Accanto ai poveri in un mondo ferito. La missione delle Francescane dei Poveri

Domenica 18 novembre si celebra la seconda Giornata Mondiale dei Poveri istituita da Papa Francesco. Nella nostra città l’attenzione verso chi è più fragile e bisognoso è la missione quotidiana delle suore Francescane dei Poveri. Una presenza discreta ma operosa che in occasione di questa Giornata offre la propria riflessione e testimonianza.

Quante situazioni di sofferenza ed emarginazione avete incontrato in questi anni a servizio dei poveri fino ad oggi? Quali sono i vostri ambiti di evangelizzazione e servizio?

Per noi Suore Francescane dei Poveri il 2018 è un anno importante perché celebriamo i 20 anni della nostra presenza a Pistoia. Sono tante le situazioni di sofferenza ed emarginazione che in questo lungo periodo abbiamo incontrato, e varie le realtà in cui ci siamo sentite chiamate a lavorare: il servizio in Caritas diocesana, l’accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale, l’accoglienza di mamme con bambini con problemi di dipendenze, la pastorale nei campi rom e sinti, la pastorale con gli anziani soli ed ammalati, la pastorale famigliare e il servizio di consulenza a favore di coppie in difficoltà, l’insegnamento e il sostegno nelle scuole materne a favore di bambini con disagio, la pastorale carceraria e la pastorale giovanile per giovani e adolescenti alla ricerca di senso e riferimenti.

Come nasce il vostro carisma?

Il carisma delle Suore Francescane dei Poveri è quello di sanare le piaghe di Cristo Crocifisso specialmente nei poveri e nei bisognosi, attraverso l’amore e il servizio. La nostra famiglia religiosa nasce in Germania nel 1845 ad opera della Beata Francesca Schervier, la quale dedicò tutta la sua vita al servizio tra i poveri ed i malati. La nostra missione è ancora oggi quella di testimoniare l’amore di Dio attraverso la cura di ogni singolo individuo, specialmente i poveri ed i sofferenti, facendoci strumento di compassione e speranza all’interno del nostro mondo ferito.

Come si concretizza in diocesi la vostra missione incentrata sull’insegnamento della vostra fondatrice, la scelta radicale dei poveri?

Attualmente il nostro servizio in Diocesi di Pistoia si svolge presso due strutture, una per l’accoglienza di donne vittime di sfruttamento sessuale e con altri disagi, l’altra per l’accoglienza di mamme e bambini per donne che hanno avuto problemi di dipendenze. Ed inoltre siamo impegnate nella pastorale con i rom e i sinti, nella pastorale famigliare ed in quella giovanile, e nella visita a persone anziane ed ammalate della parrocchia di San Benedetto.

Il desiderio che da sempre ha animato la nostra fondatrice Francesca Schervier e che ancora oggi ci guida è quello di riconoscere la presenza di Gesù in ogni fratello e sorella che incontriamo. Sono loro, le persone speciali che Dio continua ad affidarci per condividere la loro vita, e attraverso percorsi a volte molto difficili ritrovare fiducia in sé stessi, recuperare stima e dignità, vivere un fallimento, una malattia, i sogni infranti, le aspettative deluse, la mancanza di speranza nel futuro a causa dei problemi economici. Provare ad essere voce di chi non ha voce, in una società in cui vince chi urla più forte o solo chi ha successo, perché ciascuno possa mostrarsi per ciò che veramente è, al di là dei pregiudizi e di ciò che dai mass media e dai social network viene sbandierato. Provare a farlo perché, anche i più poveri, hanno dei nomi, dei volti e delle storie, perché crediamo nella possibilità, al di là delle nostre differenze di essere fratelli e sorelle.

San Francesco e santa Chiara oggi sono ancora due figure capaci di attrarre l’attenzione dei giovani?

«Il carisma di Chiara e Francesco, parla anche alla nostra generazione, e ha un fascino soprattutto per i giovani» (Benedetto XVI, in occasione alla XXVII Giornata Mondiale della Gioventù)
I motivi per cui questi due santi possono attrarre ancora oggi i giovani crediamo siano vari. Ne citiamo due a noi molto cari: l’amore per l’autenticità e per le relazioni fraterne.
Chiara e Francesco erano giovani quando hanno iniziato a dare ascolto e voce a quello che desideravano veramente. Hanno trovato tra la confusione e il materialismo del tempo Qualcuno di credibile da seguire, un Dio incarnato nei lebbrosi, nei fratelli e nelle sorelle, fragile e libero…. Un Dio “inaspettatamente” vicino. Hanno saputo inseguire i loro sogni osando, rischiando di perdere affetti, sicurezze per essere davvero se stessi. Hanno imparato che il fratello e la sorella che Dio mette loro accanto sono il bene più prezioso che potessero avere. A volte scomodo, ma a volte un aiuto per imparare a farsi dono.
Crediamo che i giovani siano assetati di relazioni autentiche in cui scoprirsi amati così come sono senza la necessità di maschere o compromessi che soffocano i desideri più veri.

Qual è l’aspetto che più vi colpisce nel messaggio del Papa sulla Giornata Mondiale dei poveri?

Nel messaggio per la giornata mondiale dei poveri il Papa sottolinea l’intervento di Dio a favore dei poveri come un atto di cura che non solo risolleva dalla povertà ma restituisce dignità. Questo chinarsi di Dio verso l’uomo, curando in qualche modo le ferite della povertà e aiutando il povero a rialzarsi ci piace perché è un passaggio molto vicino al nostro carisma e alla nostra missione. Esso rappresenta lo sforzo quotidiano di chiunque nella Chiesa voglia impegnarsi a favore dei poveri, nell’ascoltare il loro grido e rispondere con un farsi “presenza” amorosa.
«La salvezza di Dio al povero è sempre un intervento di salvezza per curare le ferite dell’anima e del corpo, per restituire giustizia e per aiutare a riprendere la vita con dignità».

I poveri sono i primi abilitati a riconoscere la presenza di Dio e a dare testimonianza della sua vicinanza nella loro vita. In questa giornata si può cogliere anche un messaggio di speranza?

Certamente sì. Il messaggio del Papa ed il Salmo 34, da cui è tratto il titolo del messaggio per quest’anno («Questo povero grida ed il Signore lo ascolta») contiene in sé un chiaro messaggio di Speranza. Il salmista fa esperienza in prima persona di povertà, sa trasformarla però in un canto di lode e di ringraziamento al Signore perché spera con certezza e sperimenta sulla propria pelle che il suo grido è ascoltato dal Signore. Il Signore poi non si limita all’ascolto ma risponde a questo grido con la sua azione liberante, che è azione di guarigione. Il povero grida a Dio nella speranza di essere ascoltato ma anche con la certezza di essere liberato. La sua speranza è fondata sull’amore di Dio che non abbandona chi si affida a lui.

