Nasce a Pistoia l’Emporio della Solidarietà

Un’opera segno rivolta alla famiglia in difficoltà interamente finanziata dalla Fondazione Caript, in sinergia con Caritas Diocesana e Misericordia di Pistoia.

Un nuovo progetto di solidarietà, un’opera segno che prende vita a margine della “seconda giornata internazionale del povero” sabato 17 novembre: sarà il nuovo “Emporio della Solidarietà” con sede nella zona industriale di Sant’Agostino, nato da una sinergia di forze con in testa la Fondazione Caript, che ha finanziato l’intero progetto, la Fondazione S. Atto della Diocesi di Pistoia, la Caritas Diocesana di Pistoia e la Misericordia di Pistoia.

Si tratta di un vero e proprio market alimentare rivolto alle famiglie e persone che vivono in un temporaneo stato di difficoltà economica, che potranno ricevere gratuitamente i beni grazie ad una card punti.

«Questo nuovo servizio, che di fatto supera l’esperienza del “pacco alimentare”, garantirà una maggiore flessibilità ed efficienza nel sostegno alimentare di chi è in difficoltà – ha affermato Marcello Suppressa – direttore della Caritas di Pistoia -. Per questo progetto sarà importante la collaborazione con i Servizi Sociali, la rete delle Parrocchie e la stretta sinergia con le realtà Commerciali del nostro territorio per il recupero dei beni e eventuali donazioni, in un’ottica di recupero, lotta allo spreco e nuovi stili di vita».

«Una sfida vinta grazie alle sinergie che offre il nostro territorio» continua Sergio Fedi presidente della Misericordia di Pistoia. «Un territorio generoso fatto di persone, associazioni e aziende che con grande senso di responsabilità sociale sa realizzare progetti e risposte adeguate alle esigenze delle persone e soprattutto verso che si trova in difficoltà. Dopo il microcredito, il fondo solidarietà e salute l’emporio è l’ultima risposta in ordine di tempo».

Le persone che accederanno al servizio saranno inserite in questo progetto dai centri d’ascolto Caritas, che valuteranno le necessità e progetteranno percorsi personalizzati di accompagnamento. Il progetto prevede che l’emporio sia un vero e proprio centro aperto alla città per la sensibilizzazione a stili di vita coerenti col messaggio evangelico. All’interno delle sale avranno luogo corsi di formazione specifici alla gestione dell’economia familiare, orientamento al lavoro e laboratori alimentari, con la collaborazione di varie associazioni e volontari vicini alla Caritas.

Il nuovo emporio della solidarietà si trova in zona Sant’Agostino, in via Galileo Ferraris 7. L’inaugurazione avrà luogo sabato 17 novembre alle ore 10.30. Dopo il saluto dei promotori il vescovo Mons. Fausto Tardelli porterà la sua benedizione dei locali.




Una novità dalla storia secolare: la festa del Seminario diocesano

Sabato 10 novembre la comunità del Seminario ha celebrato insieme a numerosi sacerdoti della Diocesi un momento di fraternità e condivisione.

Sabato 10 novembre, nella memoria liturgica di San Leone Magno, il Seminario diocesano ha celebrato la sua festa. Una festa che non c’era, ma che si riannoda alla storia ormai plurisecolare di questa istituzione. Il riferimento a San Leone Magno si spiega, molto prosaicamente, con il nome del vescovo che diede vita al seminario.

I seminari così come li conosciamo o immaginiamo, fatti di grandi strutture con alunni in talare, disciplinati e separati dalla vita del secolo, più o meno attentamente e rigidamente formati nelle discipline teologiche e nella retta devozione, sono un’invenzione del Concilio di Trento. Per l’esattezza nel canone XVIII della ventitresima sessione del Concilio (15 luglio 1563), dove si segna il passaggio dalle antiche scuole cattedrali e dalla pluriforme e discontinua offerta formativa precedente ad una struttura più direttamente controllata dai vescovi. L’applicazione del decreto, tuttavia, chiederà parecchio tempo per essere universalmente applicata; anche a Pistoia, infatti, occorrerà attendere più di un secolo, fino al 1693, prima di arrivare all’istituzione del Seminario. Il merito spetta al vescovo Leone Strozzi, un monaco vallombrosano che resse la diocesi per circa un decennio (1690-1700) e che fu poi nominato arcivescovo di Firenze (1700-1703). Di lui, per chi volesse rendere omaggio, resta un bel monumento funebre in Cattedrale, collocato subito prima della porta di accesso alla sagrestia.

In un primo momento il Seminario Leoniano trovò posto presso gli edifici annessi alla chiesa di San Vitale, ma fu presto trasferito (1703) in una sede più adeguata e monumentale, cioè nel palazzo presso la piazzetta dello Spirito Santo, oggi piazza S. Leone, che tutti conosciamo come sede della Provincia. La permanenza del Seminario, cui si deva il mutamento nella titolazione dell’attuale chiesa di San Leone, già sede della Congregazione dei preti dello Spirito Santo, non arrivò al termine del secolo, poiché l’episcopato di Scipione de’ Ricci portò novità decisive. Il vescovo de’ Ricci, entro un quadro generale di riforma della diocesi, organizzò il seminario al centro di un nuovo complesso di fabbriche che comprendeva il nuovo palazzo episcopale, la trasformazione e il collegamento dei monasteri di Santa Chiara e di San Benedetto. È il seminario che conosciamo ancora oggi, pur frammentato e internamento frazionato e riadattato. Nel corso degli anni le strutture del monastero olivetano di San Benedetto furono riservate per il seminario minore, mentre il nuovo corpo di fabbrica che recuperava parzialmente il monastero delle clarisse di Santa Chiara ospitava il seminario maggiore. Una ripartizione mantenuta fino agli anni settanta del Novecento, quando per la diffusione della scuola pubblica e il mutato clima culturale del postconcilio, fu chiuso il seminario minore. Negli anni sessanta fu ammodernato l’interno con la ristrutturazione degli ambienti, nuovi bagni, un impianto di riscaldamento e la costruzione di una nuova ala destinata ai professori dello studio teologico interno che oggi ospita i sacerdoti anziani.

