemi che rende sempre più precarie le rispettive situazioni, specialmente per età avanzata o malattie. È dunque un tempo che si avvia al compimento, alla scomparsa della vita religiosa? Dove conduce lo Spirito?

Sappiamo che Dio è sempre con noi e che i suoi progetti desteranno ancora la nostra meraviglia.

Un augurio affettuoso e sincero a sr. Clemens delle Suore Mantellate e sr. Emilia delle Suore Domenicane di S. Tommaso d’Aquino, per il loro lavoro svolto nella nostra Diocesi e più che altro per la loro consacrazione al Signore Gesù.

Segreteria Usmi




Invito alla preghiera per la morte del vescovo Lazzaris

Ci giunge notizia della morte di Monsignor Enemésio Lazzaris, vescovo della diocesi di Balsas (Brasile), da tanti anni legata a quella di Pistoia per progetti di cooperazione missionaria. Da molti mesi duramente provato da una grave malattia il vescovo Enemésio è morto nella notte del 2 febbraio nella città di Araguaina. Le esequie e la sepoltura saranno celebrate nella cattedrale del Sacro Cuore di Gesù a Balsas.

Monsignor Tardelli, unendosi al cordoglio della diocesi di Balsas, invita tutti alla preghiera. «Lo ricordiamo con sincero affetto e preghiamo che il Signore doni la ricompensa dei giusti a questo suo servo, buono e umile. Invito a elevare preghiere per il vescovo Enemésio e per la sua diocesi di Balsas».

Monsignor Enemésio Angelo Lazzaris, era nato a Siderópolis, nello Stato di Santa Caterina, nel sud del Brasile il 19 dicembre 1948.  Apparteneva alla congregazione dei figli della Provvidenza, noti anche come “orionini” dal loro fondatore don Luigi Orione. Presso questo istituto aveva fatto la sua professione perpetua nel 1974 e l’anno seguente era stato ordinato sacerdote.  Nominato vescovo di Balsas il 12 dicembre del 2007 da papa Benedetto XVI è stato consacrato il 29 marzo 2008 nella cattedrale di Balsas.  Nel settembre del 2017 monsignor Lazzaris era stato anche a Pistoia, dove aveva incontrato il vescovo Tardelli e raccontato la propria esperienza pubblicamente, nell’ottica di rafforzare il rapporto tra la chiesa di Pistoia e quella di Balsas.




La “locanda” del buon samaritano

Il tema e il programma diocesano per la prossima giornata mondiale del malato

Nella XXVIII Giornata Mondiale del malato, che celebreremo come chiesa diocesana il 9 febbraio p.v., il Papa ci esorta a riflettere, a meditare e a pregare sull’invito di Gesù: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

In una lettera alla sorella Maria, in data 28 aprile 1873, Bernadette Soubirous scriveva: «Nostro Signore è molto buono; ho avuto la gioia di riceverlo per tutto il tempo della mia malattia tre volte a settimana nel mio povero e indegno cuore. La croce diventava più leggera e le sofferenze dolci quando pensavo che avrei ricevuto la visita di Gesù e l’ immenso favore di possederlo nel mio cuore. Lui, che viene a soffrire con quelli che soffrono, a piangere con quelli che piangono. Dove trovare un amico che sappia compatire e allo stesso tempo addolcire i nostri dolori come Gesù?».

Lo sottolinea anche il Papa nel suo messaggio: «Perché Gesù Cristo nutre questi sentimenti di tenerezza e di misericordia verso i sofferenti? Perché egli stesso si è fatto debole, sperimentando l’umana sofferenza e ricevendo a sua volta ristoro dal Padre. Infatti, solo chi fa in prima persona questa esperienza saprà essere di conforto per l’altro».

La Giornata Mondiale del Malato vuole risvegliare ogni anno la nostra sensibilità verso il Vangelo della sofferenza. Come Chiesa siamo chiamati a diventare sempre più e sempre meglio la “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo, cioè «la casa dove i “feriti” della vita possano trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo».

Domenica 9 febbraio alle ore 15.30 ci ritroveremo nella Chiesa madre, la Cattedrale di San Zeno, convocati da Cristo, “Il Buon Samaritano” per accogliere il suo insegnamento: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,29).

