La Domenica della Parola di Dio

Una giornata da celebrare “una volta per tutto l’anno” dedicata alla Sacra Scrittura

«Stabilisco, pertanto, che la III Domenica del Tempo Ordinario, sia dedicata alla celebrazione, riflessione divulgazione della Parola di Dio». Con queste parole Papa Francesco ha istituito una giornata  annuale dedicata alla Parola di Dio che celebreremo domenica 26 Gennaio. In questa occasione tutte le realtà ecclesiali sono chiamate a evidenziare l’importanza della Parola di Dio che, come ricorda il Papa, «rivela il senso del mistero pasquale», tiene viva l’identità cristiana ed ecclesiale, aiuta a decifrare l’azione di Dio nella chiesa e nel mondo; produce unità tra le chiese e nella chiesa; aiuta a capire il senso degli eventi; fa conoscere Cristo; genera la fede; rende possibile «il riconoscimento tra le persone che si appartengono» nella Chiesa.

Ma perché dedicare una giornata alla Parola di Dio?  Evidentemente perché nella vita dei singoli credenti come in quella delle comunità cristiane la Parola di Dio non è ancora sufficientemente conosciuta, pregata, praticata.

Rimettere al centro della vita spirituale ed ecclesiale la Parola di Dio significa ricordare che il primato nella vita di fede spetta a Dio. Dio ci parla! È Lui che prende l’iniziativa. Eppure questa consapevolezza, pur ben attestata nella liturgia come nel magistero, non è sufficientemente presente nella vita dei cristiani.

Se non c’è coscienza che Dio ci parla la fede rischia di diventare ripetizione di formule, celebrazione di qualche cerimonia, affermazione di qualche valore, ma non è un’esperienza spirituale. E se non la fede non è Spirito, non è vita, non avrà la forza per cambiare noi e il mondo. Riconoscere la voce di Dio ha a che fare con tutti quegli atteggiamenti umani che permettono l’ascolto, il dialogo, la relazione. In questo le sacre Scritture svolgono un ruolo fondamentale: esse ci fanno conoscere chi era e cosa diceva Cristo, che spesso non è quello che noi pensiamo di Lui. Quanti cristiani hanno letto un vangelo dall’inizio alla fine? Ma non è solo un problema di conoscenza, perché si tratta di imparare a riconoscere nelle sacre Scritture la voce di Dio, il messaggio che illumina la nostra vita, che ci indica la strada, che aiuta a diventare giusti e capaci di amare.

È questo che avviene quando si annuncia, si prega e si medita la Parola di Dio nelle sacre Scritture. Questo compito di mediazione è uno dei ruoli fondamentali della Chiesa e uno degli aspetti della nuova evangelizzazione su cui oggi si deve maggiormente riflettere anche in vista del prossimo Sinodo diocesano che celebreremo nel 2021.

Quando viene annunciata la Parola non c’è esperienza più sconvolgente e feconda di accorgersi che in quella Parola si parla di noi; e allora, come a Natanaele, come alla Samaritana, come ai discepoli di Emmaus, si aprono gli occhi, si dilata il cuore nella gioia, ci si apre alla speranza e all’amore di Dio, si diventa testimoni di Lui.

Ben venga la giornata della Parola di Dio che il Papa ci invita a celebrare non una volta all’anno, ma «una volta per tutto l’anno». E per far questo ci suggerisce concretamente di intronizzare la Parola di Dio nella celebrazione domenicale, di regalare una bibbia o un vangelo ai fedeli, di curare sempre l’omelia e la predicazione della Parola, di introdurre alla lectio divina. Sono suggerimenti che dobbiamo recepire perché, come ci ricorda il Papa citando san Efrem il Siro,  Dio «ha nascosto nella sua parola tutti i tesori, perché ciascuno di noi trovi una ricchezza in ciò che contempla».

don Cristiano D’Angelo




Lasciarsi trovare da chi cerchiamo

Una sintesi dell’omelia del vescovo per l’ordinazione presbiterale di Fratel Antonio Benedetto

Nella sera dell’Epifania monsignor Tardelli ha ordinato sacerdote Fratel Antonio Benedetto, priore della fraternità apostolica di Gerusalemme di Pistoia. L’ordinazione si è svolta nella chiesa di San Bartolomeo in Pantano, sede della fraternità, per l’occasione colma di fedeli. La liturgia, animata dai monaci e dalle monache di Gerusalemme, si è svolta in un vibrante clima di preghiera, accompagnata -complici gli spazi suggestivi dell’antica chiesa romanica- da un percepibile calore umano.

«Come i re magi – ha ricordato nella sua omelia mons. Tardelli – hai viaggiato per terreni accidentati, cercando come a tentoni un segno che chiarisse i tuoi desideri profondi, le tue attese, il senso del tuo essere al mondo. Hai camminato e cercato, senza sapere bene Chi stavi veramente cercando e forse confondendo a volte una cosa con l’altra». Il vescovo allude sinteticamente alla storia vocazionale di Fratel Antonio, arrivato – attraverso una profonda inquietudine, dal mondo della musica rock e dalla lontananza da Dio fino alla conversione e poi alla vita religiosa:

«Come i re magi, sei partito da terre lontane dell’anima; hai domandato, chiesto, provato ad imboccare strade diverse. Finché poi Lui, il Signore stesso, la luce che è venuta ad illuminare ogni uomo, non ti è venuto a cercare…. E ti ha trovato, inaspettatamente, meravigliosamente. Da quel momento, come dietro ad una stella cometa hai cominciato a viaggiare con una luce nel cuore».

