Il mio “eccomi” al Signore. Le testimonianze dei giovani pistoiesi

Venerdì 14 dicembre, in occasione della veglia organizzata dall’ufficio per la Pastorale giovanile diocesana sono state lette le testimonianze di alcuni giovani impegnati nel mondo del lavoro e del volontariato. Un’occasione per riflettere insieme sul tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Panama, che ha per tema «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

«Ci sono molti giovani, credenti o non credenti, – ha scritto il papa commentando il tema della GMG – che al termine di un periodo di studi mostrano il desiderio di aiutare gli altri, di fare qualcosa per quelli che soffrono. Questa è la forza dei giovani, la forza di tutti voi, quella che può cambiare il mondo; questa è la rivoluzione che può sconfiggere i “poteri forti” di questa terra: la “rivoluzione” del servizio.

…Maria è stata una donna felice, perché è stata generosa davanti a Dio e si è aperta al piano che aveva per lei. Le proposte di Dio per noi, come quella che ha fatto a Maria, non sono per spegnere i sogni, ma per accendere desideri; per far sì che la nostra vita porti frutto, faccia sbocciare molti sorrisi e rallegri molti cuori. Dare una risposta affermativa a Dio è il primo passo per essere felici e rendere felici molte persone.

Cari giovani, abbiate il coraggio di entrare ciascuno nel proprio intimo e chiedere a Dio: che cosa vuoi da me? Lasciate che il Signore vi parli, e vedrete la vostra vita trasformarsi e riempirsi di gioia».

Accompagniamo le parole del papa con le testimonianze dei giovani che sono state lette in occasione della veglia diocesana di venerdì 14 dicembre.

Signore, col tempo sono riuscita a capire quali sono le capacità che tu mi hai donato. La matematica è sempre stata il mio punto forte, così ho deciso di mettermi in gioco e dedicare le mie energie allo studio dell’ingegneria civile. 

Mi hai aperto la strada, io ora affido a te il mio studio e tutte le mie conoscenze, aiutami, con il tuo insegnamento, a metterli a servizio per gli altri seguendo la via dell’amore, infatti, questo solo sarà ciò che darà il migliore guadagno e la più grande ricchezza!
Eleonora

Ho domandato allora: «Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me tutti i giorni della mia vita ed io ho accettato di vivere con te. Ma perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti peggiori della mia esistenza?» Ed il Signore: «Figlio mio, io ti amo e ti dissi che sarei stato con te tutta la vita e che non ti avrei lasciato solo neppure un attimo, e non ti ho lasciato… I giorni in cui hai visto solo un’orma sulla sabbia sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio». Questo dialogo è tratto da una poesia di un anonimo brasiliano intitolato: «Messaggio di tenerezza (le Orme)».
Mi ha sempre affascinato questa poesia, in quanto rispecchia un certo periodo della mia vita ma anche quello attuale. Capita molto spesso di sentirsi soli, impotenti di fronte alle situazioni della vita, qualunque esse siano, ma in un modo o nell’altro riusciamo a superarle, con tutto ciò che ne consegue: sofferenze, cicatrici. Questo brano mi fa sempre commuovere, perché descrive esattamente quello che il Signore, Gesù rappresenta per ognuno di noi: è un Padre, un amico, un fratello, che farebbe di tutto per aiutarci nelle più disparate situazioni, e che ci ama così infinitamente da prenderci in braccio o per la mano quando più siamo in difficoltà.
Perché vi dico questo? Perché è esattamente ciò che io ho provato quando ho capito che tutto quello facevo non era vivere, ma sopravvivere. Sentirsi amati così come siamo nonostante i nostri difetti, la nostra bassa autostima, i problemi, le cicatrici, non importa essere belli, alti, magri, ciò che conta è amare come Dio ci ama, e soprattutto amarsi così come siamo, perché Dio ci ha creato così e a Lui piacciamo proprio perché noi siamo quello che siamo.
L’augurio che faccio a tutti voi che leggete questo mio piccolo testo è che riusciate ad amarvi per come siete e vi sentiate amati da Dio come me e come i molti altri che hanno scelto questo cammino. Io mi sono sentito amato quando Gesù ha fissato il mio sguardo su di me, proprio come con il giovane ricco: “e allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (Mc 10,21). Che Maria vi prenda per mano e vi guidi verso suo Figlio proprio come ha fatto con me.
Andrea, seminarista 

Mi chiamo Elena, ho 13 anni ed una precisa, netta, chiarissima convinzione: il teatro. Recitare ..ma soprattutto studiare teatro, conoscerlo a fondo e dopodiché insegnarlo. Magari a Roma, città eterna. Comincio a divorare spettacoli teatrali alle medie e, più tardi, a recitare in una compagnia di musical.. il mio cuore decolla: non c’è nulla di frivolo o effimero nell’emozione che mi inonda quando varco la soglia di un teatro. È la mia strada!

Mi chiamo Elena, ho 19 anni e studio giurisprudenza a Pisa, città tipicamente universitaria. Mi laureerò bene ed in fretta, perché prima voglio assicurarmi di riuscire a sbarcare il lunario con degli studi seri e concreti e poi -matura e solida- coltiverò il teatro. Nel frattempo, tra una pagina e l’altra di diritto, continuo ad andare a lezione di canto, a recitare e vivere il teatro, per non perdermi.