Alla celebrazione eucaristica, presieduta dal  vescovo Tardelli e partecipata dalle diverse associazioni di volontariato, seguirà come di consueto la processione mariana che si concluderà alla Chiesa della Madonna del Letto.

L’11 febbraio alle ore 12, il vescovo Fausto sarà presente all’ospedale San Iacopo per incontrare operatori sanitari, medici, infermieri, personale sanitario e amministrativo, ausiliari. A ognuno di loro consegnerà il messaggio del Papa per la XXVIII Giornata del malato. Nel pomeriggio, alle ore 15.30, sua eccellenza presiederà la celebrazione eucaristica, affidando alla Vergine Maria, Salute dei malati, tutte le persone che stanno portando il peso della malattia, insieme ai loro familiari, come pure tutti gli operatori sanitari.

Invitiamo a celebrare la Giornata Mondiale del Malato guardando a Cristo che «si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori» (Is 52,4) ma che ci ripete: «Venite a me!».

 Padre Natale Re, cappellania ospedaliera di Pistoia




La Vita si fa storia

Una riflessione a partire dal Messaggio del Santo Padre Francesco per la 54ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali

di Ugo Feraci*

Entri e nel grande padiglione della sala tv li trovi tutti uno accanto all’altro, chi più chi meno con lo sguardo un po’ perso, oppure in cerca di non si sa bene cosa, pronti ad agganciarti con un saluto o una domanda qualsiasi per avere un po’ di attenzione. C’è chi ciondola con gli occhi abbassati un po’ per il sonno un po’ per l’opacità della mente, chi resta assopito, comunque assente nonostante l’alto volume del televisore. Per quanto curati e nutriti, gli anziani in una casa di riposo ti lasciano nella testa e nel cuore tanti interrogativi. Se non altro ti inchiodano all’incontestabile verità che prima o poi – se il Signore non ti chiama prima – la vecchiaia, con i suoi acciacchi e i suoi doni, arriva per tutti. «Mi fanno vedere un vassoio e poi mi domandano cosa c’era sopra. “Un bicchiere, una mela, una penna…”. “La bottiglia non la ricorda?”. Eh, il vassoio lo vedo, ma poi, quando c’è da ridirgli tutto, finisce che qualcosa mi dimentico. Intendiamoci, fanno bene, ma se poi ci si pensa è un po’ penoso».

O. mi racconta le sue giornate nel ricovero, un po’ tutte uguali, in cui «ci si litiga non si sa neanche perché», dove chi è più svelto «gestisce il televisore, mentre tu di fondo non vedi e non segui nulla». La vedo illuminata da un sorriso e do spago ai racconti della sua vita in montagna, chiedo notizie su Tizio e Sempronio. Dopo averla salutata, quando percorro i corridoi del ricovero e la sala mensa, con gli utenti già pronti al tavolo in un’attesa lenta e silente della cena, mi tornano in mente le parole e il tema della Giornata per le comunicazioni sociali 2020: “La vita si fa storia”.

«Siamo esseri narranti», si legge nel messaggio, ma l’uomo «è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di “rivestirsi” di storie per custodire la propria vita».

Penso alle donne e agli uomini che mi lascio alle spalle, arenati senza più forze su una poltrona e su un letto, ma ancora più tristemente spogliati di storia. Quale storia si dipana tra i corridoi del ricovero? Quando le giornate si alternano tra bisogni primari e sala tv, come cresce e resiste l’identità del singolo, la sua storia irriducibile?

Il testo del messaggio cita anche un salmo, uno dei più belli, dove si dice: «Sei tu che hai formato i miei reni e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra» (139,13-15). Non siamo nati compiuti, ma abbiamo bisogno di essere costantemente “tessuti” e “ricamati”». È sempre, sempre possibile scoprire la meraviglia stupenda di ogni vita. Forse anche le riserve di umanità e di bellezza che pure esistono nel ricovero chiedono di essere raccontate. Ma certamente anche fuori di lì non siamo esentati dal rischio di cadere nel vortice di giorni privi di storia, bruciati nell’attimo delle cose, storditi dai media e da bisogni primari che pretendono di diventare assoluti.

