Nel concepito un figlio da amare

Al via la campagna “Cuore a cuore” per raccontare e testimoniare la bellezza della vita. Ne parliamo con Elisabetta Michelozzi presidente del Movimento e Centro di Aiuto alla vita di Quarrata.

Il Movimento e Centro di Aiuto alla vita italiano ha lanciato un’importante iniziativa dal titolo “Cuore e Cuore”: di cosa si tratta?

La campagna “Cuore a cuore” è nata da una lunga e consolidata esperienza dei Centri di Aiuto alla Vita e pone la donna in prima linea nella difesa della vita nascente, perché al contrario di quanto molti vogliono farci credere le donne che riconoscono nel concepito un figlio, un essere umano a tutti gli effetti, con tutta la sua dignità sono la maggioranza. Tuttavia questa iniziativa chiede l’adesione anche degli uomini e vuole diventare una occasione per realizzare una mobilitazione generale su questo tema.
L’iniziativa è stata chiamata “Cuore a Cuore” perché questa è l’espressione che evoca quello speciale rapporto con la vita umana dal suo inizio che ogni mamma vive, quella intimità, complicità, alleanza e condivisione, proprio come quella della mamma che culla nel suo grembo il suo bambino.
Nel cuore di ogni donna c’è la conoscenza, la consapevolezza che ciascun essere umano fin dal concepimento è un figlio. Le donne però devono poter contare sulla solidarietà dell’intera società civile. In virtù di questo speciale legame con la vita tutte le donne recano in se un timbro speciale dell’amore che si manifesta nell’accoglienza e nella cura del più piccolo, iscritta nella gravidanza stessa e che è a servizio di tutta l’umanità (se non ci fossero le donne scomparirebbe la società e la storia). Si tratta di un vero e proprio privilegio femminile. È il sigillo dell’amore sulla vita umana che si pone come archetipo di ogni possibile solidarietà.

Per la campagna “cuore a cuore” deve essere ancora pensata una struttura organizzativa, tuttavia è già attiva una mail: cuoreacuore.mpv@gmail.com, a cui è possibile aderire e/o inviare testimonianze. L’adesione è in forma libera. Chi facesse fatica a scrivere una testimonianza ma intendesse aderire può semplicemente scrivere: «dichiaro che il concepito è un essere umano» oppure, «dichiaro che il concepito è un figlio».

Tra gli obiettivi che vi proponete c’è quello di sconfiggere definitivamente la “congiura contro la vita” e la cultura dello scarto; cosa si intende con queste espressioni?

Per congiura contro la vita si intende tutta quella corrente di pensiero che deliberatamente si ostina a negare quello che oggi la scienza per prima mette in assoluta evidenza, cioè che fino dal concepimento esiste un essere umano unico e irripetibile: “uno di noi”, seppure nella sua fase più fragile e debole, di cui non solo la mamma, ma tutta la società è chiamata a tutelare e prendersi responsabilmente cura.
Vorrei ricordare che nella nostra società prevale la cultura dell’efficienza, dell’apparire, del sano e del bello a tutti i costi, ma così perdiamo di vista tutta quella che è la maggioranza delle persone che non corrispondono a questi canoni, perdiamo di vista la fragilità della vita umana nei suoi momenti fondamentali del nascere e del morire, della malattia, della disabilità che inevitabilmente fanno parte della vita umana e che ne qualificano anche la ricchezza, che ci ricordano che l’uomo vale in quanto tale, che non è mai un mezzo, ma è il fine che deve guidare le nostre scelte e quelle dell’umanità.
Per spiegare meglio questo concetto della cultura dello scarto vorrei ricordare le parole del magistrato Dr. Giuseppe Anzani che parlando del figlio appena concepito scrive: «..E il figlio a volte è malato, a volte è disabile, a volte è vicino a morire; non si può certo amare la disabilità, non si può certo amare la malattia, non si può certo amare la morte, ma il figlio lo si ama com’è , lo si ama sempre». L’uomo lo si ama sempre ed è l’amore la cura migliore che gli possiamo offrire! Solo così si restituisce un volto più umano alla nostra società e sarà questa l’eredità più bella che speriamo di poter lasciare alle generazioni future!

Come sarà coinvolto il movimento per la Vita della diocesi?

Il Movimento per la Vita della Diocesi si impegna ad organizzare anche con le aggregazioni laiche della diocesi convegni e momenti di informazione e riflessione su questi temi, grazie anche alla collaborazione di Paola Bardelli di Tvl. Per il prossimo 27 Settembre alle 21, in sede da definire, è già previsto un incontro con il Professor Noia (direttore Hospice Prenatale “S.Madre Teresa di Calcutta” del Policlinico Universitario a Gemelli I.R.C.C.S. e Presidente della Fondazione “Il Cuore in una Goccia Onlus”). Il tema della serata sarà “Il volto umano dell’embrione: figlio e paziente”. Paura e solitudine chiedono il soccorso di “reti d’amore” (così le ha chiamate il Papa) per essere vinte.

In questa missione il Movimento per la Vita ed i Centri di aiuto alla Vita si riconoscono, semplicemente così: una rete di amore. A questo riguardo il Movimento e il Centro di Aiuto alla Vita di Pistoia e Quarrata nel corso di tanti anni hanno aiutato centinaia di donne in difficoltà perché potessero amare ed accogliere con serenità i loro figli grazie alla vicinanza, ma anche fornendo pannolini, latte in farmacia, medicine e tutto l’occorrente per neonati.

Daniela Raspollini




Al via la nuova edizione del festival di Musica Antica

Ottaviano Tenerani, del gruppo “Il Rossignolo”, presenta un programma ricco di appuntamenti. L’iniziativa è organizzata dall’Accademia Internazionale d’Organo e Musica Antica Giuseppe Gherardeschi di Pistoia

Quando si svolgerà a Pistoia il festival e dove? Quali sono le finalità di questa iniziativa?

Pistoia Musica Antica è un’esperienza didattica e concertistica rivolta a tutti gli appassionati e ai professionisti dell’approccio al repertorio musicale secondo criteri filologici. L’edizione 2019 si svolge presso l’Accademia Gherardeschi (Chiesa di S. Ignazio di Loyola) e in altri luoghi predisposti a questo tipo di attività (Cattedrale, Chiesa del Carmine) dall’1 al 6 luglio. Le lezioni si terranno mattina e pomeriggio. I concerti vedranno impegnati gli studenti a partire dal 1 Luglio in Cattedrale (Maki Nishimura, organo) per proseguire il 4 Luglio in Accademia (Bianca Barsanti, soprano e Michele Salotti, clavicembalo), il 6 Luglio in S. Ignazio con il concerto finale dei corsisti, il 9 Luglio ancora in S. Ignazio (Maki Nishimura, organo) e termineranno il 10 luglio con Keiko Kaihatsu (organo) alla Chiesa del Carmine.
In questa edizione sono attivi i corsi di canto barocco, flauto traverso, flauto dolce e oboe, violino barocco, tastiere storiche e basso continuo, musica d’insieme.

Chi promuove l’evento?

L’evento è promosso e organizzato dall’Accademia Internazionale d’Organo e Musica Antica Giuseppe Gherardeschi di Pistoia in collaborazione con il gruppo Il Rossignolo, complesso su strumenti originali in residence presso l’Accademia per progetti didattici e artistici.

Cosa si intende per “musica antica”?

Per musica antica s’intende generalmente la musica colta composta in Europa fino a tutto il secolo XVIII. Più in generale si è però inteso l’insieme delle musiche di cui si era interrotta tradizione esecutiva e quindi sono oggi comprese anche quelle composte entro tutto il XIX secolo. Ciò che ha inizialmente distinto la “musica antica” è il fatto che la sua esecuzione si basa sull’impiego di strumenti musicali “storici” e su una ricerca musicologica che attinge direttamente alle fonti originali. Nel corso degli anni si sono però moltiplicati progressivamente in tutta Europa, negli Stati Uniti d’America e in Giappone i complessi vocali e strumentali specializzati in tutti i vari aspetti di questo vasto ambito musicale, sono nate riviste specializzate, festival e stagioni concertistiche, e un mercato discografico specifico. Le conoscenze in campo interpretativo, organologico e tecnico si sono notevolmente accresciute e ad oggi il concetto di historically informed performance è stato applicato – come detto – anche al repertorio classico e romantico.

In questo festival verranno dunque usati degli strumenti antichi, quali?

Sarà impiegato tutto il cospicuo parco strumenti dell’Accademia; vari e importanti organi, tutti gli strumenti a tastiera in dotazione (clavicembali, fortepiano, clavicordo, virginale) e i preziosi strumenti a fiato (oboe e flauti traversi) su cui gli studenti potranno affrontare e sperimentale i vari stili e repertori come momento fondamentale di esperienza artistica e formativa. L’Accademia è particolarmente lieta e orgogliosa di questa ricchezza strumentale che ne fa un polo, per possibilità di studio rivolte agli studenti, unico e privilegiato nel panorama nazionale.