Oggi ho 34 anni, una splendida ma tardiva laurea in giurisprudenza e mi occupo di volontariato e di quello che c’è bisogno presso un ente di riabilitazione per persone in età evolutiva o adulta con disabilità di diverso tipo e grado. Per iniziare a mettere da parte qualche soldino, ed a mantenermi da sola, accetto di entrare in questa realtà, prima di laurearmi, per sostituire una segretaria medica in maternità. Il mio “eccomi” nel lavoro dunque…qual è..?
Ho dovuto e devo modellare il mio “eccomi” secondo per secondo, spesso rivoluzionando completamente aspettative e progetti. In realtà non posso proclamare al mondo di fare il lavoro della vita. Chissà…
Ho sempre chiesto luce, ad ogni passo, per fare cose buone, cose belle, cose fruttuose e significative in qualsiasi campo mi stessi spendendo. Il mio “eccomi” è una modalità.
Ti piace Signore questa cosa? È buona ai tuoi occhi? La sto facendo con massimo impegno, con amore, con creatività e personalità? La sto facendo con gioia?
Se alla fine di una giornata lavorativa orrenda, riesco a dare un bacino a Francesca che è una piccola disabile molto grave e non parla, non si muove, non interagisce.. il cuore decolla.
Se in quella telefonata pesante sono riuscita ad usare dolcezza e mitezza.. il cuore decolla.
Se un volontario mi ringrazia per aver insistito o per averlo accolto con calore.. il cuore decolla.
Se torno a casa pensando di cambiare, staccare, mollare tutto e partire da capo, ma il giorno dopo ci riprovo per tentare di superare, rileggere, riscrivere la storia presente… il cuore beh, non decolla.. ma sarà sicuramente più forte! Non si può perennemente decollare; ci vuole tempra, struttura, solidità, esperienza sostanziosa di Vita anche “al piano terra”.
Ci vuole poi lo sguardo rivolto al Signore, in tutto. Anche mentre si fanno le fotocopie. Anche quando come adesso, mentre scrivo, mi guardo indietro e penso che d’altra parte, tutto sommato, se fosse utile -perché no?- saprei ancora cantare.

Elena

Eccoci: nella nostra impotenza abbiamo provato a esserci, a stare, a stare nei campi profughi in Macedonia, ad accompagnare la gente che rientrava in Kosovo, trovando “tabula rasa, ad accogliere i bambini soli e disorientati dalla guerra, a stare accanto a tante famiglie povere ed emarginate, agli ammalati. Uno stare semplice e allo stesso tempo faticoso, che passa dalla concretezza quotidiana. Un “eccoci” che va rinnovato ogni giorno e che ci mette alla prova, ci chiede fedeltà.
Ci proviamo, confidando nell’Eccomi di Maria, desiderando che questo Dio, che questo Dio, fatto uomo, sia in mezzo a noi, in comunione.

Buon Natale da tutta la casa di Leskoc in Kosovo




La visita del vescovo all’ospedale san Jacopo

Lunedì 17 dicembre mons. Tardelli ha incontrato i degenti dell’ospedale e i volontari della Cappellania ospedaliera.

 

«Sto alla Porta!» (Ap 3,20) È alla luce di questa parola del libro dell’Apocalisse che abbiamo vissuto la visita del nostro vescovo in ospedale; una visita sempre attesa, gradita e significativa.

Prima di recarsi dagli ammalati il vescovo ha salutato il personale ospedaliero e i volontari della Cappellania esortandoli ad essere pronti e disponibili al prossimo sofferente che “bussa” alla porta del nostro cuore.

Mons. vescovo ha insistito sull’atteggiamento di “umanità” verso il malato, il sofferente, la persona anziana: anche i più sofisticati strumenti tecnologici non riusciranno mai a comunicare quel calore umano che il prossimo bisognoso attende! Cristo, d’altra parte, si è sempre accostato alle persone con parole e gesti di tenerezza. Nella preghiera celebrata insieme abbiamo riflettuto sulla lettera indirizzata alla chiesa di Laodicea (Ap  3,14-22): una chiesa, «nè fredda, nè calda», bisognosa quindi di essere scossa e risvegliata: «sii zelante e convertiti, ecco sto alla porta e busso…».

Papa Francesco insiste tanto sulla necessità di una chiesa in “uscita”, non ripiegata su se stessa, non asfittica! Il Natale ci ricorda che Dio è uscito da se stesso, dal suo paradiso per farsi incontro alla nostra umanità. «Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore!» (D. M. Turoldo)

Il vescovo, recandosi in alcuni reparti dell’ospedale, ha portato una parola di conforto, un sorriso, una carezza, una benedizione ai pazienti, lasciando loro la bella immagine della “Madonna dell’Umiltà”, con l’augurio di sentirla sempre vicina come Madre tenerissima.

Cappellania Ospedaliera di San Jacopo – Padre Natale Re




Un anno dedicato alla prevenzione delle dipendenze

Mercoledì 19 dicembre alle ore 15.30 sarà presentato il Dossier del Centro Famiglia Sant’Anna

Il Centro famiglia Sant’Anna è un consultorio con servizi di consulenza familiare, psicopedagogica e legale, che offre anche servizi per giovani e un centro di documentazione.

Vi operano a titolo di volontariato professionisti di esperienza pluriennale, stagisti dell’Università degli Studi di Firenze e di scuole di psicoterapia offrendo un servizio gratuito.

La rete di relazioni interne tra i diversi servizi, insieme all’aiuto di esperti e ai contatti con le diverse realtà del territorio, sia religiose che laiche, permette di orientare chi si rivolge al Centro verso le soluzioni più adeguate.

