Quale stella guida la tua vita?

Nelle parole del vescovo per l’omelia dell’Epifania una pista per fare discernimento e diventare cristiani «più buoni, non più inveleniti e rabbiosi»

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’omelia di mons. Tardelli per la solennità dell’Epifania.

 

L’arrivo dei cosiddetti magi alla grotta di Betlemme, episodio che abbiamo ascoltato ora nel Vangelo dell’Epifania, rende immediatamente chiaro il messaggio della festa odierna: tutti i popoli sono chiamati a lasciarsi illuminare dalla luce del Signore apparsa a Betlemme e a formare una sola grande famiglia unita nell’amore già su questa terra, segno e prefigurazione della comunione eterna del cielo.

I personaggi di cui si parla, vengono dal lontano oriente. Non sono ebrei. La tradizione li rappresenta di razze diverse. Le parole ascoltate dal profeta Isaia e dall’apostolo Paolo sono molto chiare. Il profeta Isaia vede come in un sogno camminare alla luce di Dio i popoli della terra; popoli che vengono da lontano e vanno verso Gerusalemme, la città santa. «Cammineranno le genti alla luce che risplende sulla città del Signore» – dice il profeta, e prosegue: «I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio». San Paolo da parte sua, afferma con ancor più chiarezza: «Le genti sono chiamate, in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del vangelo».

Nel messaggio che viene dalla festa di oggi, è dunque ben evidente questa verità: Dio è venuto sulla terra per illuminare la coscienza di ogni uomo e perché ogni uomo, alla sua luce, ritrovi la retta via, la via della giustizia, del bene e della pace e, per questo tutti gli uomini sono accomunati da un identico destino di gloria.

Sembrano una cosa semplice a dirsi ma in realtà pare davvero molto difficile a tutti noi accettarla e vivere di conseguenza. Perché se Dio è venuto sulla terra per illuminare la coscienza di ogni uomo e perché ogni uomo, alla sua luce, trovi la retta via, la via della giustizia, del bene e della pace e così formare un’unica famiglia umana, di fronte a una tale affermazione, viene subito da domandarci se effettivamente siamo disposti a lasciarci illuminare dal Signore Gesù o se invece tiriamo avanti la nostra vita come se lui non ci fosse e non avesse a che fare niente con essa. Spesso e volentieri mi pare che, proprio noi cristiani, ragioniamo, pensiamo e agiamo o come ci viene d’istinto, o come la rabbia, il risentimento o desideri tutti materiali ci muovono, o come l’imbonitore di turno, politico, guru, potente o divo che sia, ci spinge ad agire; oppure come ancora i vari mezzi di comunicazione ci suggeriscono. Alla fine, la nostra luce, la stella che guida il nostro cammino, non è il Signore. E’ invece una falsa luce che ci porta alla rovina.

Stiamo attenti allora, fratelli e sorelle carissimi! Cerchiamo di essere vigilanti e attentamente critici su tutto quello che ci viene detto o propinato e vigiliamo anche sui desideri che portiamo dentro di noi. La nostra unica luce deve essere il Signore e la sua luce ci deve portare ad essere più buoni, non più inveleniti e rabbiosi. Qui troviamo infatti un criterio di discernimento fondamentale per capire se stiamo cercando di farci illuminare solo dal Signore o se invece ci siamo affidati a false luci e false stelle. Se cresce in noi la lode e la gratitudine a Dio e la voglia di obbedire ai suoi comandi; se nel nostro cuore cresce l’amore verso tutti, anche verso i nemici; se cresce in noi la voglia di abbracciare ogni persona e il desiderio che ogni essere umano sia felice; se, nonostante tutti i nostri peccati e debolezze, sentiamo l’attrazione di ciò che è buono, bello e vero e ci spingiamo a cercarlo e sempre di più; beh, allora stiamo sicuramente cercando di farci illuminare dalla luce di Cristo; e stiamo seguendo quella stella che seguirono anche i magi d’oriente. Non siamo per niente arrivati è chiaro, ma siamo sulla strada.

Ma se invece dentro di noi cresce il risentimento, la rabbia, l’invidia; la voglia di mandare gli altri a quel paese; se cresce in noi l’indifferenza, la voglia di goderci la vita a scapito di tutto e tutti; se sentiamo crescere in noi la paura degli altri, la voglia di tenerli lontani da noi, di respingerli, di sfruttarli ai nostri fini; se infine ci allontaniamo sempre più da Dio e dalla Chiesa, magari giustificandoci con mille ragioni… ebbene, se così è, è abbastanza evidente che non ci stiamo facendo illuminare dalla luce di Cristo ma da qualcosa che forse brilla, ma che è una falsa luce, che ci porterà irrimediabilmente all’infelicità, all’insoddisfazione totale e a costruire una società infernale.

Voglio allora concludere allora, carissimi fratelli ed amici, invitando tutti a metterci davanti al bambino Gesù ancora una volta; ad andare da Lui con umiltà e devozione, come fecero i magi d’oriente, per offrire a Lui non incenso, oro e mirra, ma il dono della nostra libera volontà, e del nostro impegno sincero a lasciarci illuminare ogni giorno solo e soltanto dalla luce che viene dal Signore, da Lui che è la luce del mondo, il nostro sole, Lui che è via, verità e vita.

+ Fausto Tardelli




Don Primo Mazzolari: un parroco che parla al mondo intero

A Parigi un convegno internazionale promosso dalla Santa Sede sul parroco di Bozzolo. Tra i relatori Mariangela Maraviglia

Sotto il patrocinio dell’UNESCO e in collaborazione con la Fondazione “Don Primo Mazzolari”, la Missione Permanente della Santa Sede presso l’UNESCO e la Diocesi di Cremona hanno organizzato il 29 novembre 2018 un convegno internazionale sulla figura di don Primo Mazzolari, parroco novecentesco del paese di Bozzolo, che alla diocesi di Cremona fa parte.