I seminaristi hanno lasciato il Seminario costruito dal Ricci soltanto in anni recenti, dal 1992 al 2002, quando furono ospitati a Lucciano, presso Quarrata, nelle vecchie scuole delle suore minime. Per scarsità di alunni i seminaristi furono poi trasferiti presso il Seminario interdiocesano di Firenze. Il Seminario è tornato in diocesi per un breve periodo tra 2015 e 2017, ospitato nella canonica della parrocchia di Santa Maria Assunta a Quarrata. Dall’ottobre 2017 i seminaristi hanno fatto ritorno a Firenze, ma sono presenti in Diocesi presso il Seminario vescovile di via Puccini dal pomeriggio del venerdì fino al pomeriggio della domenica per incontri di formazione, preghiera e condivisione.

Nel Seminario Interdiocesano di Firenze – segno di un evidente e generalizzato calo delle vocazioni – sono accolti anche seminaristi di molte altre diocesi toscane: Firenze, San Miniato, Siena, Grossetto, Montepulciano-Chiusi-Pienza, Pitigliano-Sovana-Orbetello. Attualmente la comunità del Seminario di Pistoia ha sei alunni.

La festa del Seminario diocesano ha inteso proporre un momento di fraternità presbiterale e di conoscenza degli alunni in linea con quanto suggerisce anche la ratio fundamentalis “il dono della vocazione presbiterale” (2016) che è il testo guida per tutta la Chiesa circa la formazione dei futuri sacerdoti; in particolare là dove si dice che: «il clero della Chiesa particolare sia in comunione e in sintonia profonda con il vescovo diocesano, condividendone la sollecitudine per la formazione dei candidati, attraverso la preghiera, l’affetto sincero, il sostegno e le visite al Seminario. Ogni presbitero deve essere consapevole della propria responsabilità formativa nei riguardi dei seminaristi» (n. 129). La festa è stata anche l’occasione di vivere un momento di condivisione con i sacerdoti più anziani che abitano in seminario.

Oggi il seminario di Pistoia continua a testimoniare, entro la discontinuità tipica degli ultimi decenni, una certa vivacità vocazionale. Il Signore non si stanca di chiamare operai nella sua messe. Forse è cambiata l’età media dei seminaristi, non più giovanissimi al momento del loro ingresso; forse i percorsi vocazionali non si innestano tutti in parrocchia o nell’Azione Cattolica; certamente le fragilità e la mentalità dei seminaristi di oggi sono quelle proprie dei giovani di oggi, eppure il Signore non si stanca di chiamare. Anzi, oggi più ieri forse, i giovani avvertono l’esigenza di risposte grandi, assolute – perfino radicali -, che diano sostanza alla propria identità, di proposte davvero spirituali, attrattive perché alternative alla mondanità. La festa del seminario è un segno incoraggiante della vivacità della Chiesa, pur nel lungo e talora drammatico corso della sua storia.

Il Rettore




Vivere e respirare con l’anima in compagnia di Etty Hillesum

“Vivere e respirare con l’anima” in compagnia di Etty Hillesum

Venerdì 23 novembre alle ore 21.00 presso l’aula magna del Seminario Vescovile, il Centro Culturale “J. Maritain” propone una serata dedicata alla presentazione del volume di Beatrice Iacopini «Etty Hillesum, Il gelsomino e la pozzanghera. Testi dal Diario e dalle Lettere», Le Lettere 2018.

Interverranno:

Beatrice Iacopini

curatrice del volume

Daniela Pancioni

della Sala di Meditazione di Ancona: meditazione, semplici canti e intima lettura dal Diario e dalle Lettere di E. Hillesum

Nella prima parte della serata, Beatrice Iacopini ricostruirà il percorso spirituale di questa “mistica” del Novecento; a seguire, Daniela Pancioni, accompagnandosi col suggestivo suono di una “shrutibox” indiana, condividerà un’intima lettura di alcuni brani tra i più belli che Etty ci ha lasciato e semplici canti ispirati ai suoi scritti, offrendoli al pubblico come itinerario di meditazione personale.

La voce dell’ebrea olandese Etty Hillesum (Deventer 1914 – Auschwitz 1943), sempre più conosciuta e amata nel nostro paese, è una delle più originali e potenti tra quelle che si sono levate dall’inferno della Shoà.
Il suo percorso spirituale, iniziato a partire da una situazione esistenziale ingarbugliata e caotica, che la rende così vicina ai nostri tempi, si fece tanto più profondo quanto più aumentavano le persecuzioni antisemite naziste e generò in lei un affidamento a Dio e un amore per il prossimo così straordinari da permetterle di affrontare la temperie con scelte inattese. Per dirla con le sue stesse parole, il gelsomino, simbolo della bellezza della vita, poté incredibilmente
continuare a fiorire indisturbato nella sua anima, nonostante le tempeste esterne che cercavano di annegarlo nelle nere pozzanghere dell’odio e della violenza. Così, la Hillesum non solo non reagì con rabbia e rancore alla follia nazista, ma addirittura rifiutò di mettersi in salvo e scelse di seguire la sorte del suo popolo nel campo di prigionia di Westerbork, dove erano convogliati tutti gli ebrei olandesi. Ufficialmente assistente sociale per conto del Consiglio Ebraico, avvertì come suo compito quello di “disseppellire Dio dai cuori devastati degli uomini”, consapevole che niente può fare del male e non si è “nelle grinfie di nessuno” quando si riposa “tra le braccia di Dio”.




La resurrezione di Gesù tra storia e fede

Un’introduzione del prof. Giovanni Ibba al tema degli incontri per il quarto anno della scuola di Formazione teologica diocesana.

È iniziato il quarto anno della scuola di formazione teologica sul tema “Al centro del mistero della fede: annunziamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”.
Il corso di quest’anno si concentra su questo annunzio, affrontando tematiche come la morte e la resurrezione di Cristo. Il prof. Giovanni Ibba, teologo e biblista, terrà due lezioni sul tema della morte e resurrezione di Gesù; la prima il 26 novembre dal titolo: «la risurrezione di Gesù Cristo: aspetti storici». A lui abbiamo rivolto alcune domande per affrontare un tema decisivo per la nostra fede e stimolare la partecipazione agli incontri del quatro anno 2018.

Per quanto riguarda il racconto della resurrezione quali fonti storiche o testimonianze scritte conosciamo a parte il Nuovo Testamento?

Specificamente riguardo alla risurrezione di Gesù abbiamo a disposizione anche altre fonti, anche se poche, oltre a quelle neotestamentarie. Sono fonti più tardive rispetto ai testi neotestamentari. Comunque, la più antica fra queste è probabilmente quella contenuta nell’opera di Flavio Giuseppe, Antichità Giudaiche, dove si legge che i discepoli dichiaravano che Gesù era apparso loro tre giorni dopo la sua morte.