Il Centro famiglia Sant’Anna ha dedicato il 2018 al benessere come stato di equilibrio interno e di buona relazione con il mondo. Il tema delle dipendenze, già oggetto della formazione regionale dei Consultori di indirizzo cattolico, è stato oggetto di un convegno «Agio e disagio dei nostri figli tra libertà e dipendenze» (13 aprile 2018, Seminario Vescovile Pistoia). Ha partecipato fattivamente alla realizzazione del convegno l’Associazione Civile dei Diritti della Famiglia, composta da una équipe di giovani giuristi e avvocati che offrono consulenze legali gratuite a tutti coloro che ne necessitano o sono seguiti per motivi vari dal Centro Famiglia S. Anna. Il convegno, infatti, è stato moderato dal Presidente responsabile della stessa associazione, Avv. Massimo Chiossi, ed ha visto la partecipazione, in qualità di relatore, dell’Avv. Lorenzo Pratesi.

Il benessere individuale e familiare, cardine per la prevenzione delle dipendenze, è sempre stato una delle finalità del nostro lavoro di counseling e di orientamento. A questo affianchiamo azioni con funzione formativa, preventiva e di accompagnamento: incontri con adolescenti, corsi per genitori, corsi di preparazione al matrimonio, incontri per anziani, incontri di spiritualità, tenuti al centro stesso o presso parrocchie, scuole e varie istituzioni che ne fanno richiesta. Promuoviamo il benessere familiare attraverso gruppi dedicati ai genitori e alla terza età finalizzati alla comunicazione ed elaborazione positiva di esperienze. Queste proposte hanno la funzione fondamentale di sostenere la famiglia in tutte le sue età e in molte situazioni di fragilità.

Nel 2018 abbiamo organizzato incontri per i giovani sul tema dell’affettività in undici classi dell’istituto superiore F. Pacini di Pistoia.

Sul ruolo dei genitori abbiamo promosso un incontro per le famiglie dei bambini che iniziano la frequenza presso la scuola dell’infanzia di Via Cino a Quarrata e cinque incontri presso la Parrocchia di Sant’Agostino a cura dalla Pastorale per la famiglia.

Il Centro Famiglia Sant’Anna ha anche collaborato con il Centro S. Lorenzo di Quarrata rivolto alla terza età, con sei incontri sul pensiero creativo.

Molte famiglie si sono rivolte al Centro Sant’Anna: sono aumentate le richieste di mediazione familiare, le coppie genitoriali che chiedono aiuto per i figli in caso di separazione e le consulenze relative al rapporto educativo in presenza di ansia da parte di uno dei genitori che si sente poco supportato dall’altro oppure insicuro ed incapace.

Anche gli adolescenti si rivolgono a noi, talvolta in modo autonomo; molto spesso dietro consiglio dei genitori.

Numerose anche le richieste di aiuto provenienti da famiglie di origine non italiana che oltre a problemi di organizzazione lavorativa si trovano ad affrontare quelli legati alla relazione in un contesto culturale nuovo.

Il 2019 trova il Centro attivo e rafforzato, per la formazione degli operatori e l’acquisto di strumenti aggiornati di lavoro, ma soprattutto per la capacità di fare rete con il territorio e di offrire una varietà di servizi che coprono i bisogni della famiglia per tutto l’arco della vita.

 

Mercoledì 19 dicembre

Incontro con il vescovo Fausto Tardelli

organizzato da:

Centro Famiglia Sant’Anna – Pastorale della Terza età – Convegni culturali di Maria Cristina di Savoia

Programma

Salone del Centro Famiglia Sant’Anna

ore 15.00: Presentazione del Dossier Centro Famiglia

ore 16.00: Meditazione di Mons. vescovo sul tema: “La nascita di Gesù”

 Chiesa di Santo Stefano (Clarisse)

ore 17.00: Santa Messa presieduta dal vescovo Tardelli

Al termine, buffet natalizio con scambio degli auguri.




Natale 2018 : le celebrazioni con il vescovo Tardelli

La memoria annuale della nascita del Salvatore e delle sue prime manifestazioni costituisce per la Chiesa, dopo la rievocazione del mistero pasquale, la celebrazione liturgica più importante e come tale esige un’intensa e consapevole partecipazione dell’intera comunità cristiana.

Particolare significato assumono le celebrazioni presiedute dal vescovo il quale, unito ai fedeli nella liturgia, simboleggia l’unità nella carità del Corpo Mistico che è la Chiesa.

Ricordiamo che il S.E. Mons. Fausto Tardelli celebrerà:

Lunedì 24 dicembre 2018

ore 23.30 : Veglia e Messa della Notte di Natale

Martedì 25 dicembre 2018

ore 10.30 :  Messa Pontificale presieduta nel Giorno del Natale del Signore; Benedizione Papale con Indulgenza Plenaria

 

Ricordiamo anche le seguenti celebrazioni di tempo di Natale in Cattedrale:

Lunedì 31 dicembre 2018

ore 18.00 : Messa presieduta da Mons. Vescovo nella Solennità di Maria Madre di Dio – Canto del Te Deum di ringraziamento al termine dell’anno civile.

Martedì 1 gennaio 2019

ore 18:00 : Messa nella Giornata Mondiale della Pace presieduta da Mons. Vescovo

Domenica 6 gennaio 2019

ore 10.30 :  Messa Pontificale presieduta da Mons. Vescovo nella Solennità della Epifania del Signore

Domenica 13 gennaio 2019

ore: 18.00 : Messa Pontificale presieduta da Mons. Vescovo con Rito di ordinazione diaconale di Alessio Bartolini, Eusebiu Farcas del Seminario Vescovile di Pistoia e fratel Antonio Benedetto Sorrentino della Fraternità Apostolica di Gerusalemme.

 




auguri di Natale

Il Servizio diocesano per l’Insegnamento della religione cattolica rivolge i propri auguri a tutti i suoi insegnanti.

