La Mariapoli a Cutigliano

Nel weekend del 22-23 giugno un’appuntamento eccezionale a cura del movimento dei Focolari

La Mariapoli, la “Città di Maria” è l’appuntamento caratteristico del Movimento dei Focolari.
In numerosi Paesi del mondo infatti, persone delle più varie provenienze si ritrovano per più giorni per vivere insieme un laboratorio di fraternità, alla luce dei valori universali del Vangelo.

Questa originale esperienza ha come linea guida la “regola d’oro” che invita a fare agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a sé. Sono giorni per sperimentare come sia possibile vivere nella quotidianità, ponendo a base di ogni rapporto l’ascolto, la gratuità il dono: un bozzetto di società rinnovata dall’amore. Le prime Mariapoli sono ormai lontane, organizzate circa 70 anni fa sulle Dolomiti a Tonadico, dove quest’anno i focolarini torneranno per una Mariapoli europea che costruirà la fraternità fra popoli diversi provenienti dalle nazioni europee dal 14 luglio all’11 agosto.

Per la Toscana abbiamo pensato di puntare a Cutigliano, un paese caratteristico della nostra montagna per sperimentare lì questi momenti di comunione, e immersi nella natura, dare vita alla nostra Mariapoli. Avremo occasioni di approfondimenti spirituali con lo scambio di testimonianze che porteranno sicuramente momenti di luce perché vissute nell’amore, ma anche di passeggiate e momenti ricreativi che faranno di questa occasione un fine settimana di gioia.

A Cutigliano il punto di ritrovo è previsto per venerdì 21 giugno all’albergo Villa Basilewsky alle ore 16, con l’assegnazione degli alloggi; la S. Messa è alle 17.30, seguirà la presentazione della Mariapoli.

Il sabato 22 il programma propone momenti all’aperto e incontri di spiritualità.
Domenica 23  la S. Messa e il pranzo, poi ci saranno i saluti finali con possibilità di partecipare alle 17.30 alla processione del Corpus Domini con l’infiorata.

Quota completa 150 Euro a persona. Per informazioni: Luciana Vignozzi: 339 6541308 – e Giuseppe Messeri: 334 7051795 – Per info: famberrettini@gmail.com .

Per motivi organizzativi è necessario iscriversi in questa pagina.
Si può partecipare anche per una giornata.




Meditazione e musica a Pistoia

Due concerti di Bach e una riflessione del vescovo Tardelli. Le proposte musicali, a cura di Floema coinvolgeranno diverse ensemble di musicisti e due clavicembali dell’Accademia Gherardeschi

Dopo la chiusura della sua seconda edizione, Floema torna a portare la musica d’arte nel tessuto cittadino con due incontri speciali fuori programma, per l’esecuzione di altrettante Cantate di Johann Sebastian Bach: un’occasione assolutamente unica per ascoltare queste straordinarie composizioni nel contesto originario per cui furono concepite. Protagonisti musicali di questi incontri speciali saranno tre diversi ensemble strumentali costituiti da musicisti dell’Orchestra Leonore con alcuni ospiti, insieme a Michiko Kato (cembalo) e Umberto Cerini (organo e maestro del Coro), e al Coro Polifonico della Scuola di Musica e Danza “T. Mabellini”, sotto la direzione di Ottaviano Tenerani. Al loro fianco si avvicenderanno le voci soliste di Benedetta Gaggioli e Angjela Ramai (soprani), Giulia Bravi (mezzo soprano), Edoardo Ballerini (tenore), Alessandro Martinello (basso).

L’Accademia d’Organo Gherardeschi ha collaborato fornendo i due clavicembali necessari. Ottaviano Tenerani è il coordinatore della sezione musica antica della stessa Accademia.

Domenica 16 giugno alle 21, il concerto sarà accompagnato da una meditazione col vescovo. Nella chiesa di S. Ignazio, infatti, si terrà la Cantata BWV 174 Ich liebe den Höchsten von ganze Gemüte (“Amo l’Altissimo con tutto il cuore”), composta originariamente per il Lunedì di Pentecoste ed eseguita per la prima volta il 6 giugno 1729. Il testo della sonata, ispirato al Salmo 17 e al dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo.

Infine, il secondo appuntamento è per sabato 22 giugno alle 18 presso la Cattedrale di San Zeno a Pistoia, di nuovo durante la celebrazione della messa, con la Cantata BWV 52 Falsche Welt, dir trau ich nicht! (“Mondo ingannatore, di te non mi fido!”), composta per la ventitreesima domenica dopo la Trinità ed eseguita per la prima volta il 24 novembre 1726.




A Pistoia le reliquie di San Charbel, il Padre Pio del Libano

L’evento è organizzato dalla Fraternità apostolica di Gerusalemme di Pistoia. Le reliquie, presenti in città venerdì 14 e sabato 15 giugno, sono un invito a conoscere una figura di santità straordinaria che ricorda a tutti l’importanza della vita interiore.

Padre Michael Marie della fraternità monastica di Gerusalemme di Firenze racconta l’iniziativa che porterà a Pistoia le reliquie del santo libanese Padre Charbel Makhluf.

San Charbel è un monaco forse poco conosciuto nella nostra diocesi di Pistoia. Potrebbe raccontarci sinteticamente chi era?