Un cammino che ha condotto Antonio fino a Pistoia, nella fraternità apostolica di Gerusalemme: «Ti sei lasciato guidare e prima ti ha condotto a una famiglia di fratelli e di sorelle che il Signore ha messo insieme per essere lievito di speranza dentro le città degli uomini, attraverso la gioia della fede, la comunione dei cuori, l’annuncio lieto del Vangelo dell’amore di Dio. E da questa fraternità oggi eccoti qua come i magi davanti al bambino Gesù, che stende verso di te le sue manine perché tu lo abbracci definitivamente e lo porti sempre con te per donarlo poi agli altri».

Il vescovo ha indicato nel riferimento alla solennità dell’Epifania un vero e proprio programma di vita sacerdotale: «tu, carissimo fra’ Antonio benedetto, diventi presbitero, nel giorno in cui la Chiesa celebra l’Epifania del Signore, la sua manifestazione al mondo; l’apparire della misericordia di Dio nella storia. Durante il tempo natalizio, quando più dolce e tenero appare l’amore misericordioso di Dio per l’umanità, quando il Figlio di Dio ha preso carne nel piccolo bambino di Betlemme. Che questo ti insegni e insegni a tutti noi che condividiamo l’ordine sacro, a vivere il ministero come un segno e una testimonianza di misericordia e di tenerezza, attraverso quel farsi piccoli, nella povertà e semplicità di vita che è la strada maestra scelta da Dio per salvare l’umanità».

Non è mancato un riferimento alle preoccupanti tensioni internazionali di questo inizio di anno attraverso l’immagine delle luce e delle tenebre suggerita dalla liturgia: «noi oggi celebriamo la luce del Signore che brilla sopra l’umanità e di essa siamo chiamati a rivestirci, nonostante che la tenebra ricopra la terra e nebbia fitta avvolga i popoli. – E quanto sono vere queste parole proprio oggi, quando dense e nere nubi di tempesta attraversano il cielo del mondo e siamo tutti atterriti da ciò che potrebbe accadere di terribile per le sorti dell’umanità da un momento all’altro. – La parola di Dio ci richiama tutti, noi chiesa del Signore, e noi ministri del Vangelo e tu caro Antonio a non farci mai vincere dalle tenebre ma a sperare e lottare perché trionfi la luce di Cristo e del suo amore sempre. Siamo certi che le tenebre non possono vincere la luce, ma sappiamo anche quanto sia necessario dare testimonianza alla luce con l’impegno di tutti i giorni e la fatica della coerenza». «Che il tuo e il nostro ministero, carissimo Fra Antonio Benedetto, – ha continuato il vescovo- sia dunque un continuo accendere luci nel cuore delle persone».

La solennità dell’Epifania, infine, invita ad allargare lo sguardo, a sentirsi inseriti in un disegno di salvezza in cui nessuno è escluso. «Diventar preti in questo giorno, – ha ricordato il vescovo- significa allora sentirsi parte particolarmente operosa di questo disegno grande di Dio. Si è preti mai per un piccolo gruppo, per una piccola famiglia, per un piccolo luogo. Si è preti invece per tutta la chiesa; per tutta una chiesa diocesana; per la chiesa intera sparsa nel mondo, per tutta intera l’umanità. Perché da preti e come preti si è resi participi in un modo tutto particolare, del cuore largo di Cristo che ama ogni uomo e vuole ogni uomo partecipe del suo corpo. Per cui, anche se un presbitero è legato a un territorio e a una precisa comunità ecclesiale, egli deve avere il respiro del mondo e l’anelito di Cristo che vuole ogni uomo salvo e deve perciò vivere e pregare per il compimento ovunque del Regno di Dio. Cosa oggi più che mai importante, quando popoli e genti si mescolano e il mondo ormai si è fatto un unico villaggio globale».

In questa Epifania, ha concluso il vescovo Tardelli, si sono rovesciate le parti: «è il Signore stesso infatti che apre i suoi scrigni e dona a noi, davvero poverelli e indegni suoi figli, non oro, incenso e mirra, bensì un uomo che da ora in avanti sarà per noi e in mezzo a noi immagine viva e concreta del Buon Pastore».

A conclusione della messa è arrivato alla chiesa di San Bartolomeo un corteo di figuranti del presepe vivente che nella vigilia di Natale ha attraversato le vie del centro cittadino; tra loro tre re magi a cavallo. Fratel Antonio è stato invitato a montare in sella e, nei panni di novello prete e re magio, ha cavalcato benedicendo i passanti incuriositi, accompagnato da amici e fedeli, fino alla chiesa di San Paolo per un momento di festa.




In ascolto del popolo di Dio

Sinodalità: una chiesa chiamata a diventare sè stessa.

Disponibile on line la scheda per l’ascolto del popolo di Dio, primo e decisivo passo per la preparazione del sinodo diocesano previsto per il gennaio 2021.

Nella sua ultima lettera pastorale «…e di me sarete testimoni» (EDMST) il vescovo Tardelli ha espresso l’intenzione di celebrare un Sinodo diocesano nel 2021. La preparazione e la celebrazione di un Sinodo sono una grande occasione per imparare a tradurre in modalità concrete il nostro essere Chiesa comunione (EDMST 23). Il tema proposto dal vescovo per il Sinodo, dopo essersi confrontato nel consiglio presbiterale, nell’assemblea del clero di Giugno 2019 e nei vari organismi di partecipazione diocesani, è quello della «missionarietà e della evangelizzazione» (EDMST 25).

L’urgenza di aprire una nuova stagione missionaria fa eco al magistero di tutti gli ultimi Papi e risponde all’invito fatto da Papa Francesco ad una conversione in senso missionario di tutta la pastorale (Evangelii Gaudium 27). Una delle forme con cui attuare questa “conversione” è proprio la sinodalità:

«la messa in atto di una Chiesa sinodale è presupposto indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero popolo di Dio» (EDMST 24), perché non può esserci missione efficace senza comunione, senza corresponsabilità e senza la partecipazione di tutti i battezzati all’annuncio del vangelo.