Scarica gli auguri: Natale-2018 (pdf)




Se gli esercizi si fanno social

Da «Tienilo acceso», di Vera Gheno e Bruno Mastroianni a Sant’Ignazio di Loyola, qualche spunto per stare sui social da cristiani

C’è un libro recente di Vera Gheno e Bruno Mastroianni («Tienilo acceso», Longanesi 2018) che viene in soccorso all’utente medio dei social network, o meglio, alla stragrande maggioranza degli italiani che tengono in tasca uno smartphone e che si pongono il problema di “come” usarlo. Un agile manuale, non proprio abbreviato, ma di facile lettura che guida, come recita il sottotitolo a postare, commentare, condividere «senza spegnere il cervello».

Superata la distinzione reale/virtuale in auge al volgere del millennio, siamo tutti ormai consapevoli che i social si sono trasformati in “ambienti di vita”, spazi più “reali” che mai, dove si coltivano, costruiscono o distruggono relazioni, dove si fa notizia, tendenza, affari (soprattutto alle nostre spalle) e molta politica. Superata la dialettica dell’online/offline qualcuno ci dice che stiamo già dentro l’onlife.

Anche la Chiesa si è mobilitata in una produzione consistente di testi e proposte culturali legate al web e ai social network, desiderose di guidare alla conoscenza, alle buone pratiche e agli orizzonti pastorali (Ad esempio: «Di terra e di cielo. Manuale di comunicazione per seminaristi e animatori», a cura di Adriano Fabris e Ivan Maffeis, San Paolo 2017). Un’istanza educativa, d’altra parte, come afferma in modo molto convincente «Tienilo acceso», si fa sempre più necessaria se davvero

«è cambiato e sta cambiando radicalmente il rapporto dell’uomo con la conoscenza, così come sono cambiate e stanno cambiando le modalità degli esseri umani di entrare in relazione tra loro».

«Tienilo acceso» si dipana in quatto parti: «parole al centro» è la prima e presenta una provocatoria rassegna dell’odio in rete; quel che succede quando le parole diventano pietre, ma anche consigli pratici per capire che, con un po’ di attenzione, “onlife” possiamo starci anche diversamente. Il secondo capitolo, «parlare di me stesso», scopre il velo di Maya che fa dimenticare come in rete «siamo quel che sembriamo». La terza parte, «Parlare di ciò che succede» tocca il tema dell’informazione, offrendo utili suggerimenti per verificare le notizie e accoglierle criticamente. L’ultima parte, che recupera un altro testo di Mastroianni («La disputa felice. Dissentire senza litigare sui social network, sui media e in pubblico», Franco Casati Editore 2017), propone un metodo corredato da utili esempi per imparare a «parlare con gli altri», e vivere «felice e connessi».

A rimuginarci sopra le quattro parti di “Tienilo acceso” possono suggerire un piccolo “corso di esercizi spirituali” per chi, online, prova a starci da credente.

Magari a letto prima di addormentarsi, piuttosto che vagabondare da un profilo all’altro, non varrebbe la pena prendersi un minuto per osservare e osservarsi con occhiali “social”? Di fronte alle «cinquanta sfumature d’odio» squadernate quotidianamente su Facebook possono essere utili le composizioni di luogo ignaziane: «ascolto quello che dicono gli uomini sulla terra, cioè come parlano tra loro, giurano, bestemmiano e via dicendo; così pure ascolto quello che dicono le Persone divine, cioè: “Facciamo la redenzione del genere umano”; ascolto poi quello che dicono l’angelo e nostra Signora; infine rifletto per ricavare frutto dalle loro parole» (ES, 107). Un invito a “riascoltare” le parole umane e quelle decisive della storia della salvezza, per comprendere la misura traboccante della misericordia divina e magari nutrirne un po’ anche per i troll di turno e il piccolo hater che c’è in me. Vigilare sul cuore fa bene, perché «dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male…».

Mentre sbocconcello un panino in pausa pranzo e sul mio smartphone smessaggio serratamente con gli amici, zittisco i colleghi di lavoro, ricordo a mamma che torno a cena e alla fidanzata invio un profluvio di micini coccolosi, quale “me” ha davanti ognuno di loro?

C’è almeno un po’ di sintonia tra il tuo status e il tuo “stato di vita”? Lasciati interrogare dalla tua foto profilo. Prima di chiedere l’amicizia al datore di lavoro non conviene dare un’occhiata agli sfoghi sui tuoi post pubblici? La mia fede ha un’espressione social o è contraddetta dal mio profilo? E se il Signore mi chiedesse “l’amicizia”? Cosa vedrebbe di me?

Forse, come esplicita un buon libro di Rosario Rosarno («Giovani di oggi, preti di domani. Per una formazione vocazionale partecipativa-digitale», San Paolo 2018) occorre “educarsi all’identità” e fare attenzione almeno a tre aspetti: «capacità di gestione delle informazioni personali, inclinazione alla marginalizzazione delle proprie idee a favore di quelle altrui» (una bacheca affollata di link esterni ma priva di pensieri originali), «tendenza all’omologazione in social group che lasciano emergere un’identità eccentrica o annichilita». Qualcuno ci aveva avvertito: «ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti».

Se la mattina, appena alzato, apprendo da Twitter che il Papa è stato contestato da un facinoroso drappello di giovani lucchesi vale la pena domandarsi -preso almeno il caffè- se la notizia è davvero attendibile. Qual è la fonte, chi l’ha rilanciata? Quali le circostanze reali? Forse scopriremo che si trattava di giovani entusiasti che salutavano soltanto il proprio vescovo. Se poi, quando le cose si fanno più serie, la fede o la Chiesa sui social appare svilita, vituperata, deformata, è bene ricordare che desolazioni e tentazioni scaturite dalle menzogne e dal peccato si combattono con la perseveranza e la fiducia nella grazia di Dio: «diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate…». Il tempo (della conoscenza critica), ci ricorda papa Francesco, è superiore allo spazio, anche a quello circoscritto di qualche post.

