Vicofaro, ancora un episodio di razzismo

PISTOIA – In merito alla vicenda denunciata da parte di don Massimo Biancalani, relativa all’ennesimo episodio a sfondo razziale a carico di un ospite del centro di accoglienza situato nei locali adiacenti la parrocchia di Vicofaro, Mons. Tardelli – nel portare solidarietà e vicinanza alla giovane vittima – vuole nuovamente stigmatizzare il clima di tensione e di esasperazione del dibattito pubblico e che oggi sta producendo i suoi frutti più amari. Il vescovo di Pistoia, già da molti mesi aveva messo in guardia rispetto al clima velenoso che si sta sviluppando in diocesi, in Toscana e nel Paese:

«Oggi siamo seduti su di una polveriera e occorre imparare tutti ad essere cauti nei gesti e con le parole, perché non accada esattamente il contrario di ciò che vorremmo: che scoppi la guerra, dove invece ci vuole la pace. Oggi gli animi sono surriscaldati – afferma Tardelli – ci si muove spinti più dalla “pancia” che dalla ragione; più dalle sensazioni che dall’ obbiettività. E’ tempo, il nostro, in cui io credo occorra vigilare. Sulle nostre idee e sulle nostre parole; su ciò che ci viene comunicato e a nostra volta comunichiamo. Su ciò che facciamo ogni giorno; sulle nostre piccole o grandi scelte quotidiane. Occorre vigilare, prima che accada il peggio! Perché la rabbia non vinca sulla pazienza, la paura sul coraggio, l’insulto e l’arroganza sul rispetto, la violenza sull’amore».




Processione di San Jacopo: la varietà di una Chiesa in uscita

Lunedì 24 luglio la solennità di San Jacopo è stata preceduta da un momento ecclesiale radicato nella storia religiosa della città: la solenne processione di San Jacopo, che ha preso il via dalla Chiesa di San Francesco fino alla Basilica Cattedrale di San Zeno.

Anche quest’anno la processione ha visto una buona partecipazione popolare, con la presenza di numerose parrocchie, movimenti, associazioni. Ricordiamo, tra i tanti, i ragazzi e gli animatori dell’Oratorio San Domenico Savio di Pistoia, una bella rappresentanza di religiose, diversi diaconi e sacerdoti della nostra diocesi, ma anche il sindaco e i figuranti del corteo storico. La processione è stata anche accompagnata dagli interventi musicali della Banda Borgognoni.

Di seguito abbiamo raccolto alcune testimonianze dei partecipanti.

«Lasciata la barca ed il padre lo seguirono…» (Mt 4,22). Giacomo, Giovanni, Andrea e Pietro seguirono Gesù e così abbiamo fatto anche noi partecipando alla processione in onore di San Jacopo. Le parrocchie di Sant’Andrea e San Filippo hanno voluto testimoniare, anche come comunità pastorale del centro storico, la devozione popolare al Santo Patrono e l’unità alla Chiesa Pistoiese guidata dal nostro vescovo. Chiesa in uscita per le vie della città, per fare vedere a tutti, anche agli indifferenti che la Chiesa testimonia, segue e confida nel Signore Gesù Cristo.
Veramente viva e partecipata è stata la presenza delle comunità “Pinoy” (Filippini) presenti con il loro stendardo di San Filippo, proprio a testimoniare che la Chiesa è Universale e che nessun uomo può sentirsi escluso.
È stata una bella occasione per pregare tutti assieme, camminando attorno alla teca con la preziosa reliquia di S. Jacopo, con un pensiero speciale per i nostri fratelli cristiani perseguitati in tanti paesi, ma che – come ha ricordato il nostro Vescovo Fausto – non fanno notizia sui giornali.
Carlo Feraci (Parrocchia Sant’Andrea Apostolo)

Alla suggestiva processione del 24 luglio, vigilia della Festa di San Jacopo, ha partecipato anche la Comunità Filippina che da tanti anni si ritrova presso la chiesa di San Filippo in via Buozzi. Alla processione ha partecipato anche Rosalyn che si fa portavoce di questo momento. «Per noi è stato bello partecipare testimoniando la nostra fede. Per me è stato come rivivere l’emozione che provavo quando nella nostra terra si facevano solenni processioni per le feste religiose. Per me è come rievocare quei momenti ed è molto importante che anche qui, nel luogo in cui adesso viviamo, siano mantenuti questi momenti di grande spiritualità».
Comunità filippina

Per noi dell’Oratorio San Domenico Savio partecipare alla processione del 24 luglio è stato un onore ed una gioia. Camminare tutti insieme: bambini, adolescenti e famiglie con le nostre magliette colorate per le vie della bella Pistoia ci ha fatto provare un particolare orgoglio di appartenere alla nostra chiesa e alla nostra città.
Oratorio San Domenico Savio