San Charbel è un grande santo della Chiesa Cattolica, nato e vissuto in Libano tra il 1828 e il 1898. Charbel ha vissuto una vita monastica ed eremitica esemplare: vero povero, uomo casto e soprattutto obbediente. Una vita mistica molto intensa vissuta nell’amore dell’eucaristia. Se è vero che Dio dona a ciascuno un carisma particolare utile al bene di tutti a san Charbel era stato dato senza dubbio il carisma della guarigione. Tanti miracoli sono stati compiuti per la sua intercessione dopo la sua morte, anche guarigioni da malattie in fase terminale e incurabili. Un altra particolarità è la sua intercessione non solo per i credenti, ma davvero per tutti. Nel Libano tanti musulmani hanno ricevuto la grazia della guarigione, fino alla madre di un famoso sceicco scita qualche settimana fa, che ha sorpreso molto la comunità musulmana.

Saranno dunque a Pistoia le reliquie di questa singolare figura di santità: perchè?

Abbiamo la grazia di ricevere una reliquia del corpo stesso del Santo. Una piccola reliquia, che tuttavia è sufficiente per trasmettere la sua presenza e la grazia. Da sempre la Chiesa ha venerato i corpi dei santi, veri e propri templi dello Spirito Santo come dice San Paolo. Tramite il suo corpo e la preghiera che gli rivolgiamo è il santo stesso che è presente in mezzo a noi

San Charbel è stato definito il Padre Pio del Libano; per quale motivo?

Prima di tutto perché è un santo molto amato, un santo popolare per cosi dire. Davvero possiamo dire che c’è un legame forte tra San Charbel e Padre Pio. Tutti e due hanno lottato con forza contro il maligno e hanno vinto. Hanno lottato non solo per se stessi, ma anche per noi. Sono santi popolari prima di tutto perchè hanno un amore molto forte per il popolo di Dio. Un’altra cosa importante che lega i due santi è una vita mistica intensa.

Quale messaggio ci porta questo monaco libanese?

San Charbel è rappresentato spesso con gli occhi chiusi: ci invita a guardare dentro di noi. A dare la priorità alla nostra vita interiore. È un messaggio molto importante in questa epoca esageratamente estroversa. Gesù ci ha spiegato che la fonte del male è il cuore stesso dell’uomo: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male» (Mc 7,21). San Charbel ci invita a chiudere gli occhi, a stare in silenzio per diventare più forti contro questi pensieri cattivi che abitano il nostro cuore e che ci portano al male.

I due giorni di preghiera serviranno ad incrementare il culto al Santo a diffondere la sua devozione?

Speriamo di si, però lo scopo non è la devozione del santo, ma soprattutto il bene che riceveranno i fedeli. Un santo non cerca la fama come fanno gli idoli, il santo è soltanto preoccupato del bene che può fare agli altri.

Quando si svolgerà l’evento e qual è il programma?

Il momento più importante è sabato sera 15 giugno quando ci sarà una veglia di preghiera nella chiesa di San Bartolomeo alle ore 21.15. Il giorno stesso canteremo i vespri alle ore 19 nella stessa chiesa.
Domenica le reliquie saranno presenti nella chiesa di San Paolo per la messa delle 10 e per concludere questi due giorni canteremo i vespri nella chiesa della Madonna dell’Umilità alle 19.

Daniela Raspollini




Una luminosa testimonianza di fede nella persecuzione

A seguito del recente viaggio del papa in Romania, durante il quale sono stati beatificati sette vescovi martiri del comunismo, rendiamo nota la testimonianza di suor Clara Laslau, prozia di due fratelli della nostra diocesi: don Cipriano, parroco di San Marcello e don Eusebiu Farcas, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 30 giugno.

Nel suo recente viaggio in Romania Papa Francesco ha beatificato sette vescovi martiri greco-cattolici vittime della persecuzione comunista: Vasile Aftenie e Ioan Balan, Valeriu Traian Frentiu, Ioan Suciu, Tit Liviu Chinezu, Alexandru Rusu.
Con l’avvento del regime comunista infatti, a partire dal 1948 si scatenò in Romania una feroce persecuzione: «in quel triste periodo – ricorda il papa-, la vita della comunità cattolica era messa a dura prova dal regime dittatoriale e ateo: tutti i Vescovi, e molti fedeli, della Chiesa Greco-Cattolica e della Chiesa Cattolica di Rito Latino furono perseguitati e incarcerati». La testimonianza di questi martiri suscita oggi una forte impressione: «È eloquente quanto ha dichiarato durante la prigionia il Vescovo Iuliu Hossu: “Dio ci ha mandato in queste tenebre della sofferenza per donare il perdono e pregare per la conversione di tutti”».

Anche nella nostra diocesi di Pistoia vive il ricorda di una vittima delle persecuzioni del regime comunista. Si tratta di Suor Clara Laslau, suora del monastero di Sant’Agnese di Bucarest e parente di don Cipriano Farcas e del fratello Eusebio, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 30 giugno. Una vocazione “familiare” che è anche il frutto della preghiera e della testimonianza di una prozia che ha duramente sofferto per la propria fede.