Vale la pena, infine, riascoltare quanto scriveva, al termine delle annotazioni iniziali degli Esercizi lo stesso Sant’Ignazio:

«è da presupporre che un buon cristiano deve essere propenso a difendere piuttosto che a condannare l’affermazione di un altro. Se non può difenderla, cerchi di chiarire in che senso l’altro la intende; se la intende in modo erroneo, lo corregga benevolmente; se questo non basta, impieghi tutti i mezzi opportuni perché la intenda correttamente, e così possa salvarsi» (ES, 22).

Una pratica indicazione per chi, tra una telefonata e l’altra, in ufficio sfoga il proprio risentimento nei commenti di un fatto o di messaggio.

Quando torni a casa, imbottigliato nel bel mezzo del traffico, ti sei mai chiesto quali commenti hai postato? Quali reazioni hanno suscitato? «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me…». Suonano pesanti le parole di Gesù. Fa bene ricordarsi di «avere a cuore l’altro», come ricorda «Tienilo Acceso» quando invita a fare attenzione a come scriviamo quel che postiamo perché «per riformulare il proprio pensiero nella maniera più efficace possibile occorre pensare all’interlocutore più debole, non all’interlocutore-modello».

Insomma, le vie del Signore sono davvero infinite. Proviamo a ricordarcene anche quando prendiamo in mano lo smartphone.

d. Ugo Feraci (Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura)




Bonaventura Bonaccorsi, chi era costui?

Breve profilo di un beato pistoiese a cura di Maria Valbonesi

A cura di Daniela Raspollini

Nella sua lettera pastorale “l’anno della comunità fraterna e missionaria” il vescovo Tardelli invita la diocesi a «riscoprire, ricordare e celebrare adeguatamente i santi del “Proprio diocesano”, portando a conoscenza della comunità la loro testimonianza evangelica». Venerdì 14 la chiesa pistoiese ricorda il Beato Bonaventura Bonaccorsi, una figura ignota a molti pistoiesi che merita invece di essere conosciuta e approfondita. Ci ha aiuta a farlo Maria Valbonesi, con un breve, ma significativo profilo biografico.

Il Beato Bonaventura Bonaccorsi

Fra tutti i santi e beati della Chiesa pistoiese Buonaventura Bonaccorsi è quello che dispone della più ampia rappresentazione iconografica: una sequenza di ben venti lunette affrescate da pittori diversi con la storia della sua vita nel chiostro della Santissima Annunziata. La prima lunetta ce lo mostra in atteggiamento autoritario e marziale, in mezzo al tumulto della guerra civile che insanguina le vie di Pistoia. Infatti Buonaventura apparteneva a un’antica e ricca famiglia ghibellina e ben presto cominciò a distinguersi negli scontri fra le fazioni, fino a diventare «capo e gran fomentatore» di quella ghibellina, anzi, secondo un contemporaneo, particolarmente crudele e sanguinario, «peggiore di tutti gli altri». Ma nel maggio del 1276, dopo aver sentito predicare fra Filippo Benizzi, il Generale dell’ordine dei servi di Maria Annunziata che da poco si era stabilito anche a Pistoia, improvvisamente Buonaventura decise di cambiare vita.

La conversione, specialmente se improvvisa, è sempre un mistero perché comporta l’intervento della Grazia divina; e tanto più in questo caso, perché della predica di fra Filippo sappiamo soltanto che cercava di placare l’ira delle fazioni e di quello che sia avvenuto nell’animo di Buonaventura non sappiamo nulla. Certo è che fra Filippo gli permise di seguirlo e di vestire l’abito dei Servi solo a condizione che prima chiedesse pubblicamente perdono ai suoi nemici. Come si può vedere nelle seguenti lunette di Cecco Bravo: «ritrovati ad uno ad uno singolarmente tutti i suoi nemici in qual si voglia luogo, in casa o in piazza, o soli o accompagnati che gli trovassi, con una humiltà indicibile e con un fonte di lacrime che gli piovevano dagli occhi, a tutti chiese perdono».

Da quel momento, dopo un anno di duro noviziato nel convento di Monte Senario, per quasi quarant’anni fra Buonaventura Bonaccorsi fu al servizio del suo Ordine, come predicatore e come priore dei conventi di Orvieto, Montepulciano, Bologna, poi di nuovo Montepulciano, nel 1307 Pistoia, dove costituì la compagnia delle sorelle dell’Addolorata, e infine ancora una volta Orvieto, dove morì nel 1315. Ma soprattutto fu in continua missione di pace, quella pace a cui fra Filippo Benizzi l’aveva convertito, persuadendolo che non c’è bene maggiore che si possa fare agli uomini su questa terra.

E forse proprio la vittoria della pace sulla guerra vollero significare i frati dell’Annunziata quando nel corso del XVII secolo fecero decorare da quattro valenti pittori (Cecco Bravo, Giovanni Martinelli, Alessio Gimignani e il Leoncini) ben venti lunette del loro chiostro con le storie del beato Buonaventura Bonaccorsi – beato fin da vivo, secondo la voce popolare- ma ufficialmente per la Chiesa solo dal 1822.

Maria Valbonesi




Dichiarazione universale dei diritti: dalla parte del più indifeso

In occasione dei  70 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani è nata l’idea di una riflessione pubblica sulla dignità della persona a partire dalla consapevolezza dei diritti dei più fragili, primo tra tutti il concepito.