L’incontro, dal titolo Il messaggio e l’azione di pace di don Primo Mazzolari (1890-1959), si è svolto a Parigi presso la sede Unesco e ha visto la partecipazione del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, di monsignor Antonio Napolioni, Vescovo di Cremona, di don Bruno Bignami, presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari”, di Guy Coq, presidente onorario dell’associazione “Amis d’Emmanuel Mounier”. Tra i relatori, anche la nostra collaboratrice Mariangela Maraviglia, membro del comitato scientifico della Fondazione “Don Primo Mazzolari” e autrice di diversi studi – monografie, articoli, curatele di volumi – dedicati al parroco cremonese. «Riflettere su come il pensiero e l’azione di questo sacerdote può aiutarci tutti a vivere il nostro tempo con coraggio e aiutare a costruire ciò che Papa Francesco chiama la civiltà dell’amore» è stato l’obiettivo del congresso nelle parole del card. Pietro Parolin.

Il cardinale – dopo l’introduzione di mons. Francesco Follo, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO, che ha portato tra l’altro il saluto di Papa Francesco, e dopo l’intervento del vescovo di Cremona – ha ripercorso la vita di questo sacerdote che, avendo «affrontato il dramma della guerra» prima come soldato semplice poi come cappellano militare, ha maturato «convinzioni che lo condurranno a diventare un costruttore di pace del XX secolo». È la «dura realtà della guerra» che «lo aiuta a comprendere che tra il Vangelo e la violenza la distanza è abissale». Dagli anni dei regimi totalitari in cui Mazzolari «ha avuto il coraggio di opporsi con forza a tutte le forme di ingiustizia e razzismo», al sostegno alla Resistenza «come esercizio di una coscienza che voleva preservare l’umanità dall’incubo della violenza»; dalle indicazioni nel periodo della seconda guerra mondiale sul discernimento del «bene e vero» in una «realtà che non è mai limpida», all’impegno per l’educazione della coscienza («il mito del dovere come esattamente opposto al primato della coscienza morale») o la convinzione della necessità di una istituzione sovranazionale come garante di pace: questi alcuni passaggi della vita e dell’azione di don Primo messi in luce dal Segretario di Stato vaticano.

A Mariangela Maraviglia era assegnato il tema La parola ai poveri da don Primo Mazzolari a Papa Francesco. «Nella Chiesa che dà la parola ai poveri disegnata oggi da Papa Francesco, si ritrova l’eco delle speranze che ancora comunicano la vita e l’opera di don Mazzolari», ha affermato la storica. Maraviglia ha segnalato l’attualità della figura del parroco lombardo, rimarcata più volte dallo stesso Bergoglio nei suoi interventi dedicati al prete italiano, a partire da quello letto nel corso della visita da lui resa alla sua tomba il 20 giugno del 2017. Don Primo è stato un «sacerdote coraggioso» che «fin dagli anni Trenta del Novecento faceva dell’attenzione ai poveri che apre all’esercizio della misericordia un cardine imprescindibile della vita cristiana», ha ricordato Maraviglia, sottolineando come tale attenzione segni particolamente l’attuale pontificato e stabilisca «indubbie e a prima vista singolari sintonie tra due esperienze storicamente e geograficamente distanti».

Ha quindi proposto alcuni «elementi e motivi di tale consonanza» ripercorrendo brevemente la vicenda di Mazzolari, le fonti del suo pensiero, la condivisione con personaggi e ambienti della storia dei suoi anni. Bibbia, Vangelo, Padri della Chiesa, Francesco d’Assisi, furono i fondamenti su cui si innestò la lettura dei francesi Charles Péguy, Georges Bernanos, Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, e degli italiani che avvertiva vicini, per primo il sindaco di Firenze Giorgio La Pira con la sua Attesa della povera gente. Ispirazioni che non furono raccolte solo nella sperduta parrocchia di Bozzolo, ma anche da varie personalità con cui Mazzolari fu in contatto e spesso in amicizia: don Lorenzo Milani e la sua passione educativa che si faceva scuola di emancipazione per gli ultimi; don Zeno Saltini e la sua Nomadelfia, città della fraternità e dell’accoglienza di bambini abbandonati, figure, queste, entrambe valorizzate dalle recenti visite di papa Francesco nei luoghi della loro presenza; i più giovani religiosi David Maria Turoldo ed Ernesto Balducci, spesi in opere di carità e nella predicazione sui temi della giustizia e della pace; don Arturo Paoli che, allontanato forzosamente dall’Italia nel 1954, scriveva a don Primo della necessità di «essere come i poveri»; Giuseppe Dossetti, che avrebbe ispirato il discorso sui poveri e sulla povertà della Chiesa pronunciato dal cardinale Giacomo Lercaro al Concilio Vaticano II. Un discorso raccolto in particolare dall’episcopato della Chiesa latinoamericana, che fece della «opzione preferenziale per i poveri» la cifra del suo rinnovamento.

Papa Francesco, ha sottolineato Maraviglia, «conferendo nuova centralità a una Chiesa che sia sempre più “Chiesa povera e per i poveri”, fa propria oggi una richiesta e un impegno che sorgeva dalle voci più sensibili del cristianesimo del secolo scorso, e tra queste la voce viva e partecipe di don Mazzolari». E ha concluso: «Dare la parola ai poveri è compito acquisito per la Chiesa contemporanea. Ne detta l’esigente revisione interna alla luce della radicalità evangelica; la pone come uno dei pochi baluardi, forse l’ultimo baluardo rimasto a contrastare il dominio di poteri onnivori e disumani. È una sfida non meno ardua di quanto si mostrò nel Novecento vissuto da Mazzolari».