C’è interesse nei giovani per questa proposta musicale?

Decisamente e i numeri parlano chiaro. In questi ultimi sette anni centinaia di studenti in una fascia che varia dalle scuole elementari (avviamento alla musica) fino al livello post universitario di perfezionamento (provenienti da Europa, Stati Uniti e Giappone) hanno frequentato e dato vita alle iniziative dell’Accademia. A partire dal 2017 oltre quaranta sono stati gli appuntamenti annuali tra i vespri d’organo, i corsi, le masterclass, i concerti degli studenti, i concerti delle istituti ospiti, i concerti presso altre istituzioni. Le collaborazioni con i conservatori di Trieste, Genova, Firenze, Siena, Pesaro, Reggio Calabria, Cosenza, Cagliari, l’Accademia di Shirakawa in Giappone e l’Istituto Musicale Diocesano di Lucca, il Museo di San Colombano/Collezione Tagliavini di Bologna; le iniziative per le scuole elementari e medie delle provincie di Pistoia e Pisa e i progetti con l’Accademia Strata di Pisa, l’Accademia della Chitarra di Pontedera, la Scuola Bonamici di Pisa, l’Orchestra Suzuki toscana, la scuola Mabellini e l’orchestra Leonore di Pistoia. Molti i contatti con ulteriori Istituzioni italiane e straniere in via di definizione e sviluppo.

Chi è interessato a chi può rivolgersi?

Per informazioni: Accademia Internazionale d’Organo e Musica Antica “Giuseppe Gherardeschi”, Piazza Spirito Santo 8, 51100 Pistoia; Telefono: +39 0573 28787 – info@accademiagherardeschi.info
Oppure: Il Rossignolo – www.ilrossignolo.com – info@ilrossignolo.com – didattica@ilrossignolo.com

Daniela Raspollini




Missione Blues 2019: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”

Con il Luglio pistoiese torna anche quest’anno la proposta di preghiera ed evangelizzazione a cura della Fraternità apostolica di Gerusalemme di Pistoia. Un evento ormai tradizionale per la città, ma sempre ricco di grazia e attrattiva che quest’anno si intitola “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio” (Isaia 40,1).

A seguito della tragedia accaduta martedì 2 luglio, durante l’uscita in montagna dei bambini dell’oratorio che si trova in una delle parrocchie curate dalla Fraternità Apostolica di Gerusalemme, il programma della Missione Blues è stato modificato mettendo l’accento sulla preghiera.

Pubblichiamo di seguito il programma dell’evento.

 

Venerdì 5 luglio

Ore 18.30: Messa a San Paolo

A seguire cena al sacco

Ore 20.30: Introduzione/Formazione

Ore 21.30-23.30: Missione in strada (Luce nella notte) a San Filippo a cura di Nuovi Orizzonti. A San Paolo adorazione eucaristica.

 

Sabato 6 luglio

Ore 17.00: Messa alla Basilica della Madonna dell’Umiltà

Ore 21.30-23.30: Adorazione a San Paolo

 

Domenica 7 luglio

Ore 21.30-23-30: Adorazione a San Paolo




Lotta alla droga: “rimettere al centro l’uomo”

Il comunicato della federazione italiana comunità terapeutiche (FICT) in occasione della giornata mondiale della lotta alla droga, celebrata il 26 giugno.

Il 26 giugno ricorre la Giornata Mondiale di lotta alla droga.
Per mobilitare le coscienze e porre all’attenzione di tutti il dramma delle dipendenza da stupefacenti, la federazione italiana comunità terapeutiche propone un comunicato stampa sul tema “Salute e giustizia”. Il comunicato è rilanciato in Diocesi dal CEIS che si occupa da decenni di chi cade nella trappola della droga.

«In Italia – si legge nel comunicato, redatto dal presidente FICT, Luciano Squillaci– il diritto alla salute è sancito dall’art. 32 della Costituzione e l’attuazione di questo principio dovrebbe avvenire attraverso il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) di cui alla L.883/78 e l’effettiva esigibilità dei livelli essenziali di assistenza (LEA) su tutto il territorio nazionale». «Nella realtà, però -afferma il Presidente F.I.C.T.- il rapporto tra lo Stato e le Regioni e di conseguenza l’esigibilità del diritto alla salute sui territori, è condizionato dalle politiche di bilancio. In 10 anni, dalle manovre finanziarie succedutesi, si sono tagliati 37 miliardi di euro nella sanità, mettendo a rischio il sistema nazionale sanitario e creando disparità regionali nell’erogazione dei servizi pubblici e privati». «Il saccheggio della politica -continua Squillaci- alla sanità per coprire altri buchi e mantenere promesse a breve termine, ha ovviamente colpito in primo luogo le fasce più deboli, ed in particolare la lotta alle dipendenze patologiche, provocando voragini nella cura, nella assistenza e nella prevenzione, minando un diritto fondamentale».

«L’articolo 3 della costituzione – ricorda il presidente F.I.C.T. – esalta il valore dell’uguaglianza nella dignità di ogni uomo, ovvero il diritto ad un’esistenza degna. Eppure non è così per tutti e non in tutte le regioni. Ad esempio, il sistema di servizi specifici per i minori con problemi di dipendenza è carente: 25mila circa i minori ed i giovani adulti in carico agli uffici del servizio sociale per i minorenni, di questi solo 2.000 vengono inviati in strutture specializzate (il 30% di ragazzi, che ne avrebbero bisogno, non trova posto).

Culturalmente e non solo, possiamo dirlo a cuore aperto, – ricorda Squillaci- le droghe sono scomode! Diventano importanti al fine di battaglie ideologiche, ma quando si parla di cura, di riabilitazione, di prevenzione e di reinserimento sociale alla fine “lo stigma” del tossicodipendente è sempre lo stesso: “uno che se l’è andata a cercare” e “tutto sommato non ha diritto di essere curato”. E quel diritto fondamentale di cura, nel caso del “drogato”, diventa una password smarrita ed è difficile cercare a quel punto il nome utente».

«Credo che sia importante – continua Squillaci- cambiare proprio la concezione di lotta alla droga. Anziché inseguire le sostanze, cosa che sappiamo bene è assolutamente fallimentare, dobbiamo tornare a prendere in carico le persone, rimettere al centro l’uomo e la sua straordinaria ed irripetibile complessità. È necessario individuare percorsi individualizzati, creando un circolo virtuoso che rimetta in collegamento, in connessione, il territorio con i servizi. Oggi infatti -conclude il Presidente F.I.C.T.- se c’è qualcosa di più emarginato e marginale, dopo le persone con problemi di dipendenza, sono i servizi che si occupano di queste persone».




Una vita per la Chiesa. Festa per i giubilei sacerdotali

Domenica 30 giugno alle ore 18 in Cattedrale, in occasione delle ordinazioni presbiterali di don Alessio Bartolini ed Eusebiu Farcas, saranno anche ricordati gli anniversari di ordinazione presbiterale e diaconale. Quest’anno, infatti, la diocesi festeggia i cinquanta anni di vita sacerdotale di don Domenico Fini, don Gino Frosini, don Paolo Palazzi e il venticinquesimo di sacerdozio di Mons. Patrizio Fabbri, don Tommaso Chalupczak, don Valerio Mazzola, don Paul Devreux, don Elia Madu.

Accanto a questi giubilei sacerdotali ci piace ricordare il 40° di ordinazione di don Giordano Favillini e il 70° di don Napoleone Toccafondi, parroco di Spignana.

Abbiamo raccolto le loro testimonianze per raccontare la bellezza del ministero e non dimenticare il loro contributo alla vita della Chiesa di Pistoia. Una bella occasione per ringraziare il Signore e ripercorrere l’ultimo tratto di storia della nostra diocesi.

A cura di Daniela Raspollini

Cinquanta anni di vita sacerdotale

Don Paolo Palazzi

Don Paolo Palazzi

Come è nata la sua vocazione?

La mia vocazione è nata nel seno della mia famiglia, per la fede semplice e forte dei miei genitori che facevano della domenica il giorno più bello e importante della settimana proprio a partire dalla loro libera e gioiosa partecipazione alla Santa Messa. Allora si andava volentieri a messa: il parroco era la persona più importante del paese ed era molto amato dalla gente; le chiese piene di gente. Ricordo che una volta venne don Furio Fabbri  e mi condusse “con forza” in Seminario.

Dove ha svolto il servizio sacerdotale?

