Non lasciamoci rubare i social!

A Montemurlo don Dino Pirri ha proposto un incontro sul tema “evangelizzare al tempo dei social”. Una sintesi del suo intervento

«È la curiosità quella che spinge un individuo a muovere i suoi primi passi sui social. Guai ai cristiani che non sono curiosi».

È con queste parole che Don Dino Pirri, ex assistente nazionale dell’Azione Cattolica dei Ragazzi e adesso Parroco della parrocchia Madonna della Speranza a San Benedetto del Tronto, ha dato il via all’incontro su “Evangelizzare al tempo dei social” tenutosi venerdì 8 febbraio presso la parrocchia del Sacro Cuore di Montemurlo. Di fronte ad una platea composta da giovani e non più giovani, il parroco ha raccontato come avvenne il suo incontro con queste piattaforme di comunicazione delle quali lui stesso si definisce non un esperto, ma solo un artigiano. Era l’aprile 2005, quando,  per l’elezione di Papa Benedetto XVI Don Dino si trovava in una Piazza San Pietro dove erano presenti tutte le tv del mondo; questa immagine lo aiutò a pensare quante persone siano raggiungibili tramite social e soprattutto a quanto il messaggio di cui siamo portatori noi cristiani sia il più bello da annunciare. Così nacque la voglia di “essere presente” in quegli spazi virtuali dove aveva intuito la possibilità di diffondere a più persone possibili l’annuncio del Vangelo.

Per stare in “posti nuovi” però, occorre esserne capaci: «devi saperci stare  – ha precisato don Dino – e quindi non puoi essere un turista, ma devi abitarci per un po’ di tempo per comprendere le leggi che li regolano». Anche i social – paradossalmente- hanno bisogno di dedizione e attenzione, tempo e cura, per non incorrere nell’errore di farne un uso superficiale, senza conoscere tutti i vantaggi che possono offrire. Il suo impegno nel mondo social è stato dettato da una riflessione evangelica: «Gesù è chiaro nell’indicarci dove ci chiede di andare; non chiama con sé agricoltori che seminano il proprio campo in attesa dei germogli, ma chiama pescatori, abituati a gettare le reti solo dove può esserci più pesce e quindi in un luogo potenzialmente diverso ogni giorno». Poiché il mondo stava popolando i social network Don Dino ha pensato a un’ esperienza di evangelizzazione che lo ha portato ad apprendere tantissimo, come ad esempio l’importanza di ascoltare e osservare, prima di esprimersi e commentare.

«Nella rete – ha aggiunto – trovavo l’esperienza costruttiva del contraddittorio, cosa che negli ambienti dell’associazionismo cattolico era difficile da reperire». Il periodo di servizio per l’Azione Cattolica nazionale, che lo ha tenuto lontano dalla parrocchia, ha segnato la sua necessità di immergersi in storie di vita che, non potendo toccare direttamente, riusciva comunque a reperire tra un tweet e un post dando avvio a conoscenze spesso portatrici di pareri diversi dal suo che, forse, non sarebbero mai giunte diversamente. La rete, inoltre -ha aggiunto don Dino- ha un altro vantaggio: qui tutti si confrontano alla pari; sui social ci sono regole assolutamente non discriminatorie, in quanto il comune cittadino così come il Presidente di uno stato hanno la stessa possibilità di parlare e intervenire. Don Dino ha poi affermato anche che questo non ci sottrae da una responsabilità di fondo, ovvero quella di essere consapevoli che, proprio per il carattere così aperto e accessibile dello strumento, è più semplice che la platea a cui ci rivolgiamo possa fraintendere quanto vogliamo comunicare.

«Sui social tutto è accelerato e esagerato; i rapporti nascono e si bruciano velocemente; io ci ho incontrato molte persone, ma non sono diventato amico di nessuno. Per un rapporto vero c’è bisogno di altre dimensioni di relazione». È così che oltre ai vantaggi, don Dino ha voluto delineare anche i limiti di questi mezzi di comunicazione. «Non si fissano le riunioni su whatsapp; né si programma la Quaresima; per educare dobbiamo spenderci, e quindi incontrarci». Don Pirri ha criticato un utilizzo generalizzato dei social per lo svolgimento delle attività pastorali, anche perché – come ha ribadito fortemente- la realtà è complessa, quindi difficilmente banalizzabile con un messaggio di whatsapp lanciato in un gruppo numeroso.

Don Dino ha concluso regalando ai presenti un riferimento evangelico con l’episodio dei discepoli di Emmaus. Nel racconto Gesù risorto, che ai loro occhi sembra un semplice viandante, nonostante rimprovi i discepoli apostrofandoli «stolti e lenti di cuore» (Lc 24,25) decide ugualmente di mettersi in cammino con loro e di accompagnarli verso la comprensione dell’annuncio:

«Gesù nel Vangelo è in grado di comunicare e di entrare in dialogo con le persone; anche questo, come la curiosità, è una prerogativa di noi cristiani che, in qualsiasi luogo, tempo e occasione, possiamo diventare trasmettitori della nostra fede in piena accoglienza delle opinioni degli altri».

Laura Simonetti




Vita, lavoro, vocazione: Policoro incontra il Seminario

Gli animatori del progetto Policoro incontrano la comunità del Seminario

Vita, lavoro, vocazione: sono questi alcuni dei temi che hanno animato la mattinata di incontro e riflessione che si è tenuta sabato 9 febbraio in seminario.

Protagonisti di questo incontro sono stati i giovani animatori di comunità del progetto Policoro, provenienti da dieci diocesi della regione Toscana e la comunità del Seminario Diocesano di Pistoia.