Le vie del servizio nel diaconato: la parola ad Alessio, Eusebiu e Fratel Antonio

Un evento di grazia che esprime la vivacità della Chiesa in un tempo di crisi. L’ordinazione di tre diaconi in vista del sacerdozio rappresenta per la nostra diocesi un appuntamento lieto per cui essere grati al Signore, una triplice ordinazione che non cadeva da diversi anni e che vedrà tre nuovi diaconi in vista del sacerdozio.

Tra loro ci sono due seminaristi della nostra diocesi, Eusebiu Farcas e Alessio Bartolini, ma anche Fratel Antonio Benedetto della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia, da cui è priore del 2017. Tutti riceveranno il sacramento dell’ordine domenica 13 gennaio alle ore 18 presso la cattedrale di Pistoia.

 

Le vie del servizio nel diaconato

I tre diaconandi raccontano se stessi, il rito dell’ordinazione diaconale e il ministero a cui sono chiamati

A cura di Daniela Raspollini

 

Cosa significa per te questo momento? Quali sono le tue impressioni?

Il ministero del diacono è sintetizzato dal Concilio Vaticano II con la triade «diaconía della liturgia, della predicazione e della carità», con cui serve «il popolo di Dio, in comunione col vescovo e con il suo presbiterio». Vivere il ministero del diaconato da religioso mi riempie gioia e di emozione, dal momento che di fronte ai miei occhi ho l’esempio di San Francesco d’Assisi che fin da bambino ho sentito sempre vicino nel mio cammino. All’interno della liturgia ci saranno dei compiti nuovi che sicuramente metteranno alla prova la mia timidezza, come la lettura del Vangelo, la predicazione, ecc., mentre il servizio ai poveri e agli ammalati me lo sento più familiare dal momento che la mia vocazione è nata proprio in un contesto di volontariato nel servizio ai poveri in un pronto soccorso sociale. Ora mi appresto a ricevere questo ministero alla veneranda età di quarantasei anni… spero almeno di poter portare un po’ della mia esperienza passata (con gli ultimi) facendo un buon servizio sia con la mia comunità sia in diocesi.

Avvicinandomi con tremore a questo nuovo servizio, consapevole dei mie limiti e della mia povertà, con lo sguardo rivolto a nostro Signore e alla vergine Maria, confido nella sua grazia e nelle preghiere delle persone che mi vogliono bene.

Fratel Antonio Benedetto

 

C’è qualche aspetto del rito di ordinazione che vi sembra particolarmente significativo? Potete spiegarlo ai non addetti ai lavori?

C’è un gesto particolare che il vescovo compirà su di noi durante il rito di ordinazione: l’imposizione della mani.

È un gesto cosiddetto “epicletico” un gesto cioè per mezzo del quale il vescovo trasmette lo Spirito Santo agli ordinandi, quello spirito che vivifica e consacra e ci renderà diaconi, ad imitazione del Cristo servo.

Insieme alla preghiera di ordinazione è il cuore pulsante dell’intera liturgia di ordinazione di cui è parte essenziale, e attraverso questo gesto ci sarà donata la grazia di Cristo; una grazia, quella del ministero ordinato, che si esprime con tinte diverse ma inseparabili, nei tre gradi che lo costituiscono.

Vescovo, presbiteri e diaconi insieme, costituiscono nella Chiesa la realtà preziosa è imprescindibile del servizio paterno, pastorale, ad immagine di Gesù che «come un pastore fa pascolare il gregge e lo raduna

 col suo braccio, porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri…» (Is 40,11).

 

Quale messaggio vi sentite di dare alla comunità diocesana in tempi così aridi?

L’unico ed umile messaggio che ci sentiamo di dare alla comunità diocesana è quello di lasciarsi sempre guidati dallo dallo Spirito, cosi come anche il nostro vescovo scrive negli orientamenti pastorali. Allora crediamo che dobbiamo lasciarci guidare dallo Spirito, per poter aderire a Cristo e fare la Sua volontà. Solo aderendo Cristo possiamo diventare una vera comunità fraterna e missionaria.

 

…e ai giovani? Come spieghereste a un giovane che è possibile fare scelte…”per sempre”?

È sempre bello potersi rivolgere ai giovani, sono la primavera e la freschezza della Chiesa.

È anche vero che i nostri giovani, quelli dell’epoca della postmodernità, se spesso hanno veramente fame e sete della vita vera, in molti casi, a causa dei condizionamenti che quotidianamente subiscono, sono portati a sviluppare una certa diffidenza nei confronti di proposte di vita forti e impegnative come quella cristiana, in cui ogni stato di vita e ogni cammino sono segnati dalla cifra indelebile della donazione e della totalità dell’amore.

C’è bisogno, da parte nostra, di essere testimoni seri e credibili della bellezza dell’incontro con Dio.

Ai giovani mi sentirei di dire: coraggio, non smettete di stupirvi della bellezza di scoprirvi amati, scelti, abbracciati dalla misericordia di Dio.

Il Cristo risorto, ha pervaso la natura umana e l’ha redenta, ci chiede di mettersi in relazione con lui, di rimanere nella sua amicizia di stringere sempre di più la nostra adesione a Lui.

È in questa relazione che è possibile, ancora oggi, dire con slancio il nostro”eccomi” a Cristo che ci ha scelti e ci chiede di rimanere uniti a lui “per sempre”, senza riserve, senza rimpianti, per amore.

Eusebiu e Alessio

 

In quale parrocchia presterete servizio?

Eusebiu: Presto il servizio pastorale nella comunità parrocchiale di San Francesco d’Assisi in Bonistallo (Poggio a Caiano). Precedentemente ho prestato servizio presso la parrocchia di San Marcello in San Marcello Pistoiese e alla parrocchia dell’Immacolata a Pistoia.

Alessio: a Quarrata presso la parrocchia di Santa Maria Assunta, dove presto servizio già da un anno.