Sono stato ordinato presbitero nella Chiesa Cattedrale di Pistoia da mons. Mario Longo Dorni il 29 Giugno 1969. Dopo l’ordinazione il vescovo mi mandò a Vicofaro, come Cappellano di don Baroncellli, dove ricordo ancora i tanti ragazzi e giovani che frequentavano la comunità. La prima parrocchia dove ho imparato a esercitare il mio ministero di parroco è stata quella di san Pietro a Castra: ho ancora nel mio cuore tutte le persone legate alle mie prime esperienze ecclesiali. Ma sopratutto è lì che nel 1977 ho conosciuto l’esperienza del Cammino Neocatecumenale, dove lentamente Gesù Cristo mi ha trasformato. Affermo con sincerità e verità che le comunità neocatecumentali sono state, dopo la mia ordinazione sacerdotale, l’evento ecclesiale più importante della mia vita. È il cammino che mi ha fatto avvicinare, conoscere e amare i gruppi di preghiera di Padre Pio da Pietrelcina e anche le altre associazioni.

Il vescovo Simone Scatizzi nel marzo del 1982 mi ha dato l’incarico di parroco della Parrocchia della Vergine o meglio della parrocchia delle sante Maria e Tecla alla Vergine, che ho tenuto fino al Dicembre 2006, quando il vescovo Bianchi mi ha chiamato per l’ufficio di suo Vicario Generale. Ricordo con tanto affetto i gruppi presenti nella mia parrocchia. Le comunità Neocatecumenali, i gruppi di preghiera di san Pio da Pietrelcina, i gruppi del Vangelo, Il coro della parrocchia, Il Sicomoro  e il coro Gospel. Voglio ricordare con gioia i 30 catechisti per la Cresima e la Comunione, i 15 catechisti per il dopo cresima e la comunione e i giovani che potevano crescere nella fede con l’aiuto dello Spirito Santo. Voglio ricordare anche il gruppo legato al Centro Giovani sempre presente nella vita della comunità parrocchiale che ha servito con umiltà e con fedeltà. In ultimo ricordo il Consiglio di amministrazione e il Consiglio pastorale; numerose famiglie delle quali ho sperimentato la generosità, amicizia e fraternità cristiana.

Nel dicembre del 2006 mons. Bianchi mi ha dato l’ufficio di Vicario Generale che ho esercitato fino al Maggio 2014. Da Maggio a Dicembre 2014, durante la sede vacante, ho esercitato in Diocesi l’ufficio di Amministratore Diocesano. Chiedo perdono al Signore per la mia fragilità umana nell’aver guidato per breve tempo la diocesi di Pistoia. Sono stato Vicario Generale di mons. Fausto Tardelli fino a tutto il dicembre 2015. Ora da tre anni e sei mesi sono nella Parrocchia di santa Maria Immacolata dove sto trascorrendo i momenti più belli della mia vita di presbitero,  forse perché sono più vicino al passaggio da questa vita all’altra, ma sopratutto perché ho conosciuto persone stupende con le quali vivo, parlo, discuto, prego, annuncio il Vangelo e celebro l’Eucarestia. In Parrocchia ci sono importanti itinerari cristiani che devono sempre crescere nella testimonianza del Signore. Sono il gruppo dei catechisti per la cresima e per la Comunione e per il dopo Cresima, la pastorale battesimale e dei malati, l’Azione Cattolica, le Comunità Neocatecumenali, i gruppi di preghiera di padre Pio, i gruppi del Vangelo, la Caritas parrocchiale, il movimento apostolico ciechi, l’adorazione eucaristica del primo Venerdì del mese.

Poi ci sono i gruppi di servizio, come le donne che puliscono la Chiesa, le donne del mercatino e tutte le persone della grande organizzazione del sabato sera.

Il Signore, infine, mi ha fatto un dono stupendo: il 13 Giugno scorso, alle ore 7, ho concelebrato a Santa Marta con papa Francesco, di cui ricordo ancora gli occhi sofferti, sereni e sicuri che trasmettevano la santità di Cristo crocifisso e risorto e la fermezza di un santo pastore che ama la sua Chiesa e il mondo intero. L’ho abbracciato e ho detto grazie per la sua fedeltà al Vangelo e alla Chiesa.

Quale è il suo messaggio dopo tutti questi anni?

Fare il prete nella Chiesa cattolica è bellissimo; obbedire, essere poveri e casti in Cristo è possibile solo con l’aiuto della grazia di Dio e custodendo nel cuore la sua parola (Sal 118,9). Questo ti da una gioia impressionante nell’annunciare il Vangelo a tutte le genti. Penso ai giardini profumati del Cantico dei Cantici, alla bellezza dello sposo, al talamo nuziale eterno e dolcissimo per continuare a gridare «Quanto sei bello amato mio, attirami sempre dietro a te» con l’aiuto di Maria santissima, tua diletta sposa e nostra Madre.

Don Domenico Fini

DON DOMENICO FINI

Come è nata la vocazione?

La mia vocazione è maturata nel tempo, infatti dopo la quinta elementare ho scelto di entrare in seminario e la mia vocazione si è rafforzata fino a decidermi di diventare prete. Eravamo 120 aspiranti sacerdoti, però a scegliere questa strada siamo stati in quattro. Io sono stato ordinato il 29 giugno 1969 da Mons. Mario Longo Dorni.

Dove ha svolto il suo servizio sacerdotale?

All’inizio del mio ministero sono andato a Pian degli Ontani perché il parroco di allora aveva avuto un incidente stradale, poi sono stato a Montale dove allora era in servizio don Baldino Baldini e lì facevo il cappellano. Vi sono rimasto fino alla fine del 1970. Successivamente mi hanno trasferito a Bardalone dove mi trovo ancora adesso. Oltre alla mia parrocchia ho svolto servizio anche per altre parrocchie della montagna: Pontepetri, Lagacci, Limestre. Attualmente sono a Bardalone e faccio servizio anche a Pontepetri e Orsigna.

Nella sua opera pastorale quali sono state le difficoltà, le gioie?

Vi sono state delle difficoltà perché quella era una zona non facile. La popolazione era di estrema sinistra, erano indifferenti e il fatto religioso non faceva parte della loro vita, il sacerdote non era nelle loro aspettative.

Le gioie sono state il vedere che adesso le cose sono cambiate; la realtà è un’altra e il mio impegno è stato ripagato con affetto e stima da parte dei fedeli. Adesso vi è una comunità con aspetti certamente negativi e positivi in cui circa il 10% partecipa alle funzioni religiose. Per quanto riguarda le tradizioni popolari religiose ho un bel ricordo di quando un tempo si festeggiava il santo patrono della Parrocchia di Bardalone: “San Giovacchino”.

Qual è il suo messaggio dopo tutti questi anni?

Vorrei dire che scegliere di fare il sacerdote non è un cammino facile, ma con pazienza è un bel cammino! Vorrei dire a coloro che sceglieranno questa strada che ne vale assolutamente la pena.

Don Gino Frosini

 

DON GINO FROSINI

Don Gino, come è nata la vocazione?

Sono i disegni del destino.. il Signore mi ha chiamato ed io ho risposto con semplicità e dedizione.

Dove ha svolto il servizio sacerdotale?

Ho alle spalle un lungo cammino pastorale, infatti sono ad oggi 70 anni di servizio speso in tre diverse parrocchie: a San Vitale, San Pierino, poi San Sebastiano e infine Chiazzano, dove sono stato ventidue anni.

Ci sono delle figure che vuole ricordare?

Sì, mi piace ricordare una figura di sacerdote, don Mario Gherardini che ho avuto la fortuna di conoscere quando ero in servizio a San Vitale. Gli ho voluto tanto bene e lui mi ha insegnato tante cose, tra le quali l’amore per la gente; la sua testimonianza di fede e di impegno pastorale è stata grande e significativa per me. Era un sacerdote che seguiva con grande amore la sua parrocchia e lui è stato per me un esempio da imitare!

Nella sua opera pastorale si voluto dedicare alle missioni, specialmente in Africa; come è nato questo suo interesse?

Un paesano a suo tempo mi ha fatto conoscere Padre Agostini, il quale mi ha portato con sè in un viaggio in Africa. Da quel momento ho trovato un grande interesse per quelle terre povere: è stata un’esperienza che mi ha segnato e ho voluto proseguire su questa strada, occupandomi personalmente di queste terre, promuovendo progetti a sostegno di quelle popolazioni. Ho voluto aderire all’Associazione Amici dell’Africa di Martine Bugiani di Casalguidi, collaborando con loro tramite la mia parrocchia di Chiazzano. Di recente sono stato in Africa con Martine a Gennaio…

Quale messaggio vuole darci dopo tutti questi anni?

Vorrei dire che vale la pena scegliere la vita consacrata e scegliere di diventare prete.

 

Venticinque anni di vita sacerdotale

Mons. Patrizio Fabbri

Mons. Patrizio Fabbri

Venticinque anni di sacerdozio: fare memoria del dono ricevuto, consapevole che c’è stata una sproporzione fra ciò che si riceve e quello che si è capaci di contenere nel giorno dell’ordinazione, ma ancora di più nell’esercizio del ministero. È impossibile raccontare tutto quello che sono stati questi venticinque anni!

In questi giorni risuona nelle mie orecchie il testo di Isaia 55,6-9: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri».