Suor Clara, nata nel 1912 nel villaggio di Pustiana presso Bacău, all’età di 17 anni entrò nella vita religiosa. Nel 1938 fu inviata alla Nunziatura apostolica a Bucarest, dove lavorò per 12 anni. Arrestata nel 1950 fu torturata nel tentativo di ottenere informazioni e condannata al carcere per alto tradimento. Rilasciata nel 1964, si ritirò nel “Monastero di Agnese” a Popeşti-Leordeni. È morta il 23 agosto 2009, all’età di 97 anni.
Ci piace dunque proporre un’intervista pubblicata sul numero di giugno 2007 della Rivista “Sacro Cuore”.

Ricorda ancora come avvenne l’arresto?

Ricordo benissimo. Verso le undici di sera salirono nella mansarda, sfondarono due porte e ci trovarono tutte nella cappella in preghiera col vescovo. Erano circa venti uomini, armati. […] Mi fecero salire in macchina con suor Tarsila e due soldati. Sentivo che non sarei più tornata.

Arrivati alla Polizia Segreta mi misero un paio di occhiali neri e fui bendata: ricordo solo che mi facevano scendere le scale e sentivo sempre più fresco. Quando mi tolsero gli occhiali, un ufficiale era seduto al suo tavolo e scriveva; accanto a lui vi erano due soldati. L’ufficiale mi gridò: “Spogliati”. “Sono religiosa, non posso togliermi il vestito davanti ad estranei”. Egli bestemmiava e gridava: “Levati quel vestito”. Non potevo sentire quelle urla e quelle bestemmie. Mi levai il velo e lo baciai. L’ufficiale seguitava a ridere e a vomitare bestemmie. Pensai all’umiliazione di Gesù spogliato delle sue vesti. Tolsi il vestito religioso e rimasi con la gonna e una camicia con le maniche corte. Era già passata mezzanotte e mi interrogarono fino al mattino.

In quella notte del 19 luglio avevano arrestato noi della nunziatura e tutti i fratelli della cattedrale. Fu una notte tremenda: in ogni parrocchia avevano arrestato qualcuno. Per quattordici giorni ci interrogarono, poi ci trasferirono a Jilava, una prigione di Bucarest che scendeva fino a venti metri sotto terra. Mi assicuravano che mi avrebbero concesso subito la libertà, se avessi rinunciato alla vita religiosa. “Ho già fatto i voti perpetui al Signore e non a un semplice mortale”. “È solo una proposta”. Mi fecero anche un’altra proposta: “Se entri nella chiesa ortodossa, sei subito libera”. “No, io sono cresciuta nella chiesa cattolica e nella mia fede voglio morire”. “Non ti costringiamo, solo se tu vuoi”. La terza proposta: “Non occorre che tu rinunci alla vita religiosa, né alla fede cattolica. Puoi tornare in nunziatura, anche senza lavorare come prima. Basta che tu vada di parrocchia in parrocchia, guardi ciò che fanno i preti e venga a riferircelo. Ti paghiamo bene”. “Preferisco morire in prigione piuttosto che far la parte di Giuda”. Per sei mesi continuarono a farmi simili proposte.

Come era la vita a Jilava?

Le celle occupate da noi donne erano di circa sei metri per cinque. Sulle pareti della cella c’erano assi appoggiate su travi con sopra sacconi pieni di paglia. […]In questo ambiente dormivamo, strette come sardine, in settanta-ottanta donne, giovani e anziane. Potevamo coricarci solo sul fianco, perché non c’era posto per mettersi di schiena. Si può facilmente immaginare il terribile tanfo che regnava. [… ] Se si doveva lavare avevamo uno straccio grande come una mano, ci mancava poi l’acqua da bere. Ricevevamo circa tre gamelle di acqua al giorno e ci si aiutava. In estate la mancanza d’aria, il caldo e la puzza di quel locale erano davvero qualcosa di impossibile.

Come era il cibo?

Si mangiava, perché non c’era altro. A mezzogiorno di solito ci davano una gamella di orzo condito con il grasso tolto dalle frattaglie. Alle volte ci davano una poltiglia verde fatta con un po’ di foglie di cavolo. A cena si riceveva solo orzo cotto nell’acqua, ma almeno era pulito e non puzzava. A colazione c’era sempre una specie di polenta brodosa ed era una fortuna quando non era ammuffita. […]

Ci sono forse state anche delle torture?

Sì. Il 7 dicembre 1950 per esempio. Me lo ricordo ancora bene. Fui sottoposta a un duro interrogatorio, dalle sette fino alle dieci di sera. Erano in due, un ufficiale e un poliziotto. Il capitano stava seduto sul tavolo con i piedi in giù e io dovetti mettermi in piedi davanti a lui. Aveva gli stivali militari con le punte munite di archetti di ferro appositamente per colpire gli interrogati. Sedeva davanti a me e mi colpiva nelle gambe. Tac-tac, tac-tac. Faceva sempre così. A volte mi giravo, perché non ne potevo più dal dolore. Allora lui urlava, bestemmiava, mi colpiva con pugni sulla faccia e sul petto. […] Sanguinavo. Tutto questo trattamento durò tre ore. Volevano che dicessi ciò che volevano loro. Ringrazio il Signore che mi ha aiutato e mi ha dato la forza di non denunciare nessuno.
A un certo punto ricevetti un pugno molto forte sull’orecchio; sentii che si era rotto qualche cosa. Dissi che da quell’orecchio non ci sentivo più. Il poliziotto che mi aveva colpito bestemmiò e gridò che lo guardassi in viso. Mi colpì al petto con un pugno fortissimo. Dissi che sentivo sangue in bocca. Allora smisero di colpirmi.