Torna alla San Giorgio il problema del Male

Il prossimo venerdì 11 gennaio, avrà inizio presso la Biblioteca Comunale San Giorgio, la seconda parte delle conferenze sul tema Il male e il silenzio di Dio.

Il tema ha inquietato la coscienza dell’uomo fin dai tempi antichi, spingendolo a chiedersi: unde venit malum? Certo è che dietro il termine ‘male’ si aprono orizzonti diversi, che spaziano da quello fisico a quello ontologico, da quello morale a quello sociale…

I relatori che hanno affrontato il tema l’anno passato hanno offerto interessanti spunti di riflessione: la risposta al male narrata da Dostoevskij ne La leggenda del Grande inquisitore, il tentativo di Teodicea di Leibniz, il concetto di male nel pensiero di Schelling e Pareyson, fino a trattare del concetto di Dio dopo Auschwitz proposto da Hans Jonas.

Quest’anno saranno offerti i contributi all’argomento da parte di Hannah Arendt, di Etti Hillesum o dalla lettura biblica che ne danno il libro di Giobbe o l’Apocalisse, ma anche da quella filosofica offerta da Immanuel Kant o Simon Weil. In questo panorama così ricco, non si va certo cercando una risposta esaustiva o che ‘mondi possa aprire’, ma solo tentatativi, ‘storte sillabe’ che possano aiutarci a sostenere il peso di una questione che soluzione logica non ha, ma che tanto dice della fralezza dell’uomo, del suo esser caduco in mezzo a realtà caduche ma, al tempo stesso, del fatto incontrovertibile che egli, quale ‘canna pensante’, non può sottrarsi alle domandi fondamentali che riguardano lui stesso ed il mondo. Fra queste domande, forse la più scottante è quella che riguarda il male, nella vita individuale, nella realtà, nella storia… per questo il tema ha suscitato interesse, e no smetterà di farlo, nel desiderio di risposte che non possono che essere variegate.

La ricchezza di questi contributi all’argomento è data non solo dalla competenza di quanti li presentino ma anche dalle diverse prospettive di lettura, che permettono a coloro che partecipano di non abbracciare facili soluzioni, che inevitabilmente risulterebbero riduttive.

Il mio ringraziamento va a tutte le relatrici e relatori ed a coloro che vorranno partecipare.

Edi Natali

 

programma 2019 (pdf)

Al via il nuovo ciclo di conferenze di filosofia e teologia, che negli anni passati hanno visto la partecipazione di numerosi studenti e appassionati delle due discipline e sono state coronate anche dalla pubblicazione di un testo, contenente gli atti del corso Ordo Amoris, elaborato dai relatori e sostenuto dalla Biblioteca San Giorgio. Il testo ha vinto il primo premio del concorso Premio Nazionale di Filosofia, X edizione. Le figure del pensiero, per la sezione «Pratiche Filosofiche», con cerimonia di premiazione avvenuta il 19 giugno 2016 a Certaldo (FI).
Le conferenze avranno la stessa impostazione seminariale già sperimentata nelle precedenti edizioni: ai circa cinquanta minuti di relazione farà seguito un intervallo di tempo di pari durata, durante il quale i partecipanti potranno porre domande o fare osservazioni. Agli studenti che lo richiedano sarà rilasciato un attestato di frequenza, che potrà eventualmente essere utilizzato dall’insegnante di filosofia a titolo di credito scolastico o per la valutazione finale.

Calendario degli incontri

Venerdì 11 gennaio 2019
Giobbe e la risposta al male
relatore Cristiano D’Angelo

Venerdì 18 gennaio 2019
Il male radicale in Immanuel Kant
relatrice Francesca Ricci

Venerdì 25 gennaio 2019
Il problema del male in Simone Weil
relatrice Sabina Moser

Venerdì 1 febbraio 2019
Hannah Arendt e la “banalità” del male
relatore Paolo Bucci

Venerdì 8 febbraio 2019
Etty Illesum: “lavorare su se stessi, unica soluzione al male”
relatrice Beatrice Iacopini

Venerdì 15 febbraio 2019
La figura dell’Anticristo tra Solov’ev e l’Apocalisse
relatrice Edi Natali




Tre nuovi diaconi per la Chiesa pistoiese

Pubblichiamo di seguito la notificazione del vescovo Tardelli relativa alla prossima ordinazione diaconale che sarà celebrata domenica 13 gennaio alle ore 18 presso la Cattedrale di San Zeno a Pistoia.

 

Carissimi diocesani,

è con vera gioia che vi annuncio la prossima ordinazione diaconale di Alessio Bartolini, Eusebio Farcas, alunni del nostro seminario e di fratel Antonio Benedetto della Fraternità apostolica di Gerusalemme.
L’Ordinazione avverrà in Cattedrale, domenica 13 gennaio, solennità del Battesimo del Signore, alle ore 18.

È una festa per tutta la chiesa diocesana di cui dobbiamo esser grati al Signore. È una sua benedizione infatti poter annoverare tra i ministri della chiesa questi tre nostri fratelli che, a Dio piacendo, sono avviati al Ministero presbiterale.

Il 13 gennaio è anche la data di ripresa del percorso diocesano al diaconato permanente, dopo qualche anno di interruzione e di ripensamento. Il ministero del diaconato, segnato costitutivamente dalla dimensione del servizio a Dio, al popolo di Dio e in special modo ai poveri, è un bene prezioso che dobbiamo saper apprezzare e valorizzare. A partire da tutti coloro che già da tempo svolgono questo ministero nella chiesa pistoiese e ai quali dobbiamo esser grati.

Preghiamo allora per coloro che domenica 13 prossima saranno ordinati diaconi, come per coloro che oggi esercitano il ministero del diaconato permanente nella nostra diocesi e per coloro che il Signore chiamerà ad esercitarlo in futuro.