Credo fermamente che la chiamata ricevuta da nostro signore Gesù Cristo a seguirlo più da vicino sulla via del presbiterato sia un allenamento ad alzare gli occhi verso l’alto per misurare ogni giorno quanto il «cielo sovrasti la terra».

Per noi “empi e iniqui”, quando ci accorgiamo di non essere capaci di calcolare quanto le sue vie sovrastino le nostre vie rimane la consolazione di tornare da colui che «largamente perdona». Un grazie di cuore a tutti coloro che in questi anni mi hanno aiutato a capire la bellezza di questo dono e a quanti mi hanno insegnato a custodirlo.

don Cristiano d’Angelo

 

DON CRISTIANO D’ANGELO

Come è nata la vocazione?

La prima volta in cui ricordo di aver voluto vivere come Gesù risale alla mia infanzia quando all’età di 5 o 6 anni circa avevo visto il film su San Francesco di Assisi di Zeffirelli. Ricordo benissimo dopo il film di aver sentito la bellezza di una vita che poteva essere anche la mia e che mi sarebbe piaciuto vivere. Naturalmente fu solo una folgorazione momentanea, che tuttavia si impresse così profondamente in me da non essersi mai più cancellata dalla memoria anche se per anni non ho più ripensato a quella esperienza, se non alla soglie dell’ordinazione, quando cercando di ricostruire gli inizi della mia vocazione mi apparve chiaro che in quella visione dell’infanzia c’era già tutto quello che avrei desiderato vivere. Ma prima di allora la mia è stata una vita normale, come quella di tanti ragazzi, cresciuto in una famiglia dalle origini contadine, emigrata in toscana dagli Abruzzi, nella quale ho imparato il valore dell’impegno, dell’amore per la natura e i suoi ritmi, l’importanza della parola data, il senso del dovere e la responsabilità, l’importanza delle relazioni amicali e dell’aiuto reciproco.

Nella mia famiglia non si parlava molto di Dio, ma Dio era una presenza normale, e così fu fino a quando, divenuto adolescente, negli anni del liceo ho incontrato la filosofia e la riflessione critica che mi portarono ad allontanarmi dalla fede e dalla chiesa per qualche anno. In realtà in me il bisogno di cercare la verità non si era mai sopito e così, mentre vivevo come ogni ragazzo  le gioie e le sfide della gioventù, continuavo a leggere filosofi e religioni. Ma la vera svolta fu quando per una serie di circostanze cominciai a frequentare un piccolo gruppo di giovani in parrocchia a Casini guidati da suor Giovanna Cheli che leggeva settimanalmente la Parola di Dio. Il salmo “tu mi scruti e mi conosci” e il vangelo di Gesù che abbraccia i bambini furono per me come due terremoti interiori che, paradossalmente, mi mostrarono un volto di Dio in cui non credevo ancora, ma che mi affascinava e che rispondeva al mio bisogno di un assoluto che non schiaccia l’altro, ma anzi si identifica con gli ultimi e i piccoli. Il paradosso di quel Dio, infinito e onnipotente che si annulla per amore, mi turbava e mi innamorava. Non ritrovai, comunque, subito la fede, ma continuai ad andare al gruppo giovani, approfondendo il vangelo e camminando insieme ad altri ragazzi in un cammino di crescita umano e spirituale, accompagnato dal servizio anche in parrocchia, dove mi scosse molto il lavoro con i bambini nei campi estivi e un servizio a una famiglia povera della parrocchia. Nel frattempo crescevo e cominciavo a sentire dentro qualcosa che prima non conoscevo, una gioia che non sapevo dire, ma che era reale e presente ogni volta che nel silenzio, o contemplando la vita o ascoltando il vangelo, o facendo un servizio emergeva e si imponeva alla mia coscienza, anche al di là delle mie prese di posizioni teoriche contro l’esistenza di Dio e la fede. E così ormai dentro ero cambiato fino a quando mi fu chiesto in occasione di un Natale di riconfessarmi, cosa che alla fine feci, e che mi portò una gioia così grande che desiderai subito donare la mia vita al Signore, perché avevo sempre detto a me stesso che se avessi scoperto Dio non avrei potuto vivere che per Lui. Il bravo confessore in cui incappai e che in seguito divenne per un lungo tempo mio padre spirituale mi disse di aspettare e di fare le cose con calma, e così feci, ma mai venne meno la mia scelta.

In definitiva la mia vocazione è stata una lunga gestazione che non ci sarebbe stata senza la mia famiglia, senza l’incontro con il Vangelo e la parola di Dio, senza l’esperienza di un cammino insieme ad altri ragazzi, e senza l’esperienza del servizio e dei poveri.

Dove hai svolto il servizio da presbitero?

Dopo un breve periodo come vice rettore in seminario e vice parroco a Casini fui mandato dal vescovo nella parrocchia di San Francesco a Bonistallo dove continuo attualmente a fare il parroco.

Nella tua opera pastorale quali sono state le difficoltà più grandi, quali le gioie più significative?

Credo che la sfida più grande di oggi è la dispersione, le troppe cose che si fanno, mentre invece credo si dovrebbe tornare all’essenziale: l’annuncio del vangelo; le relazioni; la costruzione di comunità cristiane vive e consapevoli con cui camminare insieme e condividere il compito missionario; la testimonianza della carità.

Le gioie sono state tantissime ma mi piace qui ricordare l’esperienza ogni volta sorprendente dell’opera di Dio che ti fa crescere, ti irrobustisce, ti rinnova, quando ti dedichi agli altri, quando parlando del vangelo e rendendoti disponibile all’ascolto ti accorgi che proprio attraverso coloro che tu servi Dio ti visita e ti conferma nella fede.

Ci sono figure che vuoi ricordare?

Certamente tutti coloro con cui sono cresciuto e che mi hanno aiutato a scegliere con libertà e consapevolezza a diventare prete. Ma poi tutte quelle persone, e sono tante, che in questi anni di vita parrocchiale mi hanno lasciato esempi luminosi di fede, di speranza e di carità.

Qual è il tuo messaggio dopo tutti questi anni?

In questi anni sono molto cambiato e grazie a Dio posso dire di aver visto molte volte operare la grazia di Dio. Questo dunque è il mio messaggio, Cristo vive ancora e il Vangelo è ancora capace di trasformare i cuori degli uomini in sorgenti di pace. Tornare al Vangelo, questo è il mio messaggio, e Lui lo Spirito di verità ci condurrà a Dio.

Don Tommaso Chalupczak

Don Tommaso Chalupczak

Come è nata la sua vocazione?

Da sempre volevo diventare sacerdote. Senza dubbio ha consolidato questo desiderio la mia famiglia, soprattutto la bisnonna, che mi portava ogni giorno a mezzogiorno ad un vicino convento a suonare le campane all’Angelus Domini. Poi sono state importanti la vocazione sacerdotale del cugino di mia madre e l’elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo II.

Dove ha svolto il servizio sacerdotale?

Dopo l’ordinazione avvenuta nella mia città, Kielce, il 4 giugno 1994 ho lavorato per due anni come viceparroco e cappellano dell’ospedale e in una parrocchia di ottomila abitanti. Le prime messe, le prime confessioni, il buon rapporto con il parroco e altri due viceparroci, il contatto con i malati, tante volte abbandonati alla solitudine e alla morte, le amicizie con le persone più grandi, ma desiderose di avere una guida, sono rimasti profondamente impressi nel mio cuore. Dal 1996 al 2003 il vescovo mi ha mandato a Roma al Pontificio Ateneo di Sant’Anselmo per conseguire il dottorato di Sacra Liturgia. Tra i benedettini ho trovato tanti professori bravi e alcuni anche umili. Proprio studiando ho cominciato a venire a Pistoia, dove il vescovo Simone Scatizzi mi ha mandato per un mese a Vignole per aiutare don Patrizio Fabbri e poi a San Pantaleo per sostituire mons. Bertini, che era molto malato. Dopo la sua morte ho vissuto una bella esperienza pastorale a San Pantaleo con tanti amici, che con la loro vicinanza sono diventati la mia famiglia. Quando due mesi prima del dottorato mi ruppi la gamba, nella canonica di San Pantaleo non mi mancava niente. Nella mia parrocchia italiana ho sperimentato la bellezza dell’amicizia di tante persone.

Senza dubbio un’altra bella esperienza, che ho avuto a Roma, fu l’amicizia con le suore del Papa. Una di esse – la cuoca Suor Germana – proveniva dalla mia città. Questo fatto mi ha dato la possibilità di incontrare spesso San Giovanni Paolo II, la cui presenza mi intimoriva e incoraggiava nello stesso tempo.