Papa Francesco ha parlato in più occasioni di “Alzheimer spirituale”: una malattia dello Spirito che «consiste nel dimenticare la storia del nostro rapporto personale con Dio, quel primo Amore che ci ha conquistati fino a farci suoi. (…) Se abbandoniamo il porto sicuro del nostro legame con il Padre, diventiamo preda dei capricci e delle voglie del momento, schiavi dei falsi infiniti». Un rischio personale ed ecclesiale: quando la fede e la sua ricchezza sono slegati dalla vita e sottratti alla storia finiscono per diventare soltanto valori da difendere, prese di posizione dogmatiche, tradizioni che oggi riconosciamo e ricordiamo tutte sul vassoio del tempo presente, ma che domani non sapremo riconoscere o ricordare più bene.

Un rischio più comune, da cui ci mette in guardia il messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali è la pervasività di alcune “cattive storie”. Una deriva che invoca la responsabilità degli operatori della comunicazione, perché non mettano insieme «informazioni non verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi» perché «colpendo con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo di dignità». D’altra parte non basta la narrazione per salvarti dai rischi della vecchiaia, occorre che la narrazione sia “buona”, non ritornello dolente o rancore che indurisce. «Mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno vita breve – afferma il messaggio-, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita». È il caso delle grandi storie della letteratura (il papa cita i fratelli Karamazov, come i Promessi Sposi, le Confessioni di Agostino come il Racconto del Pellegrino di Ignazio) e soprattutto delle storie bibliche, da quelle narrate nell’antico Testamento a quelle dei Vangeli; storie di uomini, ma anche storia di Dio capace di pienezza di senso, storia generativa, edificante.

Quali storie raccontano i nostri giornali? Quali notizie sono capaci di tessere la vita, di rivestire lettori e ascoltatori di umanità?

Il messaggio offre alcuni suggerimenti, ricordando che «nessuno è una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio».

Anche una semplice chiacchierata con O. – nella pena del ricovero- è diventata un briciolo di storia, da raccontare a infermieri e parenti, un’oretta diversa, in cui il mio e il suo divenire si sono arricchiti a vicenda. C’è un tesoro prezioso di umanità nel suo sorriso e nel lucido racconto delle sue giornate, ancora una volta pronte ad aprirsi alla grazia che risana e solleva: «ora che ci sei – mi diceva mentre ero lì-, confessami: ho bisogno di Lui».

*Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura della Diocesi di Pistoia




Una messa per la vita

Al Santuario della Madonna di Valdibrana una celebrazione eucaristia promossa dal Movimento per la Vita e dal Centro di Aiuto alla Vita della diocesi di Pistoia.

«Un’occasione per impegnarci costantemente nella lotta e nella difesa della vita, dal concepimento alla morte naturale», questo il senso della celebrazione eucaristica che sarà celebrata domenica 2 febbraio alle ore 11 a Valdibrana. «A questo appuntamento – precisa la presidente del Mpv di Pistoia Graziana Malesci – sono invitati i fedeli, gli iscritti al movimento, i sostenitori. Sarà un momento forte per condividere il messaggio dei vescovi italiani dedicato a questa giornata e trovare insieme nuove forme di solidarietà e fraternità. Oggi la cultura dello scarto è diffusa e pressante, in pieno contrasto con principi cristiani; l’invito, che ci arriva con il tema di questo anno è quello di “aprire le porte alla vita”».

Nel messaggio per la giornata nazionale della vita emerge l’invito a cambiare punto di vista: «la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte. Così la vita nel tempo è segno della vita eterna, che dice la destinazione verso cui siamo incamminati. È solo vivendo in prima persona questa esperienza che la logica della nostra esistenza può cambiare e spalancare le porte a ogni vita che nasce». Accogliere la vita come un dono motiva «l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia. La cura del corpo, in questo modo, non cade nell’idolatria o nel ripiegamento su noi stessi, ma diventa la porta che ci apre a uno sguardo rinnovato sul mondo intero: i rapporti con gli altri e il creato».

Con l’occasione segnaliamo anche un prossimo appuntamento promosso dal Movimento per la Vita di Pistoia e Quarrata in collaborazione con le Aggregazioni laicali della Consulta diocesana di Pistoia.
Venerdì 21 febbraio alle ore 21 presso Palazzo de’ Rossi (via de Rossi, 26 a Pistoia) avrà infatti luogo un convegno dal titolo: «Leggi di fine vita: luci e ombre»; interverrà s. e. mons. vescovo Fausto Tardelli, e il dott. Giuseppe Anzani, magistrato; modera l’incontro Paola Bardelli, giornalista di Tvl.