Ritengo che dovremmo essere grati al Signore per il dono dell’Episcopato e del nostro Vescovo Fausto. Credo che sia importante pregare il Padre, perché nel Nome di Gesù ci doni lo Spirito Santo. Come ha affermato il vescovo nella sua omelia per la Solennità di San Giacomo Apostolo, «il Cristiano è colui che prega, pensa, agisce in, con e per Gesù». Dovremmo mettere di più Gesù al centro delle nostre vite. Se cerchiamo veramente Gesù, allora la Fraternità e l’Unità cresceranno sempre di più perché in Gesù tutto il corpo cresce ben ordinato. Un’altra cosa importante è quella di stare attenti a non lasciare “fuori” i laici. Mi auguro che la mia esperienza non resti isolata e confinata a quella di religioso, ma che possa essere il punto di vista dei Cristiani a prescindere dalla vocazione che uno ha.
Fratel Nicola della Fraternità Apostolica di Gerusalemme

Quest’anno il nostro cammino ha avuto un colore speciale: il rosso. Rosso come il mantello di San Jacopo, ma rosso anche in difesa degli ultimi, i sofferenti e gli emarginati. «Con questo cammino ci prendiamo sulle spalle gli ultimi: forse non saremo capiti, ma va bene lo stesso». Queste le parole del nostro caro Don Enzo Benesperi. Prima di partire in processione fino a Pistoia abbiamo pregato, riso, testimoniato. Nella chiesa di San Francesco siamo entrati cantando “camminiamo sulla strada”. È stato un momento magico. Grazie San Jacopo, veglia su tutti noi!
Parrocchia di Stazione Montale

Anche quest’anno il Corpo Italiano di Soccorso Ordine di Malta ha partecipato, con i propri volontari, alla ricorrenza della festa di San Jacopo. L’Ordine di Malta è dedito al carisma di alimentare, testimoniare e difendere la fede (Tuitio fidei) e di servire i poveri e gli ammalati che rappresentano il Signore (obsequium pauperum). Siamo il linea con quanto ha detto il nostro vescovo S. E. Mons. Tardelli «…La fede cristiana è la nostra identità, è il fondamento della nostra vita», così come appartiene al nostro carisma il valore dell’accoglienza: «una cosa antica per la chiesa, – ha affermato il vescovo nel suo messaggio per il santo Patrono – che da sempre ha visto nell’“alloggiare i pellegrini” un’importante ora di misericordia, perché nel forestiero e nel pellegrino c’è Cristo stesso».
CISOM Pistoia

A cura di Daniela Raspollini

 




“Ripartire dalle parrocchie e da una comunità fraterna e missionaria”

In occasione della solennità di San Jacopo il Vescovo Fausto ha consegnato alla diocesi la lettera di indicazioni per l’anno pastorale 2018/2019. “Una comunità fraterna e missionaria” è il titolo della missiva alle componenti della chiesa di Pistoia che chiude il piano triennale pastorale incentrato sul discernimento personale e comunitario di un trittico di tematiche, iniziato nel 2016 – 2017 con “l’anno del Padre” e proseguito quest’anno con “l’anno dei poveri”.

Nella lettera pastorale il vescovo tratta molti punti: dal bisogno, avvertito da tutti, di ritrovare relazioni vere e sincere in antitesi rispetto alla solitudine crescente, al bisogno di comunione, di pace e unità, anche nella comunità dei battezzati, ponendo al centro della riflessione il tema della comunità di base, ovvero la parrocchia.

Afferma mons. Tardelli: «Come non vedere nel disperato bisogno di riconoscimento e di relazioni sincere e autentiche che è presente nella nostra società uno dei principali ‘segni dei tempi’? In quella tragica contraddizione cioè, di un mondo sempre più globale e in rete eppure sempre più colmo di solitudini? La solitudine è lo spettro che si aggira nelle nostre contrade e città. Una popolazione sempre più anziana ne rimane facilmente vittima. Non è meno vero per le generazioni più giovani. Persino tra i ragazzi e gli adolescenti la solitudine miete vittime. Una solitudine che è causa di molti mali, spesso anche del diffuso disagio economico. A sua volta ne è anche conseguenza, in una specie di circolo vizioso che intristisce l’anima e la vita. La solitudine non si vince però con la confusione e l’affollamento. I famosi “non luoghi” di Marc Augè sono pieni di gente che va e che viene ma che non si incontra. Sono invece le relazioni umane autentiche, l’accoglienza e il sorriso, la mano tesa e gli occhi che si incrociano, l’apertura del cuore e la disponibilità all’amicizia che rompono la solitudine». «Di qui l’urgenza – continua Tardelli –  di riscoprire e ritrovare il conforto di una comunità veramente fraterna (Gv 13,34; Gv 20,17), la profezia di cuori che si uniscono nella diversità (At 4,32), “l’oasi della misericordia” che è la comunità cristiana, dove si possa dire con il salmo 133: «Ecco come è bello e com’è dolce, che i fratelli vivano insieme!». 