Poi nell’agosto del 2003 il vescovo di Kielce mi fece tornare in diocesi. Per me fu doloroso dover interrompere le amicizie ed intraprendere una vita nuova, ma obbedienza è obbedienza. Per sei mesi ho lavorato come viceparroco del Duomo, poi sono tornato per un intervento alla gamba a Pistoia, mantenendo così i rapporti con gli amici. Tornato a Kielce sono stato il segretario del vescovo Casimiro e di Mons. Mariano (vescovo ausiliare e frequentemente ospite a Pistoia) , professore del seminario, cerimoniere e moderatore diocesano della liturgia. Nel 2007 ha deciso di tornare a Pistoia, dove dopo qualche mese ho cominciato a svolgere il servizio nella Parrocchia della Vergine. Da un anno e mezzo sono di nuovo a San Pantaleo e nelle parrocchie di Collina e Vinacciano.

Nella sua opera pastorale quali sono state le difficoltà più grandi, quali le gioie?

Una delle esperienze più toccanti che ho fatto a Pistoia è stata quella di poter assistere il vescovo Simone negli ultimi mesi della sua vita portandogli ogni giorno l’Eucarestia e soprattutto poter partecipare all’estrema unzione (sic!) che gli impartii tre giorni prima della sua morte. Il vescovo preparò per questo rito le letture, che lui stesso lesse. Mi è rimasto impresso soprattutto il frammento delle Confessioni di sant’Agostino: «tardi ti ho amato, Bellezza Antica… Io Ti cercavo fuori, e Tu eri dentro di me». L’esperienza di una persona che con serenità e fede affronta la morte non si può scordare.

Una delle cose che più mi turbano è assistere al cambiamento dell’Europa, che perde la fede cristiana. Ventotto anni fa, durante un oratorio estivo ci è stato letto un racconto intitolato “L’ultimo monaco di un convento”. Allora nel nostro seminario di Kielce c’erano 250 seminaristi. Quell’articolo ci sembrava assurdo. Purtroppo in breve siamo arrivati a questo.

Qual è il messaggio che vuole dare dopo tutti questi anni ?

“Grazie”! Ringrazio Dio per il bene che mi ha dato. Quando ero in seminario volevo celebrare almeno una messa: in 25 anni quante ne ho dette? Colgo l’occasione per salutare gli amici e per ringraziarli per tutto il bene, che in questi anni mi hanno dato!

Don Valerio Mazzola

Don Valerio Mazzola

Come è nata la tua vocazione?

La mia vocazione è nata dopo una preghiera alla Madonna che mi ha convertito all’età di 14 anni. La mia vocazione era missionaria, mi piacevano le missioni. Sono entrato nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi e ho studiato fino all’età di 28 anni, ricevendo anche l’ordine del diaconato a Brescia. Poi sono uscito dall’ordine per fare un’esperienza a Ivrea nel mondo operaio e ho chiesto la dispensa dallo stato clericale. Dopo alcuni anni trascorsi nel mondo del lavoro nel 1970, su consiglio di un padre carmelitano, sono venuto in Toscana all’Eremo di Campiglione e ci sono rimasto per tre anni; poi sono sceso a Firenze in una Casa Famiglia per ragazzi handicappati dove sono rimasto fino al 1976, quindi mi sono ritirato a Stia nel Casentino, in una canonica messa a mia disposizione dal parroco, e lì ho trascorso nove mesi circa. Fu in quel periodo che ho sentito rifiorire in me la vocazione sacerdotale che credevo spenta del tutto. Nel 1998 sono venuto a Pistoia su invito di Mons. Scatizzi che mi aveva conosciuto già nell’eremo e sono rimasto nella comunità di Don Giordano Favillini. Nel 1990 mons. Scatizzi mi ha mandato nella parrocchia di Villa Baggio dopo essere reintegrato nel clero con la dispensa da Roma. Nel 1994 sono stato ordinato sacerdote insieme a Don Patrizio Fabbri e a Paul Devreux.

Dopo l’ordinazione sono rimasto sempre a Villa Di Baggio fino al Febbraio di questo anno dopo che mi hanno ricoverato in ospedale; adesso sono in seminario per curarmi.

Quali sono state le difficoltà e le gioie nella sua opera pastorale?

La difficoltà è stata dal punto di vista religioso: le persone erano persone buone, ma non molto spirituali, erano travolte dalle necessità della vita, dai problemi e per questo motivo la presenza alla Liturgia era scarsa rispetto al numero degli abitanti del paese. La gioia è stata quella di essere un sacerdote che ha cercato di svolgere al meglio possibile il suo ministero. E pensare che non avrei mai desiderato essere un parroco diocesano, ma mi sarebbe piaciuto essere un prete missionario.

Ci sono delle figure che vuole ricordare?

Ricordo mons. Scatizzi, che per me è stato un papà, mi ha voluto bene e mi ha voluto nella sua diocesi. Ricordo anche con molto affetto lo scomparso Mansueto Bianchi, che considero il mio fratello maggiore. Le persone da ricordare sarebbero tante, ma non posso fare nomi di ciascuno, li porto sempre nella mia preghiera.

Qual è il suo messaggio dopo tutti questi anni?

Dopo le varie esperienze burrascose della vita si può enucleare un messaggio tratto dal versetto di un salmo (52,10): «Io invece come olivo verdeggiante nella casa di Dio. Mi abbandono alla fedeltà di Dio ora e per sempre». Credo che il valore della della propria vita consista proprio nel sapersi abbandonare a questa fedeltà che non viene mai meno. A tale proposito vorrei aggiungere anche un altro versetto tratto dal salmo 93,14: «La sua eredità non la può abbandonare».

don Elia Madu

DON ELIA MADU

Come è nata la vocazione?

La mia vocazione al sacerdozio era stata preceduta dalla grazia di essere nato in una famiglia cattolicissima e dai genitori cattolicissimi, con un’educazione alla fede cattolica ben salda. Tra gli anni sessanta e settanta ero molto interessato alla professione medica e contemporaneamente sentivo il richiamo verso il sacerdozio. In questi anni, facendo il chierichetto in parrocchia, la vocazione al sacerdozio prese il sopravvento sulla professione medica. Sono quindi entrato nel seminario minore nel 1971. Terminati gli studi teologici nel 1983 sono entrato nell’Ordine Francescano (Cappuccini) dal 1984 e 1988. Nello stesso anno del 1988, lasciando i Cappuccini sono entrato nella diocesi di Pistoia.

Dove hai svolto il servizio da presbitero?

Sono stato ordinato sacerdote nel 1994 e ho prestato il mio primo servizio sacerdotale Popiglio fino a 1997. Dal 1998 faccio il Parroco nella Parrocchia di Castra. Più precisamente, ho incominciato a venire qui verso la fine del 1997, quando andavo da Popiglio a Castra per le celebrazioni festive.

Nella tua opera pastorale quali sono state le difficoltà più grandi, quali le gioie più significative?

Per quanto riguarda le difficoltà maggiori, direi che le difficoltà sono state tante come in qualsiasi ambito di vita, ma sinceramente non ho ricordo di quali siano state le maggiori. Le gioie più significative invece sono state e sono tuttora, tutte le volte che ho celebrato e comunicato il corpo e il sangue di Cristo alle creature di Dio che per la prima volta ricevono questo sacramento.

Ci sono figure che vuoi ricordare?

Le figure da ricordare sono tre: il Canonico Don Renato Gargini, Mons. Simone Scatizzi, Mons. Mansueto Bianchi per tutto quanto mi ha donato il Signore tramite ognuno  di loro.

Qual è il tuo messaggio dopo tutti questi anni?

Il mio messaggio è questo: sono arrivato al sacerdozio per vie lunghe e tortuose, ma oggi sono felicissimo. Perseveranza e pazienza è il mio augurio a tutti.

DON PAUL DEVREUX

Come è nata la sua vocazione?

La mia vocazione è nata e maturata nella comunità Passionista di Forrottoli, prima situata sul monte Argentario.

Dove ha svolto il suo servizio sacerdotale?

Ho servito 18 parrocchie. Prima a Pian degli Ontani e dintorni. Poi all’Immacolata, Val di Bure e Santo Moro. Da tre anni mi occupo di Campiglio, Piazza e Cireglio.

Nella sua opera pastorale quali sono state le difficoltà, quali le gioie?
La difficoltà più grande è accontentare chi si considera un buon cristiano. La soddisfazione più bella è quella di riuscire a proporre il Vangelo ai lontani.

Ci sono delle figure che vuole ricordare?

Figure importanti sono state Padre Vittorio della comunità di Forrottoli, per la sua accoglienza.
Padre Virginio Spicacci, gesuita, che mi ha dato gli strumenti per spiegare quello che vivo.

Qual è il suo messaggio dopo tutti questi anni?

Il mio messaggio è che il Vangelo è bello da vivere e da annunciare.