Il tema dell’evangelizzazione è decisivo per la Chiesa, chiamata a custodire e annunciare il seme del vangelo per le generazioni future. Quando ci confrontiamo sulle difficoltà della Chiesa, quando enumeriamo le fatiche e le ansie degli uomini del nostro tempo, o quando prendiamo atto di quelle che il vescovo ha chiamato “le attese di vangelo”, non facciamo altro che porci il problema di come fare perché la gioia del vangelo fecondi queste realtà.

Tutto questo è ampiamente condiviso tra noi. Ma come trovare le risposte giuste, come fare ad avviare processi di cambiamento che trasformino il mondo in senso evangelico e ridiano vitalità alle nostre comunità non è affatto facile. Una cosa però è certa, la risposta la dobbiamo cercare insieme. A questo serve un Sinodo.

Sappiamo che non è e non sarà facile vivere il Sinodo e a volte potremmo pensare: a che serve? È una perdita di tempo! Non cambierà nulla! È tutto vero: non siamo abituati, non è semplice, non sappiamo cosa effettivamente produrrà un sinodo, ma la sfida è ineludibile. Nessuno è chiesa da solo, nessuno da solo può vivere tutto il vangelo, nessuno da solo può risolvere i problemi del mondo. Vivere il sinodo potrà essere faticoso, ma sarà una grande primavera dello Spirito se sapremo metterci insieme ad ascoltare per cercare di capire e pensare il futuro e, soprattutto, se proveremo a viverlo. È uno stile nuovo a cui non siamo abituati. Per questo ci vorrà pazienza e fiducia. Ma al di là dei risultati immediati, che potranno esserci o non esserci, se avremo vissuto questo tempo con la disponibilità a scommettere in un nuovo stile di chiesa, almeno questo certamente rimarrà! Perché provare a vivere insieme le cose è già un cambiamento.

LA SCHEDA PER L’ASCOLTO DEL POPOLO DI DIO

La scheda per l’ascolto del popolo di Dio è stata approvata dal vescovo, dopo essere stata discussa con i vicari foranei, con i direttori degli uffici pastorali e con il consiglio presbiterale.

La scheda è anzitutto un’occasione di formazione, un invito al confronto, un aiuto per il discernimento; una sollecitazione per tutti i battezzati perché maturino sempre più la consapevolezza di essere protagonisti della missione.

Dopo le domande del vescovo, la scheda propone una serie di brani dall’Evangelii Gaudium di Papa Francesco che è il programma del Pontificato in vista di un rinnovamento missionario di tutta la vita pastorale della Chiesa.

Ad ogni brano segue una domanda. Queste domande vogliono aiutarci a confrontarci guardando la nostra situazione diocesana, a partire dalla visione più ampia sulla situazione ecclesiale che ci è consegnata nella Evangelii Gaudium.

La scheda può essere usata per un itinerario formativo di più incontri che ogni parroco e realtà ecclesiale avrà cura di programmare per tempo secondo la propria realtà e situazione.

Si consiglia di fare almeno tre incontri: uno sui contenuti, i modi e lo stile della sinodalità; uno sulle domande tratte dall’Evangelii gaudium; uno sulle domande 1-4 (quelle proposte dal vescovo) e sulla domanda 15, che sono quelle più direttamente finalizzate ad individuare delle piste concrete su cui poi dovrà riflettere il Sinodo diocesano.

È importante che gli incontri siano vissuti in un clima di preghiera, fraternità e digiuno, come ci ricorda il vescovo, così da potersi mettere nella condizione migliore possibile per discernere la volontà del Signore e i segni dei tempi.

La scelta dei sinodali e il calendario di massima verso il sinodo, i criteri e le modalità di preghiera con cui scegliere i sinodali saranno comunicati prossimamente. In questa prima fase di ascolto quello che è importante è il cammino di discernimento che deve essere fatto dal numero maggiore possibile dei membri delle comunità cristiane da cui poi i sinodali dovranno essere scelti.

don Cristiano D’Angelo, vicario per la pastorale




Dossier Caritas: la nuova emergenza è la casa

Presentati i dati dell’attività della Caritas per l’anno 2019. Tra le tante criticità emerge sempre più una zona grigia di difficoltà che riguarda trasversalmente tutte le famiglie: l’acquisto, la ricerca, il mantenimento di un’abitazione sta diventando un serio problema.

La mancanza di lavoro e l’instabilità delle relazioni sono gli altri fattori determinati nella marginalità. Ne abbiamo parlato con Marcello Suppressa, delegato regionale e direttore di Caritas Pistoia

di Michael Cantarella

Le relazioni familiari, il lavoro, la casa. Sono questi tre i pilastri che quasi sempre determinano la vita delle persone, le tengono al sicuro, prospettano futuro e dignità. Se crolla anche solo uno di questi tre sostegni ecco si affaccia lo spettro dell’emarginazione, della difficoltà. Il dossier Caritas di quest’anno ci propone una lettura molto complessa della realtà, che va al di là dei numeri e che per la prima volta pone al centro la questione della “casa”.

Quest’anno il Dossier parla del “problema casa”, quali sono i segnali più preoccupanti?