Pistoia, 2 gennaio 2019

+Fausto Tardelli




La buona politica per la pace. Le parole di mons. Tardelli alle autorità civili della diocesi

Martedì 1 gennaio, presso la Chiesa di San Leone, mons. Tardelli ha consegnato ai sindaci del territorio diocesano e alle altre autorità civili il messaggio per la 52 Giornata Mondiale della Pace di Papa Francesco. Mons. vescovo ha rivolto ai presenti un discorso di presentazione del messaggio che pubblichiamo di seguito per intero. Alle ore 18 ha quindi presieduto l’eucarestia della solennità di Maria SS. Madre di Dio in Cattedrale.

 

1° gennaio 2019

Discorso in occasione della consegna del messaggio per la 52 giornata mondiale della Pace – Chiesa di San Leone (Pistoia)

 

Buon pomeriggio e buon anno.

Ringrazio di cuore per aver accettato il mio invito ed essere qui a ricevere per le mie mani, il messaggio di Papa Francesco in occasione della giornata mondiale della pace che ha come titolo: «La buona politica è al servizio della pace».

Questo mio invito è stato motivo di qualche polemica e c’è chi ha ritenuto di non poterlo accettare. Me ne dispiaccio e rispetto le scelte e le opinioni di ognuno e non voglio entrare – perché non mi compete – in questioni di carattere politico – partitico. Mi permetto soltanto di fare due precisazioni, che ho già avuto modo di esprimere in privato a chi mi aveva scritto. La prima è che il mio era ed è un invito alla riflessione, niente di più. Il messaggio del Papa del resto vuole essere esattamente questo: una occasione di riflessione e di confronto. Cosa quanto mai necessaria oggi, quando assistiamo a un modo di affrontare i problemi più a livello emotivo che razionale e ponderato. Mi pare che anche il nostro Presidente della Repubblica ieri sera abbia auspicato un clima di comunità e di attenzione reciproca. Sono fermamente convinto anch’io, che proprio di questo ci sia bisogno oggi, per poter affrontare i complessi problemi che sono davanti a tutti e che richiedono pertanto pazienza, tenacia, confronto rispettoso e approfondito e – come mi piace chiamarlo – il coraggio del pensiero pensante.

La seconda precisazione riguarda il rapporto tra Chiesa e politica. Sono necessarie distinzioni e chiarificazioni. Trovo illuminanti le parole della Congregazione della Dottrina della fede che nel 2002 emanava una Nota Dottrinale su «L’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica» (n.3): «Non è compito della Chiesa formulare soluzioni concrete — e meno ancora soluzioni uniche — per questioni temporali che Dio ha lasciato al libero e responsabile giudizio di ciascuno, anche se è suo diritto e dovere pronunciare giudizi morali su realtà temporali quando ciò sia richiesto dalla fede o dalla legge morale… La legittima pluralità di opzioni temporali mantiene integra la matrice da cui proviene l’impegno dei cattolici nella politica e questa si richiama direttamente alla dottrina morale e sociale cristiana. È su questo insegnamento che i laici cattolici sono tenuti a confrontarsi sempre per poter avere certezza che la propria partecipazione alla vita politica sia segnata da una coerente responsabilità per le realtà temporali».

In questa precisa prospettiva si muove anche il messaggio di Papa Francesco per il capodanno 2019, quando afferma che la buona politica è al servizio della pace.

 

Fatte queste doverose precisazioni, passerei ora alla consegna del messaggio ai rappresentanti delle istituzioni e della politica qui presenti. Tutti gli altri potranno al termine dell’incontro prendere il testo del messaggio che è a disposizione. Dopo la consegna, cercherò brevemente di presentare il messaggio papale, lasciando poi spazio a chi intenderà dare il suo saluto o esprimere qualche considerazione in merito. Concluderemo con lo scambio degli auguri per il nuovo anno e una foto ricordo.  Chi vorrà potrà quindi partecipare in Duomo alla S. Messa per la pace che celebrerò alle ore 18.

L’augurio di Pace che il Papa rivolge al mondo, ogni primo dell’anno, si riallaccia direttamente all’annuncio degli angeli ai pastori di Betlemme: Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore. La pace è il dono del Natale a tutti gli uomini. La pace, del resto, è una delle aspirazioni più profonde dell’uomo e sicuramente ogni uomo e ogni popolo desidera vivere in pace. Se da una parte, la pace piena e profonda dell’uomo può venire soltanto dalla misericordia di Dio che ci libera dal peccato e ci fa entrare nella comunione con lui, dall’altra questa stessa pace ha bisogno di essere accolta da ciascuno di noi e di trovarci attivi nel costruirla, già su questa terra. Come ama dire spesso Papa Francesco e come ripete anche nel messaggio di quest’anno, «oggi più che mai, le nostre società necessitano di artigiani della pace» perché «ognuno può apportare la propria pietra alla costruzione della casa comune».

Nel messaggio, il Santo Padre si sofferma a considerare che la politica, quando è “buona”, è un «veicolo fondamentale per costruire» la pace. Anzi, essa è “buona” quando costruisce la pace e costruendo la pace, è anche una «forma eminente di carità» cristiana. Prima di addentrarmi un poco nel testo – è scontato dirlo ma è bene ricordarlo: il Papa non scrive soltanto per l’Italia ma per il mondo intero.

Sottolineando l’importanza della politica per la costruzione della pace, il Santo Padre ci ricorda che la pace «si basa sul rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua storia, sul rispetto del diritto e del bene comune, del creato che ci è stato affidato e della ricchezza morale trasmessa dalle generazioni passate»; che essa è «frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani e che è una sfida che chiede di essere accolta giorno dopo giorno». Come uomini, prima ancora che come politici. Perché la pace è innanzitutto – è bene evidenziarlo – «una conversione del cuore e dell’anima» che si snoda in tre fondamentali capitoli: pace con se stessi; pace con l’altro; pace con il creato. Tre capitoli che chiamano in causa direttamente ciascuno di noi e chiedono di metterci in discussione nel profondo della coscienza.