È stata una bellissima occasione di dialogo fraterno in cui esperienze di vita quotidiana ed esperienze di vita ecclesiale hanno trovato una sintesi e perché no, un nuovo vigore e un rinnovato entusiasmo per guardare avanti ed essere, come dice Papa Francesco: il presente di Dio (Papa Francesco, omelia a conclusione della GMG di Panama 2019).

L’incontro, inserito nel cammino formativo degli animatori di Policoro, è stato avviato dal saluto di Edoardo Baroncelli, responsabile diocesano ma anche coordinatore regionale del Progetto, che ha inteso sottolineare l’importanza dell’intreccio tra lavoro e vocazione e la dimensione ecclesiale della proposta di Policoro.

I giovani referenti del Progetto dopo aver condiviso coi seminaristi un momento di preghiera con la celebrazione delle lodi mattutine, hanno presentato il percorso formativo da loro vissuto all’interno del Progetto Policoro e hanno poi accolto le testimonianze dei seminaristi i quali, chi più chi meno, hanno avuto delle brevi o lunghe esperienze nel mondo del lavoro che sono state in alcuni casi determinanti per leggere nella loro vita i segni della presenza del Signore, fino a scoprire il dono della vocazione. È stato anche un momento per fare una fotografia alle varie problematiche che affliggono i giovani alla ricerca della stabilità, anche professionale che si lega a  doppio filo con molteplici aspetti della realtà (lavoro, famiglia, amicizie, affettività…), e ai diversi tipi di approccio con cui i giovani si affacciano a questa realtà.

Nel documento finale del Sinodo dei Vescovi si legge: «Nel reale tutto è connesso: la vita familiare e l’impegno professionale, l’utilizzo delle tecnologie e il modo di sperimentare la comunità, la difesa dell’embrione e quella del migrante. La concretezza ci parla di una visione antropologica della persona come totalità e di un modo di conoscere che non separa ma coglie i nessi, apprende dall’esperienza rileggendola alla luce della Parola, si lascia ispirare dalle testimonianze esemplari più che dai modelli astratti. Ciò richiede un nuovo approccio formativo, che punti all’integrazione delle prospettive, renda capaci di cogliere l’intreccio dei problemi e sappia unificare le diverse dimensioni della persona. Questo approccio è in profonda sintonia con la visione cristiana che contempla nell’incarnazione del Figlio l’incontro inseparabile del divino e dell’umano, della terra e del cielo» (Sinodo dei vescovi – Documento Finale. I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, n.57).
La riflessione ed il dialogo su questa dimensione di integralità della persona ha stimolato giovani e seminaristi a considerare alla luce della Rivelazione diverse esperienze che spesso hanno tratti in comune (intraprendenza, sconforto, mille colloqui e concorsi affrontati, l’esperienza con i Centri per l’impiego, le incertezze ed i timori che spesso attanagliano chi si interroga sul senso della propria vita…).

La conclusione dell’incontro è stata affidata alle sapienti parole di papa Francesco citato dal rettore del Seminario don Ugo Feraci, che ha condiviso un passaggio dell’omelia della messa conclusiva della Giornata Mondiale della Gioventù di Panama: «Voi, cari giovani, non siete il futuro. Ci piace dire: “Voi siete il futuro…”. No, siete il presente! Non siete il futuro di Dio: voi giovani siete l’adesso di Dio! Lui vi convoca, vi chiama nelle vostre comunità, vi chiama nelle vostre città ad andare in cerca dei nonni, degli adulti; ad alzarvi in piedi e insieme a loro prendere la parola e realizzare il sogno con cui il Signore vi ha sognato. Non domani, adesso, perché lì, adesso, dov’è il tuo tesoro, lì c’è anche il tuo cuore (cfr Mt 6,21); e ciò che vi innamora conquisterà non solo la vostra immaginazione, ma coinvolgerà tutto. Sarà quello che vi fa alzare al mattino e vi sprona nei momenti di stanchezza, quello che vi spezzerà il cuore e che vi riempirà di meraviglia, di gioia e di gratitudine. Sentite di avere una missione e innamoratevene, e da questo dipenderà tutto (cfr Pedro Arrupe, S.J., Nada es más práctico). Potremo avere tutto, ma, cari giovani, se manca la passione dell’amore, mancherà tutto. La passione dell’amore oggi! Lasciamo che il Signore ci faccia innamorare e ci porti verso il domani!».

Alessio Bartolini

Ricordiamo che il Progetto Policoro è anche online: visita la pagina web sul sito diocesano
o la pagina Facebook:




Missione Panama!

Caterina Pelagalli racconta la sua esperienza alla GMG di Panama

Quarantuno persone, quarantuno cuori, quarantuno bagagli diversi, quarantuno giovani e meno giovani pronti a “lasciare” la propria vita e la propria quotidianità per vivere qualcosa che rimarrà indelebile dentro di noi per sempre. Quarantuno volontari, tutti uniti da una grande ed unica passione: la Misericordia.