«In questo Dossier abbiamo approfondito il tema della casa in quanto risulta essere una questione che necessita di essere primo piano messa al centro dell’attenzione non solo in relazione al sostanziale aumento di persone e famiglie senza casa, ma soprattutto in relazione alla mancanza di risposte adeguate. La povertà sempre più si afferma come evidenza di una società in crisi dal punto vista strutturale, una società in cui i diritti diventano sempre più insostenibili. Le problematiche legate all’abitare non rimandano, infatti, solamente alla necessità di aumentare gli interventi alle persone, ma al fatto che per molte persone la casa è diventata insostenibile economicamente. Questa considerazione specifica sulla casa, crediamo debba essere seriamente considerata in relazione alla povertà, quindi, come ambito in cui si perdono i diritti».

Come si strutturano le povertà in diocesi?

«Come ribadito sia nel dossier di quest’anno che alla presentazione, il territorio della diocesi di Pistoia è molto eterogeneo e le attività dei centri Caritas incontrano povertà diverse a seconda del contesto territoriale. I centri che operano sul territorio cittadino di Pistoia sono sicuramente quello che hanno il carico maggiore, si tenga conto infatti che circa i 2/3 delle persone incontrate risiedono a Pistoia, il Centro d’Ascolto diocesano in 6 mesi ha incontrato quasi 800 persone, si tratta per lo più di famiglie con a carico figli minori e non. Una parte di queste persone si affacciano ai nostri centri per la prima volta proprio quest’anno (circa un sesto) e per loro la Caritas è una sorta di ultima spiaggia per così dire, infatti, soprattutto per gli italiani, riscontriamo una certa ritrosia nel rivolgersi ad un Centro Caritas, per vergogna o anche semplice orgoglio. Spesso le persone quando arrivano ai nostri centri presentano problemi ormai incancreniti e quasi irrimediabili (uno sfratto esecutivo imminente, una situazione debitoria ormai irrecuperabile ad esempio). Dall’altro lato purtroppo assistiamo ad una cronicizzazione delle situazioni, non di rado capita che figli di assistiti, una volta messa su famiglia, accedano a loro volta al Centro d’Ascolto per richiedere quelli che sono sempre stati gli aiuti di cui hanno goduto i genitori, diventa cioè una prassi rivolgersi a Caritas per chiedere aiuto, un’azione quotidiana normalissima come andare a fare la spesa o andare alle poste per pagare una bolletta. Queste due tipologie di persone possono essere riscontrate però in tutti i Centri d’Ascolto degli altri comuni della diocesi, non solo in quello di Pistoia, ci preme sottolineare però come alcuni territori presentino peculiarità uniche, come ad esempio i comuni della provincia di Prato, soprattutto Montemurlo, dove incontriamo in maggioranza persone di cittadinanza straniera, con gravi problematiche con maggiore frequenza rispetto anche a territori adiacenti (ad esempio problematiche legate alla mancanza di un regolare permesso di soggiorno, sfruttamento e lavoro nero). Poi ci sono tutte quelle persone che vivono in una situazione di grave marginalità, persone senza dimora, o con un alloggio di fortuna e precario, con molteplici disagi, sia dato di vista delle dipendenze che della salute e della disabilità (sia fisica che mentale)».

L’esperienza dell’emporio è positiva?

«L’esperienza dell’emporio è molto positiva. In quanto raccoglie dentro di sé davvero tante realtà pistoiesi. La Caritas ne il capofila, ma rimane senza dubbio il vero valore aggiunto che all’interno di questa esperienza sia confluita Misericordia con l’eredità esperienziale dello Spaccio della Solidarietà, le Caritas parrocchiali del Centro e molti volontari che si sono avvicinati a questa esperienza spontaneamente. L’Emporio è stato fortemente sostenuto, nella sua realizzazione, dalla Fondazione Caript, che con generosità ci ha fornito i mezzi, gli spazi e le risorse iniziali per avviare il servizio.
Conad ci ha generosamente offerto l’allestimento dei beni da consegnare alle famiglie e un buon accordo commerciale per le risorse da acquistare via via. Sottolineiamo però la collaborazione con Coop, che sia a livello Regionale che locale, ha da sempre sostenuto le attività di Caritas, con le raccolte alimentari, le iniziative della Sezione Soci di Pistoia e della Fondazione il Cuore si scioglie.

Le raccolte sono state, inoltre, una risorsa fondamentale, non solo per il reperimento dei beni, ma anche e soprattutto per la sensibilizzazione del territorio pistoiese. Cogliamo l’occasione per ringraziare tutte le catene commerciali che, piccole o grandi, ci hanno permesso questa attività: Tuodì, Esselunga, Lidl.

Dopo un anno di attività dell’Emporio della Solidarietà, nato per rispondere alle molte esigenze di famiglie e singole persone che si trovano in povertà alimentare, ci avviamo a fare il primo resoconto di questa importante attività. Alla fine di novembre le tessere attive, caricate a punti, per accedere all’Emporio erano 483 per un totale di assistiti di 1677. Accedono all’Emporio dopo una valutazione da parte del nostro Centro di Ascolto».

Riscontra una mutazione, al di là dei numeri, del tipo di richieste?

L’emporio è certamente un esempio di come i servizi della Caritas si siano adeguati, con il passare del tempo, alle richieste delle persone che si affacciano nei nostri servizi. La povertà – lo abbiamo sottolineato più volte – è un concetto trasversale che interessa un po’ tutti. Non possiamo parlare di povertà senza pensare alla normalità delle famiglie, che si trovano davanti a spese impreviste o malattie: chi di noi non si riconosce in questo? Pur permanendo una netta fascia di povertà assoluta che cerchiamo di contrastare con servizi basilari (mensa, accoglienza notturna, vestiario..) rimane la grande sfida che ci viene imposta da queste nuove povertà, tanto normali e tanto vicine, che c’interrogano quotidianamente. Quindi la nostra progettazione sarà rivolta a cercare misure a sostegno delle famiglie, degli uomini soli, delle persone più fragili. Le richieste alle quali far fronte? Bollette, affitti, sostegno economico per i figli, cure mediche».