Tutte le fonti neo testamentarie raccontano ciò che è accaduto dopo la resurrezione …possiamo affermare che la resurrezione è un fatto storico?

Se leggo Tito Livio è chiaro che storicamente posso affermare che al suo tempo la fondazione di Roma era davvero creduta come viene narrata nella sua opera e che Romolo e Remo sono stati allattati dalla lupa, ma, con “giudizio storico”, dirò che si tratta di un mito, di un mito storicamente attestato. La risurrezione è un mito? Nessuno, fra gli storici lo ha mai trattato così. Semmai, nell’Illuminismo e oltre, come di una “invenzione” da parte degli apostoli dopo la morte di Gesù. Ma è una teoria che “storicamente” non regge molto, tanto che di fatto è stata abbandonata. Forse anche perché banale.

Ciò nonostante, non accettare storicamente la resurrezione di Gesù e dire che è un’invenzione, oppure dire che non posso dimostrare che davvero sia accaduta, se da una parte può mostrare anche un problema ideologico, dall’altra apre tutta una serie di riflessioni molto importanti.

Se io come storico voglio capire il successo del cristianesimo senza basarmi sul dato della risurrezione di Gesù, allora qual è l’elemento che ha fatto in modo che si formasse ed espandesse questa religione?

Per la fede cristiana il dato della resurrezione è fondamentale, ma per lo storico essa non può essere considerata come un fatto. Nemmeno per il cristiano che fa lo storico, per una questione di metodo, se così mi posso esprimere. Qualcuno ha però fatto notare che senza di essa non sarebbe potuta avvenire una tale espansione del cristianesimo. Un terremoto avvenuto nel passato lo possiamo appurare studiando le fratture nelle rocce. Non posso sentire il terremoto avvenuto nel passato, posso però studiarne le tracce. Ma è chiaro che una simile ipotesi di lavoro ha bisogno, per essere plausibile, di sapere esattamente cos’è un terremoto e, in questo caso, cos’è una risurrezione. A parte la testimonianza degli apostoli, che potrebbe essere “inventata”, oltre a quello che riporta Giuseppe Flavio e altre fonti romane (per inciso su Gesù più che sulla sua risurrezione), non abbiamo a disposizione altro.

Per spiegare la nascita e lo sviluppo del cristianesimo molti studiosi hanno allora lavorato sulla storia delle idee, cioè hanno cercato di vedere se c’è un’evoluzione di idee religiose precedenti a Gesù che poi si sarebbero sviluppate in una credenza e in una dottrina. Ma anche questo tipo di ricerca non ha dato risposte convincenti, a parte una: Gesù non ha predicano nulla di veramente diverso rispetto a quello che già era espresso da altre fonti giudaiche della sua epoca. L’eucarestia probabilmente è la vera novità nella storia delle idee (il fare qualcosa e il predicare qualcosa sono azioni assolutamente interscambiabili nel vangelo).

Si potrebbe vedere la risurrezione di Gesù come una metafora della prima comunità cristiana? Gli Atti degli Apostoli sono quasi un quinto vangelo: Pietro, Giacomo, Stefano e Paolo dicono e fanno cose perfettamente simili a quelle che ha detto e fatto Gesù. Gesù è risorto perché vive negli apostoli e nei loro seguaci. Ma affermare semplicemente questo significherebbe comunque forzare le fonti neotestamentarie, le quali si esprimono chiaramente sulla risurrezione. Soprattutto parlano della testimonianza degli apostoli riguardo alla risurrezione di Gesù, anche se ciò che hanno visto può verificarsi in altro modo all’interno della comunità.

Pertanto, parlando in modo rigoroso, possiamo dire che storicamente è attestato il racconto della risurrezione di Gesù come anche la testimonianza degli apostoli, ma non che la risurrezione sia un dato “storico” in senso stretto. Il dato della fede, la risurrezione di Gesù, si basa quindi sul credere a ciò che viene scritto nei vangeli e dalla predicazione degli apostoli.

Nei vangeli la questione della resurrezione è trattata in maniera differente in ogni testo. Perchè?

Per quale motivo questi racconti presentano differenze non è del tutto chiaro. Diciamo che ci sono teorie plausibili, e che queste teorie partono dalla considerazione che dietro a ciascun vangelo c’è una comunità che vive e interpreta la resurrezione di Gesù con sentimenti diversi.

In ogni caso, tutti e quattro i vangeli riportano la notizia del ritrovamento della tomba vuota, come anche che la prima testimonianza di questa è data da donne.

Se ci sono quattro racconti con differenze sulla resurrezione non significa che allora i dati riportati in questi testi hanno parti inventate, ma solo che lo stesso evento è visto con sensibilità diverse. Come affermerà Ireneo di Lione rispetto ai vangelo, ossia che è uno e quadriforme, così in questo senso si può dire del racconto della resurrezione.

La resurrezione è un atto divino che tocca il mondo intero…un aspetto che forse talvolta dimentichiamo..

Mi pare che dimentichiamo molte cose, non solo la risurrezione. Sono convinto che conosciamo quello che proviamo, e quello che proviamo non lo scordiamo, o per lo meno è molto difficile che accada. Abbiamo probabilmente dimenticato un elemento della fede cristiana perché forse trasmesso in modo astratto, non vissuto. Forse sarebbe bene interrogarsi sul significato della risurrezione nella vita e, in qualche modo, viverla. Come si legge negli Atti degli Apostoli o in Paolo. Essere, in sostanza, come dei risorti.

Daniela Raspollini

(I corsi del IV anno si svolgono il lunedì dalle ore 20.45 alle ore 22.15)

Programma del quarto anno 2018-2019 (pdf)

 




Musica per organo dall’archivio capitolare: una conferenza a S.Ignazio

Una conferenza dedicata al repertorio organistico dell’archivio capitolare della Cattedrale di Pistoia

Sabato 10 novembre alle ore 18.30 presso la Chiesa di Sant’Ignazio di Loyola a Pistoia, mons. Umberto Pineschi, maestro d’organo e proposto del Capitolo della Cattedrale di Pistoia proporrà una conferenza dal titolo “L’Archivio Capitolare della Cattedrale di Pistoia: una miniera di repertorio organistico nei secoli XVIII e XIX”. Una serata accompagnata da brani esemplificativi tratti dalle opere per organo di Giuseppe Gherardeschi e Luigi Gherardeschi pubblicate integralmente nel 2017 e dal MS B. 226,8. Porterà il suo saluto il sindaco di Pistoia Alessandro Tomasi. A mons. Pineschi abbiamo rivolto alcune domande.