Siamo partiti per Panama senza sapere cosa ci aspettava, forse anche un po’ timorosi. Ma è indescrivibile ciò che abbiamo trovato. Ci hanno fatto sentire a casa, fin dal primo momento; ci hanno trattato come se fossimo loro figli, accuditi ed accompagnati per tutta l’esperienza. È difficile poter trasmettere a parole quello che ogni giorno abbiamo vissuto, impossibile poter descrivere i rapporti che sono nati tra noi ed i bomberos (i vigili del fuoco di Panama): non basterebbero paginate intere per raccontarvi ogni singola esperienza che abbiamo fatto. L’unica cosa che possiamo fare è esserne grati, grati con il cuore in mano. Grati al movimento delle Misericordie, che ha permesso ad ognuno di noi di poter crescere spiritualmente, umanamente e professionalmente; ci ha permesso di amare la nostra divisa ancora di più, ci ha fatto conoscere persone nuove, che sono entrate nel nostro cuore e da lì non usciranno mai.

Grati al Benemerito Corpo dei Bomberos, che ci ha sostenuto in ogni momento, condiviso con noi i momenti più belli della GMG. I Bomberos hanno pregato con noi e scherzato, insieme abbiamo mangiato e giocato. Ci siamo aiutati reciprocamente come se ci conoscessimo da sempre, abbiamo imparato gli uni dagli altri, abbiamo pianto insieme, ci siamo salutati all’aereoporto con il nodo alla gola. In particolar modo vogliamo ringraziare Lourdes, il tenente del corpo dei Bomberos, che ci ha accolto il primo giorno quando siamo arrivati e ci ha fatto da mamma per tutta la missione. Una persona semplice, una donna con la D maiuscola, un insieme di coraggio, fermezza, forza ed immensa dolcezza. Non la dimenticheremo mai.

Abbiamo vissuto la GMG dall’inizio alla fine, da vicino e da lontano. L’abbiamo vissuta per le strade, l’abbiamo vissuta nei ristoranti e nei supermercati, l’abbiamo vissuta sul mare e nelle chiese di Panama. Incontravamo giovani ovunque, pronti a fare una foto o lasciarci un ricordo; abbiamo ricevuto “grazie” gratuiti, come se tutti sapessero e ci fossero grati per il servizio che stavamo facendo insieme ai bomberos. Abbiamo trovato giovani pieni di gioia, canti e balli in tutta Panama, gioia dietro ad ogni angolo della città, bandiere di tutti i colori che coloravano le strade di aria nuova, genuina, fresca, viva. I panamensi ci salutavano suonando il clacson della macchina, le commesse dei negozi ci salutavano come se ognuno di noi fosse un dono che gli era stato donato, ci regalavano ricordini del posto come se niente fosse, senza che sapessero da dove venivamo e chi fossimo. Un’umanità che al giorno di oggi colpisce nel più profondo dell’anima.

E poi Papa Francesco: ancora una volta un colpo dritto al cuore; sorrisi indimenticabili che ci hanno toccato da vicino ogni volta che passava con la sua papamobile, parole con una forza devastante, capaci di cambiarti la vita, parole piene di emozione e adrenalina, come se fossero pillole di vitamine. Avete presente quando ci sentiamo stanchi, deboli, tristi e prendiamo le vitamine per tirarci su? Ecco, Papa Francesco ha un’ immensa capacità di entrarti dentro e renderti la forza per vivere la vita come il dono più prezioso che ci è stato fatto.

Voglio chiudere queste mie poche righe con una delle frasi di Papa Francesco che mi ha colpito: «Cari giovani, voi non siete il futuro ma l’adesso di Dio». Dobbiamo essere il presente, vivere l’adesso come se fosse l’unica cosa che ci rimane, dobbiamo cambiarlo se non ci va bene, dobbiamo amarlo e rispettarlo, e ringraziare il Signore per aver avuto l’opportunità di viverlo: Esta es la juventud del Papa!

 

Caterina Pelagalli




A dieci anni dalla morte di Eluana

di Samuel Pisani

Eluana Englaro era una giovane donna di Lecco che aveva da poco compiuto ventuno anni, e che a seguito di un incidente stradale avvenuto il 18 gennaio 1992 ha vissuto per diciassette anni in stato vegetativo.

Respirava spontaneamente e regolarmente, la funzione cardiaca, quella digestiva e le altre attività organiche erano intatte, gli occhi potevano rimanere aperti, le pupille reagivano, persistevano i riflessi del tronco e spinali, ma non vi era alcun segno di attività psichica e di partecipazione all’ambiente e le uniche risposte motorie riflesse consistevano in una ridistribuzione del tono muscolare. Eluana, contrariamente a quanto talora si è letto sui giornali, non aveva affatto l’ “elettroencefalogramma piatto”, non era attaccata a nessuna “spina” e non necessitava di macchinari. Eluana giaceva nel letto di un istituto religioso di Lecco, detto delle “Misericordine”, e poteva stare per qualche tempo seduta in poltrona. Eluana non era una malata in coma, né si trovava in fase “terminale”. Non avendo la possibilità di deglutire, era nutrita mediante un sondino naso-gastrico.

La situazione giudiziaria ha inizio quando nel 1999, il padre e tutore Beppino Englaro, decise di ricorrere alla magistratura per chiedere la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione artificiale attuata nei confronti della figlia Eluana, accompagnando a sostegno della richiesta molteplici deposizioni di amiche della figlia volte a dimostrare l’incompatibilità dello stato in cui versava e del “trattamento di sostegno forzato” che le consentiva “artificialmente” di sopravvivere con le sue precedenti idee e principi sulla vita e sulla dignità individuale.