Qual è il ruolo dei volontari oggi?

«Il volontario – oggi è sempre più in futuro – ha un ruolo importantissimo, il volontario è colui che – in un’ottica generativa – deve stimolare le persone a ripartire: dopo una caduta, dopo un lutto, dopo un disastro economico o più semplicemente nell’affrontare le sfide del quotidiano. Il volontario deve uscire da un’ottica assistenziale e generare resilienza. Le persone che si rivolgono a Caritas hanno bisogno di ritrovare fiducia e speranza. Riuscire ad essere credibili, competenti e preparati: crediamo sia la sfida più importante che lanciamo a chi si affaccia nei nostri servizi e ci chiede di far parte della squadra. Non a caso diamo particolare importanza alla formazione. All’interno del nostro dossier abbiamo detto che il volontariato puro è forse la risposta più coraggiosa ad una società che ci vuole tutti più consumatori e tutti più impegnati a produrre. I nostri volontari, in silenzio e senza troppi clamori mediatici, sono costantemente impegnati a produrre gesti di amore verso coloro che ne hanno più bisogno. A loro non diciamo grazie, perché sarebbe fin troppo scontato e non è il grazie che cercano, gli diciamo: andiamo avanti, insieme c’è bisogno ancora e ancora di persone coraggiose, di folli che credono ancora in un mondo migliore e possibile, fatto di giustizia e diritti per tutti».

Cosa significa e significherà fare carità oggi e nei prossimi anni?

«Il rischio più forte che corriamo è che la carità si riduca solo ad una dimensione di risposte ai bisogni, con una scarsa dimensione di advocacy, limitate forme di collaborazione con altri soggetti, con rischi non marginali di approcci giudicanti sulle condizioni delle persone in difficoltà. Questo c’impone una ragionevole verifica della proposta pastorale Caritas rispetto al territorio; non si tratta di rinunciare a presidi ecclesiali territoriali, ma di rileggere innanzitutto il senso della proposta Caritas in termini di animazione per le nostre comunità parrocchiali.
Soprattutto, confrontandosi con un diverso tessuto parrocchiale, attraversato da strategie di ricomposizione dell’impianto ecclesiale tradizionale (zone, comunità pastorali, riduzione delle parrocchie, accorpamenti diocesani, etc.) dobbiamo ripensare probabilmente diversi approcci animativi e le aspettative di esito. Si tratta di rileggere l’indicazione circa la consonanza “ai tempi e ai bisogni”, nel senso di far emergere la capacità della Caritas di cogliere le tendenze culturali, sociali e politiche, innervandole di Vangelo in modalità creativa e di confine, e in qualche modo profetiche. La carità dovrà farci riscoprire il “carisma della soglia”. Dobbiamo essere consapevoli e preoccupati della distanza, che noi per primi registriamo, tra un atteggiamento diffuso di non accoglienza e di intolleranza nelle nostre comunità ecclesiali nei confronti dell’altro e del diverso e la lettera e lo spirito del Vangelo di Gesù. Per questo siamo sempre più convinti che dobbiamo diventare sempre di più una chiesa in uscita, una chiesa, cioè, che sa da dove viene e dove va, una chiesa estroversa, che esce per le strade del mondo, là dove l’uomo vive, capace di stare in compagnia di tutti gli uomini e le donne di buona volontà».




Fratel Antonio: dal perdono al sacerdozio

La storia di Fratel Antonio, che sarà ordinato sacerdote il prossimo 6 gennaio. Il racconto di una vita trasformata dal sacramento della riconciliazione.

Bologna, agosto del 2000. Un giovane musicista vaga per la città semideserta in cerca di un prete per confessarsi. Già, confessarsi. Quel sacramento che oggi pare anacronistico, irrituale; quasi sconveniente raccontare le proprie malefatte a uno sconosciuto. E invece Antonio ha bisogno di confessarsi, di liberarsi.
Pochi giorni prima ha avuto un terribile incidente da cui è uscito illeso. Un incidente che poteva stroncare una vita che sembrava destinata a grandi cose. Per il mondo. C’è una chiamata: unica, forte, improcrastinabile che gli risuona dentro. E mentre ascolta quella voce, sempre più forte, incontra, in quel giorno d’agosto, un frate domenicano in una chiesa vuota. Un signor nessuno. Che però lo ascolta «per un tempo lunghissimo, per una confessione molto complessa, una confessione liberante». Soltanto dopo Fratel Antonio scoprì che quel signor nessuno era fra Michele Casali, il frate degli artisti, giornalista, teologo e confessore di molti cantautori bolognesi. Insomma un pezzo da novanta che quel giorno d’estate accoglie la resurrezione di Antonio.

Antonio Sorrentino, nato il 18 giugno del 1972 a Bentivoglio (Bologna), ha un passato da artista poliedrico, con un curriculum di tutto rispetto, ricco di esperienze in vari ambiti e di tante collaborazioni. All’età di 16 anni vince addirittura un concorso nazionale di poesia indetto dalla casa editrice Cultura 2000. Nel 1998, dopo aver conseguito la laurea in pittura all’Accademia di Belle Arti a Bologna, inizia la sua attività pittorica (che lo vedrà realizzare numerose mostre collettive e personali, realizzazioni grafiche per dischi, scenografie per locali, ecc.) per poi passare alla musica. In quegli anni Antonio, infatti, musica le sue poesie e fonda la sua prima band di stampo rock blues.