«La comunità cristiana, la parrocchia – afferma il vescovo – sia per tutti i suoi membri l’occasione di sperimentare la comunione che caratterizza il Popolo di Dio in cammino nella storia. Una comunione fatta di amicizia e di relazioni buone. Anche conflittuali a volte, perché sincere, ma sempre positive. E per essere questo, ogni parrocchia deve mettere al suo centro Gesù Cristo e una scuola permanente di formazione alla vita nuova in Cristo secondo lo Spirito. Se si cercasse di edificare la vita comunitaria soltanto con iniziative di socializzazione umana sbaglieremmo, perché la comunità cristiana si edifica nell’amore, ma a partire dall’Eucaristia e dalla Parola viva di Cristo che trasforma e forma i cuori. Da questo incontro nasce la festa e la gioia del ritrovarsi».

Il vescovo, nella seconda parte della lettera,  propone alcuni spunti e indicazioni operative: dal riordino e al ripensamento della struttura e al numero parrocchie, alla presenza e riscoperta delle feste e delle tradizioni religiose diocesane e parrocchiali, alla valorizzazione dei “gruppi di Vangelo, alla sinodalità come strumento per una vera riforma della chiesa, al ruolo della formazione, alla valorizzazione del laicato e dei diaconi permanenti.

In ultimo mons. Vescovo richiama la questione dei giovani, con la quale chiude la indicazioni pastorali definito: «vero nervo scoperto della nostra Chiesa in questo momento».«Lo vado constatando nella mia visita pastorale – scrive Tardelli – la stessa Chiesa universale ha messo all’ordine del giorno i giovani. Ci vuole dunque ascolto e impegno nei confronti degli adolescenti e dei giovani, anche in chiave vocazionale sulla scia del Sinodo dei vescovi che il Santo Padre Francesco ha indetto per l’ottobre 2018».«Abbiamo troppo paura dei giovani -lasciatemelo dire-, mentre è giunto il momento di mettere nelle loro mani la Chiesa, le nostre parrocchie, con fiducia e speranza. Essi hanno prospettive diverse dalle nostre e forse preoccupazioni che non sempre comprendiamo, ma forse, come insegna San Benedetto nella sua famosa regola, al cap. III, essi possono insegnarci molto: «Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore». L’attenzione al mondo giovanile poi, è bene che si specifichi con proposte adeguate all’ accompagnamento degli adolescenti con percorsi ante e post Cresima; dei giovani più grandi e infine delle giovani coppie o famiglie».

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San Jacopo 2018: l’omelia del vescovo Tardelli

Sulla scia del santo vescovo Atto che di lui ottenne per Pistoia una preziosa reliquia, onoriamo anche quest’anno l’apostolo Giacomo il maggiore, grande testimone del Vangelo, ucciso dal re Erode Agrippa verso l’anno 44 d.C. a Gerusalemme

In questa annuale ricorrenza, credo che la prima cosa che dobbiamo imparare da San Jacopo sia il coraggio e la coerenza della fede. La fede per la quale egli ha dato la vita, è un grande dono che non solo va conservato ma che dobbiamo alimentare ogni giorno e anche chiedere, se ci pare di non averlo. La fede cristiana è la nostra identità, è il fondamento della nostra vita, è tra le basi della nostra civiltà; purtroppo la si può perdere o si può affievolire a causa di compromessi e viltà o di quella che viene definita “secolarizzazione”, tipico fenomeno delle società ricche e opulente. Ma cosa vuol dire “essere cristiani”.

Chi è il cristiano? C’è bisogno di chiedercelo perché in questi tempi di confusione c’è chi dice con estrema leggerezza che essere cristiani, islamici, buddisti o animisti sia la stessa cosa; a volte poi capita anche che ci si professi cristiani e cattolici senza sapere che cosa davvero significhi o senza esserlo nei fatti. Allora è bene ricordare che è cristiano chi crede in Gesù, vero Dio e vero uomo, Figlio di Dio incarnato, morto e risorto per liberarci dai peccati e aprirci le porte del paradiso. Cristiano è chi confida in Lui e lo riconosce unico salvatore del mondo, via verità e vita e che con Lui spera di entrare nel Regno dei cieli che è la piena comunione con la Trinità santissima. Per questo cerca di vivere già quaggiù, insieme a fratelli e sorelle nella Chiesa, seguendo Gesù e mettendo in pratica i dieci comandamenti che si concentrano nell’amore verso Dio e verso il prossimo chiunque esso sia.

Cristiano è chi perdona le offese ricevute e si sforza di amare anche i nemici; accoglie i pellegrini e i forestieri; da da mangiare agli affamati e da bere agli assetati e si fa incontro con umiltà a chiunque sia nel bisogno. Cristiano è chi partecipa assiduamente all’Eucaristia domenicale, fonte e culmine di tutta la vita cristiana; prega e fa penitenza per i propri peccati, si nutre della parola di Dio e lavora instancabilmente per il Regno. Il cristiano vive in Cristo, per Cristo e con Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo, nella grazia di Dio. Cerca di pensare come Cristo, di agire come Lui, di amare come Lui, secondo quello che la bimillenaria trazione della Chiesa propone a credere.