 

Settantesimo di sacerdozio

don Napoleone Toccafondi

don Napoleone Toccafondi

Don Napoleone è nato il 13 febbraio 1926 a Quarrata. Prima di salire in montagna don Napoleone è stato cappellano a Carmignano in aiuto a Don Mario Frati, poi parroco a Limite sull’Arno dal 1949 al 1951. Poi è stato trasferito a Lizzano e Spignana, dove ora, novantaquattrenne, risiede e opera. Dopo la sua ordinazione ha dedicato fino ad oggi la sua vita a Cristo, nonostante la sua età e gli acciacchi celebra ancora la Santa Messa nella sua parrocchia di Spignana. Nel 1952, appena arrivato nelle sue parrocchie, ha dato un aiuto non solo spirituale, ma anche materiale, infatti ha restaurato la chiesa di Spignana e la sua canonica. Nel 2017 il vescovo Tardelli ha nominato da Napoleone Toccafondi canonico onorario della Basilica Cattedrale.

Sono 17 anni ormai che risiedo in montagna e devo dire che don Napoleone è stata una grande figura per tutti noi, non solo per la parrocchia di Spignana ma anche per le altre parrocchie come Lizzano e Popiglio.

In tutti questi anni è stato un buon esempio per noi preti nella vita come uomo e come sacerdote . Per le sue parrocchie di Spignana e Lizzano ha fatto tanto e fino ad ora rappresenta una autorità del luogo.

Nel 1952, appena arrivato nelle sue parrocchie, ha dato un aiuto non solo spirituale, ma anche materiale, infatti ha restaurato la chiesa di Spignana e la sua canonica.

Don Adamo Tabiszewski

 

Quarant’anni di ordinazione sacerdotale

don Giordano Favillini

Don Giordano Favillini

 Come è nata la sua vocazione?

Ho percepito la mia vocazione per la prima volta a 14 anni e dopo un ritiro organizzato dall’Azione Cattolica a Limestre decisi di entrare in Seminario. Sono stato ordinato presbitero il 22 aprile 1979, allora domenica in Albis, oggi domenica della Divina Misericordia. Nel luglio del 1977 fui ordinato diacono e subito il Rettore mi chiese di collaborare con la nascente Caritas di cui sono stato vicedirettore fino all’inizio degli anni novanta. Contemporaneamente sono stato responsabile del servizio civile della Caritas fino al 1995. Nello stesso tempo come diacono ho fatto servizio nelle parrocchie di San Felice e Sant’Alessio, poi per tre anni da sacerdote sono stato cappellano a San Michele alle Casermette.

Dove ha svolto il servizio sacerdotale ?

Nei primi anni del mio ministero, insieme ad altri amici, ho iniziato la realtà di Casa Mamre nell’accoglienza di tanti ragazzi in difficoltà e sono stato incaricato della pastorale giovanile della Diocesi. Infine ho svolto il servizio di parroco a San Paolo, quindi alla Basilica della Madonna dell’Umiltà. La nascita della Fraternità di Gerusalemme, l’Adorazione Eucaristica perpetua e altro.

Nella sua opera pastorale quali sono state le difficoltà più grandi, quali le gioie?

Le difficoltà sono state diverse: una nel non essere capito nel ministero pastorale, un’altra nel dover operare dei cambiamenti per rendere comprensibile la fede in un tempo di grandi trasformazioni, pur rimanendo nel tracciato della sana Tradizione, senza trovare sempre l’aiuto in questa operazione così difficile. Le gioie sono state tante: è difficile poterle citare. Comunque una è stata vedere tante persone che hanno scoperto l’amore di Dio e il cambiamento della loro vita.

Ci sono delle figure che vuole ricordare?

In questi anni ho conosciuto tante persone che hanno influito sulla mia vita: dal Rettore di seminario mons. Frosini, fr. Roger di Taizè, Carlo Carretto, Mons. Scatizzi, con il quale ho avuto un buon rapporto, don Mauro Gatti, tante altre persone che ho conosciute; da tutte ho ricevuto molto, per ricordarle sarebbero troppe.

Qual è il suo messaggio dopo tutti questi anni?

Vale la pena dedicare tutta l’esistenza al Signore, con Lui la vita diventa una bellissima avventura per niente noiosa e piena di imprevisti meravigliosi. Ma ciò che entusiasma di più è sapere che con la mia povera umanità, attraverso l’ordinazione sacerdotale sono strumento che perpetua nel tempo e nella storia la Misericordia di Dio e la Redenzione del mondo che si compie nella celebrazione Eucaristica.




La bellezza di servire il Signore. Anniversario di ordinazione per sei diaconi

Domenica 30 giugno, alle ore 18, in occasione delle ordinazioni presbiterali, saranno ricordati in Cattedrale anche gli anniversari di ordinazione sacerdotale e diaconale. Numerosi i diaconi che festeggiano i loro venticinque anni di ordinazione: Sauro Gori, Pier Giovanni Franchi, Giovanni De Curtis, Raffaello Pratesi, Lido Palandri, Paolo Gelli.

Riportiamo di seguito alcune interviste e testimonianze raccolte da Daniela Raspollini.

 

25° Ordinazione diaconale

SAURO GORI

Dopo l’ordinazione quali sono stati i servizi che ha svolto e qual è l’impegno che sta svolgendo oggi?

Per diversi anni, subito dopo l’ordinazione, ho svolto servizio nella parrocchia di Sant’Andrea a fianco di don Fernando Grazzini nella catechesi dei giovani e degli adulti, nell’attività liturgica e nei servizi parrocchiali. Anche prima dell’ordinazione facevo servizio con padre Gabriele alle carceri e ho continuato l’attività con padre Stefano, don Alessandro e padre Alfredo che si sono susseguiti come Cappellani in collaborazione con l’associazione Il Delfino, sia per l’attività catechetica e liturgica, sia sotto l’aspetto di sostegno e supporto ai detenuti dentro e fuori dell’istituto.

Con il passare degli anni è venuta meno l’attività parrocchiale nella chiesa di Sant’Andrea e sono stato chiamato a svolgere servizi liturgici (celebrazioni della Parola, battesimi, catechesi, ecc…) nelle chiese soprattutto di montagna e collinari, dove mancava il presbitero oppure era impedito da età o malattia. Negli ultimi anni, dopo un servizio di accompagnamento a don Innocenzo nel suo ingresso come parroco nella chiesa di Valdibure, il vescovo Tardelli mi ha chiesto di svolgere “cura pastorale” nelle chiese della Val di Forfora: Crespole, Calamecca, San Luigi a La Valle e per un periodo, prima che fosse nominato parroco don Ugo, anche nelle chiese di Avaglio, Femminamorta e Panicagliora, cura che cerco di svolgere tuttora in aiuto e insieme a don Ugo. Nei limiti del possibile cerco di mantenere un rapporto vivo con la cappellania del carcere, luogo, a mio avviso, privilegiato della presenza del nostro Signore Gesù Cristo.

Qual è il suo messaggio in occasione della ricorrenza di ordinazione diaconale?

Quello che vorrei fare è un vivo augurio a quanti si stanno preparando per “ricominciare” il cammino del diaconato permanente nella diocesi di Pistoia. Il nostro servizio è vivo, pieno di prospettive, capace di coniugarsi in mille modi, ha bisogno della fantasia di ciascuno di noi. Io l’ho sentito sempre accompagnato da gratitudine e considerazione da parte delle persone che ho incontrato e da una “grazia” particolare che credo venga dall’ordinazione e dal mandato del vescovo.

Giovanni de Curtis

GIOVANNI DE CURTIS

Dopo l’ordinazione quali sono stati i servizi che ha svolto e qual è l’impegno che sta svolgendo oggi?

Dopo la mia ordinazione ho collaborato con il parroco di Casalguidi e nelle parrocchie di Cireglio e Saturnana. Poi sono stato collaboratore pastorale nelle parrocchie di Carmignano e con il parroco nella parrocchia di Santa Cristina a Mezzana per circa dieci anni. Ora collaboro nella parrocchia di Artimino con don Antonio Giorgi e don Cristiano d’Angelo.

Qual è il suo messaggio in occasione della sua ricorrenza di ordinazione diaconale?

Il mio messaggio è una preghiera: Signore aiutami nel mio ministero e soprattutto -come dice Papa Francesco- fammi sentire il profumo delle pecore che mi hai affidato. Fa’ che ogni giorno sia entusiasta di servirti nella santa Chiesa dove lo Spirito Santo mi invia per portare il buon profumo di Cristo!

 

PIERGIOVANNI FRANCHI

Dopo l’ordinazione quali sono stati i servizi che ha svolto e qual è l’impegno che sta svolgendo?

Tra i primi impegni che ho svolto è stato il servizio in curia presso l’ufficio amministrativo; nel frattempo ho prestato servizio a San Felice, dove allora era parroco don Giovanni Scremin, a Saturnana e le Grazie. Successivamente, dopo la morte di don Caroli, sono andato a fare servizio a Belvedere e al Villone. Attualmente mi occupo della Parrocchia di Belvedere e della Chiesina del Villone.

Qual è il suo messaggio in occasione della ricorrenza di ordinazione diaconale?