Daniela Raspollini




Un “piano Marshall” per i cristiani d’Iraq

Intervista ad Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla chiesa che soffre – Italia.
Tra il 23 e 25 novembre sarà in diocesi un sacerdote iracheno per sensibilizzare i fedeli sulla situazione dei cristiani in medio oriente.

Sarà prossimamente a Pistoia, tra il 23 e il 25 novembre un sacerdote iracheno della piana di Ninive, tristemente famosa per i massacri e le distruzioni operate contro i cristiani dallo Stato Islamico. La sua presenza è coordinata da ACS (Aiuto alla Chiesa che soffre). Aiuto alla Chiesa che Soffre è una fondazione di diritto pontificio nata nel 1947 per sostenere la Chiesa in tutto il mondo, con particolare attenzione laddove è perseguitata. Abbiamo rivolto alcune domande ad Alessandro Monteduro, presidente ACS-Italia per conoscere meglio la situazione dei cristiani in Iraq e l’impegno di ACS.

Come si presenta la situazione dopo la distruzione dei villaggi cristiani di Ninive da parte dell’Isis?

La ricostruzione nella Piana di Ninive continua, e prosegue anche il “Piano Marshall” di Aiuto alla Chiesa che Soffre per sostenere i cristiani d’Iraq. Dall’8 maggio 2017, giorno dell’apertura dei primi cantieri nei villaggi di Bartella, Karamless e Qaraqosh, i risultati raggiunti sono straordinari. Secondo l’ultimo aggiornamento del 6 novembre scorso, i cristiani rientrati nell’intera Piana di Ninive sono 41.057. Le abitazioni private distrutte o danneggiate dai jihadisti in due anni sono state 14.035; le proprietà finora riparate sono state 5.746. A coordinare i lavori è il Comitato per la Ricostruzione di Ninive, istituito il 27 marzo 2017 dalle tre Chiese d’Iraq, caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa, con la collaborazione di ACS. Dall’inizio dell’avanzata dell’ISIS nel giugno 2014, ACS ha sostenuto progetti emergenziali e umanitari in Iraq per un totale di quasi 40 milioni di euro. Ciò fa della Fondazione la prima organizzazione nella Piana di Ninive per entità di aiuti.

ACS offre un aiuto importante e concreto alla popolazione di quelle terre nella ricostruzione, ma resta anche il problema della sofferenza spirituale che ha lasciato la violenza dell’ISIS. La gente come affronta questa difficoltà?

La mission di ACS non è solo umanitaria, al contrario è squisitamente pastorale. Ogni nostro progetto ha lo scopo ultimo di agevolare l’evangelizzazione in territori in cui la persecuzione crea ostacoli apparentemente insormontabili. Da parte loro i cristiani di queste nazioni reagiscono con fortezza e fede. Ho visto molte croci sui containers nei quali erano ospitate le famiglie sfollate. Il loro esempio deve insegnare molto ad un’Europa che ha largamente abbandonato le proprie radici cristiane.

Papa Francesco esorta a favorire la permanenza di famiglie nella loro terra d’origine. Che speranza c’è a riguardo?

Il Papa come sempre è lungimirante. I corridoi umanitari, infatti, non rappresentano un’autentica soluzione. Sappiamo dai diretti interessati che i cristiani perseguitati non vogliono emigrare, al contrario vogliono restare in patria. Per questo motivo, gli unici corridoi umanitari che reputiamo necessari sono quelli “di ritorno”. ACS ha coerentemente avviato la ricostruzione di abitazioni e luoghi di culto anche in Siria. Dal 2011 all’agosto 2018 la Fondazione ha finanziato progetti a favore delle comunità cristiane siriane per un totale di 27.428.485 euro.

Quale sarà il futuro del cristianesimo in quelle terre?

Lo sa solo la Provvidenza. Certamente noi abbiamo il dovere di fare quanto è in nostro potere. Anzitutto è necessario pregare per le Cristianità di queste nazioni, in secondo luogo è opportuno continuare a diffondere informazione di qualità per sensibilizzare adeguatamente l’opinione pubblica, in terzo luogo è particolarmente utile sostenere, sulla base della personale disponibilità finanziaria, i progetti di aiuto ai fratelli sofferenti.

Ad oggi quali sono le opere concretamente realizzate da ACS?

Mi limito ai dati definitivi del 2017. Per quanto riguarda le aree di intervento, si confermano al primo posto i progetti di costruzione e ricostruzione (32,8% degli aiuti), con ben 1.212 tra cappelle, chiese, conventi, seminari e centri pastorali edificati o restaurati. Seguono gli aiuti umanitari e di emergenza (15,7%), una parte dell’impegno ACS che si amplia di anno in anno, e le intenzioni di Sante Messe (15,4%). Nel 2017 hanno beneficiato di questo particolare sostegno, fondamentale in aree povere in cui i sacerdoti non possono contare su nessun altra forma di sussistenza, 40.383 sacerdoti e religiosi, uno ogni 10 nel mondo, i quali hanno celebrato 1.504.105 Sante Messe secondo le intenzioni dei benefattori di ACS, ovvero una Santa Messa ogni 21 secondi. Importante anche il supporto alla formazione dei seminaristi: sono stati 13.643 quelli aiutati nel 2017, e quindi uno ogni 9 nel mondo. ACS ha inoltre provveduto al sostentamento di 12.801 religiose, ovvero una ogni 52 nel mondo, con un incremento di oltre il 15% rispetto al 2016.

Altri ambiti di interventi riguardano la traduzione e la pubblicazione di testi religiosi e l’apostolato mediatico, ovvero il sostegno a mezzi di comunicazione quali radio e tv cristiane, i corsi di formazione per laici, e l’acquisto di mezzi di trasporto per agevolare la pastorale di missionari e missionarie. Sono stati 1.120 i mezzi di trasporto donati nel 2017: 424 automobili, 257 motociclette, 429 biciclette, 4 camion, 3 pullman e 3 barche.

In questo quadro è stato estremamente rilevante il sostegno dei benefattori italiani. Nel 2017 ACS-Italia ha visto un incremento di circa il 9% della raccolta, che ha raggiunto quota 3.679.035 euro.  Un altro dato significativo è il rilevante aumento del numero dei benefattori italiani, dai 10.949 del 2016 ai 13.012 dello scorso anno. Molti dei progetti concretizzatisi grazie al contributo italiano sono stati realizzati in Iraq e in Siria. Tra le offerte a beneficio dei cristiani siriani ricordiamo in particolare la campagna di Natale 2017, per un totale di oltre 250.000 euro, e il progetto Goccia di latte, che con una raccolta di oltre 207.000 euro ha permesso di donare latte in polvere a tanti bambini cristiani di Aleppo.