A partire da qui infatti, il numero delle decisioni divenne proficuo. Ne sono derivate tre diverse vicende giudiziarie, che hanno investito, in primo grado il Tribunale di Lecco, in secondo grado la Corte di Appello di Milano, in terzo grado la Corte di Cassazione, per un totale di ben nove decisioni (primo procedimento: Lecco 2 Marzo 1999, Milano 31 dicembre 1999; secondo procedimento: Lecco, 20 luglio 2002, Milano 17 ottobre 2003, Cassazione 20 aprile 2005; poi ancora un terzo processo: Lecco 2 febbraio 2006, Milano 16 dicembre 2006, Cassazione 16 ottobre 2007 e infine, in sede di rinvio: Corte d’Appello di Milano 9 luglio 2008 che autorizza il padre Beppino Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il “trattamento di idratazione ed alimentazione forzata” che manteneva in vita la figlia Eluana per «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno».

Così i giornali del 10 luglio: sentenza su Eluana: “stop all’alimentazione”. Il Vaticano: “è eutanasia”, è il titolo del Corriere della Sera; I giudici: “Ora Eluana può morire”. La Chiesa: “E’ eutanasia”, la Repubblica, in prima pagina; e poi, “Sia fatta la volontà di Eluana”, il titolo con la foto della ragazza lecchese, in apertura sull’ormai estinto quotidiano L’Unità.

Il 31 Luglio 2008 la Procura Generale di Milano decide di ricorrere in cassazione contro il decreto della Corte d’Appello di Milano.

Lo stesso giorno la Camera dei Deputati, seguita, l’indomani, dal Senato, decide di sollevare davanti alla Corte Costituzionale il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato contro la sentenza della Corte di Cassazione del 16 ottobre 2007, lamentando una sostanziale invasione del campo, uno sconfinamento, da parte della Suprema Corte e dei giudici di Milano, nel potere legislativo che spetta al Parlamento.

L’8 ottobre la Corte Costituzionale, con l’ordinanza 334 del 2008, dichiara inammissibili i ricorsi presentati da Camera e Senato.

Passa poco più di un mese e, l’11 novembre 2008, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Domenico Iannelli, sostiene la non ammissibilità del ricorso della Procura Generale di Milano, perché: «non è intervenuto a tutela di un interesse pubblico, ma a proposito di “una situazione oggettiva individuale”, non di pertinenza della procura generale». Secondo Iannelli, insomma, la procura non era legittimata ad intervenire con un ricorso in Cassazione.

Beppino Englaro, come aveva già fatto nell’attesa di altre sentenze, parlando della figlia dice: «Non rispondo al Vaticano, non rispondo a nessuno, ognuno dica quello che vuole, ormai io la mia strada so qual’è e la percorro con la coscienza pulita, con la voce più limpida che posso, con il totale rispetto di quello che voleva mia figlia Eluana».

Tutto questo fino a quando il 13 novembre 2008, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 27145, respinge il ricorso della Procura generale di Milano, con le seguenti motivazioni: «E’ inammissibile, per difetto di legittimazione, l’impugnazione presentata dal P.M. presso la Corte d’Appello avverso il decreto con il quale la stessa Corte d’Appello – applicando il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione (sentenza n. 21748 del 2007) – accoglieva l’istanza congiunta del tutore (padre) e del curatore speciale di persona in stato vegetativo permanente dal 1992 e autorizzava l’interruzione del trattamento di sostegno vitale artificiale realizzato mediante alimentazione di sondino nasogastrico».

Intanto, Beppino Englaro è sempre più determinato a dare esecuzione a questa sentenza. Il problema che si presenta è quello di trovare una struttura sanitaria idonea ad accogliere Eluana, per poter applicare il protocollo di fine vita.

Dopo il rifiuto della Regione Lombardia a concedere una delle sue strutture, pubblica o privata, da altre regioni viene dichiarata la disponibilità ad accogliere le richieste della famiglia Englaro.

Ma la lunga vicenda giudiziaria non finisce qui. Il 26 gennaio 2009, il TAR della Lombardia accoglie il ricorso della famiglia Englaro contro la Regione, che si era rifiutata di indicare una struttura dove poter sospendere l’alimentazione e l’idratazione alla giovane lecchese.

La discussione sulle sentenze, però, si interrompe del 2 febbraio 2009, quando Eluana Englaro viene prelevata da un equipe medica nella casa di cura “Beato Luigi Talamoni” di Lecco e, a bordo di un’ambulanza, condotta in Friuli, a Udine, presso la casa di cura “La Quiete”. La mattina del 5 febbraio, si inizia a diminuire l’alimentazione ad Eluana.

Lunedì 9 febbraio 2009, è il giorno dell’epilogo. Eluana Englaro muore nella casa di cura “La Quiete” di Udine, per arresto cardio-circolatorio. Sono le 20:10. In Senato è incorso il dibattito sul Ddl che deve portare il Parlamento a legiferare in materia di alimentazione e idratazione negli stati vegetativi persistenti.

All’indomani, i giornali italiani escono con questi titoli: “Niente moratoria per Englaro”, Il Foglio; “Loro si svegliano e lei muore subito”, Libero; “L’hanno uccisa”, il Giornale; “Eluana muore, scontro in Senato”, Corriere della Sera; “In pace”, l’Unità; “Eluana, il calvario è finito”, la Repubblica; “Il tempo del raccoglimento e della preghiera”, L’Osservatore Romano. Avvenire, prima titola: “Eluana è morta, giustizia è fatta”; poi sceglie per l’edizione in edicola: “Dio ora stringe la sua mano”.

L’11 febbraio successivo, dall’esame autoptico effettuato su ordine della procura della Repubblica di Trieste, si è evinto che la causa dell’arresto cardio-circolatorio di Eluana Englaro è derivata dalla disidratazione.