Ringrazio il Signore e lo Spirito Santo per la sua misericordia, per avermi dato la fede e messo a contatto con la sua parola. Il servizio è un arricchimento, non è un sacrificio; ci si rende conto che siamo sempre debitori verso di Lui che ci dà sempre e noi non possiamo che offrire la nostra disponibilità.

Raffaello Pratesi

RAFFAELLO PRATESI

Dopo l’ordinazione quali sono stati i servizi che ha svolto e qual è l’impegno che sta svolgendo oggi?

Nel 1990 ricordo di aver visto dei manifesti che invitavano alla formazione teologica della scuola diocesana, proponendo anche l’opzione del diaconato permanente, con la possibilità -già da allora-, di svolgere servizio pastorale in aiuto al parroco. Così mi resi disponibile e avviai il primo passo: mettermi sotto osservazione di chi avrebbe poi dovuto decidere. Ne parlai in casa: nacquero perplessità a non finire! Poi i diaconi amici di vecchia data fecero la loro parte e cominciò il cammino. Nel 1994 avvenne l’ordinazione e subito fui inviato in una piccola parrocchia, la seconda di un parroco anziano e malato, dove iniziai il mio ministero ordinato.

Poi il vescovo Simone Scatizzi mi chiese di mettere insieme, nel vicariato del Vincio, un gruppo di azione cattolica adulti, con particolare riferimento alla pastorale compresa quella sociale e del lavoro. Poi, purtroppo, i preti cambiano, le faccende -dispiace dirlo- si complicano e tutto finisce! Per fortuna, però, non è mai venuto meno il mio entusiasmo, l’impegno e la fortuna di essere presente in curia a contatto con tanti preti. Non voglio dimenticare il passaggio da Montale, dove ho potuto vedere iniziative pastorali a me utili. Oggi svolgo servizio nella comunità di Sarripoli. Qui opero in “autonomia”, sotto il coordinamento del parroco don Carlo Bonaiuti. Ho impostato qui un piano pastorale che tiene conto di quello diocesano e nel piccolo segnalo un buon andamento di relazioni e di intesa con la gente; con piacere registro oggi la consapevolezza di sentirsi comunità di comunione (lasciatemi dire: meno “pipiona”). Penso sia pure giusto dare anche un’attestazione di merito ai parrocchiani di Sarripoli: piccoli numeri, ma il possibile non viene lasciato indietro.

Il messaggio che lascio è questo: riprenda il cammino diaconale e la comunità dei fedeli si renda conto della sua importanza. Ci sia un diaconato “settorialmente specializzato” nel campo dei servizi alla persona; non si abbia timore della presenza diaconale in parrocchie dove è impossibile raggiungerle tutte sempre.

 

PAOLO GELLI

Dopo l’ordinazione  quali sono stati i servizi  che ha svolto e qual è l’impegno che sta svolgendo?

Negli anni del  diaconato ho svolto il mio servizio pressoché in tutta la Diocesi laddove c’era bisogno di una sostituzione o della presenza di un diacono. In particolare però, ho lavorato nella parrocchia di Casalguidi, luogo della mia residenza, con don Renzo Aiardi. Inoltre per undici anni tutte le domeniche mattina ho collaborato con don Francesco Pieraccini nelle parrocchie di Mastromarco e Cerbaia. Su mandato del vescovo Scatizzi ho anche svolto servizio per molti anni al centro Caritas san Martino de Porres. Attualmente sono “in pensione” per motivi fisici, ma l’impegno della preghiera continua sempre.

Qual è il suo messaggio in occasione della sua ricorrenza di  ordinazione diaconale?

Dopo venticinque anni mi sento di affermare che ho vissuto il mio impegno diaconale con gioia e disponibilità totale, supportato anche dalla pazienza di mia moglie Paola che desidero ringraziare pubblicamente.  Ho dato tutto quello che ho potuto, e ho ricevuto moltissimo dalle tante persone con le quali sono stato in contatto, e per tutto questo dico: grazie Signore!

Lido Palandri

 

LIDO PALANDRI  

Il 27 febbraio 1994 fui ordinato diacono insieme ad altri sei aspiranti al diaconato dal vescovo Simone Scatizzi e cioè Raffaello, Paolo, Giovanni de Curtis, Pier Giovanni  Franchi, più Ferdinando  e Sauro. La nostra preparazione fu affidata dal Vescovo  ad un ottimo corpo docente e in questo si distingueva per preparazione accurata, vasta e profonda, monsignor Giordano Frosini. Il nostro assistente  spirituale e incaricato  di seguirci nella formazione  durata cinque anni era monsignor Renato Bellini, il quale per raggiungere  Pistoia doveva  percorrere 45km, sia col buono che con il  cattivo tempo.
Anche di lui ho un ottimo ricordo. Dal vescovo  fui incaricato, nei limiti della mia preparazione, di collaborare con un  anziano sacerdote: monsignor Aldemiro Cinotti e tuttora sono in servizio  nella medesima parrocchia di san Germano d’Auxerre  in Santonuovo.
L’incarico  affidatomi  riguardava la comunione degli infermi, la visita ai malati e alle persone sole, per le quali mi impegno anche oggi. Mi si è sembrato di aver riavvicinato alla Chiesa diverse persone, donando anche un po’ di serenità. Il merito però, è tutto di Gesù!
Altro compito da svolgere  era, ed è, la diffusione  della “buona stampa”: il settimanale la Vita, il quotidiano  Avvenire, il settimanale Famiglia Cristiana e i libri del nostro vescovo  Scatizzi.
Dopo la morte di Anna Cecchi, responsabile dell’Associazione  “Fede e arte”, dal vescovo ebbi l’incarico  di seguire questa associazione, la quale aveva il compito di lasciare aperte le porte di varie chiese cittadine, ricche di arte e fede, dalle 12.30 alle 15.30. Ebbi inoltre  l’incarico, per la zona del piano di Quarrata e per le parrocchie limitrofe, di seguire la formazione  dei ministri straordinari della comunione.  Gli incontri formativi erano tenuti da sacerdoti. Ho collaborato con vari sacerdoti di molte parrocchie alla benedizione  delle famiglie nel periodo pasquale. Nella parrocchia dove abito ho tenuto incontri di formazione ad adulti  di Azione Cattolica.
Questo è ciò che ho fatto e non mi sono mai rifiutato di obbedire al mio diretto superiore, al sacerdote che rappresenta per me Cristo capo. Non sono mancate amarezze, ma credo che tutto questo rientri nel piano di Dio che atterra e suscita, affanna e consola.

 




La diocesi ricorda Sant’Atto vescovo

Con la devozione alla Vergine e il culto jacopeo seppe pacificare e dare sviluppo alla città di Pistoia. Venerdì 21 giugno ricorre la sua memoria liturgica.

 

Venerdì 21 giugno alle 18 sarà celebrata dal vescovo con una messa solenne in cattedrale la festa di S. Atto, vescovo di Pistoia dal 1133 al 1153, il cui corpo fu ritrovato nel 1337 incorrotto e «intiero senza alcuna macchia così come innocente e pura era stata la vita sua» e tale è rimasto, nonostante tutte le spoliazioni, “ricognizioni”, esposizioni e spostamenti che ha dovuto subire fin da quando, non appena ritrovato, diventò oggetto di un fervido culto popolare. Tuttavia ci sono voluti quasi altri tre secoli perché nel 1605 questo trovasse conferma nel riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa e in questa occasione venisse chiesta e ottenuta dalla abbazia vallombrosana di Passignano una reliquia del nuovo Santo. Così con una parte del suo corpo Atto tornava a un’abbazia vallombrosana – anche se quella da cui era partito per Pistoia non era Passignano ma la “casa-madre” stessa di Vallombrosa. Qui era giunto dalla lontana Spagna, prima accolto come monaco, poi eletto abate e infine “ceduto” in qualità di vescovo ai pistoiesi.

Senza allentare i suoi rapporti con l’Ordine da cui proveniva, per vent’anni Atto ebbe un ruolo importante non solo a Pistoia, dove, come sappiamo, lasciò un’impronta indelebile facendovi arrivare da Compostella una reliquia dell’apostolo Giacomo, ma anche nella difficile e complessa situazione politica dell’Italia centro-settentrionale e del papato. Quest’ultimo aspetto della sua attività ha recentemente suscitato nuova attenzione e dovrebbe avere particolare evidenza nel convegno di studi previsto per la prossima primavera.