Avete promosso un progetto di ricostruzione molto importante; si tratta di un’operazione eccezionale per i Cristiani in Iraq, ce ne può parlare?

Si tratta del più volte citato “Piano Marshall”, che noi abbiamo chiamato “Ritorno alle radici”. Dopo la sconfitta militare dell’ISIS i cristiani d’Iraq hanno espresso il desiderio di fare ritorno ai loro villaggi nella Piana di Ninive, ormai liberati. Senza un aiuto esterno, tuttavia, non sarebbero stati in grado di riparare le loro case, né le infrastrutture pubbliche. Il costo della ricostruzione delle sole abitazioni private è stato infatti stimato in 250 milioni di dollari; inoltre, nel mutevole quadro politico della Piana di Ninive, hanno avuto difficoltà a far valere il loro diritto al ritorno. Per scongiurare il rischio della scomparsa del Cristianesimo in Iraq, e riconoscendo il diritto al ritorno di ogni persona che si trova nella condizione di sfollato, le tre Chiese cristiane presenti nella Piana di Ninive (caldea, siro-cattolica e siro-ortodossa) hanno istituito, con il sostegno di Aiuto alla Chiesa che Soffre, il Comitato per la Ricostruzione di Ninive (Nineveh Reconstruction Committee – NRC) in modo da: promuovere e finanziare il ritorno dei cristiani ai rispettivi villaggi; pianificare e monitorare la riedificazione e rendere conto dell’utilizzo dei fondi ricevuti; informare l’opinione pubblica sullo stato di avanzamento del ritorno dei cristiani in Iraq; invitare tutti i governi e la comunità internazionale a intraprendere le necessarie azioni politiche al fine di assicurare a tali cristiani il rispetto del diritto a far ritorno alle proprie case.

ACS, impegnando parte della generosità dei propri benefattori, ha finanziato la ristrutturazione delle case mentre continuava ad offrire cibo e alloggio agli sfollati cristiani della Piana ancora in attesa di rientrare nei propri villaggi. Ho già fatto cenno alla situazione attuale con i dati aggiornati. Si tratta di un “cantiere aperto”, che testimonia la straordinaria generosità dei cattolici, anche dei fedeli italiani, i quali, al contrario da tanti stereotipi, sono concretamente solidali con i loro fratelli sofferenti in ogni parte del mondo.

Daniela Raspollini




Nasce a Pistoia l’Emporio della Solidarietà

Un’opera segno rivolta alla famiglia in difficoltà interamente finanziata dalla Fondazione Caript, in sinergia con Caritas Diocesana e Misericordia di Pistoia.

Un nuovo progetto di solidarietà, un’opera segno che prende vita a margine della “seconda giornata internazionale del povero” sabato 17 novembre: sarà il nuovo “Emporio della Solidarietà” con sede nella zona industriale di Sant’Agostino, nato da una sinergia di forze con in testa la Fondazione Caript, che ha finanziato l’intero progetto, la Fondazione S. Atto della Diocesi di Pistoia, la Caritas Diocesana di Pistoia e la Misericordia di Pistoia.

Si tratta di un vero e proprio market alimentare rivolto alle famiglie e persone che vivono in un temporaneo stato di difficoltà economica, che potranno ricevere gratuitamente i beni grazie ad una card punti.

«Questo nuovo servizio, che di fatto supera l’esperienza del “pacco alimentare”, garantirà una maggiore flessibilità ed efficienza nel sostegno alimentare di chi è in difficoltà – ha affermato Marcello Suppressa – direttore della Caritas di Pistoia -. Per questo progetto sarà importante la collaborazione con i Servizi Sociali, la rete delle Parrocchie e la stretta sinergia con le realtà Commerciali del nostro territorio per il recupero dei beni e eventuali donazioni, in un’ottica di recupero, lotta allo spreco e nuovi stili di vita».

«Una sfida vinta grazie alle sinergie che offre il nostro territorio» continua Sergio Fedi presidente della Misericordia di Pistoia. «Un territorio generoso fatto di persone, associazioni e aziende che con grande senso di responsabilità sociale sa realizzare progetti e risposte adeguate alle esigenze delle persone e soprattutto verso che si trova in difficoltà. Dopo il microcredito, il fondo solidarietà e salute l’emporio è l’ultima risposta in ordine di tempo».

Le persone che accederanno al servizio saranno inserite in questo progetto dai centri d’ascolto Caritas, che valuteranno le necessità e progetteranno percorsi personalizzati di accompagnamento. Il progetto prevede che l’emporio sia un vero e proprio centro aperto alla città per la sensibilizzazione a stili di vita coerenti col messaggio evangelico. All’interno delle sale avranno luogo corsi di formazione specifici alla gestione dell’economia familiare, orientamento al lavoro e laboratori alimentari, con la collaborazione di varie associazioni e volontari vicini alla Caritas.

Il nuovo emporio della solidarietà si trova in zona Sant’Agostino, in via Galileo Ferraris 7. L’inaugurazione avrà luogo sabato 17 novembre alle ore 10.30. Dopo il saluto dei promotori il vescovo Mons. Fausto Tardelli porterà la sua benedizione dei locali.




Una novità dalla storia secolare: la festa del Seminario diocesano

Sabato 10 novembre la comunità del Seminario ha celebrato insieme a numerosi sacerdoti della Diocesi un momento di fraternità e condivisione.

Sabato 10 novembre, nella memoria liturgica di San Leone Magno, il Seminario diocesano ha celebrato la sua festa. Una festa che non c’era, ma che si riannoda alla storia ormai plurisecolare di questa istituzione. Il riferimento a San Leone Magno si spiega, molto prosaicamente, con il nome del vescovo che diede vita al seminario.