Questa, che ho brevemente descritto, carissimi amici e fratelli, è la fede operosa di un cristiano. Non è la fede professata nell’Islam o la credenza del buddismo o di qualsiasi altra religione. E’ fede cristiana. Nessuno ci costringe ad abbracciarla. Nessuno ci costringe a mantenerla. O è libera o semplicemente non è fede cristiana. Se però la professiamo, non sia esteriormente o di facciata; lo sia invece per convinzione profonda, impegno costante e gioiosa gratitudine.

Il cristiano però è prima di tutto un uomo. Vorrei soffermarmi ancora un attimo su questo fatto non trascurabile. Non vorrei che risultasse strano questo fermarsi a riflettere sull’uomo. No, perché l’apostolo, il testimone di Cristo, il martire è la fioritura dell’umano e l’umano resta il fondamento su cui sorge tutto l’edificio. E in certi momenti della storia, è necessario ricordarsi anche che cosa significhi essere uomini, perché il rischio della barbarie non è superato, anzi è sempre dietro l’angolo. Sia che esso prenda la forma di un mondo nuovo governato dagli algoritmi di una tecnologia che tutto pianifica e pacifica, imbrigliando però la libertà dell’uomo perché considerato l’essere più pericoloso della terra; sia che assuma la forma muscolosa di un nuovo “super uomo”, forte e prepotente che afferma la sua superiorità sugli “altri”, “sub umani” senza diritti e dignità e che considera la pietà, la giustizia e la solidarietà ridicole debolezze.

Occorre dunque ricordarci di essere uomini. Chi è però un uomo? Non è facile rispondere. Eppure bisogna farlo. Unità di corpo e anima spirituale, caratterizzato da complementarietà sessuale, l’uomo è un animale pensante e parlante e quindi relazionale, libero e cosciente si sé, a meno che qualcosa non lo condizioni in modo determinante. Che cerca la felicità e cioè il bene, il vero e il bello. Per il credente è creatura a immagine e somiglianza di Dio. La sua natura personale non è lui a darsela e a inventarsela; la può solo riconoscere e semmai svilupparla in sé e negli altri come una inalienabile dignità che unisce tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro condizione di vita, il colore della pelle, la storia o le idee personali. Egli ha una natura sociale, per cui si definisce a partire dall’altro, non viceversa. Per questo, nell’accoglienza dell’altro fatta di attenzione, rispetto e amore, sta il compimento della sua vita che egli spera vittoriosa sopra la morte. Un tale uomo sa anche di essere estremamente fragile e di sbagliare ogni giorno. E’ dunque umile e desideroso di imparare e di migliorare se stesso con il necessario aiuto degli altri.

Come potete vedere anche da questa mia breve descrizione, carissimi amici, essere persone umane e mantenersi tali non è affatto sempre facile. Come essere per davvero cristiani. Però è necessario e pertanto occorre vigilare.

E’ tempo, il nostro, in cui io credo occorra vigilare. Sulle nostre idee e sulle nostre parole; su ciò che ci viene comunicato e a nostra volta comunichiamo. Su ciò che facciamo ogni giorno; sulle nostre piccole o grandi scelte quotidiane. Occorre vigilare, prima che accada il peggio! Perché la rabbia non vinca sulla pazienza, la paura sul coraggio, l’insulto e l’arroganza sul rispetto, la violenza sull’amore. Occorre vigilare, perché la menzogna non vinca sulla verità; gli istinti sulla ragione, la furbizia e la corruzione sull’onestà, il relativismo sul bene oggettivo…

Vigiliamo, si, vigiliamo almeno un po’. Ne basterebbe anche solo un po’ di vigilanza, ma ci vuole, perché senza son sempre successe nella storia le peggio cose.

Che il grande apostolo San Jacopo nostro patrono, allora vegli per davvero su di noi e sulla nostra città e ci aiuti ad essere vigilanti, per mantenerci sempre orgogliosamente umani e per essere autenticamente e gioiosamente cristiani.

+ Fausto Tardelli, vescovo




San Jacopo 2018: il messaggio del vescovo alla città di Pistoia

«Sulla scia del santo vescovo Atto che ne ottenne per Pistoia una preziosa reliquia, onoriamo anche quest’anno l’apostolo Giacomo, grande testimone del Vangelo. San Jacopo, detto il maggiore, fu il primo degli apostoli a versare il suo sangue per Cristo. Morì a Gerusalemme per mano del re Erode Agrippa verso l’anno 44 d.C. I suoi resti mortali si conservano in Spagna a Santiago de Compostela. Dal 1145, ogni 25 di luglio, la città di Pistoia è in festa per lui.

Nell’occasione di questa annuale ricorrenza, intendo rivolgere un breve messaggio alla diocesi e alla città per dire tre semplici cose.

