Restare umani di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza

Ancora naufragi e morte a largo della Libia. Soltanto nell’ultimo week end sono oltre cento i morti nelle acque libiche, oltre 2.500 i rimpatri forzati nei sedicenti “campi di detenzione” del Paese che si sommano agli altri 10.000 che già popolano le strutture gestite dalle autorità locali in condizione definite dagli operatori internazionali come “disumane”.

L’indifferenza di Bruxelles e le soluzioni che vengono proposte dal governo italiano in seno all’UE appaiono – per usare le parole del Cardinal Bassetti – volte perlopiù a “distrarre” la popolazione dal dramma epocale che stiamo vivendo e dai tanti problemi reali che pendono sul nostro paese.

Le morti che si susseguono, la chiusura dei porti, l’innalzamento di muri ai confini settentrionali e una permanente strategia della paura stanno minando in profondità il nostro stesso senso di convivenza comune e pacifica.

Di fronte a queste vicende avvertiamo  la necessità di  contribuire a una riflessione profonda per costruire una società più aperta e attenta all’altro, più disponibile al dialogo con il diverso che si fonda su una consapevolezza antropologica fondamentale: l’altro è una sorgente insopprimibile del progresso umano e pertanto una società non può sottrarsi alla responsabilità di spalancargli le porte, preoccupandosi di salvaguardare le reciproche identità. Tutto questo si rinnova nell’incontro  tra le diversità e dà luogo a significative convergenze con tutti gli uomini e le donne che credono nel valore della vita, nella dignità di ogni persona, nella solidarietà tra esseri umani senza ignorare che possano sorgere problemi o incomprensioni, ma certi che non esista altra strada che quella dell’incontro, del dialogo, della consapevolezza dei diritti e doveri di ciascuno.

Come ha affermato il Vescovo Fausto nel discorso per la Giornata mondiale per la pace (1 gennaio 2018): «sembra evidente che a chi bussa alla nostra porta in condizioni di grave disagio, di qualsiasi natura esso sia, non gli si può sbattere l’uscio in faccia. Sarebbe un atto disumano, sbagliato e sciocco. Proprio per questo, come chiesa di Pistoia siamo assolutamente a favore dell’accoglienza di persone che fuggono da situazioni di difficoltà di ogni genere e che ci chiedono aiuto». L’accoglienza, prosegue il Vescovo, va certamente organizzata «non alla meglio ma nel migliore dei modi possibile, da tutti i punti di vista. Di fronte al dramma delle morti nel mediterraneo o dei maltrattamenti delle persone, come pure di fronte a ogni forma di tratta o di schiavitù di esseri umani, non ci può essere alcuna indifferenza o passività».

La Caritas di Pistoia quindi non può non affermare il principio di apertura e accoglienza  verso tutti coloro che sfidano la morte, in fuga da guerre , carestie, genocidi. D’altra parte non si può ignorare il profondo disagio che attraversa il paese ormai da tempo. Oltre alla paura del diverso, infatti, si fa largo l’incertezza legata al domani, sulle precarietà economiche e di lavoro, sulle possibilità di creare un futuro solido e positivo, in altre parole migliore, per i propri figli. Per favorire un ragionamento di uscita da questa rappresentazione del presente è necessario evidenziare che il complesso tema dell’accoglienza, della gestione dei flusso di migranti non può essere scisso da una visione inclusiva e solidale della società, che non scarti o lasci indietro nessuno.

Il  Santo Padre, nell’Evangeli Gaudium, ha rilevato in modo chiaro che è proprio l’egoismo e un certo stile di vita che concorre ad alzare i muri dell’indifferenza: «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo».

Anche il Card. Bassetti, parlando in particolare della situazione italiana, ha affermato: «Auspichiamo un governo che pensi veramente al bene comune partendo dalle famiglie, dai giovani e dai poveri. In particolare, spero con tutto il cuore che il governo sappia unire e pacificare, cercando di dare una risposta concreta a quel clima di rancore sociale che serpeggia nel Paese».

Partendo da questi autorevoli spunti vogliamo fare quindi appello a tutte gli uomini e donne di buona volontà affinché si possa mettere sempre e comunque al primo posto ogni vita umana, perché come scrisse Simone Weil  «In ciascun uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. Non è neanche la persona umana. È lui, quest’uomo, molto semplicemente».