Come nasce l’idea di riscoprire e valorizzare questo patrimonio documentale?

L’archivio della Cattedrale di Pistoia contiene molta letteratura organistica finalizzata agli organi di scuola pistoiese. Scoperta negli anni 1960 durante una catalogazione completa del fondo, è stata progressivamente pubblicata sempre nella revisione di Umberto Pineschi, fino ad arrivare, negli ultimi due anni, alla pubblicazione, ad opera della casa editrice VigorMusic, di tutte le opere degli autori più rappresentativi, cioè Giuseppe Gherardeschi (1759-1815) e suo figlio Luigi (1791-1871).

Nel programma si parla di un Anonimo si tratta di una scoperta straordinaria? Ci vuole spiegare meglio?

È un libro d’organo, composto verso la metà del secolo XVII non si sa da chi e neppure dove. È il più completo libro d’organo composto in Italia in quel periodo, di ottima qualità e perciò certamente scritto da un importante musicista, tanto importante che probabilmente allora si ritenne inutile specificarne il nome in quanto universalmente conosciuto, con la conseguenza però, che attualmente non si ha idea di chi sia stato. Attualmente è pubblicato on line sul sito dell’Accademia d’Organo “G. Gherardeschi” e presto dovrebbe essere anche pubblicato in un volume cartaceo dalle VigorMusic.

Quali sono i documenti più preziosi di questo repertorio organistico?

Appunto le opere di Giuseppe e di Luigi Gherardeschi, che furono maestri di cappella della Cattedrale di Pistoia.

Sarà l’occasione di ascoltare alcuni brani dalle opere di questi due autori…

Verranno eseguito due brani di Giuseppe Gherardeschi (Andantino per Benedizione, Rondò in sol maggiore) e tre di Luigi Gherardeschi (Offertorio, Elevazione, Postcommunio dalla sua Messa in do maggiore).

A una dei due è intitolata anche l’Accademia d’organo..

Sì, l’Accademia d’organo pistoiese è intitolata proprio a Giuseppe Gherardeschi (1791-1871). Per avere maggiori informazione e seguire il calendario dei nostri “vespri d’organo” si può consultare il sito: www.accademiagherardeschi.it .

Daniela Raspollini




Friends of Florence per il pulpito di Giovanni Pisano

Il pulpito della Chiesa di Sant’Andrea sarà oggetto di un progetto di studio in vista del restauro.

«Qui fede cristiana e arte si sposano in modo mirabile. Questo pergamo è una lezione di vita cristiana, una esposizione straordinaria della salvezza dell’uomo». Così il vescovo Tardelli alla presentazione del progetto di diagnostica e restauro del pulpito di Giovanni Pisano di Sant’Andrea a Pistoia.

«Voglio esprimere la mia completa soddisfazione – ha affermato il vescovo – per essere arrivati a questo punto e ringrazio Friends of Florence perché per questo finanziamento inizia un’opera davvero importante per la città».

I dissesti e i problemi di conservazione che si sono manifestati e si sono accentuati negli ultimi tempi nel pulpito, infatti, impongono con urgenza di studiarne le condizioni di stabilità con rilievi, analisi e indagini che consentiranno di definire le forme più opportune di intervento e di restauro.

Con la Diocesi di Pistoia e la Parrocchia di Sant’Andrea è stato quindi sottoscritto un protocollo d’intesa in base al quale la Fondazione Friends of Florence finanzia il progetto con un importo complessivo di € 230.000,00.

Nei giorni scorsi è stato inoltre sottoscritto un contratto di ricerca tra Soprintendenza, Fondazione e Università degli Studi di Firenze (Dipartimento di Scienze della Terra e Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale) per la realizzazione delle attività di studio, indagine e analisi strutturale.

La presidente di Friends of Florence, Simonetta Brandolini d’Adda, ha ricordato con soddisfazione il contributo della sua fondazione: «il pulpito di Giovanni Pisano – ha ricordato – è un’opera che riempie il cuore di spiritualità e bellezza».

Il Pulpito di Giovanni Pisano – prosegue la Presidente – è stato uno dei primi grandi passi nella scultura verso il Rinascimento ed è stato apprezzato e studiato poi per secoli dai grandi artisti come un modello di ispirazione stilistica. Lo studio approfondito e il restauro hanno un’importanza vitale per conservare questo magnifico capolavoro e offrire alle future generazioni la stessa opportunità che oggi abbiamo noi di poterlo vedere, studiare e fruire secondo i valori che la cultura occidentale ci insegna attraverso l’arte».

Il soprintendente Andrea Pessina ha segnalato la generosità di Friends of Florence, e la pronta disponibilità dalla presidente Simonetta Brandolini D’Adda. Oggi presentiamo, ha ricordato il soprintendente «un progetto di studio più che di restauro. Prima di mettere la mano sul monumento abbiamo convenuto sulla necessità di acquisire indicazioni sulle ragioni del dissesto del pulpito». Un intervento che prevede, tra l’altro, la scannerizzazione completa del pulpito, la ricostruzione di rilievi 3D, la simulazione di modelli per comprendere la storia e la statica del monumento.

Le condizioni del pulpito hanno recentemente richiesto, tra l’altro, un intervento d’urgenza per il restauro di una delle figure di Sibille, prontamente eseguito da Alberto Casciani per conto della Soprintendenza e documentato in un video.

IL FUTURO DEL PULPITO DI GIOVANNI PISANO

Il restauro della Sibilla del Pulpito di Giovanni Pisano in Sant'Andrea curato da Alberto Casciani. Un filmato, curato dalla Soprintendenza che descrive l'intervento, in attesa dello studio e monitoraggio dell'intero pulpito finanziato dalla fondazione Friends of Florence e presentato questa mattina nella chiesa di @parrocchia di Sant'Andrea a Pistoia

Publiée par Diocesi di Pistoia sur Mercredi 7 novembre 2018

«Un monumento così importante – afferma mons. Tardelli, vescovo di Pistoia – ha bisogno di continua attenzione e di premurosa salvaguardia. Per questo sono davvero felice che una realtà come Friends of Florence, si sia interessata ad esso e abbia, con grande sensibilità, deciso di impegnarsi in modo davvero considerevole al suo restauro».