I riflettori si spengono. Cala il sipario. E il paese, dinanzi al primo caso di “Eutanasia all’Italiana”.




Giovani e affettività

Venerdì 22 febbraio una nuova tappa del percorso proposto dalla Pastorale giovanile diocesana “Camminava con loro”. Un incontro dedicato ai giovani della diocesi seguendo le piste di riflessione del Sinodo dei Giovani.

“Gli itinerari catechistici mostrino l’intima connessione della fede con l’esperienza concreta di ogni giorno, con il mondo dei sentimenti e dei legami, con le gioie e le delusioni che si sperimentano nello studio e nel lavoro; sappiano integrare la dottrina sociale della Chiesa; siano aperti ai linguaggi della bellezza, della musica e delle diverse espressioni artistiche, e alle forme della comunicazione digitale.

Le dimensioni della corporeità, dell’affettività e della sessualità vanno tenute bene in conto, giacché c’è un intreccio profondo tra educazione alla fede e educazione all’amore.

La fede, insomma, va compresa come una pratica, ossia come una forma di abitare il mondo” (Documento finale del Sinodo sui Giovani, n. 133)

Raccogliendo questi stimoli che ci vengono dal Sinodo sui Giovani appena concluso, continuiamo il nostro cammino di riflessione con un incontro sul tema dell’affettività.

Come i giovani possono vivere la fede nel Dio-Amore nelle relazioni concrete di amore?

L’incontro si svolgerà nella sala del capitolo della chiesa di San Francesco a Pistoia, venerdì 22 febbraio alle ore 21.00. Per preparare i gruppi giovani a questa serata, l’ufficio famiglia della Diocesi ha messo a disposizione una traccia di riflessione da proporre ai singoli gruppi parrocchiali.

Spunti di riflessione tratti dal Piccolo Principe (pdf)

 




Un nuovo umanesimo per la medicina

Intervista al dottor Stefano Bartolini, noto neurologo Pistoiese, sul tema della giornata mondiale del malato.

a cura di Daniela Raspollini

Spesso il malato è colto da paura e smarrimento; quanto è importante il ruolo del medico nella relazione con il malato?

Per rispondere appare sempre più impellente la domanda: come è cambiata la professione del medico e quale sarà o dovrà essere il medico del futuro? Personalmente penso di essere stato testimone nella mia vita professionale, dai primi momenti iniziali fino al momento del pensionamento, di tutto il percorso di cambiamento della identità del medico e del conseguente rimodellamento del rapporto medico-paziente. Già le parole ed i termini che vengono usati per identificare i ruoli (dirigente medico piuttosto che medico, cittadino od utente piuttosto che paziente) testimoniano un profondo mutamento proprio nel modo in cui il medico concepisce se stesso o viene percepito dagli altri. A testimonianza di questa transizione culturale è interessante citare un articolo comparso recentemente su una delle più prestigiose riviste mediche internazionali (The New England Journal of Medicine, 10/11/2016). I due autori (D.I. Rosenthal e A. Verghese) già nel titolo del loro editoriale ponevano la domanda fondamentale: Meaning and the Nature of Physicians’ Work -Il significato e la natura del lavoro del medico. Quanto affermato in questo articolo rappresenta una fedele fotografia dei problemi che attualmente mettono in discussione la figura del medico per quanto concerne la sua identità ed il senso della sua professione e conseguentemente gli autori affrontano anche la tematica dei problemi emotivi (paura e smarrimento) spesso vissuti dalle persone malate.

Riassumendo brevemente le maggiori criticità appaiono essere: il tempo di cura -inteso come il tempo che il medico passa “accanto” alla persona ammalata nelle classiche procedute sanitarie- appare drasticamente ridotto. Più del 40-50% della giornata lavorativa di un medico viene speso di fronte allo schermo di un computer a svolgere compiti “burocratici”. È ridotto anche il tempo di relazione “faccia a faccia” con le altre figure mediche professionali mediche e non. Nonostante la retorica che il paziente sia al centro della cura, in realtà esso non lo è affatto. Il paziente spesso è non più, infatti, una persona in carne ed ossa, ma un file elettronico dove sono trascritti tutti i suoi dati, non solo sanitari. L’intero sistema sanitario, incluso il suo finanziamento, poggia pesantemente su questa rappresentazione digitale del paziente per la cui definizione è stato coniato un nuovo termine “iPatient”. Esiste spesso una discrepanza fra i report di qualità forniti dalle aziende, dove si afferma che il paziente gode in maniera uniforme e diffusa di ottime cure e l’esperienza concreta del paziente che invece ha una opinione totalmente diversa ed è portato ad avere sentimenti di paura e smarrimento. I medici appaiono sempre più disaffezionati al loro lavoro che viene giudicato troppo burocratico. Il fenomeno del burnout dei medici appare diffuso ed allarmante; infatti sembra che la depressione o sintomi depressivi interessino circa un quarto di loro.

Gli autori concludono la loro analisi sottolineando, in maniera del tutto condivisibile, la necessità di rimodellare un nuovo umanesimo della medicina e di richiamarsi al senso originale della professione medica: accompagnare la sofferenza degli altri e provvedere al loro conforto e cura.
A tal fine propongono di ripensare l’uso delle tecnologie informatiche per l’utilizzo ottimale delle stesse e di recuperare allo stesso tempo alcune pratiche tradizionali della pratica medica tali da ridurre la sensazione di distanza ed abbandono percepita dagli ammalati. A mio parere è attraverso questo nuova “alleanza” che si può aiutare le persone malate a superare le proprie paure ed allentare il senso di smarrimento che talvolta vivono all’interno delle strutture sanitarie.