Caritas Diocesana di Pistoia

foto di Francesco Malavolta




SIRIA: L’IMPEGNO DELLA CHIESA ITALIANA

Intervista a don Francesco Soddu direttore Caritas nazionale

Sette anni di ‘guerra sporca’ non hanno spento il desiderio di bellezza dei giovani siriani

 

Sull’interminabile conflitto in Siria Papa Francesco ha levato più volte un appello per la pace e per garantire corridoi umanitari a una popolazione stremata da violenze e difficoltà di ogni genere. Anni di stragi e violenze, alimentate da una complessa situazione internazionale, rischiano infatti di cadere nell’indifferenza globale. Caritas Italiana è impegnata da tempo in questa grave crisi umanitaria. Per approfondire la situazione siriana abbiamo rivolto alcune domande a Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana.

Come Caritas italiana in che modo avete potuto portare aiuto al popolo siriano?

Abbiamo sostenuto il popolo siriano sin dallo scoppio della crisi, attraverso Caritas Siria e attraverso altre espressioni della Chiesa locale, come ordini religiosi, diocesi locali e comunità monastiche. L’intervento si è concentrato soprattutto su aiuti di urgenza, vista la gravissima situazione, ma non sono mancati interventi di formazione e affiancamento ai partner locali e piccoli interventi di ricostruzione e riabilitazione.

Il vostro supporto a Caritas Siria quali campi di interventi ha interessato?

Sicuramente moltissimo è stato fatto nell’ambito degli aiuti di urgenza: una catastrofe come quella che vive la Siria dal 2011 richiede purtroppo uno sforzo enorme per salvare più vite possibile. Ci sono stati quindi molti progetti di distribuzione di aiuti di urgenza (alimentari e non), contributi al reddito attraverso vouchers, contributo all’alloggio per tutti i milioni di sfollati interni, e un ampio progetto di aiuti sanitari sia per le vittime del conflitto (feriti, mutilati, invalidi) sia per patologie ordinarie. Un grosso sforzo è stato dedicato poi alla ricostruzione e riabilitazione del settore educativo: abbiamo contribuito a ristrutturare scuole, fornire kit scolastici e organizzare corsi di formazione specifici. Nel corso di questi 7 anni abbiamo poi sostenuto Caritas Siria con un contributo tecnico, offerto da nostri operatori esperti, che insieme ad altro staff internazionale hanno aiutato i colleghi siriani a gestire questo periodo difficilissimo. Per il futuro immediato ci vorremmo concentrare anche su progetti che aiutino un percorso di pace e riconciliazione, puntando soprattutto sui giovani.

C’è un aspetto che spesso rimane in ombra: cioè l’impegno di tanti volontari disposti a rischiare la vita ogni giorno a servizio di chi ha bisogno. Quanti sono e dove operano?

In questi anni Caritas Siria ha potuto contare su quasi 4.000 volontari in tutto il paese, che hanno contribuito a svolgere le attività umanitarie e pastorali in collaborazione con lo staff dei sette uffici regionali e le Chiese parrocchiali. Purtroppo nel corso di questi anni anche loro sono stati vittime dirette della guerra, due in particolare sono rimasti uccisi durante lo svolgimento del loro servizio, altri feriti. Molti sono dovuti scappare, abbandonare la propria terra e cercare una nuova vita all’estero, moltissimi hanno perso familiari e amici. Ma chi rimane rappresenta davvero un segno di speranza: di fronte a tanto orrore sono riusciti a trovare la forza per attivarsi e dare il proprio contributo a chi sta peggio. Nella ricerca condotta lo scorso anno in collaborazione con Caritas Siria abbiamo potuto costatare che addirittura il volontariato è aumentato in questi anni, nonostante la tragedia c’è ancora chi pensa al prossimo, in modo disinteressato, aiutando cristiani e mussulmani senza distinzione.

 Non è sempre facile comprendere le dinamiche del conflitto siriano. Certamente sono tanti gli interessi internazionali che alimentano questa situazione. Stando a stretto rapporto con la popolazione che idea vi siete fatti?