Un giorno il giudice istruttore mi presentò una dichiarazione da firmare, in cui affermavo che il denaro lasciatomi dal nunzio era destinato ai vescovi e ai sacerdoti, per aiutare i partigiani, che combattevano contro i comunisti. […] “Non posso firmare, è una dichiarazione falsa. Quel denaro era per vivere”. Mi appioppò un paio di schiaffi da farmi vedere le stelle. Però così fui liberata dall’essere testimone in un processo. Molta gente era in prigione per false dichiarazioni.

Suor Clara, pensando alle torture passate o a quelle possibili in futuro non ha mai avuto momenti di cedimento, di abbattimento, di dubbio?

Sì, ci fu un momento di inferno. Negli interrogatori sentivo sempre bestemmie e oscenità contro il Santo Padre e la Chiesa, vedevo che loro avevano la forza. I nostri vescovi erano tutti in prigione. Fui tentata di pensare che ormai tutto era perduto, che era inutile resistere. […] Andavo avanti e indietro nella cella, continuavo a pregare, invocavo il Signore con tutto il cuore, ma non scorgevo via d’uscita. Mi sentivo perduta. Finalmente il Signore mi venne in aiuto. Sentii risuonare dentro di me la voce del Santo Padre: “ È desiderio e volontà della Chiesa che i missionari e le missionarie in tempo di persecuzione non abbandonino il campo. Devono restare al loro posto”. Sentii la voce della mia madre superiora: “Quello che hai fatto, l’hai fatto in ubbidienza”. In quel momento tutto il buio, la confusione e l’oscurità scomparvero e finirono anche gli interrogatori più difficili.

Mi dica del processo.

Il 7 marzo 1952 sono stata avvertita che il mio processo avrebbe avuto luogo il venerdì 19 aprile. Proprio il venerdì santo degli ortodossi. Al processo eravamo in quattordici. […] Quando tutti i quattordici imputati furono interrogati, iniziò la vera accusa. Il presidente a me disse che ero una spia del Vaticano, che avevo dato informazioni politiche al nunzio; che il Papa era il capo dei criminali […]. Quando sentii dire in un’aula pubblica, in un processo, che il Papa era il capo dei criminali, io che avevo servito per dodici anni la Santa Chiesa con amore e venerazione nella nunziatura, mi sentii trafiggere il cuore. In quel momento mi sentii invadere da una forza misteriosa, enorme, come se si fosse concentrata nel mio petto tutta la fede della mia povera famiglia di contadini della Moldavia, tutta la fede delle mie madri e sorelle del monastero. In quel momento io povera suora del Signore mi sentii fortissima; più forte di tutti i carri armati di Stalin.

Sentii che dovevo parlare. Sapevo che avrei aggravato la mia pena, ma non me importava proprio nulla. Con calma, ma fermissima dissi: “Chiedo la parola. Signor presidente, lei ha affermato che il Papa è il capo dei criminali. No, signor presidente, il Santo Padre non è il capo dei criminali, il Santo Padre è il rappresentate del Signore, il Santo Padre è il capo della Chiesa cattolica di tutto il mondo. Avete imprigionato tutti i vescovi, tanti sacerdoti e suore e laici cattolici. Avete abolito la chiesa cattolica di rito bizantino e avete costretto con la violenza centinaia di migliaia di persone cattoliche a passare alla religione ortodossa.

Volete costruire la vostra dittatura atea, distruggendo la chiesa, imprigionando, uccidendo. Era giusto che il nunzio apostolico informasse il Santo Padre sulla sorte dei suoi figli. Ha detto la pura verità. Era giusto che in occidente si sapesse…”.

A questo punto l’avvocato difensore, che mi era stato imposto, mi interruppe dicendo: “Signor Presidente, non badi a quello che ha detto, perché è analfabeta”. (Un’analfabeta, che parlava quattro lingue!) Il vescovo Ioan Dragomir parlò quasi un’ora. Iniziò dicendo: “Signor presidente, noi ringraziamo Dio che ci dona la grazia di essere giudicati proprio oggi, venerdì santo”.Il presidente lo interruppe gridando: “Cosa vuoi? Vuoi convertirci? Smettila”. Ma egli continuò imperterrito: “Gesù fu venduto da Giuda per trenta denari d’argento, condannato, crocifisso”.

“Vuoi catechizzarci? Finiscila!”[…] Il processo durò dalle otto del mattino fino alle dieci di sera. Alla fine i membri del tribunale si alzarono in piedi, il presidente lesse le condanne. A me diedero quattordici anni.
Finita la lettura delle condanne, il vescovo Dragomir intonò il Christus vincit. Cantammo per tre volte: Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat.
Cantavo e avevo gli occhi lucidi. Per la gioia.

Intervista realizzata da Don Antonio Rossi [Trascrizione dalla rivista “Sacro Cuore”, giugno 2007]




L’esperienza della fraternità, la sfida della missione

Due giorni insieme per sognare e costruire insieme una chiesa sinodale e missionaria

Si è svolta a villa Rospigliosi la due giorni del clero. Un appuntamento importante per la nostra diocesi, momento di incontro e confronto tra il vescovo Tardelli, i presbiteri e i diaconi della Chiesa di Pistoia.