Attorno al principio scolpito all’articolo 3 («Ogni individuo ha diritto alla vita») è stato sviluppato un testo – pubblicato da “Avvenire” – sottoposto all’esame di associazioni e realtà ispirate ai valori cristiani e poi integrato facendo tesoro delle numerose indicazioni di chi lo ha condiviso e firmato.

Il testo è stato condiviso con le adesioni di 42 sigle associative, un vero «Manifesto» aperto a eventuali nuove sottoscrizioni (che possono essere inviate all’indirizzo dedicato  dirittiumani.vita@gmail.com).

«La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è intervenuta al termine di tre terribili decenni caratterizzati da due conflitti mondiali con decine di milioni di morti, devastazioni materiali e morali e all’inizio di una guerra, detta «fredda» perché non dichiarata ma in atto col possibile uso di armi distruttive ancora più potenti. La Dichiarazione – si legge nel testo – pone le premesse di una pace duratura allorché richiama il «riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti uguali ed inalienabili, quale base della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Non affida la pace alla forza delle armi, ma a un atto della mente quale è il riconoscimento della inerente – cioè intrinseca – dignità di ogni essere umano.

La violazione dei diritti dell’uomo è continuata in tante guerre locali, con dimensioni più o meno ampie, nell’ aggressione del terrorismo, nel rifiuto dell’accoglienza di poveri e di vittime della fame e della violenza.

Ancora più grave è il rifiuto di riconoscere la dignità di esseri umani che sono i più piccoli e i più poveri: i figli concepiti e non ancora nati. Non è possibile rassegnarsi di fronte ai milioni di aborti realizzati con il sostegno dello Stato e al numero incalcolabile di esseri umani eliminati nell’ambito delle tecniche di fecondazione in vitro. Ancor più è inaccettabile l’assuefazione di fronte all’attuale pretesa di una parte del femminismo – propagandata anche da potenti lobby internazionali – di considerare l’aborto come  diritto umano fondamentale, come se il giusto moto di liberazione della donna da una minorità sociale e familiare trovasse la sua conclusione e raggiungesse il suo vertice con la facoltà di sopprimere i propri figli.

In occasione della celebrazione dei diritti dell’uomo è doveroso concentrare la riflessione su due punti: l’identità umana del concepito – componente della famiglia umana – e la maternità quale segno dell’amore per la vita, particolarmente espresso dalla gravidanza.

1) L’identità umana del concepito

La scienza moderna e la ragione provano che il figlio concepito è un essere umano e, dunque, titolare della dignità umana come ogni altro essere umano. Molti sono i documenti che dimostrano la piena umanità del concepito. In questa sede basta ricordare, sul versante italiano, i ripetuti pareri del Comitato Nazionale per la Bioetica e la sentenza costituzionale n. 35 del 10 febbraio 1997.

Per giustificare pubblicamente la distruzione degli embrioni, nessuno osa negare la identità umana del concepito, ma si sofferma soltanto sulla condizione femminile con un’ambiguità di linguaggio che nasconde la verità parlando di “salute sessuale e riproduttiva”, di “donna” anziché di “madre”, di “interruzione volontaria della gravidanza“ o “Ivg” anziché di aborto, e invocando una sorta di “diritto” all’autodeterminazione in ordine al figlio (che si esprime nel rifiutarlo con l’aborto se non gradito e nel volerlo a ogni costo con la cosiddetta procreazione medicalmente assistita o con la maternità surrogata se invece non arriva).

La convinzione che il concepito non è un essere umano, non è un figlio, ma è soltanto un grumo di cellule, cancella il coraggio innato nella singola donna di accettare una gravidanza difficile e non attesa. L’esperienza dei Centri di aiuto alla Vita e di quanti operano al servizio della vita nascente e delle madri in difficoltà prova, invece, che la consapevolezza della identità umana del concepito è il massimo elemento di prevenzione dell’aborto, perché invita alla condivisione dei problemi, risvegliando il coraggio innato della madre e lo spontaneo amore per il figlio. Di conseguenza, il dibattito pubblico deve essere concentrato sulla identità umana del concepito, sia per la sua forza argomentativa sia per la sua efficacia preventiva capace di salvare vite umane, specialmente quando l’aborto è privatizzato e reso possibile mediante prodotti chimici assumibili nella propria abitazione (Ru486 e cosiddetta “contraccezione di emergenza”).

È evidente che la difesa della vita nascente è affidata prioritariamente alla coscienza individuale, ma la coscienza ha bisogno in qualche modo di essere illuminata.

2) Meditazione sulla maternità e la gravidanza

La misericordia e l’accoglienza verso le donne che hanno fatto ricorso all’aborto – spesso indotte a ricorrervi da circostanze esterne e contro la loro vera natura e volontà – deve essere un punto fermo. Tuttavia, non possiamo esimerci dal constatare che la spinta verso la legalizzazione dell’aborto come diritto deriva in prima battuta da un certo femminismo che, dopo aver rivendicato giustamente la uguale dignità rispetto alla popolazione maschile, pretende l’uguaglianza in modo grossolano anche per quanto riguarda la generazione dei figli. Si dimentica così quella prerogativa esclusivamente femminile che rende la donna naturalmente privilegiata rispetto all’uomo, la cui figura maschile e paterna va comunque valorizzata nella dimensione della responsabilità e dell’indispensabile coinvolgimento relazionale.

Nonostante la rappresentazione mediatica, la cultura che in nome della donna e dei suoi diritti pretende il ‘diritto d’aborto’ riunisce solo una minoranza delle donne. La grande maggioranza desidera o comunque realizza la maternità.

La gravidanza, indispensabile perché l’essere umano nasca e quindi perché la società sussista e abbia futuro, è caratterizzata da tre segni che mettono il timbro dell’amore sulla vita umana.