 

Il papa nel suo messaggio afferma: «la cura dei malati ha bisogno di professionalità e di tenerezza, di gesti gratuiti e semplici come una carezza». A partire dalla sua esperienza come vuole commentare queste parole?

Le classiche pratiche sanitarie come la visita a letto dell’ammalato, la raccolta della anamnesi accurata dal paziente stesso, il colloquio con la famiglia, il contatto fisico concreto con le mani nella vista medica sono sempre più ridotte a vantaggio della registrazione dei dati su files elettronici.
La figura del paziente è come se fosse depersonalizzata ed anche la sua realtà corporea è come se fosse alienata. L’invito di Papa Francesco è quindi attualissimo in quanto ci richiama non solo alla professionalità, quindi anche all’obbligo morale della conoscenza e dell’impegno, ma anche alla “prossimità e vicinanza” alla persona che soffre nella malattia attraverso la tenerezza, gesti semplici gratuiti come una carezza o una parola, uno sguardo, un momento di attesa a bordo del letto per comunicare con coloro che sono deboli perché ammalati, timorosi del loro futuro e alla ricerca di dare un senso della loro sofferenza, della loro intera vita o addirittura della possibile morte. Le piccole ed umili cose sono in genere quelle che hanno maggior significato nel rapporto fra le persone.

A fronte di una cultura e di una mentalità che rifiutano la malattia e la sofferenza che significato assume questa giornata?

È vero che esiste una visione prometeica della medicina per cui la ricerca medica appare onnipotente ed in grado di curare qualsiasi malattia e di allungare indefinitivamente la vita fino ai suoi limiti estremi. Questa fiducia illimitata nella scienza e nella tecnica ha portato a considerare la malattia come un accidente, ha svuotato di senso il limite e la sofferenza umana. Addirittura la morte viene vissuta come uno scandalo per cui rappresenta l’ultimo tabù rimasto nella nostra società che tende quindi a nasconderla ed a non parlarne. In realtà la malattia, la sofferenza e la morte non possono essere negate perché l’uomo ne fa esperienza quotidiana. La loro negazione non può non provocare l’emarginazione e l’indifferenza verso chi soffre. La giornata mondiale del malato è segno rinnovato ed attuale di attenzione, rispetto ed amore verso le persone sofferenti ed anche risposta all’invito di Papa Francesco che ci esorta a seguire l’esempio di Madre Teresa di Calcutta che ha scelto i poveri e gli ammalati ed i morenti per testimoniare attraverso la sua carità l’amore di Dio per i poveri e gli ammalati.

Il papa nel suo messaggio richiama l’importanza del volontariato e della gratuità. È possibile custodire questo atteggiamento anche da professionista della sanità?

Sì, se intendiamo per gratuità l’atteggiamento interiore di disponibilità a soccorrere che è principio fondante della professione medica. Questa particolare vocazione è ben rappresentata artisticamente nella formella robbiana (visitare gli infermi) esposta sul frontale del nostro Ospedale del Ceppo e, in forma di parabola, nella parabola del Buon Samaritano.
L’ atteggiamento del donare rappresenta le fondamenta della professione medica, sia o no legata alla remunerazione pecuniaria. Il professionista della sanità dona le proprie conoscenze professionali, i propri sentimenti di vicinanza empatica al paziente ed insieme riceve a sua volta dalla persona malata il dono della fiducia, della stima e talvolta della amicizia.
Esistono poi forme di gratuità “assoluta” di cui non mancano esempi nella società civile, dove si esprimono in molteplici forme di volontariato, la cui funzione di sussidiarietà è fondamentale nel mondo della sanità. Anche il professionista della sanità che opera all’interno delle strutture, così come il volontario che dedica gratuitamente il suo tempo alla cura degli altri, può e deve essere ispirato dallo spirito del dono gratuito delle propria persona nel prendersi cura degli altri, sopratutto quando sono più deboli, sofferenti ed ammalati.

Personalmente cosa sente di aver ricevuto “gratuitamente” dal Signore?

Tutto e di aver restituito ai fratelli solo una piccolissima e minima parte di quei talenti che mi sono stati affidati.

Daniela Raspollini




Giornata del malato: celebrazione diocesana il 10 febbraio

Il programma della giornata

Domenica 10 si celebra la XXVII giornata mondiale del malato che quest’anno ha per tema: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8).

«Tutti sappiamo che Dio è l’unico che può donare il conforto al corpo e allo spirito, pertanto – afferma don Sebastien Nawej Mpoy, direttore dell’ufficio per la pastorale sanitaria e cappellano dell’ospedale di Pistoia –  vorrei sottolineare l’importanza di partecipare a questa celebrazione così significativa, segno della Chiesa unita che crede e testimonia la presenza salvifica del nostro Signore. Il Santo Padre – prosegue don Sebastien – ci esorta ad essere operosi nella carità e nella misericordia, perché “gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente diamo”».

L’appuntamento, come da tradizione, è a Pistoia, dove mons. Vescovo celebrerà la santa messa in Cattedrale alle ore 15.30. Al termine seguirà una processione fino alla chiesa di Santa Maria delle Grazie o del Letto.

Il messaggio di Papa Francesco per la XXVII Giornata Mondiale del Malato.

 




L’arte di Educare. Incontri per approfondire la bellezza del crescere insieme

Un ciclo di incontri per approfondire la bellezza del crescere insieme a cura dell’Ufficio diocesano per la pastorale con la famiglia.