D. R.




Prato e Pistoia insieme per gli esercizi spirituali

La Diocesi di Pistoia e quella di Prato insieme per cinque giorni di esercizi spirituali.
Da lunedì 27 a venerdì 31 gennaio si sono svolti alla “Versiliana”, casa vacanze della diocesi di Prato presso Marina di Pietrasanta, gli esercizi spirituali per il clero di Pistoia e Prato.

Gli esercizi sono stati predicati da Padre Bernardo Gianni osb, abate della Basilica di San Miniato al Monte di Firenze. La predicazione di Padre Bernardo ha preso spunto dall’opera “Opus florentinum” di Mario Luzi da cui ha preso spunto anche per il titolo: «“Si fabbricano ali per il volo in questa officina”. Presbiteri al servizio di Cristo per una chiesa della speranza e della comunione».

Erano presenti una trentina di presbiteri: tra loro sette preti e un diacono della Diocesi di Pistoia. Hanno partecipato anche il vescovo di Pistoia Fausto Tardelli e il vescovo di Prato Giovanni Nerbini.




Appuntamento in cattedrale per la Candelora

Domenica 2 febbraio si celebrano in cattedrale gli anniversari di professione religiosa e il rito dell’ammissione agli ordini sacri per due seminaristi della Diocesi.

Domenica 2 febbraio ricorre la festa della Presentazione al tempio di Gesù, detta Candelora. In questo giorno la liturgia propone le parole di Simeone che indicano Gesù «luce per illuminare le genti» (Lc 2,32) e vive la suggestione della benedizione delle candele.

Mons. vescovo celebrerà la santa messa della festa alle ore 18 in Cattedrale. Il 2 febbraio la Chiesa Cattolica festeggia anche la Giornata mondiale per la vita consacrata; durante la messa, infatti, saranno celebrati gli anniversari di professione religiosa dei consacrati e delle consacrate della nostra diocesi, mentre i seminaristi Andrea Torrigiani e Alessio Biagioni saranno ammessi agli ordini sacri. Un’occasione in più per partecipare alla solenne liturgia in Cattedrale. Con il rito dell’ammissione la chiesa riconosce una sufficiente maturazione nel cammino vocazionale di un seminarista. La Chiesa, infatti, ne accoglie l’offerta di sé, lo sceglie e lo chiama, perché si prepari a ricevere in futuro l’Ordine Sacro.

Parteciperanno alla messa anche circa 80 pellegrini della Confraternita di San Giacomo Apostolo di Perugia che percorreranno a piedi il “cammino di San Jacopo” che porta da Lucca a Pistoia. Il loro pellegrinaggio inizia il 1 febbraio da Lucca con la benedizione del vescovo Giulietti, dal 1996 assistente spirituale della Confraternita, prevede quindi una sosta a Pescia dove li attenderà per un saluto mons. Roberto Filippini. I pellegrini arriveranno  a Pistoia nel pomeriggio del 2 febbraio, in tempo per la santa messa in cattedrale presieduta dal vescovo Tardelli. Qui, secondo un’antica tradizione, al termine della celebrazione eucaristica, riceveranno la benedizione del vescovo e la “jacopea”: l’attestato che certifica l’avvenuto pellegrinaggio a Pistoia per la venerazione della reliquia del santo apostolo Giacomo.




Don Ennio, il parroco degli emigrati

Venerdì 25 gennaio è morto don Ennio Fiorati. Si è spento nella sua casa di Pistoia, dopo una lunga malattia e infermità.
Don Ennio è stato per tanti anni il parroco degli emigrati, punto di riferimento degli italiani all’estero, in particolare per quanti si erano trasferiti in Svizzera in cerca di fortuna.

Era nato a Pistoia il 23 novembre 1931, qui ha frequentato il seminario diocesano ed è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1955. Dopo un breve periodo a Montale come cappellano prestò servizio in montagna a San Marcello pistoiese accanto al parroco don Luigi Capecchi, finché nel 1957 gli fu affidata la parrocchia di Limestre. Fu il primo parroco del paese, dove era stata appena edificata una nuova chiesa intitolata alla Madonna della Neve. La parrocchia, allora costituita dal vescovo Longo Dorni, era stata eretta a servizio dei numerosi operai della SMI e collocata nei pressi di villa Margherita, già colonia estiva del seminario diocesano. Don Ennio rimase a Limestre fino al 1967 svolgendo anche il compito di docente di religione nelle scuole.