Bassetti a Pistoia nel ricordo di La Pira

Il presidenti CEI ha ricevuto a Pistoia il premio internazionale per la pace

«Il pane e la grazia»: due parole che dicono in sintesi chi era La Pira, che «con il pane intendeva scuola, casa, lavoro e poi “grazia” con cui indicava la dimensione soprannaturale»; questo era il suo «umanesimo cristiano». Il card. Bassetti, domenica 4 novembre nella Cattedrale di San Zeno a Pistoia, ha tratteggiato così la figura del servo di Dio Giorgio La Pira, il sindaco santo, in occasione della celebrazione del premio internazionale per la pace a lui dedicato e organizzato dal Centro Studi Donati. Dal 1972, infatti, il Centro Studi “G. Donati”, realizza a Pistoia importanti iniziative culturali di sensibilizzazione e promozione della pace, portando nella città toscana personalità di primo piano del mondo civile ed ecclesiale. Quest’anno ha conferito il premio al Cardinale Bassetti come riconoscimento del suo impegno in campo sociale, in particolare verso «le famiglie in difficoltà economiche, emarginati e migranti» come per il «contributo diretto ed incisivo alla costruzione di una cultura della solidarietà e dell’accoglienza come antidoto ad odi e razzismi». Il premio conferito a Bassetti, ha sottolineato il vescovo di Pistoia mons. Fausto Tardelli, «è un riconoscimento per tutta la chiesa italiana che, senza far troppo rumore, con un lavoro quotidiano e attento è impegnata a costruire un mondo di giustizia e fraternità».

Al termine della premiazione Bassetti ha presieduto la santa messa in Cattedrale, concelebrata dal vescovo e da alcuni sacerdoti della diocesi di Pistoia. Il cardinale ha ricordato Giorgio La Pira anche nella sua omelia, dove, riprendendo il brano evangelico, annotava come il sindaco santo avesse compreso bene che non esiste alcuna contrapposizione tra l’amore per Dio e l’amore per il prossimo. «Due amori che si identificano», dove il «prossimo è un altro te stesso». Chiunque incontrasse, credente o non credente, La Pira lo considerava «un membro del corpo di Cristo». Forte della propria formazione tomista vedeva «alcuni già inseriti nella grazia, altri in potenza, ma tutti ordinati alla salvezza di Dio». Bassetti ha poi ricordato un episodio legato alla sua memoria viva del sindaco santo. Quando, giovane seminarista, partecipava alla ‘messa dei poveri’ alla chiesa della Badia, accorrevano lì tutti i poveri di Firenze, «con i loro cappottoni lunghi» e «il berretto un mano». Quando si sistemavano sulle panche in chiesa al caldo molti si addormentavano; allora gli zelanti andavano a riscuoterli per svegliarli: c’è il professore che parla… «Ma la Pira li fermava dicendo: “lasciateli stare, perché hanno trovato un momento di quiete nella loro vita e loro stanno il contemplando il volto di Dio. Questa era la concezione che La Pira aveva dell’uomo. E allora aveva capito che in fondo questo vangelo -amare Dio e amare il prossimo con tutto se stesso- è il compimento di tutta la vita umana».

Accanto al Card. Bassetti, sono stati premiati fra’ Mauro Gambetti, rettore del sacro convento di Assisi per il suo impegno nella costruzione di un convivenza fraterna fra popoli e religioni diverse. Accogliendo il premio Padre Gambetti ha preannunciato che il prossimo anno sarà proprio la Conferenza Episcopale Toscana a farsi pellegrina ad Assisi per portare olio alla lampada della tomba di Francesco e pregare per la pace.
Altri premi sono stati consegnati a Sigfrido Ranucci, giornalista RAI conduttore di Report, e Aurelio Amendola, fotografo pistoiese noto in tutto il mondo per aver ritratto artisti e opere d’arte di assoluto rilievo come le sculture di Donatello o Michelangelo. Un riconoscimento speciale è stato assegnato a Nadia Vettori, missionaria laica della diocesi di Pistoia, che ha trascorso oltre quarant’anni a Manaus in Amazzonia, quindi a Balsas nello stato del Maranhao.

La premiazione di quest’anno è stata preceduta da un piccola “marcia” per la pace intitolata Peacetoia, organizzata dal Centro Donati insieme ad altri enti socio assistenziali, associazioni presenti sul territorio pistoiese e gli scout AGESCI e CNGEI. Un’iniziativa festosa e colorata, che ha portato numerosi giovani, in un clima di musica e festa, per le vie del Centro Storico fino alla Cattedrale di Pistoia. Davanti al Battistero è stato poi collocato un olivo a cui sono stati appesi pensieri di pace e fraternità composti dai giovani partecipanti alla marcia, mentre sul campanile della Cattedrale è stata appesa una grande bandiera della pace. «I popoli vogliono la pace» ha ricordato al termine dall’iniziativa il vescovo Tardelli; «la guerra la vogliono solamente i potenti che vogliono fare il loro interesse».

Ugo Feraci




Dalla gloria dei santi alla speranza cristiana: omelia del vescovo Tardelli

Tutti i santi 1 novembre 2018

(Camposanto della Misericordia Pistoia)

Il primo e il due di novembre sono giorni particolari. Dedicati al ricordo di chi non è più visibilmente tra noi, sono giorni che mescolano insieme lacrime e speranza, dolore e consolazione. In ogni caso non ci lasciano indifferenti. Sono giorni che ci mettono infatti davanti il mistero della morte. E, hai voglia di esorcizzare questa realtà con la baldoria di ieri sera e di stanotte. La morte incombe sempre sulla nostra vita come una minaccia. Hai voglia di sfidarla, come l’uomo da sempre ha cercato di fare. Essa rimane davanti a noi come un enigma senza risposta. Possiamo provare a non pensarci; possiamo cercare di distrarci, ma non c’è niente da fare: la scomparsa dei nostri cari, le tragedie del mondo, i nostri stessi malanni, gli anni che avanzano; tutto ci riporta lì, di fronte a quella porta chiusa, oltre la quale nessuno di noi sa esattamente che cosa ci sia; nessuno di noi infatti ha visto e sentito cosa c’è aldilà. Della morte e dell’aldilà noi non ne abbiamo esperienza. Non sappiamo cosa sia. La morte è altro da noi. Un qualcos’altro che possiamo constatare intorno a noi ma di cui non possiamo fare esperienza diretta e narrabile. Non è pessimismo questo: è invece guardare in faccia la realtà.