I seminari così come li conosciamo o immaginiamo, fatti di grandi strutture con alunni in talare, disciplinati e separati dalla vita del secolo, più o meno attentamente e rigidamente formati nelle discipline teologiche e nella retta devozione, sono un’invenzione del Concilio di Trento. Per l’esattezza nel canone XVIII della ventitresima sessione del Concilio (15 luglio 1563), dove si segna il passaggio dalle antiche scuole cattedrali e dalla pluriforme e discontinua offerta formativa precedente ad una struttura più direttamente controllata dai vescovi. L’applicazione del decreto, tuttavia, chiederà parecchio tempo per essere universalmente applicata; anche a Pistoia, infatti, occorrerà attendere più di un secolo, fino al 1693, prima di arrivare all’istituzione del Seminario. Il merito spetta al vescovo Leone Strozzi, un monaco vallombrosano che resse la diocesi per circa un decennio (1690-1700) e che fu poi nominato arcivescovo di Firenze (1700-1703). Di lui, per chi volesse rendere omaggio, resta un bel monumento funebre in Cattedrale, collocato subito prima della porta di accesso alla sagrestia.

In un primo momento il Seminario Leoniano trovò posto presso gli edifici annessi alla chiesa di San Vitale, ma fu presto trasferito (1703) in una sede più adeguata e monumentale, cioè nel palazzo presso la piazzetta dello Spirito Santo, oggi piazza S. Leone, che tutti conosciamo come sede della Provincia. La permanenza del Seminario, cui si deva il mutamento nella titolazione dell’attuale chiesa di San Leone, già sede della Congregazione dei preti dello Spirito Santo, non arrivò al termine del secolo, poiché l’episcopato di Scipione de’ Ricci portò novità decisive. Il vescovo de’ Ricci, entro un quadro generale di riforma della diocesi, organizzò il seminario al centro di un nuovo complesso di fabbriche che comprendeva il nuovo palazzo episcopale, la trasformazione e il collegamento dei monasteri di Santa Chiara e di San Benedetto. È il seminario che conosciamo ancora oggi, pur frammentato e internamento frazionato e riadattato. Nel corso degli anni le strutture del monastero olivetano di San Benedetto furono riservate per il seminario minore, mentre il nuovo corpo di fabbrica che recuperava parzialmente il monastero delle clarisse di Santa Chiara ospitava il seminario maggiore. Una ripartizione mantenuta fino agli anni settanta del Novecento, quando per la diffusione della scuola pubblica e il mutato clima culturale del postconcilio, fu chiuso il seminario minore. Negli anni sessanta fu ammodernato l’interno con la ristrutturazione degli ambienti, nuovi bagni, un impianto di riscaldamento e la costruzione di una nuova ala destinata ai professori dello studio teologico interno che oggi ospita i sacerdoti anziani.

I seminaristi hanno lasciato il Seminario costruito dal Ricci soltanto in anni recenti, dal 1992 al 2002, quando furono ospitati a Lucciano, presso Quarrata, nelle vecchie scuole delle suore minime. Per scarsità di alunni i seminaristi furono poi trasferiti presso il Seminario interdiocesano di Firenze. Il Seminario è tornato in diocesi per un breve periodo tra 2015 e 2017, ospitato nella canonica della parrocchia di Santa Maria Assunta a Quarrata. Dall’ottobre 2017 i seminaristi hanno fatto ritorno a Firenze, ma sono presenti in Diocesi presso il Seminario vescovile di via Puccini dal pomeriggio del venerdì fino al pomeriggio della domenica per incontri di formazione, preghiera e condivisione.

Nel Seminario Interdiocesano di Firenze – segno di un evidente e generalizzato calo delle vocazioni – sono accolti anche seminaristi di molte altre diocesi toscane: Firenze, San Miniato, Siena, Grossetto, Montepulciano-Chiusi-Pienza, Pitigliano-Sovana-Orbetello. Attualmente la comunità del Seminario di Pistoia ha sei alunni.

La festa del Seminario diocesano ha inteso proporre un momento di fraternità presbiterale e di conoscenza degli alunni in linea con quanto suggerisce anche la ratio fundamentalis “il dono della vocazione presbiterale” (2016) che è il testo guida per tutta la Chiesa circa la formazione dei futuri sacerdoti; in particolare là dove si dice che: «il clero della Chiesa particolare sia in comunione e in sintonia profonda con il vescovo diocesano, condividendone la sollecitudine per la formazione dei candidati, attraverso la preghiera, l’affetto sincero, il sostegno e le visite al Seminario. Ogni presbitero deve essere consapevole della propria responsabilità formativa nei riguardi dei seminaristi» (n. 129). La festa è stata anche l’occasione di vivere un momento di condivisione con i sacerdoti più anziani che abitano in seminario.

Oggi il seminario di Pistoia continua a testimoniare, entro la discontinuità tipica degli ultimi decenni, una certa vivacità vocazionale. Il Signore non si stanca di chiamare operai nella sua messe. Forse è cambiata l’età media dei seminaristi, non più giovanissimi al momento del loro ingresso; forse i percorsi vocazionali non si innestano tutti in parrocchia o nell’Azione Cattolica; certamente le fragilità e la mentalità dei seminaristi di oggi sono quelle proprie dei giovani di oggi, eppure il Signore non si stanca di chiamare. Anzi, oggi più ieri forse, i giovani avvertono l’esigenza di risposte grandi, assolute – perfino radicali -, che diano sostanza alla propria identità, di proposte davvero spirituali, attrattive perché alternative alla mondanità. La festa del seminario è un segno incoraggiante della vivacità della Chiesa, pur nel lungo e talora drammatico corso della sua storia.

Il Rettore




Vivere e respirare con l’anima in compagnia di Etty Hillesum

“Vivere e respirare con l’anima” in compagnia di Etty Hillesum

Venerdì 23 novembre alle ore 21.00 presso l’aula magna del Seminario Vescovile, il Centro Culturale “J. Maritain” propone una serata dedicata alla presentazione del volume di Beatrice Iacopini «Etty Hillesum, Il gelsomino e la pozzanghera. Testi dal Diario e dalle Lettere», Le Lettere 2018.

Interverranno:

Beatrice Iacopini

curatrice del volume

Daniela Pancioni

della Sala di Meditazione di Ancona: meditazione, semplici canti e intima lettura dal Diario e dalle Lettere di E. Hillesum

Nella prima parte della serata, Beatrice Iacopini ricostruirà il percorso spirituale di questa “mistica” del Novecento; a seguire, Daniela Pancioni, accompagnandosi col suggestivo suono di una “shrutibox” indiana, condividerà un’intima lettura di alcuni brani tra i più belli che Etty ci ha lasciato e semplici canti ispirati ai suoi scritti, offrendoli al pubblico come itinerario di meditazione personale.