Si tratta di una guerra sporca, alimentata da vari interessi internazionali, di potenze sia regionali sia internazionali. Come hanno detto in molti è una sorta di guerra mondiale combattuta sulla pelle del popolo siriano. Vari gli attori sul campo. Ognuno per il proprio interesse geopolitico ha ritenuto opportuno alimentare il conflitto, da una parte o dall’altra, anche contro la popolazione civile. Il sogno di libertà gridato nelle piazze dai giovani siriani nel marzo del 2011, si è tramutato presto in un incubo fatto di repressioni violente, incarceramenti e torture. In questo scenario è subentrato l’intervento internazionale, che ha armato e finanziato gruppi di ribelli e di terroristi, tramutando un moto rivoluzionario in una assurda guerra tra fazioni di mercenari. Purtroppo è una guerra con molti colpevoli, e tra questi ci siamo anche noi, italiani ed europei, che abbiamo assistito inermi ai tanti massacri, senza indignarci abbastanza, senza sforzarci di perseguire un vero processo di pace, presi nel nostro egoismo, vittime della paura del terrorismo e dei profughi. Un’Europa più unita e consapevole della propria storia e della propria identità avrebbe forse potuto giocare quel ruolo di mediazione e di freno che le Nazioni Unite non sono state in grado di giocare.

Quali sono stati i progetti che hanno avuto un esito positivo per le città di Aleppo e Homs e quali quelli che tuttora state portando avanti?

Di fronte a tale tragedia è impossibile parlare di esito positivo, la catastrofe è tale che nessun intervento è sufficiente. Abbiamo cercato di fare il massimo aiutando chi era sopravvissuto ad anni di assedio e mesi di bombardamenti. Ci rincuora però sapere che ora sia la Caritas di Aleppo sia quella di Homs sono delle organizzazioni solide, capaci, che oltre a tanta motivazione (quella l’avevano anche prima) hanno le capacità e le competenze per portare aiuto alla popolazione. La Caritas ad esempio, grazie ai suoi operatori di Aleppo, è stata la prima realtà ad essere operativa nella zona est della città, dopo la fine dell’assedio e dei bombardamenti governativi.

Il lavoro da fare è ancora purtroppo enorme, prima di tutto nel campo dell’assistenza umanitaria, ma da qualche mese abbiamo iniziato progetti anche nell’ambito della ricostruzione delle abitazioni e della riabilitazione di piccole attività economiche, perché la popolazione ha bisogno di ritrovare un minimo di indipendenza economica.

Aleppo ha ancora voglia di rinascere?

Certamente, il desiderio è tanto, ma purtroppo è veramente difficile capire da dove iniziare per ricostruire una prima base di normalità. Anche perché la guerra e i massacri non sono finiti, e la “pacificazione” di una regione non è sufficiente a garantire il futuro, perché la pace non è l’assenza di guerra, è molto di più. Purtroppo vediamo infatti che anche in quelle zone dove l’intensità dei conflitti è diminuita, i bisogni sono enormi, sia materiali sia comunitari. Con l’aiuto di tutti sarà possibile rinascere, ma c’è bisogno veramente di uno sforzo collettivo che punti all’assistenza, alla riabilitazione e allo sviluppo di percorsi di pace e riconciliazione.

Qualche anno fa Caritas Italiana e Caritas Siria hanno voluto indagare sulla situazione dei giovani nella nazione siriana. A partire da questa prima ricerca quali progetti avete in cantiere per aiutare le giovani generazioni?

La ricerca è stata molto importante perché ci ha fatto capire, dati alla mano, che nel paese ci sono ancora centinaia di giovani che hanno voglia di mettersi in gioco. Nonostante i tanti che non ci sono più (morti o costretti a partire) chi è rimasto ha voglia di ricominciare, di impegnarsi per il proprio futuro e per il futuro del suo paese. Abbiamo scoperto un grande desiderio di “bellezza”: moltissimi hanno espresso il desiderio di tornare a studiare ma anche di impegnarsi in attività artistiche, come la musica, il teatro e le arti figurative. Come se di fronte a tanto orrore i giovani avessero bisogno di nutrire il loro spirito con l’arte. Per questo con Caritas Siria abbiamo avviato il progetto “come fiori tra le macerie”, per la creazione di laboratori artistici residenziali, dove avviare i giovani a quello che potrebbe essere una professione ma non solo. Il primo vedrà la luce a Damasco speriamo entro il 2018. Si tratterà di un laboratorio di restauro artistico e di produzione di mosaici tradizionali, un centro dove offrire percorsi formativi ai giovani, per dare loro una possibilità professionale concreta, lavorando alla ricostruzione materiale e culturale del proprio paese. Al tempo stesso sarà un simbolo di pace: giovani siriani, senza distinzione di religione, impareranno insieme come ristrutturare le opere d’arte delle moschee e delle Chiese del loro paese, così come dei monumenti civili. Per questo oltre ai corsi tecnici offriremo anche formazione alla pace e riconciliazione, che questi giovani possano essere degli ambasciatori di pace, in mezzo a tanto orrore, come fiori che spuntano all’improvviso tra le macerie, tenaci e delicati al tempo stesso.