La prima è che dobbiamo imparare da San Jacopo il coraggio e la coerenza della fede. La fede nel Signore Gesù, morto e risorto per la quale egli ha dato la vita, è un grande dono che non solo va conservato ma che dobbiamo alimentare ogni giorno. La fede cristiana è la nostra identità, è il fondamento della nostra vita; purtroppo la si può perdere o si può affievolire a causa di compromessi e viltà. Non è un generico “credere in qualcosa” senza rapporto con la vita. È invece confidare in Gesù Cristo, riconosciuto come Figlio di Dio e unico salvatore del mondo. È affidarsi a Lui nel grembo della Chiesa, cercando di seguirne le orme, con tutte le esigenze che questo comporta sul piano delle convinzioni personali, delle scelte di vita, come dei comportamenti morali. La nostra fede cristiana deve essere forte, consapevole e gioiosa, incarnata nella vita, umilmente capace di confrontarsi con altre visioni del mondo o religioni e di approfondirsi attraverso questo dialogo.

La seconda cosa la dico in riferimento alla tradizione jacobea legata strettamente al pellegrinaggio e all’accoglienza dei pellegrini. Una cosa antica per la chiesa, che da sempre ha visto nell’ “alloggiare i pellegrini” un’importante opera di misericordia, perché nel forestiero e nel pellegrino c’è Cristo stesso. Dagli “xenodochia” dei primi secoli – ospizi che sotto l’autorità del vescovo erano allestiti lungo le grandi arterie di comunicazione – agli Hospitia e Hospitalia che soprattutto a partire dal IX secolo si edificarono lungo le vie di pellegrinaggio dedicandoli a San Jacopo, tutto ci dice che l’accoglienza di chi è nel bisogno e viaggia per mare o per terra in cerca di vita, appartiene alla nostra tradizione cristiana e alla nostra civiltà. I rischi, che pure non vanno sottovalutati, e la ragionevole necessità di affrontare i problemi eliminandone le cause, non ci possono mai, dico mai, spingere alla chiusura dei cuori, alla frapposizione di barriere, al rifiuto dell’altro. Guai a noi! Tutti i legittimi distinguo, non possono condurci a reazioni irresponsabili e sguaiate, nutrite di slogan a volte crudeli che riempiono la bocca ma non risolvono niente, anzi, aggravano di molto la situazione.

La terza cosa mi sento di dirla alla città di Pistoia e all’intera comunità civile. La memoria dell’apostolo Jacopo e dei santi fioriti nei secoli tra noi, come pure le bellezze di cultura e d’arte cristiana che rendono davvero speciale la nostra terra, dovrebbero spingere tutti, anche chi non si sente di condividere l’esperienza cristiana o ha da ridire sulla chiesa, a riconoscere che la fede non è nemica dell’uomo, non è contraria alla sua felicità, non è una superstizione che aliena dalla storia. Essa è invece linfa vitale che ispira e feconda; forza di rinascita e di rinnovamento; sorgente di speranza e fonte di servizio disinteressato agli ultimi; non chiusura nei confronti di altre prospettive culturali o religiose, bensì apertura e dialogo, sostenuto dalla profonda convinzione che ogni uomo è perdutamente amato da Dio. La fede fa parte delle nostre radici, senza le quali le nostre città non sarebbero le stesse.  È un dato di fatto, non un attentato alla laicità della società! Le nostre radici cristiane non sono un ostacolo, bensì una risorsa di energia che ci permette di migliorare il mondo e di affrontare con sapienza le sfide del futuro.

Concludo invocando per intercessione dell’apostolo Jacopo, la benedizione di Dio sull’intera nostra città e sulla diocesi, perché tutti noi che qui viviamo, da qualsiasi parte del mondo si provenga e qualunque sia il colore della nostra pelle, possiamo sperimentare la gioia di incontrare sul nostro cammino degli amici veri e sinceri».

+Fausto  Tardelli




Due dipinti per capire la città: san Jacopo e sant’Atto

Due opere da recuperare per custodire la memoria della nostra identità cittadina

di Daniela Raspollini

Anche quest’anno, nell’imminenza della festa patronale di San Iacopo, abbiamo voluto rivolgerci alla concittadina Lucia Gai, nota studiosa del culto iacopeo, per chiederle se per l’occasione vi siano in progetto iniziative da realizzare, oltre quelle consuete per celebrare la ricorrenza.

Possiamo dire che buona parte della sua attività di studiosa pistoiese si sia svolta per valorizzare e far conoscere il tema così interessante e importante per la nostra città che riguarda il culto di San Iacopo e l’intera civiltà del pellegrinaggio. Attualmente si prepara qualche novità in proposito?

Ogni anno, ogni volta che ci troviamo tutti insieme per celebrare la festa dell’apostolo Giacomo di Zebedeo, il “nostro” San Iacopo, mi capita di fare un bilancio di un percorso annuale intrapreso, per valutarne i risultati raggiunti e i traguardi ancora da realizzare. Il mio lungo impegno come studiosa si è costantemente completato con quello attuato nel Comitato di San Iacopo: l’associazione laicale di volontariato culturale (che si affianca e collabora con l’attività della chiesa cattedrale pistoiese) fondata negli anni ottanta del Novecento dal compianto monsignor Mario Leporatti e attualmente inserita fra gli organismi di cultura storica riconosciuti in ambito diocesano. Ultimamente, il Comitato di San Iacopo si muove per valorizzare sempre meglio la grande ricchezza del patrimonio di memorie storiche e artistiche religiose conservate in vari luoghi di Pistoia. In particolare, si sta attivando per il recupero dei due grandi emblemi lignei dipinti, d’inizio Seicento, che raffigurano rispettivamente San Iacopo patrono di Pistoia e il Santo vescovo Atto.