La due giorni, all’insegna del titolo programmatico «Per una chiesa sinodale e missionaria», ha previsto un ricco programma su molti aspetti della vita diocesana e ha visto una significativa partecipazione.

Dopo un momento di preghiera guidato dal vescovo e accompagnato da una riflessione di don Patrizio Fabbri, vicario episcopale, la giornata di lunedì è iniziata con un diffuso e interessante resoconto del vescovo sulla visita pastorale iniziata al termine del 2017 e ormai prossima a concludersi.

Una prima analisi in cui emergono alcuni temi chiave e un’impressione generale sullo stato della diocesi. Impressione in primo luogo positiva in cui, nonostante alcune criticità, la chiesa pistoiese si manifesta viva e vivace. «Un viaggio – ha affermato il vescovo riferendosi alla visita pastorale – che mi sarebbe piaciuto condividere con tutti voi presbiteri», ma che «avrebbe fatto bene e farebbe bene anche ai nostri cristiani (…) per farci sentire una sola chiesa, riunita dal Signore e chiamata a dare testimonianza di Cristo morto e risorto». Se non altro, ricordava il vescovo, aiuterebbe una maggiore conoscenza reciproca e collaborazione tra parrocchie e realtà diverse, magari anche territorialmente distanti perché «ascoltare e scoprire come vengono affrontati i problemi da una parte all’altra della diocesi, come si cerca di vivere il Vangelo e di realizzare una vita di chiesa è molto istruttivo e arricchente». Molti i temi trattati: dalla consapevolezza di una realtà parrocchiale molto diversificata, alle fatiche, ma anche ai segni di bellezza di una comunità chiamata a diventare sempre più fraterna e missionaria, ai giovani, all’iniziazione cristiana, ai poveri. Alle parole del vescovo è poi seguito un breve confronto con i sacerdoti e i diaconi presenti.

Dopo l’eucaristia e il pranzo monsignor vescovo e don Cristiano d’Angelo hanno sviluppato una riflessione più programmatica legata al futuro indirizzo pastorale della diocesi. Il tema della relazione era sufficientemente chiaro per esprimere il contenuto: «sinodalità e missione, uno stile da maturare, una prassi da costruire. Prospettive per il cammino futuro». È stato soprattutto don Cristiano, vicario per la pastorale, a presentare un’ipotesi di lavoro centrata sui temi della sinodalità e della missione. Sinodalità come parola chiave e ordinaria della vita della Chiesa, in cui «ogni fatica a camminare insieme, ogni indebolimento del senso di comunità, ogni frattura nella capacità di collaborare, ci rende meno fedeli alla nostra vocazione di chiesa immagine della Trinità». «Sinodalità – ha ricordato don Cristiano citando il papa- come dimensione costitutiva della Chiesa … Cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo Millennio». Un tema, quello della missione, che si lega a quello della sinodalità, in quanto la Chiesa è l’insieme di tutti i fedeli chiamati ad essere soggetti attivi della evangelizzazione.

Cosa si prospetta dunque per la nostra diocesi? Il vescovo ha suggerito un percorso sinodale che si riallaccia all’esperienza dell’assemblea sinodale organizzata nell’anno 2015-2016, da cui sono scaturiti gli orientamenti pastorali per il triennio e che potrebbe concludersi con la celebrazione di un sinodo diocesano. Un’opzione che certamente chiede anche molto lavoro in comune, la collaborazione e la valorizzazione dei laici. Sinodalità, ma anche missione dunque, come indirizzo pastorale particolarmente innestato nel magistero di papa Francesco ed espresso con chiarezza nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, vera e propria chiave di volta del suo pontificato.

La conclusione della prima giornata ha previsto delle comunicazioni importanti per la vita della diocesi: alcune informazioni sulla nuova normativa della privacy, altre sulle nuove linee guida per la prevenzione degli abusi proposte dalla CEI, inoltre una ipotesi per la formazione permanente del clero attenta ad affrontare temi specifici, in forma seminariale o di mini corso. Infine, c’è stato spazio per un ragguaglio sulla situazione del seminario diocesano. Si sono presentati quindi i diaconi che saranno ordinati il prossimo 30 giugno, Alessio Bartolini ed Eusebiu Farcas.

Martedì 4 giugno la giornata si è avviata con la concelebrazione eucaristica. È seguito un momento di condivisione in gruppi su alcuni dei temi affrontati lunedì: cioè sulla visita pastorale e l’ipotesi di un futuro sinodo della chiesa di Pistoia dedicato al tema della missionarietà. Quanto elaborato nei gruppi è stato condiviso in assemblea e commentato dal vescovo, che ha sottolineato l’importanza di una riflessione sinodale sul tema della evangelizzazione, senza dimenticare l’organizzazione della vita parrocchiale.