Dopo un breve periodo di formazione per le “missioni” presso gli italiani all’estero don Ennio si trasferì in Svizzera, dove operò ininterrottamente dal 1968 al 1998. Per diciassette anni visse a Kreuzlingen lavorando presso la missione cattolica di lingua italiana poi, dal 1985 al 1998, esercitò il proprio ministero a Lucerna. Accanto agli emigrati don Ennio svolse il ruolo di pastore, occupandosi anche di molte questioni pratiche della sua gente; come ha ricordato il nipote Andrea in occasione delle esequie, una delle sue più grandi soddisfazioni fu la costruzione di un asilo per i bambini dei migranti italiani. Dalla Svizzera don Ennio tornò nel 1998 insieme a Piera, fedele “perpetua”.

Al rientro in diocesi è stato nominato canonico della cattedrale, dove ha svolto il compito di vice-penitenziere. Dal 2004 al 2013 è stato parroco della Basilica della Madonna dell’Umiltà. Qui don Ennio ha profuso molte energie e risorse, anche personali, per sostenere importanti lavori di restauro alla Basilica. Un compito che gli è costato fatica e forse qualche incomprensione, ma che lo ha anche arricchito di tante soddisfazioni e nuove, affezionate conoscenze. Presso la parrocchia dell’Umiltà infatti, hanno svolto servizio tra l’altro, diverse generazioni di seminaristi. Dal 2013, per motivi di età e di salute, si era ritirato a vita privata.

Le esequie di don Ennio si sono svolte lunedì 27 gennaio presso la chiesa della Misericordia di Pistoia dove sono state presiedute dal vicario generale mons. Patrizio Fabbri e concelebrate da numerosi amici sacerdoti. Nell’omelia il vicario ha riassunto brevemente l’impegno sacerdotale e la personalità di don Ennio: un uomo buono, ma anche capace di un umorismo talora pungente. «Nel suo itinerario di vita sacerdotale– ha precisato mons. Fabbri- don Ennio è stato immagine del Buon Pastore. Credo che nella sua vita di prete abbia sperimentato la bontà di Dio e l’abbia trasmessa alla gente che il Signore gli ha mandato; sicuramente ha comunicato la misericordia di Dio tra gli emigrati come tra i penitenti in Cattedrale, senz’altro lo ha fatto presso la basilica della Madonna dell’Umiltà: tante persone si sono rivolte a lui e hanno trovato il sostegno necessario per la loro vita».
Al termine della celebrazione esequiale don Ennio è stato accompagnato presso il cimitero comunale di Pistoia dove riposa nella cappella di famiglia.

U.F.




L’ascolto è cosa del cuore

Un invito a scoprire il bisogno di essere riconosciuti e ascoltati, per imparare il valore di un ascolto differenziato.

di Cecilia Costa*

La prof.ssa Cecilia Costa è sociologa e docente presso l’università di Roma Tre. Recentemente è stata nominata consultore della segreteria generale del sinodo dei vescovi, ed ha partecipato ai recenti sinodi convocati da Papa Francesco. A partire dalla sua vasta esperienza in ambito ecclesiale e sociologico ci consegna una riflessione sul valore dell’ascolto con una particolare attenzione al mondo dei giovani.

Situazione culturale

La Chiesa è impiantata nella società, di conseguenza ha bisogno di conoscere la situazione socio-culturale nella quale opera al fine di annunciare il Vangelo. Per diffondere il suo messaggio, dunque, la Chiesa deve essere più che mai attenta ai “segni dei tempi” e al difficile rapporto tra il Vangelo e i valori, il costume, il linguaggio e i simboli di un determinato momento storico. Alla luce di questa premessa, non si può trascurare, pertanto, di riferirsi all’attuale clima culturale della nostra modernità avanzata, in cui, da una parte, si garantiscono delle possibilità straordinarie in campo medico-biologico e tecnologico-comunicativo. Dall’altra parte, invece, si devono affrontare delle problematiche emergenti, tra le quali ci sono: l’abuso della tecnologia digitale; il deficit simbolico di identità, memoria, storia; l’enfasi soggettivista e l’autoreferenzialità; il consumo eletto a fine esistenziale; la concezione della salvezza intesa ormai come generico benessere psicologico; lo scarso senso di appartenenza  e di comunità; la difficoltà di fare scelte per la vita e di assumersi responsabilità nel sociale.