 

Non mi pare di aver mai visto queste opere. Potrebbe fornirci qualche altra informazione su questi dipinti? Dove si trovano?

Si tratta di due grandi emblemi dipinti a olio su pannelli sagomati in legno, conservati attualmente nei Depositi del Museo Civico di Pistoia. Entro ricche incorniciature a ‘cartiglio’, tipiche del Seicento, eseguite contemporaneamente e da uno stesso artista, per ora ignoto ma di notevole qualità, sono raffigurati due dei principali ‘protagonisti’ della storia pistoiese della prima metà del XII secolo: l’apostolo Giacomo “il Maggiore” e il vescovo vallombrosano Atto (1133- 1153).

Egli nel 1145 istituì ufficialmente il culto iacopeo a Pistoia, mediante una reliquia del corpo apostolico arrivata da Santiago di Compostella, dove per antichissima tradizione si ritiene riposino le spoglie dell’apostolo: che è lo stesso santo protettore del pellegrinaggio compostellano, sia nei tempi passati che anche oggi, dato che anche attualmente molte sono le persone che vogliono ripetere questa profonda e significativa esperienza, percorrendo in Spagna il “Camino de Santiago” fino a Compostella.

I due emblemi dipinti vennero presumibilmente realizzati dall’Opera di San Iacopo, l’istituzione comunale addetta alla tutela e all’organizzazione del culto iacopeo cittadino, in occasione della canonizzazione del vescovo Atto nel gennaio del 1605. È possibile che essi fossero già stati approntati per portarli nella solenne processione organizzata per celebrare l’evento, che veniva a confermare un culto cittadino per il vescovo Atto già in essere nella seconda metà del secolo XII.

Quello che è sicuro è che i due emblemi lignei dipinti arredavano riccamente la sala dell’udienza dell’Opera di San Iacopo, nella nuova sede realizzata nel secolo XVII in testa all’attuale piazza dello Spirito Santo.

Dopo le soppressioni ecclesiastiche di fine Settecento, e in seguito ad una serie di passaggi, i due dipinti furono acquisiti dal Museo civico di Pistoia, ma non furono esposti perché bisognosi di restauro per il supporto ligneo, che ha sofferto per l’umidità.

 

Perché i due emblemi sono così importanti?

Per due ragioni, principalmente. Innanzi tutto perché sono la testimonianza concreta del momento storico in cui è nata l’esigenza di raccogliere le memorie cittadine, da parte di tanti studiosi ed eruditi locali, per lo più appartenenti al clero e al patriziato. La “Storia di Pistoia” nacque anche come “Storia del culto iacopeo” e, insieme, come raccolta, specialmente fra Sei e Settecento, di “Biografie” del vescovo Atto: continuate lungo l’Otto e Novecento, fino ad oggi. Le due immagini dipinte segnano, anche visivamente, questo momento di maturazione della coscienza civica, quando ha avuto bisogno di appoggiarsi sia alle immagini emblematiche che alla “Storia”. La seconda ragione per cui sono importanti è che nel modo di raffigurare questi soggetti si rivela una precisa mentalità, una concezione dei rapporti fra società e valori ideali e religiosi. In entrambi gli emblemi viene espresso il concetto che una comunità ha bisogno, per vivere i valori della civiltà cui appartiene, di elementi unificanti e condivisi, ma anche di una fede precisa circa il proprio destino: cui deve, essa stessa per prima, credere. È quel ‘vincolo di carità’ che lega tutti noi ed era l’antico ideale dei monaci Vallombrosani, in accordo con la Chiesa universale. Questa idea è espressa sia nell’immagine di Sant’Atto, colto nel momento in cui sostiene, e offre ai cittadini di Pistoia, la cassetta della reliquia iacopea, come un dono ricco di futuro, sia nell’altra immagine dell’apostolo San Iacopo, che tiene fra le mani l’intera città di cui è patrono, così com’è patrono del pellegrinaggio compostellano (cui rimanda il “bordone” o bastone su cui i devoti viandanti si appoggiavano nel loro cammino, che egli regge con la sinistra).

 

Potrà essere fatto qualcosa per poter restaurare queste opere, perché tornino ad essere esposte in modo opportuno?

A quanto ne so, un preventivo di spesa era stato fatto dalla Soprintendenza fiorentina e la cifra dovrebbe essere non eccessiva. Tuttavia in questi attuali tempi di crisi, ogni ente pubblico deve stare attento alle spese: in questo caso, si tratta dell’Amministrazione Comunale, che deve tener conto delle sue priorità.