Dopo il pranzo lo spazio è stato riservato ad altre comunicazioni relative a diversi aspetti della vita diocesana:

  1. L’accoglienza dei migranti a cura di Francesca Meoni, vicedirettore Caritas;
  2. la presentazione del bilancio economico della diocesi a cura di Raffaello Pratesi dell’economato;
  3. Uno sguardo alla situazione economica delle parrocchie a cura di Alessio Venturi;
  4. Una comunicazione sul pellegrinaggio diocesano che la Chiesa di Pistoia ha in programma per il prossimo anno pastorale e a cui sta già lavorando don Gianni Gasperini, direttore dell’ufficio pellegrinaggi.
  5. Don Petre Iancu ha invece illustrato a tutti i presenti il pellegrinaggio delle diocesi toscane alla città di Assisi previsto per i prossimi 3 e 4 ottobre 2019. Il pellegrinaggio è stato organizzato per accompagnare la consegna dell’olio per la lampada che indica la tomba di San Francesco. Al patrono d’Italia, infatti, fanno visita a turno le diocesi del nostro paese per l’offerta dell’olio e un omaggio di devozione popolare.

La due giorni del clero si è conclusa con la recita comunitaria dei vespri, in un clima familiare e fraterno, sigillo di un nuovo, piccolo ma importante passo, per far crescere la Chiesa pistoiese come una comunità fraterna e missionaria.

Ugo Feraci




RnS: rinnovate le cariche per il quadriennio 2019-2020

Domenica 19 Maggio, nei locali del Seminario vescovile di Pistoia, si sono svolte le elezioni dei nuovi responsabili regionali per il quadrimestre 2019-2022 del Rinnovamento nello Spirito Santo. Erano presenti i membri del Comitato regionale uscente, i coordinatori dei gruppi, i Coordinatori ed i Comitati diocesani della Toscana uscenti, per un totale di circa 90 persone.

A presiedere la giornata elettiva era con noi Carmela Romano, da poco eletta nel Comitato Nazionale, responsabile dell’area della formazione.

È stata una giornata molto bella e piena di emozioni. I Coordinatori dei gruppi della nostra diocesi hanno accolto nella gioia di Cristo le sorelle ed i fratelli arrivati da tutte le parti della Toscana. È quindi seguita la preghiera comunitaria carismatica, durante la quale abbiamo ringraziato il Signore per i segni ed i prodigi fatti nel quadriennio appena trascorso. Successivamente Carmela ha fatto una breve introduzione sul tema “un servizio santo per un Rinnovamento nello Spirito Santo”. Dopo un momento di adorazione Eucaristica sono state effettuate le elezioni del Coordinatore regionale.

Dopo il pranzo consumato nel refettorio del Seminario, si sono svolte le elezioni dei Coordinatori diocesani e dei Comitati diocesani. La giornata è terminata con la Celebrazione Eucaristica presieduta da don Alejandro Festa, responsabile spirituale regionale. Ringraziamo vivamente Don Diego Pancaldo, responsabile delle aggregazioni laicali della nostra diocesi, per la sua presenza ed il suo saluto a tutta l’assemblea.

Questo l’esito delle elezioni regionali :

Per il Coordinatore regionale è stata riconfermata Bianca Maria Marcocci della diocesi di Pisa. Per quanto riguarda la nostra Diocesi questi i nominativi eletti: Mattonelli Andrea Coordinatore diocesano, Tormentoni Giuseppe e Bonifacio Andrea membri diocesani.

Andrea Bonifacio




Due giorni del clero: un appuntamento importante per il cammino diocesano

I prossimi lunedì 3 e martedì 4 giugno a Villa Rospigliosi si svolgerà la consueta «due giorni del Clero», l’incontro con il vescovo di tutti i sacerdoti e diaconi attivi in Diocesi. La due giorni è l’occasione per guardare all’anno passato, operare una verifica sapienziale del cammino diocesano, ma soprattutto per pensare il futuro. L’incontro, infatti, si colloca al termine dell’itinerario pastorale diocesano dal titolo «Sulle ali dello Spirito», che ha impegnato la Chiesa di Pistoia nei quattro anni passati.

L’appuntamento di inizio giugno si offre dunque come il primo passo per l’elaborazione di un nuovo tempo di grazia e di cammino comune della nostra Chiesa diocesana.

Sono poi previste alcune importanti comunicazioni sulla vita diocesana e su temi di attualità pastorale, ma sarà dato anche e ampio spazio alla condivisione in assemblea e nei gruppi.

Red.




Andrea del Verrocchio a Pistoia

Lunedì 27 maggio una conferenza del prof. Andrea de Marchi, storico dell’arte, ha illustrato l’opera e i capolavori pistoiesi del maestro di Leonardo.

Che il 2019 fosse un anno di grande risonanza per l’arte del Rinascimento lo si è più e più volte evinto da tutti gli eventi e manifestazioni che si sono susseguiti in memoria dei cinquecento anni dalla morte di Leonardo da Vinci. Ma l’appuntamento che potremo definire “il fiore all’occhiello” di questo anno così importante è la mostra che dal 9 marzo al 14 luglio decora le sale fiorentine di Palazzo Strozzi, dedicata al maestro del celebre Leonardo, ovvero Andrea del Verrocchio.

Una mostra di spiccato pregio, curata dal professore di storia dell’arte medievale della Scuola Normale Superiore di Pisa Francesco Caglioti e dal professore di storia dell’arte medievale dell’Università di Firenze Andrea De Marchi, che offre, grazie ad importanti concessioni da parte di istituzioni straniere ed italiane, un quadro generale sull’arte che caratterizzava Firenze tra il 1460 ed il 1490. Prestiti che arrivano anche dalla Diocesi di Pistoia e dai Musei Civici della città; infatti sono state esposte tre opere pistoiesi legate al maestro Verrocchio ovvero il busto di Salvatore di Agnolo di Polo del Museo Civico di Pistoia, l’affresco raffigurante San Girolamo e una santa martire dal convento di San Domenico e la celebre tavola della Madonna di Piazza conservata nella cattedrale di San Zeno.