La voce dell’ebrea olandese Etty Hillesum (Deventer 1914 – Auschwitz 1943), sempre più conosciuta e amata nel nostro paese, è una delle più originali e potenti tra quelle che si sono levate dall’inferno della Shoà.
Il suo percorso spirituale, iniziato a partire da una situazione esistenziale ingarbugliata e caotica, che la rende così vicina ai nostri tempi, si fece tanto più profondo quanto più aumentavano le persecuzioni antisemite naziste e generò in lei un affidamento a Dio e un amore per il prossimo così straordinari da permetterle di affrontare la temperie con scelte inattese. Per dirla con le sue stesse parole, il gelsomino, simbolo della bellezza della vita, poté incredibilmente
continuare a fiorire indisturbato nella sua anima, nonostante le tempeste esterne che cercavano di annegarlo nelle nere pozzanghere dell’odio e della violenza. Così, la Hillesum non solo non reagì con rabbia e rancore alla follia nazista, ma addirittura rifiutò di mettersi in salvo e scelse di seguire la sorte del suo popolo nel campo di prigionia di Westerbork, dove erano convogliati tutti gli ebrei olandesi. Ufficialmente assistente sociale per conto del Consiglio Ebraico, avvertì come suo compito quello di “disseppellire Dio dai cuori devastati degli uomini”, consapevole che niente può fare del male e non si è “nelle grinfie di nessuno” quando si riposa “tra le braccia di Dio”.




La resurrezione di Gesù tra storia e fede

Un’introduzione del prof. Giovanni Ibba al tema degli incontri per il quarto anno della scuola di Formazione teologica diocesana.

È iniziato il quarto anno della scuola di formazione teologica sul tema “Al centro del mistero della fede: annunziamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”.
Il corso di quest’anno si concentra su questo annunzio, affrontando tematiche come la morte e la resurrezione di Cristo. Il prof. Giovanni Ibba, teologo e biblista, terrà due lezioni sul tema della morte e resurrezione di Gesù; la prima il 26 novembre dal titolo: «la risurrezione di Gesù Cristo: aspetti storici». A lui abbiamo rivolto alcune domande per affrontare un tema decisivo per la nostra fede e stimolare la partecipazione agli incontri del quatro anno 2018.

Per quanto riguarda il racconto della resurrezione quali fonti storiche o testimonianze scritte conosciamo a parte il Nuovo Testamento?

Specificamente riguardo alla risurrezione di Gesù abbiamo a disposizione anche altre fonti, anche se poche, oltre a quelle neotestamentarie. Sono fonti più tardive rispetto ai testi neotestamentari. Comunque, la più antica fra queste è probabilmente quella contenuta nell’opera di Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, dove si legge che i discepoli dichiaravano che Gesù era apparso loro tre giorni dopo la sua morte.

Tutte le fonti neo testamentarie raccontano ciò che è accaduto dopo la resurrezione …possiamo affermare che la resurrezione è un fatto storico?

Se leggo Tito Livio è chiaro che storicamente posso affermare che al suo tempo la fondazione di Roma era davvero creduta come viene narrata nella sua opera e che Romolo e Remo sono stati allattati dalla lupa, ma, con “giudizio storico”, dirò che si tratta di un mito, di un mito storicamente attestato. La risurrezione è un mito? Nessuno, fra gli storici lo ha mai trattato così. Semmai, nell’Illuminismo e oltre, come di una “invenzione” da parte degli apostoli dopo la morte di Gesù. Ma è una teoria che “storicamente” non regge molto, tanto che di fatto è stata abbandonata. Forse anche perché banale.

Ciò nonostante, non accettare storicamente la resurrezione di Gesù e dire che è un’invenzione, oppure dire che non posso dimostrare che davvero sia accaduta, se da una parte può mostrare anche un problema ideologico, dall’altra apre tutta una serie di riflessioni molto importanti.

Se io come storico voglio capire il successo del cristianesimo senza basarmi sul dato della risurrezione di Gesù, allora qual è l’elemento che ha fatto in modo che si formasse ed espandesse questa religione?

Per la fede cristiana il dato della resurrezione è fondamentale, ma per lo storico essa non può essere considerata come un fatto. Nemmeno per il cristiano che fa lo storico, per una questione di metodo, se così mi posso esprimere. Qualcuno ha però fatto notare che senza di essa non sarebbe potuta avvenire una tale espansione del cristianesimo. Un terremoto avvenuto nel passato lo possiamo appurare studiando le fratture nelle rocce. Non posso sentire il terremoto avvenuto nel passato, posso però studiarne le tracce. Ma è chiaro che una simile ipotesi di lavoro ha bisogno, per essere plausibile, di sapere esattamente cos’è un terremoto e, in questo caso, cos’è una risurrezione. A parte la testimonianza degli apostoli, che potrebbe essere “inventata”, oltre a quello che riporta Giuseppe Flavio e altre fonti romane (per inciso su Gesù più che sulla sua risurrezione), non abbiamo a disposizione altro.

Per spiegare la nascita e lo sviluppo del cristianesimo molti studiosi hanno allora lavorato sulla storia delle idee, cioè hanno cercato di vedere se c’è un’evoluzione di idee religiose precedenti a Gesù che poi si sarebbero sviluppate in una credenza e in una dottrina. Ma anche questo tipo di ricerca non ha dato risposte convincenti, a parte una: Gesù non ha predicano nulla di veramente diverso rispetto a quello che già era espresso da altre fonti giudaiche della sua epoca. L’eucarestia probabilmente è la vera novità nella storia delle idee (il fare qualcosa e il predicare qualcosa sono azioni assolutamente interscambiabili nel vangelo).

Si potrebbe vedere la risurrezione di Gesù come una metafora della prima comunità cristiana? Gli Atti degli Apostoli sono quasi un quinto vangelo: Pietro, Giacomo, Stefano e Paolo dicono e fanno cose perfettamente simili a quelle che ha detto e fatto Gesù. Gesù è risorto perché vive negli apostoli e nei loro seguaci. Ma affermare semplicemente questo significherebbe comunque forzare le fonti neotestamentarie, le quali si esprimono chiaramente sulla risurrezione. Soprattutto parlano della testimonianza degli apostoli riguardo alla risurrezione di Gesù, anche se ciò che hanno visto può verificarsi in altro modo all’interno della comunità.

Pertanto, parlando in modo rigoroso, possiamo dire che storicamente è attestato il racconto della risurrezione di Gesù come anche la testimonianza degli apostoli, ma non che la risurrezione sia un dato “storico” in senso stretto. Il dato della fede, la risurrezione di Gesù, si basa quindi sul credere a ciò che viene scritto nei vangeli e dalla predicazione degli apostoli.

Nei vangeli la questione della resurrezione è trattata in maniera differente in ogni testo. Perchè?

Per quale motivo questi racconti presentano differenze non è del tutto chiaro. Diciamo che ci sono teorie plausibili, e che queste teorie partono dalla considerazione che dietro a ciascun vangelo c’è una comunità che vive e interpreta la resurrezione di Gesù con sentimenti diversi.