Daniela Raspollini




DIGIUNO E PREGHIERA PER LA PACE: UNA TESTIMONIANZA DAL CONGO

In occasione della giornata di digiuno e preghiera per la pace, raccogliamo la testimonianza di don Celestin Kayambiriri, sacerdote congolese che ha prestato servizio nella nostra diocesi per diversi anni nella parrocchia di Sant’Andrea apostolo della città di Pistoia. Don Celestin, professore di diritto canonico, è stato per molti anni rettore del seminario della diocesi di Goma dove svolge diversi incarichi.

L’iniziativa di Papa Francesco è ben accolta qui nella città di Goma. Digiuno e preghiera per la R.D. del Congo (un tragico dilagare di gruppi armati, rapimenti, massacri, violenze poliziesche…) e il Sud Sudan (una sanguinosa guerra civile), ne vale la pena. Si ricordi della stessa iniziativa per la Siria, sulla quale pesava il rischio bombardamenti qualche anno fa.

Non ci sono dubbi sulla potenza di un grido di questa intensità. «Non possiamo rimanere indifferenti – dice P. Padre Daniele Moschetti, missionario comboniano – davanti alla miriade di persone nel mondo che si trovano ai margini. E pensare che Congo e Sud Sudan sono tra i Paesi più ricchi al mondo per la grande quantità di ricchezze nel sottosuolo, che vengono puntualmente sfruttate da altri»: multinazionali con la complicità di governi locali mafiosi e corrotti. Il Congo 78 800 000 ab/ e 2 345 409 kmq è pieno di minerali che intervengono nella costruzione dei cellulari e computer… Il saccheggio e le guerre per le risorse minerarie fanno gli affari di un pugno di ricchi, mentre la povera gente vede solo miseria e disperazione. Pregare si, ma non solo!

Dal mio ritorno ho preso in carico la scolarizzazione di 4 bambini delle scuole elementari, 4 ragazze per tre mesi di formazione in cucina e due ragazzi per la scuola-guida; è una piccola goccia nell’oceano, ma meglio di niente! Con 50 e 100$ al mese si può dare sollievo a qualche bambino. Se c’è qualche iniziativa in questo senso sono interessato (scrivere a: celeskan@gmail.com).

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«Dinanzi al tragico protrarsi di situazioni di conflitto in diverse parti del mondo – ha detto papa Francesco nell’Angelus di domenica 4 febbraio –, invito tutti i fedeli ad una speciale Giornata di preghiera e digiuno per la pace il 23 febbraio prossimo, venerdì della Prima Settimana di Quaresima.

La offriremo in particolare per le popolazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan.

Come in altre occasioni simili, invito anche i fratelli e le sorelle non cattolici e non cristiani ad associarsi a questa iniziativa nelle modalità che riterranno più opportune, ma tutti insieme».

Il nostro Padre celeste ascolta sempre i suoi figli che gridano a Lui nel dolore e nell’angoscia, “risana i cuori affranti e fascia le loro ferite” (Sal 147,3). Rivolgo un accorato appello perché anche noi ascoltiamo questo grido e, ciascuno nella propria coscienza, davanti a Dio, ci domandiamo: “Che cosa posso fare io per la pace?”. Sicuramente possiamo pregare; ma non solo: ognuno può dire concretamente “no” alla violenza per quanto dipende da lui o da lei. Perché le vittorie ottenute con la violenza sono false vittorie; mentre lavorare per la pace fa bene a tutti!», ha concluso il Pontefice.

Chi intendesse saperne di più può recuperare materiale sulla giornata di digiuno e preghiera sul sito della caritas nazionale.

Qui è invece possibile leggere alcune testimonianze dai cristiani del Congo e del Sud Sudan.