Queste sono le premesse per la conferenza, o meglio, la  lectio magistralis tenuta dal professor De Marchi nelle sale del Museo dello Spedale del Ceppo a Pistoia lunedì 27 maggio.

Un convegno che è stato presentato dalla direttrice dei Musei Civici Elena Testaferrata, con la graditissima partecipazione di monsignor Fausto Tardelli e gremita di “tecnici” e di curiosi e appassionati.

Il professor De Marchi ha illustrato magistralmente gli elementi principali per riconoscere la firma pittorica di Andrea del Verrocchio partendo dall’analisi del suo percorso formativo. Una contaminazione che si rifà ai suoi primi anni da orefice e che delinea una spiccata attenzione per il tratto nitido e per la ricerca dell’essenza formale di ogni elemento raffigurativo. Una ricerca quasi plastica delle forme geometriche connessa direttamente con la sua propensione per la scultura. Tutto questo unito alla volontà di indagare nell’animo umano, cercando, in ogni soggetto rappresentato dal maestro, di cogliere l’attimo di grande tensione emotiva in uno scenario irradiato da una rassicurante luce Celeste.

Ma ciò che ha reso l’incontro, a mio avviso, di inestimabile valore è stata l’analisi delle differenze pittoriche che il professor De Marchi ha mostrato sul maestro Verrocchio ed i suoi allievi: Lorenzo di Credi e Leonardo da Vinci. E lo ha fatto confrontando alcune immagini ingrandite di paesaggi quasi lunari, analizzando i riccioli di alcuni angeli rappresentati a fianco della Vergine Maria, mostrando le differenze nei vari studi di panneggio e avvalendosi delle analisi svolte presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze con la tecnica della riflettografia. De Marchi ha guidato ognuno dei partecipanti al convegno in un percorso evolutivo per comprendere a fondo i vari “canoni” e per poterli confrontare nella grande pala della Madonna di Piazza. Un lavoro commissionato ad Andrea del Verrocchio nel 1474/1475, ma terminato da Lorenzo di Credi circa dieci anni dopo che, grazie alla minuziosa spiegazione del professore, presenta molto probabilmente varie contaminazioni anche da parte dello stesso Leonardo da Vinci.

Un convegno che sicuramente ha messo in luce le caratteristiche dell’animo pittorico dei protagonisti del primo Rinascimento fiorentino, gettando le solide basi di quello che potremo definire “protoclassicismo” e che è e sarà un veicolo conduttore per gli spettatori presenti che ancora non hanno visitato la mostra Verrocchio, il maestro di Leonardo.

Silvia Gualandi

 

 




Alla scoperta dei tesori nascosti della Chiesa di Pistoia

Iniziativa nazionale di apertura e promozione di archivi, musei, biblioteche ecclesiastici. Aperture straordinarie, visite e mostre per poter gustare l’immenso patrimonio storico archivistico della diocesi

PISTOIA  – Nell’ambito dell’iniziativa “aperti al MAB”, dedicata alla valorizzazione del patrimonio culturale dei musei, biblioteche e archivi ecclesiastici, anche la diocesi apre le porte dei suoi tesori nascosti. Una settimana densa di eventi, mostre e visite guidate offerte da esperti accompagneranno i visitatori allo straordinario patrimonio librario e archivistico della diocesi di Pistoia.

Dal 1 al 28 giugno sarà visitabile l’esposizione “Tesori Svelati”, un doppio percorso espositivo dedicato alla scoperta del patrimonio bibliografico, archivistico e artistico conservato presso l’Archivio Diocesano e Vescovile, la Biblioteca Leoniana e il Monastero di Santa Maria degli Angeli. La mostra, curata da Scripta Manent, propone, nella prima sezione, una selezione di manoscritti miniati, incunaboli e preziose rarità in stampa, allestita presso la sala di consultazione dell’ Archivio diocesano e Vescovile. Nella seconda sezione, allestita presso le sale del Monastero Benedettino di Santa Maria degli Angeli (accesso da via Verdi), sarà esposta una scelta di rari manoscritti, testi a stampa e oggetti espressione della vita quotidiana del monastero tra il XIV e il XX secolo.

Martedì 4 e giovedì 6 giugno si svolgeranno le  visite guidate nei suggestivi ambienti della Biblioteca Fabroniana, istituita nel 1726 dal cardinale Carlo Agostino Fabroni, alla scoperta dei tesori documentari e librari. Le visite, curate della responsabile dr.ssa Anna Agostini, avranno luogo martedì 4 e giovedì 6, alle ore 10  e ore 11,30.

Per Prenotare una visita grauita: fabroniana@tiscali.it;

Infine, venerdì 7 giugno sarà possibile visitare l’affascinante l’Archivio capitolare (Vicolo del Sozomeno, 3) ospitato nel complesso monumentale della Cattedrale di Pistoia, ammirando le pergamene, i codici medievali e preziosissimi antifonari e graduali. Le visite, a cura del prof. Stefano Zamponi, direttore dell’Archivio, avranno luogo alle ore 10 e alle ore 11.30.