In ogni caso, tutti e quattro i vangeli riportano la notizia del ritrovamento della tomba vuota, come anche che la prima testimonianza di questa è data da donne.

Se ci sono quattro racconti con differenze sulla resurrezione non significa che allora i dati riportati in questi testi hanno parti inventate, ma solo che lo stesso evento è visto con sensibilità diverse. Come affermerà Ireneo di Lione rispetto ai vangelo, ossia che è uno e quadriforme, così in questo senso si può dire del racconto della resurrezione.

La resurrezione è un atto divino che tocca il mondo intero…un aspetto che forse talvolta dimentichiamo..

Mi pare che dimentichiamo molte cose, non solo la risurrezione. Sono convinto che conosciamo quello che proviamo, e quello che proviamo non lo scordiamo, o per lo meno è molto difficile che accada. Abbiamo probabilmente dimenticato un elemento della fede cristiana perché forse trasmesso in modo astratto, non vissuto. Forse sarebbe bene interrogarsi sul significato della risurrezione nella vita e, in qualche modo, viverla. Come si legge negli Atti degli Apostoli o in Paolo. Essere, in sostanza, come dei risorti.

Daniela Raspollini

(I corsi del IV anno si svolgono il lunedì dalle ore 20.45 alle ore 22.15)

Programma del quarto anno 2018-2019 (pdf)

 




Musica per organo dall’archivio capitolare: una conferenza a S.Ignazio

Una conferenza dedicata al repertorio organistico dell’archivio capitolare della Cattedrale di Pistoia

Sabato 10 novembre alle ore 18.30 presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Pistoia, mons. Umberto Pineschi, maestro d’organo e proposto del Capitolo della Cattedrale di Pistoia proporrà una conferenza dal titolo “L’Archivio Capitolare della Cattedrale di Pistoia: una miniera di repertorio organistico nei secoli XVIII e XIX”. Una serata accompagnata da brani esemplificativi tratti dalle opere per organo di Giuseppe Gherardeschi e Luigi Gherardeschi pubblicate integralmente nel 2017 e dal MS B. 226,8. Porterà il suo saluto il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi. A mons. Pineschi abbiamo rivolto alcune domande.

Come nasce l’idea di riscoprire e valorizzare questo patrimonio documentale?

L’archivio della Cattedrale di Pistoia contiene molta letteratura organistica finalizzata agli organi di scuola pistoiese. Scoperta negli anni 1960 durante una catalogazione completa del fondo, è stata progressivamente pubblicata sempre nella revisione di Umberto Pineschi, fino ad arrivare, negli ultimi due anni, alla pubblicazione, ad opera della casa editrice VigorMusic, di tutte le opere degli autori più rappresentativi, cioè Giuseppe Gherardeschi (1759-1815) e suo figlio Luigi (1791-1871).

Nel programma si parla di un Anonimo si tratta di una scoperta straordinaria? Ci vuole spiegare meglio?

È un libro d’organo, composto verso la metà del secolo XVII non si sa da chi e neppure dove. È il più completo libro d’organo composto in Italia in quel periodo, di ottima qualità e perciò certamente scritto da un importante musicista, tanto importante che probabilmente allora si ritenne inutile specificarne il nome in quanto universalmente conosciuto, con la conseguenza però, che attualmente non si ha idea di chi sia stato. Attualmente è pubblicato on line sul sito dell’Accademia d’Organo “G. Gherardeschi” e presto dovrebbe essere anche pubblicato in un volume cartaceo dalle VigorMusic.

Quali sono i documenti più preziosi di questo repertorio organistico?

Appunto le opere di Giuseppe e di Luigi Gherardeschi, che furono maestri di cappella della Cattedrale di Pistoia.

Sarà l’occasione di ascoltare alcuni brani dalle opere di questi due autori…

Verranno eseguito due brani di Giuseppe Gherardeschi (Andantino per Benedizione, Rondò in sol maggiore) e tre di Luigi Gherardeschi (Offertorio, Elevazione, Postcommunio dalla sua Messa in do maggiore).

A una dei due è intitolata anche l’Accademia d’organo..

Sì, l’Accademia d’organo pistoiese è intitolata proprio a Giuseppe Gherardeschi (1791-1871). Per avere maggiori informazione e seguire il calendario dei nostri “vespri d’organo” si può consultare il sito: www.accademiagherardeschi.it .

Daniela Raspollini




Friends of Florence per il pulpito di Giovanni Pisano

Il pulpito della Chiesa di Sant’Andrea sarà oggetto di un progetto di studio in vista del restauro.

«Qui fede cristiana e arte si sposano in modo mirabile. Questo pergamo è una lezione di vita cristiana, una esposizione straordinaria della salvezza dell’uomo». Così il vescovo Tardelli alla presentazione del progetto di diagnostica e restauro del pulpito di Giovanni Pisano di Sant’Andrea a Pistoia.

«Voglio esprimere la mia completa soddisfazione – ha affermato il vescovo – per essere arrivati a questo punto e ringrazio Friends of Florence perché per questo finanziamento inizia un’opera davvero importante per la città».

I dissesti e i problemi di conservazione che si sono manifestati e si sono accentuati negli ultimi tempi nel pulpito, infatti, impongono con urgenza di studiarne le condizioni di stabilità con rilievi, analisi e indagini che consentiranno di definire le forme più opportune di intervento e di restauro.

Con la Diocesi di Pistoia e la Parrocchia di Sant’Andrea è stato quindi sottoscritto un protocollo d’intesa in base al quale la Fondazione Friends of Florence finanzia il progetto con un importo complessivo di € 230.000,00.

Nei giorni scorsi è stato inoltre sottoscritto un contratto di ricerca tra Soprintendenza, Fondazione e Università degli Studi di Firenze (Dipartimento di Scienze della Terra e Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale) per la realizzazione delle attività di studio, indagine e analisi strutturale.

La presidente di Friends of Florence, Simonetta Brandolini d’Adda, ha ricordato con soddisfazione il contributo della sua fondazione: «il pulpito di Giovanni Pisano – ha ricordato – è un’opera che riempie il cuore di spiritualità e bellezza».

Il Pulpito di Giovanni Pisano – prosegue la Presidente – è stato uno dei primi grandi passi nella scultura verso il Rinascimento ed è stato apprezzato e studiato poi per secoli dai grandi artisti come un modello di ispirazione stilistica. Lo studio approfondito e il restauro hanno un’importanza vitale per conservare questo magnifico capolavoro e offrire alle future generazioni la stessa opportunità che oggi abbiamo noi di poterlo vedere, studiare e fruire secondo i valori che la cultura occidentale ci insegna attraverso l’arte».