Una cosa però la sappiamo bene, la sentiamo, la proviamo fin nelle fibre più profonde dell’anima: noi vogliamo vivere; non vogliamo morire. La morte contraddice quella sete di vita che portiamo dentro e che vediamo per es. esprimersi con forza nella lotta di ogni bambino per venire al mondo. La morte non fa per noi. La sentiamo come una nemica che ci ghermisce, ci travolge, rovina i nostri sogni e le nostre attese. Che ci porta via gli amici più cari, ci strappa via i nostri genitori, a volte la sposa o lo sposo, altre volte i figli. E ci fa sentire sempre più soli. Piano piano si fa il vuoto intorno a noi. E quanta nostalgia porta con sé il ricordo dei giorni passati, dei volti che abbiamo incontrato ed amato, coi quali anche abbiamo discusso e coi quali magari ci siamo arrabbiati.

Quanta nostalgia al pensiero che ormai tutto è passato e gli anni sono volati troppo in fretta, senza che ci abbiano lasciato il tempo per gustare la vicinanza dei nostri cari. Quante cose avremmo ancora voluto dire loro; quanto ancora avremmo voluto ascoltare dalla loro bocca; quante le cose rimaste in sospeso e ormai irrecuperabili; ormai irrimediabilmente passate! No.

La morte non fa davvero per noi; non la vogliamo; non ci piace, non è nostra amica. E se per qualcuno essa è apparsa tale alla sua disperazione; oppure come sollievo al suo insopportabile dolore, è solo per una situazione di estremo disagio e solitudine, che per circostanze a volte imponderabili uno si trova a vivere. Se trovasse consolazione e potesse placare il suo dolore nella cura della medicina e nella vicinanza affettuosa degli altri, credo che nessuno si darebbe la morte. Così dunque, davanti alla morte proviamo tutti un senso più o meno forte di angoscia. A noi che viviamo questa angoscia, l’odierna festa di ognissanti non fa discorsi ma ci mette davanti un mondo di viventi, che hanno vinto la morte; un modo di gioia e beatitudine. Fatto di uomini e di donne, tra i quali speriamo con tutto il cuore ci siano anche i nostri cari, che cantano e sono felici, dopo aver faticato lungamente nella vita terrena. E’ la schiera innumerevole dei santi e delle sante. E’ la visione dischiusa dal libro dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato: Ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello».

Ci sono i martiri che hanno perso la vita per Cristo, ma ora vivono nella gloria; ci sono i santi monaci e monache; ci sono padri e madri di famiglia, giovani e vecchi, di ogni, lingua, popolo e cultura. Sono nella gloria, ci dice la liturgia della festa di oggi. E di molti noi conosciamo la loro intercessione per noi, a partire da Maria SS.ma che per singolare privilegio non ha conosciuto la corruzione del sepolcro ma è stata assunta in cielo in corpo e anima.

E poi pensiamo solo ad alcuni altri, grandissimi, straordinari, come San Francesco, Sant’Antonio, San Padre Pio; pensiamo ai santi apostoli che noi pistoiesi particolarmente veneriamo: San Jacopo, San Bartolomeo, Sant’Andrea, San Giovanni; i nostri santi vescovi Sant’Atto, il Beato Franchi; le nostre sante donne come la beata Caiani.

E poi pensiamo ai Papi santi del nostro tempo che abbiamo conosciuto e incontrato: San Giovanni XXIII°, San Paolo VI, San Giovanni Paolo II; oppure ancora giovani luminosi come la beta Chiara Badano e ancora una infinità di altri nostri fratelli maggiori che ci amano e ci vogliono felici.

Pensando a loro e sentendoli qui accanto a noi, nella comunione dei santi, ci rincuoriamo e ci solleviamo dalla nostra angoscia.

Il pensiero che anche i nostri amici e i nostri familiari possano essere partecipi della gloria dei santi, ci apre il cuore alla gioia che esprimiamo con quei fiori che deponiamo sulla tomba dei nostri defunti ma che ancor più possiamo esprimere facendo opere di bene, anzi, sforzandoci di essere uomini e donne delle beatitudini, come ci ha ricordato il Vangelo. Beati i poveri in spirito, beati quelli che sono nel pianto, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati i misericordiosi, beati i puri di cuore, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per la giustizia. La strada delle beatitudini è la strada di Cristo. Una strada che si può percorrere, anche se con tanti tentennamenti e tante battute d’arresto. E’ la strada che hanno percorso i santi e che è proposta anche a noi. Chi segue questa strada, passa già ora dalla morte alla vita e la morte non può più bloccarlo nella paura. Chi ascolta la parola di Dio e si sforza di metterla in pratica; chi pratica l’accoglienza dell’altro che è nel bisogno e apre il suo cuore a Dio e ai fratelli, ha compreso la lezione che viene dai nostri fratelli defunti, santi o ancora bisognosi di purificazione. Così, nonostante tutto, potremo arrivare persino a chiamare la morte, come ha fatto San Francesco, nostra sorella, per la quale benedire il Signore.




La Beata Maria Margherita Caiani: un viaggio sulle “ali dello Spirito”

Sabato 3 novembre la Diocesi celebra la memoria liturgica della Beata Maria Margherita Caiani

Per la festa di Madre Caiani sarà aperta tutto il giorno la cappella di fondazione dell’Istituto delle Minime di Poggio a Caiano. Alle ore 17 si terrà la preghiera dei vespri, quindi alle 17.30 la celebrazione eucaristica presieduta da Padre Michele Pini, parroco di Chiusi della Verna, nella chiesa parrocchiale di Poggio a Caiano.