Si potrebbe tuttavia intervenire, per evitare che vadano via via disperse tante testimonianze importanti della nostra identità, con uno sforzo economico da condividere. L’alternativa è la silenziosa, irreparabile perdita, senza che alcuno levi una voce per chiedere che almeno si pensi a cosa si perde, e a quanto resti alla generalizzata solitudine tecnologico-informatica dei nostri giovani, schiacciati su un ‘presente’ insignificante e ‘liquido’.




L’accolitato di Fratel Antonio Benedetto

Fratel Antonio Benedetto, priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia, ha ricevuto il ministero dell’accolitato il 17 luglio nella Basilica della Madonna dell’Umiltà.

Cosa significa per te ricevere questo ministero? Lo ricevi, infatti, nella posizione di particolare responsabilità di priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia..

Ricevere questo ministero significa fare un altro passo all’interno di quella strada che il Signore ha scelto per me. Questa tappa ulteriore del mio cammino significa mettere la mia volontà e la mia disponibilità ad un progetto che Dio ha su di me e che ancora non conosco.

Sì, ricevo questo ministero nella posizione di Priore, ma questo non contrasta con la responsabilità che mi è stata affidata, anzi, mi aiuterà a crescere nel servizio ai fratelli soprattutto nella Liturgia.

Il compito del Priore infatti non è di colui che dirige o esercita un autorità al di sopra della comunità, ma è colui che per primo deve dare testimonianza completa di una vita in Cristo e per Cristo che si deve tradurre giornalmente in servizio per i fratelli per la comunità e per la Chiesa.

Quali sono i compiti dell’accolito e quale sarà concretamente il tuo servizio all’interno della Fraternità?

Concretamente il mio servizio sarà quello di mettermi a disposizione della Fraternità per aiutare il diacono e i sacerdoti durante la celebrazione.

Andando più nello specifico potrò aiutare il sacerdote, in mancanza del diacono, nel disporre sull’altare corporale, purificatoio, calice e messale, lo assisterò nel ricevere i doni nel distribuire l’Eucarestia e nella purificazione dei vasi sacri.

Lo svolgimento di questo ministero rappresenta una bella testimonianza all’interno della chiesa…

Sì, rappresenta una bella testimonianza nella chiesa, perché questo ministero esprime, a mio avviso, la bellezza del servizio e dona una bella testimonianza di umiltà, dal momento che l’accolito non ha compiti precisi e prestabiliti, ma svolge un servizio, mettendosi a disposizione nelle varie circostanze che la Liturgia richiede.

Hai ricevuto l’accolitato in una data e in un luogo particolari, segnati dalla presenza della Vergine…

È stata per me una grande gioia sapere che il nostro Vescovo aveva scelto per me questo luogo e questa data. In questo luogo mons. Tardelli mi è ha annunciata la data per il mio lettorato, ed è sempre in questo luogo  che mi è stato conferito il mandato per il priorato nella Fraternità Apostolica di Gerusalemme.

Ricevere anche l’Accolitato nella Basilica della Madonna dell’Umiltà, proprio nel giorno della sua festa, mi fa sentire accompagnato e protetto da questa meravigliosa presenza di Maria che nella mia vita, sin dai miei primi passi nel mio cammino all’interno della Fraternità, non è mai mancata.

Daniela Raspollini

(foto di Mariangela Montanari)




I vescovi italiani: «Migranti, dalla paura all’accoglienza»

Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci. Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace. Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto. Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare. Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata.

La Presidenza della CEI




Un’opera segno in memoria del Vescovo Mansueto

Lunedì 23 luglio sarà celebrata l’inaugurazione della cittadella della carità “Hospitium Mansueto Bianchi”. Un progetto che prevede la realizzazione, a fianco della Mensa Caritas “don Siro Butelli” e dei locali del CEIS, di una nuova sede per il Centro di ascolto diocesano e di un dormitorio per senza fissa dimora o situazioni di grave emergenza abitativa con 12 posti. L’Hospitium sarà anche aperto ad accogliere pellegrini che sul tracciato della Romea Strata o dei cammini legati al culto jacopeo faranno sosta a Pistoia. Il progetto, sostenuto dalla Caritas nazionale e della Fondazione CARIPT, completa il restauro e la trasformazione dei locali del Tempio, consegnando alla città di Pistoia un nuovo significativo polo della solidarietà e dell’accoglienza. La nuova cittadella della carità del Tempio sarà anche il segno “permanente” dell’anno pastorale appena concluso e interamente dedicato ai poveri. A partire dal settembre scorso, infatti, la Chiesa di Pistoia ha accolto e meditato la lettera pastorale di Mons. Tardelli dal titolo “nei poveri il volto di Dio”. Un testo pastorale e insieme di meditazione, che ricordava la necessità di ascoltare, incontrare e condividere la vita con i poveri sviluppando forme di aiuto e assistenza. Una lettera in linea con le indicazioni di Papa Francesco, che proprio alla fine del 2017 ha istituito la “giornata mondiale dei poveri”, da celebrarsi ogni anno la domenica precedente la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.