Il soprintendente Andrea Pessina ha segnalato la generosità di Friends of Florence, e la pronta disponibilità dalla presidente Simonetta Brandolini D’Adda. Oggi presentiamo, ha ricordato il soprintendente «un progetto di studio più che di restauro. Prima di mettere la mano sul monumento abbiamo convenuto sulla necessità di acquisire indicazioni sulle ragioni del dissesto del pulpito». Un intervento che prevede, tra l’altro, la scannerizzazione completa del pulpito, la ricostruzione di rilievi 3D, la simulazione di modelli per comprendere la storia e la statica del monumento.

Le condizioni del pulpito hanno recentemente richiesto, tra l’altro, un intervento d’urgenza per il restauro di una delle figure di Sibille, prontamente eseguito da Alberto Casciani per conto della Soprintendenza e documentato in un video.

IL FUTURO DEL PULPITO DI GIOVANNI PISANO

Il restauro della Sibilla del Pulpito di Giovanni Pisano in Sant'Andrea curato da Alberto Casciani. Un filmato, curato dalla Soprintendenza che descrive l'intervento, in attesa dello studio e monitoraggio dell'intero pulpito finanziato dalla fondazione Friends of Florence e presentato questa mattina nella chiesa di @parrocchia di Sant'Andrea a Pistoia

Publiée par Diocesi di Pistoia sur Mercredi 7 novembre 2018

«Un monumento così importante – afferma mons. Tardelli, vescovo di Pistoia – ha bisogno di continua attenzione e di premurosa salvaguardia. Per questo sono davvero felice che una realtà come Friends of Florence, si sia interessata ad esso e abbia, con grande sensibilità, deciso di impegnarsi in modo davvero considerevole al suo restauro».




Bassetti a Pistoia nel ricordo di La Pira

Il presidenti CEI ha ricevuto a Pistoia il premio internazionale per la pace

«Il pane e la grazia»: due parole che dicono in sintesi chi era La Pira, che «con il pane intendeva scuola, casa, lavoro e poi “grazia” con cui indicava la dimensione soprannaturale»; questo era il suo «umanesimo cristiano». Il card. Bassetti, domenica 4 novembre nella Cattedrale di San Zeno a Pistoia, ha tratteggiato così la figura del servo di Dio Giorgio La Pira, il sindaco santo, in occasione della celebrazione del premio internazionale per la pace a lui dedicato e organizzato dal Centro Studi Donati. Dal 1972, infatti, il Centro Studi “G. Donati”, realizza a Pistoia importanti iniziative culturali di sensibilizzazione e promozione della pace, portando nella città toscana personalità di primo piano del mondo civile ed ecclesiale. Quest’anno ha conferito il premio al Cardinale Bassetti come riconoscimento del suo impegno in campo sociale, in particolare verso «le famiglie in difficoltà economiche, emarginati e migranti» come per il «contributo diretto ed incisivo alla costruzione di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza come antidoto ad odi e razzismi». Il premio conferito a Bassetti, ha sottolineato il vescovo di Pistoia mons. Fausto Tardelli, «è un riconoscimento per tutta la chiesa italiana che, senza far troppo rumore, con un lavoro quotidiano e attento è impegnata a costruire un mondo di giustizia e fraternità».

Al termine della premiazione Bassetti ha presieduto la santa messa in Cattedrale, concelebrata dal vescovo e da alcuni sacerdoti della diocesi di Pistoia. Il cardinale ha ricordato Giorgio La Pira anche nella sua omelia, dove, riprendendo il brano evangelico, annotava come il sindaco santo avesse compreso bene che non esiste alcuna contrapposizione tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. «Due amori che si identificano», dove il «prossimo è un altro te stesso». Chiunque incontrasse, credente o non credente, La Pira lo considerava «un membro del corpo di Cristo». Forte della propria formazione tomista vedeva «alcuni già inseriti nella grazia, altri in potenza, ma tutti ordinati alla salvezza di Dio». Bassetti ha poi ricordato un episodio legato alla sua memoria viva del sindaco santo. Quando, giovane seminarista, partecipava alla ‘messa dei poveri’ alla chiesa della Badia, accorrevano lì tutti i poveri di Firenze, «con i loro cappottoni lunghi» e «il berretto un mano». Quando si sistemavano sulle panche in chiesa al caldo molti si addormentavano; allora gli zelanti andavano a riscuoterli per svegliarli: c’è il professore che parla… «Ma la Pira li fermava dicendo: “lasciateli stare, perché hanno trovato un momento di quiete nella loro vita e loro stanno il contemplando il volto di Dio. Questa era la concezione che La Pira aveva dell’uomo. E allora aveva capito che in fondo questo vangelo -amare Dio e amare il prossimo con tutto se stesso- è il compimento di tutta la vita umana».

Accanto al Card. Bassetti, sono stati premiati fra’ Mauro Gambetti, rettore del sacro convento di Assisi per il suo impegno nella costruzione di un convivenza fraterna fra popoli e religioni diverse. Accogliendo il premio Padre Gambetti ha preannunciato che il prossimo anno sarà proprio la Conferenza Episcopale Toscana a farsi pellegrina ad Assisi per portare olio alla lampada della tomba di Francesco e pregare per la pace.
Altri premi sono stati consegnati a Sigfrido Ranucci, giornalista RAI conduttore di Report, e Aurelio Amendola, fotografo pistoiese noto in tutto il mondo per aver ritratto artisti e opere d’arte di assoluto rilievo come le sculture di Donatello o Michelangelo. Un riconoscimento speciale è stato assegnato a Nadia Vettori, missionaria laica della diocesi di Pistoia, che ha trascorso oltre quarant’anni a Manaus in Amazzonia, quindi a Balsas nello stato del Maranhao.

La premiazione di quest’anno è stata preceduta da un piccola “marcia” per la pace intitolata Peacetoia, organizzata dal Centro Donati insieme ad altri enti socio assistenziali, associazioni presenti sul territorio pistoiese e gli scout AGESCI e CNGEI. Un’iniziativa festosa e colorata, che ha portato numerosi giovani, in un clima di musica e festa, per le vie del Centro Storico fino alla Cattedrale di Pistoia. Davanti al Battistero è stato poi collocato un olivo a cui sono stati appesi pensieri di pace e fraternità composti dai giovani partecipanti alla marcia, mentre sul campanile della Cattedrale è stata appesa una grande bandiera della pace. «I popoli vogliono la pace» ha ricordato al termine dall’iniziativa il vescovo Tardelli; «la guerra la vogliono solamente i potenti che vogliono fare il loro interesse».