Dobbiamo ringraziare il nostro vescovo Fausto per la felice intuizione che troviamo leggendo le indicazioni operative e attuative della sua lettera pastorale, dove, fra le varie cose, sottolinea l’esigenza di “riscoprire, ricordare e celebrare” nel nostro cammino comunitario la presenza dei Santi diocesani: uomini e donne che nella loro vita hanno davvero volato con le Ali dello Spirito parafrasando, appunto, l’immagine coniata dal vescovo Fausto e che è stata il filo rosso che ha caratterizzato la riflessione di questo triennio. Papa Francesco, al paragrafo 34 di «Gaudete et exsultate», con la sua splendida capacità di sintesi, spiega così la santità: «non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia».Veramente è tutto qui! Santo è colui che è cosciente della propria fragilità e della propria pochezza e nello stesso tempo è colui che proprio per questo ha la capacità di vedere ed accogliere indegnamente la grazia di Dio: da questa unione lo Spirito crea cattedrali umane enormi.
Questa definizione di papa Francesco, questa vivace pennellata, rappresenta più di tanti discorsi il ritratto della Beata Maria Margherita Caiani (1863-1921), fondatrice delle Suore Francescane Minime del Sacro Cuore e beatificata il 23 aprile del 1989 da San Giovanni Paolo II.

Margherita Caiani, al secolo Marianna, nata il 2 novembre del 1863 a Poggio a Caiano, viene battezzata il giorno dopo a Bonistallo. Rimasta orfana molto giovane, avendo nel suo cuore il desiderio di consacrarsi totalmente a Dio inizia a domandarsi insistentemente cosa il Signore volesse da lei, quale la strada da seguire per servirlo. Intanto insieme ad altre ragazze inizia un apostolato fra le vie e le case del paese assistendone i malati e i sofferenti e fondando una piccola scuola itinerante per i bambini. La contemplazione del Sacro Cuore di Gesù, sarà sempre il caposaldo del suo agire: quel Cuore sofferente che lei rivedeva e serviva nei volti della gente del suo paese con quell’umiltà che la portava a dire: «debbo essere morta pur vivendo: morta a me stessa, viva per aiutare gli altri a vivere».
Il suo sarà un cammino di discernimento molto lungo seguito da alti e bassi, sarà un continuo interpretare, aiutata da una solida rete di amicizie, il volere di Dio su di lei, fino ad arrivare al 15 dicembre 1902, anno della vestizione religiosa insieme alle prime compagne e di fondazione dell’Istituto delle Minime Suore del Sacro Cuore. Nel 1910 viene fondata la prima casa filiale a Lastra a Signa e da lì seguiranno numerose altre fondazioni, con il carisma delle Minime che si diffondeva anche fuori dalla Toscana fino a Milano.

Ma importante è capire il carisma di Madre Caiani, e lo possiamo ascoltare direttamente dalle sue parole, parole semplici, quasi un programma per applicare il Vangelo nella quotidianità:

«Io giungo tra gli uomini della terra ma prima devo ascendere al cielo e passando per Iddio, Somma carità, devo avere gli uomini. La corrente del mio amore per gli uomini, miei fratelli, passa solo attraverso il cuore di Dio, per avere gli uomini io devo avere prima di tutto Iddio».

In Madre Caiani vediamo davvero ciò di cui c’è bisogno come non mai nella Chiesa di oggi e nelle nostre comunità: quell’equilibrio fondamentale e maturo fra preghiera e azione, fra il Cristo servito e amato nella carne dei più piccoli e il Cristo contemplato nella preghiera, e per lei in particolare nell’adorazione eucaristica. La corrente verso gli altri, lei dice, è possibile solo partendo dal Cuore di Dio, solo guardando un Cuore ricco di Misericordia, siamo capaci di donare Misericordia. Spesso amiamo poco perché anche preghiamo poco, e quando amiamo poco ci troviamo tristi, avidi, nevrotici.
La Madre insegna che ogni azione deve sempre partire da quel Cuore, dalla contemplazione di quel Cuore: spesso nelle nostre comunità parrocchiali ci perdiamo nelle maglie del tecnicismo, saltiamo questo passaggio di amore e contemplazione che è il primo passo: è come costruire una casa partendo dal tetto e non dalle fondamenta. Quando si tratta di stare in preghiera davanti a Gesù, quando si tratta di trovare tempo per Lui siamo i campioni del “non ho tempo”, dobbiamo imparare a liberare del tempo per quello che è fondamentale, per la “parte migliore” come spiega Gesù a Marta, quella parte migliore che ci dà la forza e la spinta per essere ferventi nella carità.

La Madre ritorna alla casa del Padre l’8 agosto del 1921, gli ultimi anni di vita saranno logorati da un terribile male che la privava di ogni forza, ma nonostante tutto saranno anni di grande impegno per una Congregazione che sempre più aumentava di numero: alla sua morte lascia 13 case filiali e 124 religiose.

«Cosa può volere da me il Signore? Non sono che una povera venditrice di sigari».

È la domanda che spesso Marianna si faceva nella sua ricerca vocazionale, una domanda intrisa di quella consapevolezza di «debolezza», che sottolineava prima Papa Francesco; da una donna che cercava il meglio nella sua vita, che aveva capito che la libertà non è altro che affidarsi ed essere strumento di Dio è nata una comunità religiosa capace di dare un volto ed influenzare nella fede un paese intero. Dalla domanda di una semplice ragazza il Signore ha potuto costruire una piccola fraternità capace anche di essere missionaria, prima nel proprio paese e col tempo nel mondo intero.
La vicenda di Madre Caiani ci dice che per diventare “comunità fraterna e missionaria” dobbiamo iniziare a farci ognuno di noi, intimamente la domanda: «cosa può volere da me il Signore?». Quando insieme, nelle nostre interminabili riunioni, siamo capaci, ognuno di noi, nella verità e nella semplicità, di farci questa domanda scomoda nasce la comunità, la fraternità. «Cosa può volere da me il Signore?»; non c’è stato svincolo della vita in cui la Madre non se lo sia chiesto.

A chi chiedeva a Gesù quasi un “certificato di qualità” su quali fossero le vere opere di Dio, Gesù rispondeva: «dai loro frutti li riconoscerete» (Mt 7,20). Ancora oggi le Minime, e tanti laici insieme a loro, in Italia e nel mondo portano avanti le opere di Margherita Caiani, attualizzandole, rinnovandole in una sfida sempre nuova con la modernità e la sua brama di autosufficienza che continuamente rifiuta l’offerta di un Dio morto per amore.

Simone Panci




Cosa chiedono i giovani alla Chiesa?

Padre Simone Panzeri dell’equipe di pastorale giovanile di Pistoia propone la propria riflessione sul Sinodo dei giovani appena concluso

Si è appena concluso il sinodo dei giovani. Un evento che ha visto un grande impegno per l’ascolto dei giovani di tutto il mondo. Il sinodo, infatti, è stato preparato da un lungo lavoro di ascolto che ha fatto sintesi delle risposte al questionario del Documento preparatorio da parte delle Diocesi e dei Movimenti; di quanto pervenuto attraverso un questionario online, dagli atti di un Seminario internazionale tenutosi a Roma nel 2017 a cui hanno partecipato giovani ed esperti di tutto il mondo e, infine, dalle osservazioni libere pervenute da singoli laici o da gruppi di diversa estrazione.