Ora però, dato che il 1 luglio ricorre la festa della Madonna delle Porrine, non sarà male ricordare la parte che Atto ebbe anche nell’incoraggiamento e nella organizzazione di questo culto quasi millenario. La Madonna delle Porrine è un’immagine dipinta sul fianco esterno della cattedrale e solo successivamente trasferita all’interno, così chiamata perché nel 1140 – o forse nel 1150, dunque cinque anni o prima o dopo l’arrivo della reliquia di S. Jacopo –le fu attribuita la liberazione di Pistoia da una terribile epidemia. Si tratta di un miracolo che, pur non essendo mai stato ufficialmente riconosciuto dalla Chiesa, suscitò una forte ondata di devozione, che il vescovo Atto fu pronto ad assecondare, legando inoltre il culto della Madonna delle Porrine a quello di S. Jacopo nella comune gestione dell’omonima Opera: in modo che la pietà religiosa, sapientemente orientata, diventasse anche un mezzo di pacificazione e coesione civile – che era l’eredità più preziosa che egli potesse lasciare a Pistoia.

Maria Valbonesi




Al Bolognini un doppio appuntamento con il teatro del riscatto

PISTOIA – Doppio spettacolo teatrale per il Ceis nel teatro Bolognini. L’appuntamento, fissato per venerdì 21 giugno alle 21, prevede la messa in scena della performanceNew Blood”, organizzata dal gruppo di teatroterpia del Ceis di Pistoia.

A seguire sarà possibile applaudire lo spettacolo “La casa di Vittoria”, curato dalla compagnia “Patate e Cipolle” in collaborazione con la comunità per minori e giovani adulti di “Masotti”.

La performanceNew Blood” nasce come risultato degli incontri di Teatroterapia tenuti presso le comunità “Il Poggiolino” e “Casa dei Glicini” del Centro di Solidarietà di Pistoia. Gli incontri sono iniziati la scorsa estate, ed hanno portato i partecipanti a conoscere il proprio corpo come strumento sensitivo, emotivo e non solo relazionale.
Vittoria, ovvero la protagonista della seconda performance «non esiste, ma proprio per questo diventa una, nessuna, centomila, più reale delle apparenze – affermano i ragazzi ideatori dello spettacolo –.

«Vittoria è nata per sbaglio, quasi fosse una nostra proiezione o alter ego, ma noi abbiamo deciso di portarla in scena. Perchè se Vittoria non voleva uscire dalla sua stanza, noi potevamo farci entrare il mondo. Esplorando le sue emozioni e mettendole in musica, scrivendo una lettera o creando storie per immagini e parole, abbiamo cercato di rendere visibile il suo vissuto interiore». «Questa iniziativa nasce con l’intento di portare in un contesto di grande prestigio come il palco del Bolognini il lavoro di questi ragazzi – afferma Franco Burchietti, presidente del Ceis di Pistoia -. Il teatro con le sue tecniche aiuta questi giovani e meno giovani ad affrontare un percorso di recupero molto faticoso, a tratti davvero impossibile, tirando fuori le emozioni che li hanno accompagnati nel loro viaggio di ritorno a “sentire”».

M.C.




La storia millenaria del monastero delle Benedettine

Venerdì 21 giugno alle 17, a Palazzo de’ Rossi in via de’ Rossi 26, si terrà la presentazione del libro Storia del monastero benedettino di Santa Maria degli Angeli di Pistoia, di Elettra Giaconi.

Venerdì 21 giugno alle 17 nella sede del palazzo de Rossi, via de Rossi 26, la Fondazione Cassa di Risparmio presenterà il volume di Elettra Giaconi Storia del monastero benedettino di Santa Maria degli Angeli o di Sala di Pistoia a cura di A. Agostini e M.C. Pagnini. La presentazione è affidata alle competenze diverse e complementari di Francesco Salvestrini (Università di Firenze), di sorella Costanza Pagliai (Apostole della consolata) e del can. Diego Pancaldo (Facoltà teologica dell’Italia centrale) e sarà coordinata dal presidente della Fondazione Luca Iozzelli.

 

Durante gli anni venti del secolo scorso donna Angelica Liserani, sollecitata o, e si preferisce, incaricata da «persone autorevoli», scrisse, su basi rigorosamente documentarie una Storia del monastero benedettino da Sala, al quale apparteneva. Ma perché proprio a lei un simile incarico? Probabilmente perché poco prima aveva scritto un libretto in memoria di due valenti badesse, dimostrandovi quella capacità di equilibrio compositivo e di chiarezza espressiva, di cui ci si poteva aspettare che avrebbe dato – e in effetti dette ben più ampia e convincente prova ricostruendo la storia ultra millenaria del suo monastero in Memorie e ricordi 650-1900.

Quasi un secolo dopo a Pistoia, forse soltanto Elettra Giaconi avrebbe avuto la pazienza e la competenza specifica – pazienza nata appunto dalla competenza, cioè dalla familiarità intellettuale con l’argomento – per trascriverne e portarne a stampa, come esemplarmente ha fatto, le circa trecento pagine. Queste sono precedute da una lunga introduzione nella quale, fra i loro aspetti più significativi,Elettra mette in rilievo «la stretta connessione fra la storia interna e la storia esterna al monastero» e l’intreccio de «i fatti interni a quelle mura con le vicende personali delle varie monache e degli altri personaggi che compaiono sulla scena».

Ma non solo le trecento pagine del testo, anche le venti della introduzione sono troppe per seguirne qui gli sviluppi e trarne più di qualche sporadica osservazione. Per esempio, il luogo comune – a cui non poco hanno contribuito, da Diderot a Manzoni, gli autori i romanzi – secondo il quale di solito le fanciulle sono costrette a prendere il velo contro la loro volontà, viene messo in discussione da casi concreti come quello di Domenica Gerbi di San Marcello che, destinata al matrimonio, nel 1581 morì dal dispiacere di dover lasciare il monastero; o quello della novizia che nel 1842 fu rimandata a casa «non volendola trattenere fra le quattro mura del chiostro dal momento che mostrava di starci a disagio». Del resto il monastero è uno dei pochi luoghi – forse l’unico – dove fino all’800 inoltrato una donna può far valere, se ne ha, le proprie capacità organizzative, amministrative e direttive, politiche insomma, ed esercitare un potere istituzionalizzato, come dimostra la successione delle badesse che qui costituisce il filo conduttore di tanti secoli di storia.

Questo lavoro di Elettra Giaconi è stato assecondato con intelligente impegno sia dalle curatrici A. Agostini e M.C. Pagnini, che lo hanno anche arricchito di due interessanti “focus”, rispettivamente su monsignor Giovanni Visconti e sulle vicende architettoniche del palazzo Tolomei; sia dalla casa editrice Polistampa che ne ha fatto una edizione, bella fin dalla copertina, dove con grande eleganza e attinenza al testo si disegna il giglio di biblica e virgiliana memoria.

 

Programma della presentazione

Saluti

Luca Iozzelli, Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia

Alessandro Tomasi, Sindaco di Pistoia

 

Intervengono

Prof. Francesco Salvestrini

Università degli Studi di Firenze

Sorella  COSTANZA PAGLIAI

Apostole della Consolata

can. DIEGO PANCALDO

Facoltà teologica Italia Centrale

Sarà presente l’autrice

Ingresso libero fino a esaurimento posti.

Elettra Giaconi, Storia del monastero benedettino di santa maria degli angeli o di sala di Pistoia a cura di A. Agostini e M.C. Pagnini, Edizioni Polistampa, Firenze 2019.




AC: Campi estivi per tutti

Un’occasione unica per crescere insieme alla luce del Vangelo

Anche quest’anno l’Azione Cattolica organizza per tutti i bambini, le bambine e i ragazzi della diocesi i campi estivi; un’esperienza di convivenza, scambio e fraternità mirata a approfondire la spiritualità e la capacità di condivisione e partecipazione di tutti e di tutte.

Il tempo estivo è infatti un’ottima occasione per dedicare una settimana di tempo al cammino di fede personale, altrimenti difficile da realizzare durante l’anno mentre i ragazzi si dividono tra impegni scolastici, sportivi e sociali.

Il Campo estivo per le elementari e le medie si svolgerà presso San Martino Altoreggi ( Figline Valdarno) dal 25 al 31 Agosto; le attività saranno come sempre orientate verso l’educazione alla responsabilità, al lavoro di gruppo e alla condivisione di momenti di catechesi e di gioco, per ricevere informazioni specifiche è possibile contattare Damiano (suppressa.damiano@yahoo.it) o Sara (saraferri@hotmail.it).

Per i ragazzi e le ragazze delle Scuole Superiori invece, l’appuntamento è per la settimana dal 29 Luglio al 4 Agosto; il campo per loro si svolgerà nella casa estiva dell’Azione Cattolica di Firenze “Il Cernitorio”, Pelago e referenti a cui rivolgersi sono Luca (lucaneri.ing@gmail.com) e Sara (saratagliasacchi@gmail.com).

Tutti possono partecipare ai campi estivi dell’AC, infatti queste esperienze sono immaginate come dei brevi percorsi di riflessione a misura dell’età dei partecipanti e, attraverso la catechesi esperienziale e i momenti di partecipazione, ascolto e divertimento, sono un’occasione per un incontro individuale e di gruppo con il Vangelo; un’occasione per conoscere la realtà dell’Azione Cattolica a 360 gradi!

Laura Simonetti