Ugo Feraci




Dalla gloria dei santi alla speranza cristiana: omelia del vescovo Tardelli

Tutti i santi 1 novembre 2018

(Camposanto della Misericordia Pistoia)

Il primo e il due di novembre sono giorni particolari. Dedicati al ricordo di chi non è più visibilmente tra noi, sono giorni che mescolano insieme lacrime e speranza, dolore e consolazione. In ogni caso non ci lasciano indifferenti. Sono giorni che ci mettono infatti davanti il mistero della morte. E, hai voglia di esorcizzare questa realtà con la baldoria di ieri sera e di stanotte. La morte incombe sempre sulla nostra vita come una minaccia. Hai voglia di sfidarla, come l’uomo da sempre ha cercato di fare. Essa rimane davanti a noi come un enigma senza risposta. Possiamo provare a non pensarci; possiamo cercare di distrarci, ma non c’è niente da fare: la scomparsa dei nostri cari, le tragedie del mondo, i nostri stessi malanni, gli anni che avanzano; tutto ci riporta lì, di fronte a quella porta chiusa, oltre la quale nessuno di noi sa esattamente che cosa ci sia; nessuno di noi infatti ha visto e sentito cosa c’è aldilà. Della morte e dell’aldilà noi non ne abbiamo esperienza. Non sappiamo cosa sia. La morte è altro da noi. Un qualcos’altro che possiamo constatare intorno a noi ma di cui non possiamo fare esperienza diretta e narrabile. Non è pessimismo questo: è invece guardare in faccia la realtà.

Una cosa però la sappiamo bene, la sentiamo, la proviamo fin nelle fibre più profonde dell’anima: noi vogliamo vivere; non vogliamo morire. La morte contraddice quella sete di vita che portiamo dentro e che vediamo per es. esprimersi con forza nella lotta di ogni bambino per venire al mondo. La morte non fa per noi. La sentiamo come una nemica che ci ghermisce, ci travolge, rovina i nostri sogni e le nostre attese. Che ci porta via gli amici più cari, ci strappa via i nostri genitori, a volte la sposa o lo sposo, altre volte i figli. E ci fa sentire sempre più soli. Piano piano si fa il vuoto intorno a noi. E quanta nostalgia porta con sé il ricordo dei giorni passati, dei volti che abbiamo incontrato ed amato, coi quali anche abbiamo discusso e coi quali magari ci siamo arrabbiati.

Quanta nostalgia al pensiero che ormai tutto è passato e gli anni sono volati troppo in fretta, senza che ci abbiano lasciato il tempo per gustare la vicinanza dei nostri cari. Quante cose avremmo ancora voluto dire loro; quanto ancora avremmo voluto ascoltare dalla loro bocca; quante le cose rimaste in sospeso e ormai irrecuperabili; ormai irrimediabilmente passate! No.

La morte non fa davvero per noi; non la vogliamo; non ci piace, non è nostra amica. E se per qualcuno essa è apparsa tale alla sua disperazione; oppure come sollievo al suo insopportabile dolore, è solo per una situazione di estremo disagio e solitudine, che per circostanze a volte imponderabili uno si trova a vivere. Se trovasse consolazione e potesse placare il suo dolore nella cura della medicina e nella vicinanza affettuosa degli altri, credo che nessuno si darebbe la morte. Così dunque, davanti alla morte proviamo tutti un senso più o meno forte di angoscia. A noi che viviamo questa angoscia, l’odierna festa di ognissanti non fa discorsi ma ci mette davanti un mondo di viventi, che hanno vinto la morte; un modo di gioia e beatitudine. Fatto di uomini e di donne, tra i quali speriamo con tutto il cuore ci siano anche i nostri cari, che cantano e sono felici, dopo aver faticato lungamente nella vita terrena. E’ la schiera innumerevole dei santi e delle sante. E’ la visione dischiusa dal libro dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato: Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».

Ci sono i martiri che hanno perso la vita per Cristo, ma ora vivono nella gloria; ci sono i santi monaci e monache; ci sono padri e madri di famiglia, giovani e vecchi, di ogni, lingua, popolo e cultura. Sono nella gloria, ci dice la liturgia della festa di oggi. E di molti noi conosciamo la loro intercessione per noi, a partire da Maria SS.ma che per singolare privilegio non ha conosciuto la corruzione del sepolcro ma è stata assunta in cielo in corpo e anima.

E poi pensiamo solo ad alcuni altri, grandissimi, straordinari, come San Francesco, Sant’Antonio, San Padre Pio; pensiamo ai santi apostoli che noi pistoiesi particolarmente veneriamo: San Jacopo, San Bartolomeo, Sant’Andrea, San Giovanni; i nostri santi vescovi Sant’Atto, il Beato Franchi; le nostre sante donne come la beata Caiani.

E poi pensiamo ai Papi santi del nostro tempo che abbiamo conosciuto e incontrato: San Giovanni XXIII°, San Paolo VI, San Giovanni Paolo II; oppure ancora giovani luminosi come la beta Chiara Badano e ancora una infinità di altri nostri fratelli maggiori che ci amano e ci vogliono felici.

Pensando a loro e sentendoli qui accanto a noi, nella comunione dei santi, ci rincuoriamo e ci solleviamo dalla nostra angoscia.

Il pensiero che anche i nostri amici e i nostri familiari possano essere partecipi della gloria dei santi, ci apre il cuore alla gioia che esprimiamo con quei fiori che deponiamo sulla tomba dei nostri defunti ma che ancor più possiamo esprimere facendo opere di bene, anzi, sforzandoci di essere uomini e donne delle beatitudini, come ci ha ricordato il Vangelo. Beati i poveri in spirito, beati quelli che sono nel pianto, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per la giustizia. La strada delle beatitudini è la strada di Cristo. Una strada che si può percorrere, anche se con tanti tentennamenti e tante battute d’arresto. E’ la strada che hanno percorso i santi e che è proposta anche a noi. Chi segue questa strada, passa già ora dalla morte alla vita e la morte non può più bloccarlo nella paura. Chi ascolta la parola di Dio e si sforza di metterla in pratica; chi pratica l’accoglienza dell’altro che è nel bisogno e apre il suo cuore a Dio e ai fratelli, ha compreso la lezione che viene dai nostri fratelli defunti, santi o ancora bisognosi di purificazione. Così, nonostante tutto, potremo arrivare persino a chiamare la morte, come ha fatto San Francesco, nostra sorella, per la quale benedire il Signore.