Per prenotare una visita gratuita: archiviocapitolarept@virgilio.it





Social network: spazio di comunione o specchio di solitudine?

Nel messaggio per la giornata delle comunicazioni sociali un invito a riscoprirsi membra gli uni degli altri a partire dalle social communities.

Se guardo nello specchio dei miei social, quale profilo distinguo?

Potrebbe essere il primo e già impegnativo proposito per vivere la prossima giornata mondiale della Comunicazioni sociali che si celebra domenica 2 giugno, solennità dell’Ascensione.  Papa Francesco ha reso noto a gennaio, in occasione della memoria di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il suo messaggio per il 2019. Il testo punta l’attenzione al mondo social, evidenziando luci ed ombre dell’ambiente digitale in cui trascorriamo buona parte delle nostre giornate, invitando a ripensare il modo in cui stiamo sulla rete. O meglio, il modo in cui ci stiamo da cristiani.

L’ambiente digitale rispecchia i guai del nostro tempo: solitudine, individualismo, frammentazione, pregiudizio, narcisismo; qui la violenza verbale arriva a ferire quanto se non di più di quella fisica, il bullismo si fa cyberbullismo, il desiderio cade nella pornografia. Così – afferma il papa – la rete assomiglia piuttosto «a una ragnatela capace di intrappolare» che ad un mare di opportunità e contatti che apre all’altro, anche in capo al mondo.

Se la metafora della rete rivela ormai anche il suo lato oscuro, finisce pure per suonare un po’ datata. Di fatto Papa Francesco propone nel messaggio di passare ad una nuova, felice metafora: «quella del corpo e delle membra che San Paolo usa per parlare della relazione di reciprocità tra le persone, fondata in un organismo che le unisce. La metafora del corpo e delle membra -continua il papa- ci porta a riflettere sulla nostra identità, che è fondata sulla comunione e sull’alterità».

Come al solito la Parola ci riporta su un piano differente, quello in cui sei costretto a guardarti dentro, per considerare, anche nello specchio dei social, la tua relazione con il Signore e gli altri. Per il cristiano, infatti, pure il “nemico” chiede di essere visto con occhi differenti. «Come cristiani ci riconosciamo tutti membra dell’unico corpo di cui Cristo è il capo. Questo ci aiuta a non vedere le persone come potenziali concorrenti, ma a considerare anche i nemici come persone.

Non c’è più bisogno dell’avversario per auto-definirsi, perché lo sguardo di inclusione che impariamo da Cristo ci fa scoprire l’alterità in modo nuovo (…) Dalla fede in un Dio che è Trinità consegue che per essere me stesso ho bisogno dell’altro.  Sono veramente umano, veramente personale, solo se mi relaziono agli altri».

Insomma, lo specchio dei social, da cui perlustro e navigo in rete, può diventare la lente con cui guardo chi sta dietro il profilo che ho davanti. Chi si svela, si cela o si rivela attraverso un social network? Forse qualcuno che mi attende o è ferito, solo, o incattivito. Per capire chi sono il miglior specchio è il volto dell’altro.

La conclusione del messaggio del papa ci ricorda un altro aspetto quasi sorprendente. Il paradigma di un mondo connesso per il cristiano non è facebook, neppure whatsapp, ma la santa messa. Non c’è realtà più capace di esprimere la connessione di questa. Qui Gesù sorpassa alla grande Steve Jobs e al confronto Zuckerberg è un pivello.

Nella santa messa la connessione è comunicazione, diventa comunione. Presente e passato (la storia della Salvezza) si tengono insieme attraverso la Parola proclamata e ascoltata – la stessa in tutte le chiese del mondo-, il Cielo e la terra si incontrano. Tutti “in rete” attraverso l’unico pane e l’unico calice – gli stessi in ogni parte del globo – entriamo in comunione con il corpo e il sangue di Cristo presente nelle sacre specie. La frammentazione e la solitudine sono superate per il dono dello Spirito Santo che ci fa «un solo corpo e un solo Spirito». La messa è lo spazio della connessione ecclesiale, nella quale preghiamo gli uni per gli altri, ricordiamo il vescovo del luogo e il nome del papa, preghiamo con i santi e per i defunti.  È anche il luogo in cui possiamo imparare a vivere relazioni nuove e rinnovate. Non c’è spazio per gli haters, non c’è violenza o isolamento, ma una scuola di tenerezza e di comunione, di misericordia, di dono di sé. La messa chiede ascolto, tempo e anche silenzio. L’eucaristia custodisce il segreto della festa e della gioia. Ci ricorda che è proprio oggi il tempo di passare dal like all’amen.

«La Chiesa stessa – scrive Francesco – è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sul “like”, ma sulla verità, sull’amen, con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri».

Ci avevi mai pensato?

Ugo Feraci – Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura

 

Quant’è comunità la tua community?

Dalle parole del Papa un piccolo test per valutare la propria vita social personale e comunitaria.

Prendendo spunto da alcuni passaggi del messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali  ricaviamo un piccolo “esame di coscienza” personale e/o comunitario che potrebbe accompagnare la giornata di domenica 2 giugno e qualche riflessione comunitaria. Una sorta di test di auto valutazione sulla propria vita social che non ha altra pretesa che quella di farci pensare a come stiamo online.

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