Dopo quella confessione -aveva 28 anni- Antonio fece la cresima e iniziò in parrocchia un cammino di conversione e purificazione (eucaristia quotidiana, volontariato all’Associazione Papa Giovanni XXIII, e poi tra i poveri di P. Marella) che durerà 8 anni. Il suo cammino culminerà con la consacrazione al Signore nella Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia il 3 settembre 2008.

Antonio in una foto giovanile

Il tuo è stato un lungo cammino di conversione. Perché hai deciso di cambiare tutto?

«Al culmine del mio successo ho visto tutto come spazzatura. Ho detto no al mondo. Molti oggi aspettano sempre il momento giusto per dire sì. Tutti programmiamo tutto, aspettiamo il momento giusto per far succedere le cose, per imbarcarsi in nuove avventure. Finisco questa cosa e parto. In realtà, quando si scopre qualcosa di veramente grande non ci possono essere compromessi e si lascia tutto quello che si è costruito nella vita. A me è successo così, mi sono fidato del Signore e ho seguito la direzione che lui aveva tracciato per me».

Come ti senti in questo momento?

Riguardando la vita spirituale di questi anni ho potuto scorgere dei piccoli segni interiori e esteriori, come se il Signore mi avesse guidato in questo percorso: si sono aperte tante porte, superate tante difficoltà insormontabili. Nel rivedere questi tratti di cammino, riconosco l’emozione nella fiducia nella “voce” che mi guidava e mi guida.

Come si fa a trovare Dio?

Io non ho cercato Dio direttamente, ho cercato una porta aperta. Cercavo la vita e la verità, ma durante il cammino mi si è rivelato il Signore. Lui ha approfittato di quello spiraglio lasciato aperto per farsi scoprire da me.

A partire dalla tua esperienza ti senti di proporre un messaggio?

I messaggi che vorrei dare sono due: uno è rivolto ai giovani ed è questo: lasciate un piccolo spiraglio aperto a Dio nella vostra vita, anche se non credete; cercate di rimanere sempre alla ricerca del trascendente, non perdete mai di vista la vita spirituale, non cadete nell’inganno che la nostra vita sia soltanto materiale.
L’altro è un messaggio rivolto alle mamme. I miracoli, le resurrezioni… accadono per davvero; c’è chi vede perso il proprio figlio, ma se una madre prega e crede nell’opera del Signore una conversione può sempre avvenire!

Sarai ordinato sacerdote dal nostro vescovo Fausto nella chiesa di San Bartolomeo il 6 gennaio prossimo. Perché lì e non in cattedrale?

Mi sento a casa nel monastero di San Bartolomeo; qui infatti ha sede la mia fraternità, ora è la mia chiesa, è un ulteriore dono del cielo.

Quale sarà il tuo compito all’interno della fraternità?

La vita sacerdotale e il priorato sono già due attività molto delicate. Mi piacerebbe dedicare gran parte del mio tempo alla confessione. La confessione è stato uno dei momenti più belli della mia conversione, fa parte infatti del mio bagaglio di felicità.
La confessione è molto importante; è il segno della misericordia di Dio, un canale dell’amore di Dio. Molte persone si avvicinano alla chiesa perché hanno bisogno di aiuti materiali. Nella confessione si accolgono anche sfoghi di ogni genere. Attraverso la confessione e la direzione spirituale si può spostare la visione materiale, risolvere un problema concreto… con la confessione si fa riscoprire il vero volto di Dio, che tanti non conoscono. La confessione è un momento intimo, particolare, dove forse il cuore è più aperto e sensibile.

Daniela Raspollini

Sacerdote per l’Epifania

Fratel Antonio Sorrentino è attualmente priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia. La fraternità ha sede presso i locali della parrocchia di San Bartolomeo, antico monastero benedettino nel cuore della città. I monaci di Gerusalemme prestano servizio presso la chiesa di San Bartolomeo, la chiesa di San Paolo Apostolo e la Basilica della Madonna dell’Umiltà, dove abitano le sorelle della fraternità. Con Fratel Antonio la fraternità si arricchisce di un altro sacerdote accanto da Giordano Favillini.
L’ordinazione sacerdotale, presieduta dal vescovo Tardelli sarà celebrata alle ore 17 lunedì 6 gennaio, solennità dell’Epifania del Signore presso la chiesa di San Bartolomeo.




Quel che ti chiede il Natale

Il messaggio del vescovo Tardelli per le festività natalizie

 

Da un po’ di tempo non riesco purtroppo a pensare al Natale coi colori della festa, delle luci e dell’allegria. Non me ne vogliate. Non ci riesco perché, quasi come un’ossessione, mi viene subito alla mente come il Salvatore del mondo fu accolto – perché di Lui si parla a Natale, il Natale è il Suo – quando venne nel mondo per dare compimento alle promesse antiche. «Veniva nel mondo la luce vera» – ci dice l’evangelista Giovanni – «eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi e i suoi non l’hanno accolto».

In effetti, la narrazione evangelica ci presenta la nascita di Gesù avvolta nella precarietà, dentro a una stalla, in una mangiatoia, fuori dalla città.  Il Re dei re, il Signore dei signori, l’unigenito figlio di Dio venne in mezzo a noi – atteso da secoli – e trovò le porte chiuse; si dovette adattare, con una madre che lo partorì tra gli stenti e poche persone, anche non molto raccomandabili come erano i pastori di Betlemme, a stringersi attorno a Lui.