Un impegno non indifferente che ha coinvolto anche la Chiesa di Pistoia. Abbiamo raccolto il commento di padre Simone Panzeri, membro dell’equipe di Pastorale Giovanile della Diocesi di Pistoia.

Padre Simone, la Chiesa Cattolica, seguendo il desiderio di papa Francesco, ha portato avanti un grande sforzo nell’ascolto dei giovani in vista del Sinodo. Qual è la tua opinione in merito?

Ciò che mi stupisce prima di tutto è questo ascolto reale da parte della Chiesa di tanti giovani del mondo credenti o no. A questo livello ricordo anche gli sforzi e le riflessioni fatte nella Diocesi di Pistoia per cercare i modi e i mezzi più adatti per andare a cercare i giovani e ascoltarli, soprattutto quelli che vivono più lontani dai nostri ambienti classici. Mi ha colpito questo sforzo di Chiesa di andare “in uscita” verso i giovani, non per proporre loro qualcosa, ma per lasciarsi interrogare da loro, dai loro bisogni e desideri.

Un secondo punto su cui sono rimasto colpito è che i giovani «non vogliono essere considerati come una categoria svantaggiata (…) ma come la risorsa più importante per un futuro migliore» (Guida alla lettura dell’Instrumentum Laboris n°1.3). Leggendo questo mi sono detto che davvero su questo punto Dio ci chiama ad un’autentica conversione pastorale! Ho pensato a quante volte ho partecipato a progetti che partivano dalla domanda «cosa fare per i problemi dei giovani? Come aiutarli a superare le difficoltà legate alla loro età, condizione sociale …?». Qui i giovani ci stanno dicendo di guardarli con un occhio diverso: sono un tesoro da cui attingere per costruire il futuro. Hanno in sé una carica profetica che, se ben compresa e indirizzata, può aprire davvero vie nuove per la Chiesa e l’umanità.

Su questo sono stato toccato personalmente anche durante un campo scuola fatto nella missione dei Padri Betharramiti di Katiola in Costa d’Avorio con 20 giovani francesi, italiani e africani. Anche in quella occasione, da più giovani durante i momenti di condivisione e di verifica, ho percepito e sentito lo stesso appello: «siamo il vostro tesoro, la vostra risorsa più bella, guardateci così!».

Ed infine, un terzo punto, che mi ha fatto molto riflettere del documento preparatorio, è che dai dati raccolti, emerge come i giovani «soffrono per la mancanza di accompagnatori autentici e autorevoli che li aiutino a trovare la loro strada» (Guida alla lettura dell’Instrumentum Laboris n°1.5). Su questo punto siamo chiamati in causa tutti noi adulti, educatori, sacerdoti, religiose…: come stiamo guidando i giovani che incontriamo? A volte ho l’impressione che siamo un po’ “in ritirata” su questa missione di accompagnatori: o ne diventiamo i “migliori amici” perdendo di vista il nostro servizio per farli crescere e ripiegandoli sul “come è bello stare insieme” e basta, o ne facciamo i “volontari” a cui chiedere una moltitudine di servizi e presenze per darci la soddisfazione che abbiamo un bel gruppo giovani intorno a noi. Ma, mi domando, quanto li ascoltiamo veramente? Quanto tempo “perdiamo” per sederci a parlare della loro vita, dei loro ideali, dei loro desideri? Oggi, credo, i giovani abbiano bisogno di un rapporto a tu per tu con qualcuno di reale che li faccia scoprire il tesoro che sono, che li tiri fuori dalla massa piatta delle reti digitali, li alzi dai divani della pigrizia e li accompagni nella vita vera.

Cosa possono fare gli adulti, gli educatori, le parrocchie … per i giovani?

Credo che emerga l’importanza di riscoprire l’importanza della vocazione di accompagnatori delle nuove generazioni da parte degli adulti che vivono a contatto coi giovani e sentono questo come la loro missione. Mi chiedo quanto si faccia ancora con lo spirito di “rispondere ai problemi” dei giovani e non nell’ottica di questo sinodo che ci chiede di guardare ai giovani come alla “risorsa” per trovare le risposte alle domande sul nostro futuro. È una provocazione forte che, credo, Dio ci faccia attraverso la voce dei giovani del nostro tempo. In effetti, credo si aprano due prospettive interessanti di crescita per noi adulti e realtà impegnate coi giovani.
La prima: ritrovare o incoraggiare il nostro servizio di accompagnatori. E questo richiede darci tempo per essere ben preparati a questo compito. Molto spesso la buona volontà non basta e il rischio è quello di cadere nell’improvvisazione e nel pressapochismo sterile e dannoso. I giovani chiedono da noi adulti un impegno serio, degli accompagnatori preparati, perché ci affidano la loro vita quando ci chiedono questo servizio di aiuto e sostegno. Dovremmo anche essere disponibili a dedicare a loro più tempo e spazio d’ascolto, perché non è facile appunto “perdere del tempo” per ascoltare e stare coi giovani.
La seconda: condividere coi giovani le nostre domande sul futuro. Nella mia piccola esperienza coi giovani in parrocchia o nei campi di missione, ho provato a condividere con loro alcune preoccupazioni per il futuro delle attività pastorali messe in atto per loro: cosa ne pensate delle nostre iniziative? Come vedete noi sacerdoti, educatori, etc? Secondo voi cosa ci manca per essere “più incisivi”? Cosa ci suggerite per l’animazione vocazionale, giovanile, pastorale…? Quello che ho accolto dalle risposte è stato che i giovani ci chiedono di parlargli di noi, del concreto delle nostre esistenze, di chi siamo, dello spirito che anima le nostre scelte di vita e di fede.
Questo esempio, se vogliamo piccolo, può dar vita a un ascolto più ampio di come i giovani ci vedono, di come guardano alla chiesa, alla fede e di cosa i giovani ci chiedono a livello personale, di gruppo di catechesi, di parrocchia e, perché no, di Diocesi. Potrebbe essere la scoperta di un tesoro che non vediamo e che ci può aprire prospettive nuove per il futuro.

Daniela Raspollini