 

Di questi e altri nuclei tematici si è riflettuto anche nell’assemblea sinodale 2018, mettendo in conto che nell’attualità diventa tutto più complesso, perché l’odierno tessuto socio-culturale spesso mette in dubbio ogni verità e spinge verso gli idoli moderni. A fronte di queste problematiche, si evidenziano anche alcuni bisogni,  trasversali a tutte le fasce di età, dalle più giovani alle più adulte, che possono essere riassunti come segue: bisogno di orizzonti di senso, di individualizzazione del sé, di accompagnamento, di relazione e di ascolto. In sostanza, nonostante si sia immersi in una cultura dell’immanente, dell’indistinto, del provvisorio, del dubbio, dello sradicamento, della «perdita del senso della totalità […] del senso della vita e del vivere insieme», come dice Papa Francesco nella Laudato si’, proprio nella nostra epoca sembra che si stiano amplificando le domande di significato, il desiderio di ognuno di essere riconosciuto nella propria unicità e ascoltato.

Ascolto

 

A proposito dell’ascolto, −come recita il documento finale del sinodo dei vescovi XV assemblea generale ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, 2018−, esso deve essere inteso come incontro di libertà, coniugato con l’azione divina, offerta dai sacramenti, e con un’adeguata direzione spirituale.

 

Deve essere un ascolto empatico, dialogante, all’insegna del camminare insieme, della relazionalità, della pazienza, dell’accoglienza, dell’affetto, della disponibilità, dell’approccio non indifferenziato, perché ogni persona vuole essere ascoltata per i propri desideri, le proprie incertezze e le proprie paure.

 

Un ascolto che non deve essere segregato in atti, regole, procedure, ricette, comportamenti standardizzati o “costruito” formalmente, ma portato avanti da esperienza a esperienza, da persona a persona. Un ascolto capace, −nei momenti liminali o di fragilità, come in quelli ordinari− di rispettare il ritmo e l’unicità di ciascuno.

 

Bisogna cercare di ascoltare in modo intenso, attenti sia all’aspetto teologico che pedagogico, mirando a far comprendere la libertà e accettarne il rischio. Una libertà che nell’attualità non è ben compresa nel suo significato profondo, perciò va descritta con chiarezza, dicendo che essa rientra nel dialogo della salvezza. Si deve spiegare che la vera libertà, come sottolineato da Paolo VI, è generata da una “domanda d’amore”, alla quale ognuno è «libero di corrispondervi o di rifiutarla» (Ecclesiam suam).

 

In modo particolare, le nuove generazioni per poter affrontare il mondo contemporaneo con le sue sfide inedite e complesse, per imparare a discernere e per diventare consapevoli hanno bisogno di essere riconosciuti, ascoltati, dagli accompagnatori, dai pastori e dalle guide spirituali. Essi hanno necessità di figure vicine, pazienti, sensibili, appassionate, empatiche, che commuovano, parlando al cuore e non solo all’intelletto; che risveglino l’anelito per l’altro da sé e per il bene comune; che favoriscano il saper «riconoscere, interpretare e scegliere» (I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Documento Finale). I giovani e gli stessi adulti hanno bisogno di testimoni credibili, di interpreti autentici di quella che Ignazio d’Antiochia ha chiamato la «novità della speranza», che sappiano aiutare ciascuno a domandarsi  non chi sono io, bensì «per chi sono io?» (Christus vivit).

 

Nel nostro momento storico, la pastorale per essere veramente adeguata ai segni dei tempi dovrebbe adottare un nuovo modo di ascoltare e uno nuovo stile relazionale-comunicativo, nel segno della prossimità, dell’amicizia, dell’affettività, del “cuore” (termine ripetuto 58 volte nell’esortazione Christus vivit) e della “rivoluzione della tenerezza”.

 

* consultore della segreteria generale del sinodo dei vescovi

(pubblicato sul settimanale “LA VITA” n. 2 del 19 gennaio 2020)