C’è poco da fare: in me la gioia della nascita del Salvatore rischia di essere vinta dall’amarezza delle nostre chiusure di cuore. Anche perché la triste vicenda della nascita del Salvatore non è circoscritta a quel tempo. È attuale. Anche oggi mi viene da dire: quanti di noi sono davvero pronti ad accogliere Lui nella propria vita? E insieme a lui anche gli altri? È vero, siamo presi da mille cose e mille problemi; abbiamo grosse preoccupazioni e anche una giusta voglia di svago e di spensieratezza. Va tutto bene. Però la domanda rimane ed provoca ognuno di noi: sei disposto ad accogliere il Cristo nella tua vita? A dargli spazio, a farlo regnare in te? E sei disposto ad ascoltare con attenzione chi ti sta accanto, il tuo compagno o la tua compagna, i figli, il vicino, il collega? Sei disposto a farti prossimo, particolarmente di chi è nel bisogno? Sei disposto a pensare un po’ meno a te stesso, a quello che ti piace, a quello che vorresti, a quelli che sono i tuoi benedetti diritti e i tuoi desideri, per far posto invece a Dio, alla sua parola e ai suoi inviti, ai suoi comandamenti, come pure agli altri, da servire con attenzione e premura?

Il Natale per me allora ha senso se è un momento nel quale si prende in mano la nostra coscienza e la si mette davanti a Dio. Se cioè ci si lascia interrogare e forse anche inquietare per le nostre chiusure e i nostri egoismi. In questo caso il Natale sarà vero, perché forse produrrà qualche effetto positivo in noi e conosceremo quella gioia che viene solo dall’accoglienza di Dio nella propria vita.

Il Santo Padre ha scritto nei giorni scorsi una bellissima lettera sul presepe, invitando a mantenere viva una preziosa tradizione che risale addirittura a San Francesco. E lo faremo. Di questi tempi di presepi se ne vedono tanti in giro. Ma il presepe serve per mettercisi davanti e riflettere; serve per pensare al mistero di un Dio che non ha paura a farsi piccolo e debole per amore; che venne non per essere servito ma per servire. Quella capannuccia col bue e l’asinello e coi pastori ha valore in quanto mi chiede se sia disposto ad accogliere Dio nella mia vita e ad accogliere gli altri nella pace, vicini o lontani, chiunque essi siano.

+ Fausto Tardelli, vescovo




Il segno del presepe: la misericordia che nasce dalla tenerezza

Intervista esclusiva a padre Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi

a cura di Daniela Raspollini

Di recente la diocesi di Pistoia ha partecipato al grande pellegrinaggio della Toscana verso Assisi nel quale le diocesi hanno offerto l’olio che arde sulla tomba di San Francesco; questo atto di devozione al Santo ha consolidato l’unione tra Assisi e la Toscana. Come proseguirà nel corso dell’anno il legame tra la città di Francesco e la chiese toscane?

Il rapporto tra le nostre due realtà è molto intenso, anche grazie ai tanti luoghi francescani presenti nella vostra regione: La Verna, dove «da Cristo prese l’ultimo sigillo», Arezzo, dove Francesco scacciò i demoni «con la potenza della sua parola», ma anche Cortona, Siena, Firenze, l’Amiata, Poggibonsi… Partiremo dalla valorizzazione di questi posti “simbolo”. Di certo non mancherà alla diocesi la fantasia e la creatività per nuove proposte, che saremo pronti ad abbracciare.

Il Santo Padre ha aperto il tempo di Avvento con la sua visita a Greccio a cui è seguita la sua lettera apostolica Admirabile Signum. Qual è la forza dell’intuizione di Francesco d’Assisi?

La lettera di Bergoglio ha messo in luce, tra gli altri, due aspetti importanti dell’intuizione di Francesco: identità e inclusività. Fare il presepe significa affermare la propria identità, la propria fede nel Figlio di Dio, l’adesione a Cristo. È il segno che il Natale, la “festa delle feste” (come veniva chiamato da san Francesco), è vivo dentro di noi. Allo stesso tempo, il presepe implica apertura verso gli altri. La grotta in cui nasce Gesù, infatti, non ha una porta chiusa, è aperta a tutti. Proprio i Magi venuti dall’Oriente ci dicono che è luogo d’incontro, di accoglienza, di relazioni non solo tra culture diverse, ma tra poveri e ricchi, tra santi e peccatori e soprattutto tra chi sogna e cerca un mondo a misura di Vangelo, a misura d’uomo.

È bello rileggere ciò che ci hanno tramandato le Fonti Francescane sull’origine del presepe. In particolare sottolineare il rapporto con l’Eucarestia: ce lo può spiegare meglio?

In quella scena, San Francesco – per citare la Vita Prima di Tommaso da Celano – ha  onorato la semplicità, esaltato la povertà, lodato l’umiltà. Francesco ha dato vita a un luogo in cui venisse saziata la fame. Il presepe, in questo senso, è un luogo che sfama i bisogni insiti nel cuore di ognuno. Così, nel presepe, Greccio diviene la nuova Betlemme. Nella stalla si rivive la povertà di Cristo, il suo farsi uomo, così come, nell’eucarestia riviviamo il suo farsi carne, farsi cibo per noi. Ed è per tutti motivo di gratitudine, di eucarestia.

Il Papa ci invita a riprendere la bella tradizione di preparare nei giorni precedenti il Natale il presepe nelle nostre famiglie. Perché, secondo lei, papa Francesco ha voluto concentrarsi proprio sull’importanza del presepe?

Per ricordare la logica della misericordia che nasce dalla tenerezza di Dio. Gesù viene al mondo come ogni altro bambino, è piccolo e indifeso, patisce la fame e il freddo: un’immagine incredibile, che ci sorprende e che, come ha detto papa Francesco «ci provoca a pensare alla nostra vita inserita in quella di Dio», amata da Dio.

«Il Mirabile segno del presepe suscita sempre stupore e commozione – afferma Papa Francesco – pregando ai piedi del presepe si può vedere una luce di speranza nella tragedia del nostro tempo». È davvero così?