La titolazione dell’hospitium a Mons. Mansueto Bianchi, compianto vescovo della nostra diocesi, intende mantenerne viva la memoria a ormai due anni dalla scomparsa e di legarla stabilmente alla vita diocesana, in particolare al servizio dei più poveri.

Il rimando al termine hospitium, infine, intende riallacciarsi alla secolare tradizione di accoglienza del nostro territorio, da sempre crocevia di uomini e popoli tra nord e sud della penisola e dell’Europa, legato, in particolare, al pellegrinaggio jacopeo. Il termine latino hospitium infatti, rimanda a hospes, cioè all’ospite, a colui che chiede e riceve accoglienza e riparo e indica, quindi, strutture dedicate all’alloggio e all’accoglienza di pellegrini e viandanti.

Alle ore 17.30 è prevista la benedizione dei locali, quindi alle ore 18.00 la Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Decollato o del Tempio. Seguirà un’agape fraterna nel chiostro del Tempio.




Il Santuario di Santa Maria del Giglio a Sambuca

Un luogo di spiritualità e devozione mariana immerso nel verde dell’Appennino.

Il Santuario e il Convento delle Suore Francescane dell’Immacolata si trovano in mezzo ai boschi della Sambuca; una realtà importante anche se forse poco conosciuta della nostra diocesi. Ci siamo rivolti alle sorelle della Sambuca, e in particolare a Suor Lucia – per conoscere e far conoscere meglio le loro attività e il santuario della Madonna del Giglio.

 

Sorella, quali sono le vostre principali attività?

Oggi il nostro impegno maggiore è quello della casa di riposo dove accogliamo alcune signore anziane, ma qui al Giglio offriamo anche ospitalità durante tutto l’anno a chi desidera sostare in preghiera e fermarsi qualche giorno per una pausa di riposo e riflessione nel proprio cammino umano e spirituale. Abbiamo disponibilità per gruppi giovanili e ragazzi, famiglie e nuclei familiari, sacerdoti, suore, singole persone, per giornate di ritiro e spiritualità, week-end vocazionali e per pellegrinaggi mariani.

Qual è la storia del santuario?

C’è una storia molto toccante che racconta di una bambina che veniva mandata dalla matrigna a far pascolare le pecore su un poggio chiamato “Collefiorito”. Ogni giorno la matrigna le dava una quantità di lana da filare mentre restava a guardia del gregge e se a sera il compito non era eseguito erano botte. La giovinetta, sopratutto con l’afa estiva, non riusciva a vincere il sonno e spesso si assopiva all’ombra di un albero, tralasciando così il compito affidatole. Un giorno si accorse che mentre dormiva qualcuno aveva filato per lei tutta la lana e contenta raccontò il fatto alla matrigna, la quale credendo di essere presa in giro la picchiò e le ordinò di non narrare ad altri questa fandonia. La cosa però, si ripetè per diversi giorni e la voce si sparse per tutta la montagna. Un giorno poi, la pastorella si accorse che a filare la lana era una donna bellissima che finito il lavoro spariva. Giunta a casa disse alla matrigna di aver scoperto chi l’aiutava e questo fu per lei un guaio, perchè fu trattata da pazza. Dopo qualche tempo anche il parroco scorse la bella signora e si stupì; lo stupore però aumentò la mattina successiva, perchè trovò dipinta sulla nuda pietra l’immagine della Vergine col Figlio. Si gridò subito al miracolo e il luogo divenne mèta di pellegrinaggi.

A quale epoca risale la storia? Come si è sviluppato il santuario?

Non sappiamo a quale secolo si riferisca la storia, ma sembrebbe che già nel 1581 a Collefiorito si venerasse un immagine della Madonna del Giglio. Fonti successive riconducono l’origine del santuario al 1722 collegandola alla figura di Rosalia Ottari, la quale era una giovane donna bolognese che, cieca dalla nascita, volle essere accompagnata a visitare l’immagine della Madonna di Collefiorito. Si diceva infatti, che spesso risanasse dal ‘male degli occhi’. Rosalia arrivò a piedi a Sambuca e quando si trovò a percorrere l’ultimo tratto di mulattiera, la vista cominciò a rischiararsi fino a che la riebbe perfetta. Il miracolo fu scientificamente provato e ottenuta la grazia la giovane donna decise di costruire in quel luogo una piccola chiesa, quindi diede vita ad una comunità religiosa poi associata al Terz’ordine francescano. La chiesa nel tempo è stata resturata e nel 1930 avvenne la fusione tra queste religiose e noi Francescane dell’Immacolata che attualmente custodiamo il Santuario.

Quali indicazioni volete dare per chi intendesse visitare il Santuario?

Il Santuario di Santa Maria del Giglio è aperto tutti i giorni dell’anno. Per informazioni o richieste vi invitiamo a contattarci allo 0573 893726.

Daniela Raspollini