La “scuola” si articola in 4 incontri che si terranno presso il centro MAiC alle ore 21  a partire da Martedì 12 Febbraio:

Martedì 12 Febbraio 2019 ore 21
Massimo e Giovanna Marianeschi, Orientatori Familiari
La coppia 4.0 – Sfide e risposte per un’affascinante avventura

Martedì 19 Febbraio 2019 ore 21
Giovanni Bonini, Pediatra
Il ruolo centrale della famiglia nell’educazione dei figli.
Diversità e complementarietà del padre e della madre.

Martedì 5 Marzo 2019 ore 21
Don Diego Pancaldo, sacerdote – Ilaria Romani, neurologa
Dal mondo della disabilità una luce per l’uomo.

Martedì 19 Marzo 2019 ore 21
Teresa Zucchi – Giulio Mazzetti, Teen & Life Coaches,
La sfida educativa nell’adolescenza.

Qui potete scaricare il programma.

 




Quando il Vangelo si fa social: un incontro con don Dino Pirri

Incontro con don Dino Pirri presso i locali parrocchiali della Chiesa del Sacro Cuore di Montemurlo.

L’incontro, fissato per venerdì 8 Febbraio alle ore 21.15, è organizzato dall’Azione Cattolica di Pistoia ed è aperto a tutti, in particolare ai ragazzi e genitori che vogliono approfondire la conoscenza riguardo gli scenari digitali.

don Dino Pirri

Nato a San Benedetto del Tronto l’8 luglio 1972, ordinato presbitero il 2 maggio 1998.
È stato vicario parrocchiale a “San Benedetto Martire” in San Benedetto del Tronto (2000-2001) e al “Sacro Cuore di Gesù” in Martinsicuro (2001-2003). Parroco a “San Pietro Apostolo” in Valdaso (2003-2007) e a “San Niccolò” in Acquaviva Picena (2007-2009).
Inoltre è stato assistente diocesano ACR (2000-2005), Assistente AGESCI zona Picena (2004-2009), membro del Consiglio presbiterale (2007-2013), assistente nazionale ACR (2009-2014).
Su TV 2000 ha condotto “Sulla strada” commentando il vangelo della domenica dal 2014 al 2017.
Ha pubblicato con l’ Edizioni Ave: “Dalla sacrestia a Gerico” e “Cinguettatelo sui tetti. Il vangelo di Marco su Twitter“.
È parroco a “San Martino” e alla “Madonna della Speranza” in Grottammare dal 2015.
Dal 2017 è Vicario nella forania “Madonna di San Giovanni”, che comprende le parrocchie di Cossignano, Cupra Marittima, Grottammare e Ripatransone.

Intervista a don Dino Pirri
L’esigenza di ascoltare i giovani, il bisogno di superare paure e il “si è sempre fatto così”

Don Pirri incontrerà i ragazzi di AC della diocesi di Pistoia. Come ha accolto questo invito? È la prima volta che viene in diocesi?

Sono stato già nella diocesi di Pistoia in occasione di un incontro con l’Azione Cattolica quando ero assistente nazionale dell’ACR. Ma ho un legame particolare con la vostra terra, poiché mia madre ha insegnato in una scuola di Monsummano quando ero ancora bambino. Quest’ultimo invito lo accolgo con molta gioia, ma anche con la trepidazione di dover essere capace di corrispondere alle attese, poiché non ho competenze specifiche sul tema della comunicazione, solo un po’ di esperienza. Mi ritengo soltanto un artigiano della comunicazione.

Secondo lei i giovani desiderano coltivare una propria spiritualità? Quali ostacoli e quale sostegno incontrano più spesso?

Questa domanda dovremmo rivolgerla ai giovani. Spesso, anche nella Chiesa, parliamo dei giovani e al posto dei giovani, senza ascoltarli e lasciar parlare loro. Ho visto con gioia che il recente Sinodo dei Vescovi è stato un tentativo nuovo in questo senso: una Chiesa in ascolto dei giovani. Forse l’ostacolo più grande è proprio l’assenza di luoghi di ascolto. Il miglior sostegno potrebbe essere la credibilità degli adulti. Ma ripeto: dovremmo chiedere ai giovani.

Quali sono le difficoltà più consistenti che ha riscontrato nell’opera di evangelizzazione?

L’ostacolo principale che ho incontrato è stata la conservazione di schemi pastorali, che probabilmente non rispondono più al nostro tempo, e la necessità di occuparmi in attività che hanno poco a che fare con l’evangelizzazione ma sono richieste dal servizio a una parrocchia: le manutenzioni, la custodia dei luoghi, le questioni economiche, gli adempimenti delle diverse normative. Nell’azione pastorale in quanto tale mi sono più volte trovato davanti al muro del pregiudizio sulla Chiesa e della presunzione di essere cristiani.

Si parla molto di giovani e mondo social; una realtà spesso accusata di molti guai e pericoli. È davvero tutto da buttare?

Ci sono i pericoli e i guai, che fanno parte del limite umano, ma non c’è nulla da buttare. Spesso c’è l’ignoranza nell’utilizzo di questi strumenti che porta a una loro squalifica o sopravvalutazione. Non bisogna cadere in nessuno dei due errori. La realtà non può essere negata, ma deve essere attraversata, analizzata e ricomposta. I social sono come un luogo abitato da tanta gente, in cui si possono fare incontri significativi, pericolosi o virtuosi; esperienze che fanno crescere oppure esperienze che feriscono. Non ci sogneremo mai di lasciare un bambino o un adolescente da solo in un luogo così vasto, ma neppure possiamo chiuderlo in casa, impedendogli di fare qualsiasi esperienza, e quindi di crescere.