In primo luogo, la gravidanza implica sempre una modificazione del corpo femminile, spesso è accompagnata da disagi e termina con il dolore del parto. La donna accetta tutto questo con un istintivo coraggio.

In secondo luogo, la crescita del figlio nel seno materno (‘dualità nell’unità’) può essere interpretata come un abbraccio prolungato per molti mesi. L’abbraccio è un segno dell’amore. Per questo abbiamo parlato di un privilegio femminile posto a servizio dell’intera umanità.

La terza caratteristica riguarda la relazione di cura dell’altro che la gravidanza instaura in modo davvero speciale tra madre e figlio: si potrebbe dire che il ‘genio della relazione’, sovente attribuito alla donna, trova la sorgente in quel modello primordiale di relazione che si stabilisce con la naturale ospitalità del figlio sotto il cuore della mamma.

A ben guardare ogni autentica relazione di cura (si pensi ai malati, ai disabili, agli anziani) rimanda a quell’accoglienza gratuita e a quel dono di sé che fa appello alla donna quando si annuncia il figlio che vive dentro di lei. La meditazione sulla maternità e sulla gravidanza indica come traguardo del moto di liberazione la capacità tutta femminile di imprimere sull’umanità il segno dell’amore, il quale suppone, a sua volta, il riconoscimento del concepito come la meraviglia delle meraviglie, il risultato della creazione in atto, una freccia di speranza lanciata verso il futuro, uno di noi. Ne consegue l’urgenza di una nuova riconoscibile presenza femminile che faccia parlare e ascoltare le donne in nome della loro maternità realizzata o desiderata.

Ecco, in ordine alfabetico, l’elenco delle associazioni che aderiscono al Manifesto (tra parentesi, il nome del presidente o di chi ha firmato per conto di ciascuna realtà)”.

Alleanza cattolica (Marco Invernizzi)
Associazione Agata Smeralda (Mauro Barsi)
Associazione cattolica operatori sanitari (Fabrizio Celani)
Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (Giovanni Paolo Ramonda)
Associazione difendere la vita con Maria (Maurizio Gagliardini)
Associazione Donum Vitae (Paolo Marchionni)
Associazione Faes – Famiglia e scuola (Giovanni De Marchi)
Associazione Family day – Comitato difendiamo i nostri figli (Massimo Gandolfini)
Associazione Insieme per te (Vincenzo Saraceni)
Associazione italiana amici dei bambini-Aibi (Marco Griffini) Associazione italiana Ginecologi e Ostetrici cattolici – Aigoc (Giuseppe Noia)
Associazione italiana pastorale sanitaria (Giovanni Cervellera)
Associazione italiana psicologi e psichiatri cattolici (Tonino Cantelmi)
Associazione medici cattolici italiani (Filippo Boscia)
Associazione nazionale famiglie numerose (Mario Sberna)
Associazione nazionale San Paolo Italia (Giuseppe Dessì)
Associazione Risveglio (Francesco Napolitano)
Associazione Scienza & Vita (Alberto Gambino)
Centro italiano femminile (Renata Natili Micheli)
Centro studi Livatino (Mauro Ronco)
Confederazione italiana Centri regolazione naturale fertilità (Giancarla Stevanella)
Confederazione nazionale Misericordie d’Italia (Roberto Trucchi)
Copercom – Coordinamento associazioni per la comunicazione (Massimiliano Padula)
Federazione europea medici cattolici (Vincenzo De Filippis)
Fondazione Il cuore in una goccia – Difesa vita nascente e tutela salute materna e fetale (Anna Luisa La Teano, Angela Bozzo)
Fondazione internazionale Fatebenefratelli (Maria Teresa Iannone)
Fondazione Ut vitam habeant (Elio Sgreccia)
Forum sociosanitario (Aldo Bova)
Istituto scientifico internazionale Paolo VI su ricerca fertilità e infertilità umana – Università Cattolica del Sacro Cuore (Alfredo Pontecorvi)
Movimento cristiano lavoratori (Carlo Costalli)
Movimento per la Vita italiano (Marina Casini Bandini)
Movimento Per – Politica etica responsabilità (Olimpia Tarzia)
Nuovi Orizzonti (Chiara Amirante)
Oeffe – Orientamento familiare (Giorgio Tarassi)
Ordine francescano secolare d’Italia (Paola Braggion)
Progetto Famiglia (Marco Giordano)
Pro Vita (Toni Brandi)
Rinnovamento nello Spirito Santo (Salvatore Martinez)
Scienziati e tecnologi per l’etica dello sviluppo (Pierfranco Ventura)
Semi di pace (Luca Bondi)
Sermig – Arsenale della pace (Ernesto Olivero)
Società italiana per la Bioetica e i Comitati etici (Francesco Bellino)
Unione farmacisti cattolici italiani (Piero Uroda)




Avvento di Fraternità 2018

Domenica 16 dicembre una giornata di fraternità e riflessione sulle povertà del nostro territorio.

Domenica 16 dicembre, terza domenica di Avvento, la diocesi di Pistoia invita tutte le comunità parrocchiali a sensibilizzarsi sulle povertà e marginalità del nostro territorio, ma anche a offrire un contributo e -perché no?- forse anche un po’ del proprio tempo, per le attività della Caritas diocesana.

La Caritas diocesana di Pistoia invita le Caritas parrocchiali che hanno attivi i centri di ascolto, a riportare alla comunità tutta la loro esperienza di servizio di prossimità.

Le offerte che verranno raccolte durante la giornata della Fraternità saranno devolute ai progetti in atto in Caritas Diocesana. In particolare per:

Emporio della Solidarietà

Si tratta di un vero e proprio market alimentare rivolto alle famiglie e persone che vivono in un temporaneo stato di difficoltà economica, che potranno ricevere gratuitamente i beni grazie ad una card punti.