La “buona politica” di cui il Papa parla è quella che è al servizio della pace e che promuove la partecipazione dei giovani, a cui è affidata la speranza di un mondo di pace, e la fiducia nell’altro, cemento indispensabile del vivere in pace. Essere al servizio della pace è dunque il “discrimen” che il Papa pone per l’impegno diretto in politica; il criterio di discernimento. Se non si ponesse al servizio della pace non sarebbe una buona politica.

La “buona politica” però la fanno gli uomini e le donne, che allora debbono unire  virtù umane come il senso della giustizia, l’equità, il rispetto, la sincerità, l’onestà, la fedeltà a quelle “beatitudini” che il Papa cita dal Cardinale vietnamita François-Xavier Nguyễn Vãn Thuận, morto nel 2002, che è stato un fedele testimone del Vangelo: Beato il politico che ha un’alta consapevolezza e una profonda coscienza del suo ruolo. Beato il politico la cui persona rispecchia la credibilità. Beato il politico che lavora per il bene comune e non per il proprio interesse. Beato il politico che si mantiene fedelmente coerente. Beato il politico che realizza l’unità. Beato il politico che è impegnato nella realizzazione di un cambiamento radicale. Beato il politico che sa ascoltare. Beato il politico che non ha paura.

 

Tutto bene allora? No certo. Il Santo Padre non si nasconde i “vizi” della politica, nella drammatica consapevolezza che essa può «diventare strumento di oppressione, di emarginazione e persino di distruzione». I vizi della politica tolgono credibilità ai sistemi entro i quali essa si svolge, così come all’autorevolezza, alle decisioni e all’azione delle persone che vi si dedicano. Tali vizi creano sfiducia nella popolazione, alimentano la paura e il senso di insicurezza, creano barriere tra le persone e fanno diventare la società – mi vien da dire – una giungla.

Quali sono questi “vizi”? Il Papa li elenca: la corruzione – nelle sue molteplici forme di appropriazione indebita dei beni pubblici o di strumentalizzazione delle persone –, la negazione del diritto, il non rispetto delle regole comunitarie, l’arricchimento illegale, la giustificazione del potere mediante la forza o col pretesto arbitrario della “ragion di Stato”, la tendenza a perpetuarsi nel potere, la xenofobia e il razzismo, il rifiuto di prendersi cura della Terra, lo sfruttamento illimitato delle risorse naturali in ragione del profitto immediato, il disprezzo di coloro che sono stati costretti all’esilio, atteggiamenti di chiusura o nazionalismi che mettono in discussione quella fraternità di cui il nostro mondo globalizzato ha bisogno. “Vizi” questi, dai quali occorre preservarsi e liberarsi.

Il ricordo infine dei cento anni dalla fine della prima guerra mondiale e del settantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, offrono al Papa l’occasione di ricordare a tutti da una parte, come «l’escalation in termini di intimidazione, così come la proliferazione incontrollata delle armi siano contrarie alla morale e alla ricerca di una vera concordia e dall’altra, citando San Giovanni XXIII°, che «Quando negli esseri umani affiora la coscienza dei loro diritti, in quella coscienza non può non sorgere l’avvertimento dei rispettivi doveri».

Ecco la mia parziale e limitata presentazione del Messaggio del Santo Padre Francesco. Ognuno, dalla sua personale lettura potrà trarre molti altri spunti di riflessione e di confronto.

 

+ Fausto Tardelli, vescovo




Il vescovo Tardelli in visita alla comunità del Poggiolino

Un incontro con tutta la “famiglia” del Ceis per celebrare insieme la solennità del Natale

Lunedì 24 dicembre tutto il Ceis si è riunito presso la Comunità Il Poggiolino di Larciano per festeggiare il santo Natale e il tradizionale scambio di auguri.

Oltre alla presenza dei ragazzi ospiti  delle altre due comunità “Casa dei Glicini” e “Trilly”, numerosa è stata la partecipazione di familiari,  volontari, operatori e dirigenti dell’associazione. Molto gradita è stata anche la presenza del Direttore del SerT, dott. Fabrizio Fagni.

Ospite d’onore il vescovo Fausto Tardelli che, come ogni anno, ha presieduto la Santa Messa, concelebrata dai sacerdoti della zona: don Andrea di Lamporecchio e don Sunil di Larciano.

Prima della cerimonia religiosa il vescovo, insieme al Presidente del Ceis Franco Burchietti, ha incontrato tutti i convenuti per un saluto ed una riflessione sull’impegnativo percorso di vita dei ragazzi accolti nelle comunità. Particolarmente toccante è stata l’attenzione del vescovo per i piccoli bambini delle mamme di Casa dei Glicini e della Casa famiglia “AMAMI”, ai quali ha voluto riservare una particolare benedizione.

Non è mancato un ringraziamento per il lavoro degli operatori e per la preziosa collaborazione dei volontari. Ma il più grande incoraggiamento il vescovo lo ha rivolto ai ragazzi impegnati nel loro percorso di recupero e ai loro familiari, affinché sappiano trovare sempre la forza di non desistere e di lottare per il superamento delle difficoltà che stanno vivendo e per un futuro di ritrovato inserimento sociale, familiare e lavorativo.

L’incontro è stata anche l’occasione per consegnare un attestato e un regalo personalizzato ai ragazzi e alle ragazze che, in questo ultimo anno, sono riusciti a portare a termine con successo il loro programma di recupero.

La festa si è conclusa, dopo la Santa Messa, con un buffet sapientemente preparato dalle cuoche delle comunità aiutate da alcuni ragazzi. A loro i ringraziamenti di tutti i conviviali.