Lei ha scritto un libro molto apprezzato dal titolo: «Cinguettatelo sui tetti» (AVE 2013) raccogliendo mini commenti al Vangelo di Marco. Come nasce l’idea del primo twitter/libro?

In quegli anni cominciavo a conoscere e sperimentare questo mondo “social”, domandandomi come mai noi preti non ne avessimo colto ancora le potenzialità avendo un messaggio bellissimo da comunicare, cioè il Vangelo. Ho incontrato tante persone e ho imparato tante cose, che proverò a raccontare nell’incontro di venerdì. «Cinguettatelo sui tetti» nasce un po’ da questo incrocio, tra il desiderio di comunicare il Vangelo e l’incontro con persone desiderose di lasciarsi provocare da esso.

Si è da poco concluso il sinodo dedicato ai giovani. Cosa lo ha colpito di più del sinodo e del suo documento finale?

Più che i contenuti, come ho accennato prima, mi ha colpito il metodo seguito nei lavori. Il desiderio dei vescovi di ascoltare e di lasciar parlare i giovani. La disponibilità dei giovani a confrontarsi liberamente con i loro pastori.

Per il suo incontro pistoiese cosa ci dobbiamo aspettare?

Anche questa sarebbe una domanda da fare a chi parteciperà. Da parte mia c’è la curiosità di imparare qualcosa di nuovo, mettendo a disposizione qualche esperienza e qualche riflessione. Ecco, mi aspetto una bella sorpresa, ma non so ancora dire quale. Come disse Gesù: «Venite e vedete!».

Daniela Raspollini




Inaugurati a Vignole nuovi locali parrocchiali

Domenica 3 febbraio alle ore 15.30, alla presenza del Vescovo Mons. Fausto Tardelli e del parroco don Alessandro Marini, sono stati inaugurati a Vignole i nuovi locali parrocchiali.

Complessivamente i nuovi locali hanno una superficie di oltre 470 mq e sono costituiti: al piano terra da un salone parrocchiale adibito ad attività pastorali e di socializzazione, una sala per attività di catechesi e formative, un’altra sala polivalente, tre servizi igienici utilizzabili anche dalla Chiesa Nuova, un ripostiglio e un vano per impianti. Al piano primo, accessibile dalla scala esistente della Chiesa Nuova, troviamo un’altra sala per attività pastorali e di catechesi. I lavori sono avviati nel luglio 2017 e sono terminati nel dicembre 2018.

Dopo il taglio del nastro da parte di mons. vescovo, ci sono stati i saluti e i ringraziamenti di don Alessandro Marini a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera: il vescovo e gli uffici della Curia coinvolti, la Conferenza Episcopale Italiana che ha finanziato una buona parte dell’opera, la Fondazione Caript che ha messo a disposizione un significativo ed essenziale contributo, il Comune di Quarrata che ha garantito uno specifico aiuto di natura economica, la Banca Alta Toscana che ha promesso di impegnarsi, negli anni avvenire, a sostenere lo sforzo economico della parrocchia.

Tra gli altri è intervenuto il direttore dei lavori, Stefano Fiaschi che con la sua collega Barbara Lombardi ha progettato e seguito la realizzazione dell’opera, ringraziando tutti i professionisti coinvolti. Un ringraziamento particolare è stato rivolto alla ditta che ha realizzato l’opera, la Costruzioni Generali di Bruno Carella di Pistoia.
Mons. Tardelli, che al mattino ha concluso la visita pastorale a Vignole con la Santa Messa, nel suo intervento di saluto ha ricordato l’importanza di essere comunità e di operare, tutti insieme, in uno spirito di comunione e fraternità, trovando la sintesi dell’esperienza cristiana nella partecipazione all’Eucaristia domenicale, centro dell’esperienza cristiana.

In conclusione è intervenuto anche Alessandro Grassi, artista che ha realizzato un’icona in una delle nuove sale, che ha spiegato le caratteristiche e la simbologia dell’opera.

Questi nuovi spazi parrocchiali accrescono e qualificano gli ambienti pastorali di una comunità dove, da sempre, sono presenti varie realtà, nate e cresciute negli anni, che sono diventate una testimonianza tangibile dell’opera dello Spirito Santo. Esperienze pastorali, cammini di formazione all’iniziazione cristiana, percorsi e progetti per adolescenti e giovani e di catechesi per i bambini, esperienze di solidarietà, di impegno sociale e di attenzione a chi fa più fatica, che hanno portato la parrocchia a riscoprire il piacere e l’importanza di sentirsi comunità, di avere qualcosa in comune da condividere.

All’inaugurazione – alla quale hanno preso parte oltre 200 parrocchiani – sono intervenuti ed hanno portato un saluto, tra gli altri, anche il sindaco di Quarrata Marco Mazzanti, il Presidente della Fondazione Caript Luca Iozzelli, i rappresentanti della già BCC di Vignole, oggi Banca Alta Toscana, Riccardo Andreini e Alberto Banci, il vicario Generale della Diocesi, già parroco a Vignole per quasi 20 anni, Mons. Patrizio Fabbri. Erano presenti i componenti il Consiglio Pastorale ed i rappresentanti del Comitato nato per seguire i lavori, composto da don Alessandro Marini, Stefano Marini (che ha portato un saluto), Claudio Daly, Carlo Niccolai, Stefano Lomi, Lorenzo Cesare e Franco Pacini.

Stefano Lomi