Hospitium “Mansueto Bianchi”

L’Hospitium “Mansueto Bianchi” offre una nuova sede per il Centro di ascolto diocesano e di un dormitorio per senza fissa dimora o situazioni di grave emergenza abitativa con 12 posti.

Mensa don Siro Butelli

La mensa è aperta 365 giorni all’anno e fornisce 2800 pasti mensili tra pranzo e cena.

Centro Mimmo

Il Centro Mimmo fornisce alle persone che ne hanno necessità di un servizio importante come il vestiario.

Tenda di Abramo e Progetto Vola

Case di accoglienza con 15 posti rivolte a giovani profughi e rifugiati e neo maggiorenni usciti dal sistema di accoglienza.

Equipe Caritas Diocesana di Pistoia




La Grande Guerra di Arturo Stanghellini

Domenica 9 dicembre  il prof. Giovanni Capecchi presenta «Introduzione alla vita mediocre», uno dei più importanti libri italiani nati dalla prima guerra mondiale.

La ristampa del libro di Arturo Stanghellini, Introduzione alla vita mediocre (Tarka 2018) sarà presentata domenica 9 dicembre alle ore 16.30 presso la Saletta del Sale del Museo Diocesano-Palazzo Rospigliosi (Ripa del Sale, 3).
L’evento, organizzato dall’Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura della Diocesi di Pistoia, prevede una presentazione dell’opera e dalla vita di Arturo Stanghellini a cura del prof. Giovanni Capecchi, intercalata da letture tratte dal volume.

A seguire: «al museo …con Arturo Stanghellini», apertura straordinaria e visita guidata gratuita del
Museo Diocesano – Palazzo Rospigliosi.


Pubblichiamo di seguito l’articolo di Giovanni Capecchi dedicato alla ristampa del volume e pubblicato sull’ultimo numero del settimanale “La Vita”.

Nella biografia e nell’opera di Arturo Stanghellini (nato a Pistoia il 2 marzo 1887) i tre anni trascorsi sul Carso, dal 6 luglio 1916 al 4 novembre 1918, seguiti dall’attesa del congedo arrivato solo il 28 luglio 1919, corrispondono a una violenta e insanabile cesura. Un vero e proprio abisso separa la vita di prima dalla vita di dopo. Ha scritto in un profilo autobiografico steso intorno al 1930: «Appartengo alla generazione che è stata tagliata in due dalla guerra, e proprio nel fiore della giovinezza. Bisogna comprendermi. Di là è rimasta la quieta passione per l’arte e gli studi, di qua un adattamento forzato alla vita dai posti numerati, che qualche volta dà al mio spirito languori di convalescenza».

Sul Carso, tra il fango e il fetore dei cadaveri, Stanghellini, come molti altri della sua generazione, consuma la giovinezza, brucia le tappe dell’esistenza avendo la forte sensazione, una volta rientrato nelle comodità della vita di pace, di aver raggiunto il culmine della propria esperienza umana proprio in quei giorni terribili ed eroici. La guerra “di talpe” ha fatto convivere per mesi e mesi con la morte, ha rivelato la fragilità dell’uomo, ha fatto scendere nell’inferno dell’orrore, tra rumori assordanti di artiglierie, morti inutili per conquistare cime dai nomi sconosciuti e silenzi abissali; ma questa guerra, non desiderata e non vissuta come festa, affrontata con paura ma anche con orgoglio (l’orgoglio di chi, nonostante l’attaccamento alla vita, non fugge di fronte al destino che lo mette costantemente al cospetto della morte), attraversata con altri uomini che il pericolo rende fratelli, finisce per rappresentare il momento fondamentale della propria vita, la stagione alla quale – come afferma Paolo Monelli in uno dei “classici” della letteratura di guerra, Le scarpe al sole – il combattente resterà «avvinto» per sempre.

Rientrato a casa alla fine di luglio del 1919, il tenente appena congedato trova finalmente la quiete necessaria per scrivere, riutilizzando anche gli appunti presi su un taccuino nei giorni della trincea. E – tra l’agosto e il dicembre di quell’anno – compone il suo libro più intenso, l’Introduzione alla vita mediocre, frutto dell’esperienza tragica vissuta tra il 1916 e il 1918, ma anche dell’amarezza provata dal reduce che aveva riposto ben altre aspettative nella rinnovata pace. Un’amarezza evidenziata dal titolo stesso del libro, preferito all’iniziale Memorie di un intervenuto.

L’Introduzione alla vita mediocre, che era stato ristampato nel 2007 dalle edizioni pistoiesi della Libreria dell’Orso e che in questo 2018 ha ripubblicato l’editore Tarka di Massa, è uno dei libri italiani più importanti nati dall’esperienza della guerra, attento ai fatti esterni (memorabili sono le pagine su Caporetto) ma fortemente piegato sull’interiorità dell’autore-protagonista. Con un linguaggio in molte pagine lirico, racconta il viaggio verso la trincea. Ma descrive anche il ritorno a casa dopo l’armistizio. Un ritorno tutt’altro che sereno: Stanghellini descrive infatti – facendosi portavoce di una generazione di reduci – l’impossibilità di ricominciare la vita di sempre, di riallacciare i legami (e riprendere le conversazioni) con coloro che non sanno cosa sia la guerra; narra l’itinerario verso la propria abitazione di chi sente di aver speso la giovinezza al fronte, di essere precocemente invecchiato, di non potersi riadattare alle “ore piccine” dopo gli istanti intensi della guerra, di non riuscire ad inserirsi in quella che appare ormai con chiarezza come una vita mediocre.