Franco Burchietti




«Riconosci, cristiano, la tua dignità» : l’omelia del vescovo Tardelli per il giorno di Natale

25 dicembre 2018

Solennità del Natale
Messa del Giorno

Nell’orazione cosiddetta colletta con la quale, dopo il canto del gloria, ho dato inizio alla celebrazione odierna del Natale, si trova racchiuso in sintesi, non solo il messaggio del Natale ma ciò che esso è. Così infatti ho pregato: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana».

Duemila anni fa, il Figlio unigenito di Dio, ha voluto assumere la nostra natura umana. Così si dice. Il Verbo, cioè la parola di Dio, si fece carne e venne ad abitare tra di noi, ci ha annunciato San Giovanni nel Vangelo.

Questo è il fatto; questo è l’evento che noi riviviamo; questo è ciò che è accaduto a Betlemme tanti secoli fa. Una novità assoluta nella storia. Perché introduce in essa qualcosa di inaudito: Dio stesso. La storia è fatta dagli uomini ed è il frutto delle loro scelte. Nel bene o nel male, sono gli uomini a determinare gli eventi della storia. Essa è, potremmo dire, affare di uomini. Ma col Natale non è più così!

Il vagito del piccolo bambino di Bethleem segna una novità assoluta dentro la storia degli uomini: Dio ora non è più all’origine del mondo, causa di esso, al di fuori di esso. Ora egli è nel mondo. È entrato personalmente come uomo nella storia e questa, dunque, non è più ormai soltanto storia di uomini, irrimediabilmente votati all’odio e alla morte, ma è storia di uomini e di Dio, dove Dio è attore e partecipe, che assicura un destino di bene dell’umanità e la sconfitta del male, dando la possibilità a chi liberamente lo accoglie, di edificare un regno di pace e di giustizia, di vivere una vita nuova nell’amore, liberi dal peccato e dal male, gioiosi nella carità e lieti nella speranza.

Questo fatto, cioè il Natale del Signore, come abbiamo pregato nell’orazione della Messa di quest’oggi, viene a rinnovare a redimere l’umanità, la nostra natura umana, noi uomini. Noi che, pur creati a immagine e somiglianza di Dio, abbiamo deturpato questa immagine col peccato, con la disobbedienza alla legge d’amore del Signore. L’uomo è stato creato da Dio ed è una cosa straordinaria. Se noi esistiamo e possiamo gustare la vita è perché Dio ci ha messo al mondo, ci ha voluti partecipi della vita e creandoci ci ha donato una dignità straordinaria, quella di essere a immagine e somiglianza sua. Ma l’uomo – e la storia è lì a dimostrarlo – non ha saputo far tesoro del dono ricevuto e ha deturpato in sé e negli altri l’immagine bella di Dio impressa in ciascun uomo. È così allora che la morte e ogni nefandezza è entrata nel mondo e la terra ha cominciato ad assorbire sangue innocente versato per l’odio tra fratelli.

La nascita di Dio nella carne, viene a cambiare le cose, a restaurare la dignità dell’uomo, a liberare cioè l’uomo dalle catene del male, a rinnovare l’uomo nell’amore, rialzarlo ed elevarlo oltre lo stato creaturale e farlo addirittura Figlio suo, partecipe della sua vita, della sua luce e del suo amore.

Ecco perché l’orazione colletta prega, supplica Dio perché ognuno di noi, proprio a seguito della nascita di Gesù, possa condividere la vita divina del Figlio di Dio con tutto ciò che ne consegue nella vita di ogni giorno. E nell’ufficio delle letture di questo giorno, San Leone Magno, grande Papa e dottore della chiesa del V° secolo, giustamente ci invita: «Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio».

Con queste parole antiche ci viene esplicitato proprio quanto nella orazione della Messa abbiamo chiesto: poter condividere la vita divina di Gesù. Dunque una vita piena di amore, liberata dal giogo del peccato, gioiosa nel dono di sé, perfetta nella carità misericordiosa verso il prossimo in specie i più poveri.

Certo è che, mentre preghiamo Dio di poter condividere la vita divina del Cristo, dobbiamo nello stesso momento mettere, con un deciso impegno, la nostra parte, dobbiamo fare la nostra parte perché, come dice un altro grande padre della chiesa, S. Agostino, «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13); senza cioè la nostra libera adesione, la nostra chiara disponibilità a percorrere la via che Cristo stesso ci ha indicato.

Ed è a questo punto che giungono a noi come un severo monito le parole evangeliche ascoltate poco fa: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Il Natale del Signore allora, da festa ed esultanza si trasforma in dramma. Dramma che le luci artificiali e i trucchi di una falsa gioia non riescono a nascondere, facendo diventare il Natale una vera tristezza che deprime e disgusta. Ciò accade per l’appunto quando Dio non trova posto nella nostra vita o sta sempre e soltanto all’ultimo posto; quando trasgrediamo tranquillamente la legge di Dio, pensando così di essere più liberi e furbi. Ciò accade ancora quando poco ci curiamo della nostra vita interiore e non la alimentiamo con la divina parola e i santi Sacramenti; ciò succede inoltre quando ci lasciamo dominare dall’indifferenza nei confronti degli altri, chiudiamo il nostro cuore al prossimo, in specie a chi più è nel bisogno, disprezziamo e offendiamo gli altri e ci lasciamo prendere da sentimenti xenofobi, antisemiti o razzisti. A quanti però accolgono Dio e si lasciano convertire dal suo amore, testimoniando questo amore nel servire con gioia i fratelli, Dio da – come dice l’apostolo Giovanni nel prologo del vangelo – il potere di diventare figli suoi.

Preghiamo allora davvero con fede, con impegno, in questo preciso momento, facendo nostra l’orazione di questa santa Messa di Natale: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana». Amen.

+ Fausto Tardelli

 




Natale 2018: gli auguri del vescovo Tardelli

Auguri di Natale 2018

Alla città e a ogni uomo e donna che vivono in queste terre

Il Natale è una festa cristiana ma non è per i soli cristiani. È per tutti. La nascita di Dio nella carne infatti, dice cose importanti al mondo: che ogni uomo è grande agli occhi di Dio, qualunque sia la sua condizione sociale, la cultura o il colore della pelle; che ogni essere umano fa parte di una umanità chiamata ad essere un’unica famiglia; infine che ogni persona può essere migliore, essere liberata dal proprio egoismo e aprirsi all’altro da sé. Un messaggio questo, non scritto su un libro o insegnato come una dottrina, ma incarnato in un concreto bambino a Betlemme di Giudea duemila anni fa.

Alla città di Pistoia, auguro che sia sempre di più all’altezza della sua bellezza. Che risplenda come una città di pace che crede nel dialogo come via per affrontare e risolvere i problemi e che non sia mai sorda o indifferente nei confronti di chi soffre. Mi auguro che ci sia più lavoro, lavoro per tutti e lavoro dignitoso, giusto. Auguro alla città uno sviluppo vero e consistente e a chi l’amministra, il coraggio di cercare solo e soltanto, in sincerità di coscienza, il bene comune.

A tutti indistintamente gli abitanti di questa terra, va inoltre il mio augurio di Buon Natale. Un pensiero particolare lo rivolgo ai tanti nostri anziani in casa in famiglia o a volte soli. E ancora a tutti i malati che sono in ansia per la propria salute e devono sottoporsi a cure impegnative. Penso anche a chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, come ai tanti fratelli immigrati che sono venuti tra noi a cercare speranza. Infine, voglio rivolgere un augurio speciale ai ragazzi e ai giovani, spesso vittime innocenti della nostra cattiva società.

Pace di cuore a tutti. Pace interiore e profonda. Pace che si estende alle relazioni sociali, al vicinato, alle contrade, all’intera città. Quella pace che gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme: «Gloria a Dio nell’altro dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore».

+ Fausto Tardelli,
vescovo

 




Gruppi di ascolto: piccole luci domestiche che illuminano il cammino

Per “una comunità fraterna e missionaria”

Un percorso nelle parrocchie della nostra diocesi attraverso le indicazioni operative e gli spunti di riflessione della lettera pastorale del vescovo Tardelli “una comunità fraterna e missionaria”. In questo primo contributo una riflessione sui gruppi di ascolto del Vangelo. «Sempre in prospettiva comunitaria, – si legge nella lettera pastorale del vescovo – suggerisco di riprendere in considerazione quanto ho già avuto modo di indicare altre volte: vedere se si riesce a trasformare i “gruppi di Vangelo” – ottima iniziativa promossa dal compianto Vescovo Mansueto, da incrementare e diffondere sempre di più dovunque e con coraggio – in veri e propri “Cenacoli di fraternità”. Dove oltre alla parola di Dio, si condivide la vita e si sperimenta la fraternità e la missione».

L’esperienza nella parrocchia di San Benedetto

Sono passati tre anni da quando don Timoteo Bushishi, parroco di san Benedetto a Pistoia, mi ha invitato a condurre un gruppo di ascolto del Vangelo presso una famiglia della parrocchia. Ho accettato l’incarico di vivere questa esperienza con grande entusiasmo, pur consapevole dei miei limiti. Non sono un teologo e neppure un diacono, ciò nonostante mi sento a pieno titolo partecipe di questa nostra Chiesa come uno dei tanti tralci che desiderano portare frutto, nonostante le mie carenze e i miei peccati. Ho sentito urgentemente il bisogno di prepararmi spiritualmente e documentarmi sui singoli argomenti di ogni incontro; mi sono davvero appassionato ed ho scoperto in me una voglia matta di conoscere di più e meglio la Parola di Dio ed anche brani che già avevo ascoltato e letto si sono manifestati nuovi e ricchi di contenuti, al punto di fare riflessioni significative in ordine alla mia fede.

Il primo anno del triennio pastorale dal titolo “Sulle ali dello Spirito”, abbiamo trattato l’argomento del “Padre”; il secondo anno è stato dedicato ai “poveri”; l’argomento che la Diocesi c’invita a scoprire nell’anno in corso: “La comunità fraterna e missionaria”, è per noi molto opportuno e propizio nel nostro cammino ad oggi compiuto. I nostri incontri si svolgono con cadenza bisettimanale e ad oggi abbiamo fatto cinque incontri. Lo spirito di comunione è cresciuto in maniera significativa in questi anni. Le barriere che i primi tempi tra noi erano un po’ presenti, i pregiudizi, le paure, sono debellate dalla forza dello Spirito Santo che ci illumina e ci guida, visto che con ardore e fiducia lo invochiamo ogni volta. È nata in questo gruppo di dieci persone una grande confidenzialità, non per meriti nostri, ma dello Spirito. C’è tanta voglia di stare insieme, di condividere la Parola, il desiderio di incontrarsi di nuovo, in una sete comune di crescere e di conoscere che non viene mai meno. Incontrarsi non è solo un assunzione di responsabilità, ma una necessità per tutti noi che va appagata. Attingere alla Parola ci ristora e c’infonde cose belle nel cuore. Ci sono ancora sette incontri da sviluppare: questa prospettiva ci rende tutti felici, li vediamo come un dono: l’incontrarsi ed incontrare Dio ci riempie il cuore.

L’esperienza dell’anno passato rende l’idea di quello che affermo, quando terminati gli otto incontri previsti è sorto spontaneo il desiderio di tutti di andare oltre, di continuare. L’augurio che mi faccio, e dono alla nostra Chiesa è che queste piccole cellule di uno stesso corpo, si moltiplichino e si rafforzino, per dar grazia al Signore, che governi la Chiesa ed illumini il mondo che brancola nel buio.

Enzo Romboli