È proprio così. Mi permetto di aggiungere una testimonianza contemporanea: quegli alberi abbattuti lo scorso anno dalla tempesta Vaia, in Veneto, sono diventati non il segno della disperazione dell’uomo, ma la possibilità di ricominciare. Infatti quel legno è diventato scultura, è diventato artigianato, è diventato un presepe, che siamo onorati di ospitare qui ad Assisi, in piazza Inferiore.

La lettera passa in rassegna i vari paesaggi e segni del presepe: il cielo stellato nel buio, gli angeli, i pastori, i Re Magi… Ciascuno di questi elementi porta con sé un significato ed è un messaggio per tutti noi. Qual è il suo personaggio preferito?

Il mio personaggio preferito è il fornaio. Il Papa lo cita perché, nonostante sembri «non avere alcuna relazione con i racconti evangelici», in realtà «rappresenta la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni». È bellissima la capacità di saper attendere del fornaio: oggi questa virtù manca, vogliamo tutto, subito e a nostra immagine e somiglianza.

Il papa ci invita a sostare in contemplazione davanti al presepe. Può essere considerato anche un aiuto alla preghiera?

Decisamente sì. Francesco d’Assisi davanti al presepe chiede e vive una delle più importanti virtù umane: «Intravedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato (quel Bambino) per la mancanza delle cose necessarie a un neonato».

E voi frati che presepe realizzerete ad Assisi?

Il presepe che abbiamo allestito quest’anno ci è stato donato dalla regione Veneto, proviene dalle zone devastate dalla tempesta Vaia nell’ottobre 2018. Il legno è proprio quello degli alberi – abeti rossi – abbattuti dalla furia del vento: il nostro Natale è dedicato alla cura e alla salvaguardia del Creato, per ricordare che tutti siamo responsabili di Sora Madre Terra. Siamo chiamati a proteggerla, siamo chiamati a comprendere che un cristianesimo non incarnato è solo teoria. Il presepe ci ricorda che il messaggio cristiano è evento nella storia dell’uomo, nel cuore dell’uomo.




Apre a Pistoia “Scholas Occurrentes”, la scuola del Papa

Martedì 10 dicembre ha avuto luogo la presentazione ufficiale della sede all’interno del Monastero delle Benedettine di Pistoia della scuola di voluta da Papa Francesco, che porterà in Toscana le nuove metodologie educative testate negli oltre 190 paesi dove è presente Scholas.

PISTOIA – Chitarra, canti, sorrisi, abbracci e mate. Neanche te ne accorgi e già l’intesa ha preso quota. Tra i giovani presenti e gli animatori di Scholas il contatto è più naturale che mai, fuori da ogni paludamento e scaletta prefissata. C’è un calore tutto latino che nell’aula magna del Seminario di Pistoia, avvolge i presenti, dal direttore mondiale Corral al mons. Tardelli per la presentazione ufficiale della sede pistoiese di Scholas Occurrentes.

«Una bella giornata: un segno bello e gioioso per tutti. Pistoia –afferma il vescovo Tardelli – è una città che merita attenzione e che può diventare un punto di riferimento. Sono contento perché ci si occupa di giovani. Mi stanno a cuore. E mi preoccupa che li facciamo esprimere, perché ognuno può dire molto. L’impostazione educativa di Scholas li porterà ad esprimersi in tutte le loro potenzialità. E poi sono contento perché ci sarà modo di incontrarci a livello mondiale: giovani da tutte le parti del mondo arriveranno a Pistoia». E sarà un mondo globale, “fatto di comunicazione e relazioni. Sono grato a Jose Maria del Corral. Inizia un’avventura tutta da definire ma sicuramente bella”.

«Questa esperienza – commenta Edoardo Baroncelli – direttore dell’ufficio per la pastorale scolastica, chiamato a coordinare i rapporti tra Scholas e Diocesi – cerca di tradurre una proposta educativa in linguaggi che siano i loro – quelli dei giovani – e non i nostri. E i linguaggi con cui si può arrivare al cuore dei ragazzi sono anche questi. La diocesi di Pistoia e l’attenzione del suo vescovo ai giovani raccoglie l’invito del Santo Padre perché Pistoia possa essere luce, segno di speranza, e insieme si possa fare qualcosa di significativo per i nostri giovani».

Il direttore mondiale di Scholas Josè Maria Corral, racconta la sua storia che nasce dalla passione educativa. «Trent’anni fa mi sentivo in mezzo tra i giovani e un sistema educativo che non mi sembrava raggiungerli. C’era un sacerdote, Jorge Bergoglio, che conosceva la gente, un prete “futbolero” (che gli piaceva il calcio), che però aveva visto come la crisi Argentina stava portandosi via i giovani. “La politica non serve a niente””diceva la gente e i giovani non sapevano cosa fare. Restavano spersi in un paese nella crisi. Una domenica pomeriggio ho incontrato don Bergoglio. «Possiamo contare sui giovani per fare un cambiamento?» Mi domandò questo. Ho pensato di mettere insieme un gruppo di giovani cattolici, ebrei, musulmani, hanno cominciato a parlare, cantare, dipingere e hanno iniziato a condividere le loro differenze. Tradizioni, abitudini diverse..all’inizio si guardavano tra loro. Si sono iniziati a rompere i pregiudizi. E in sei mesi questi giovani hanno portato al parlamento argentino un progetto di legge per i giovani. Un mese dopo il congresso l’ha votata all’unanimità. Sapete cosa chiedevano questi giovani? Un’educazione che avesse a vedere con la vita. Non ne potevano più di studiare qualcosa in cui non trovavano senso. Volevano un’educazione che servisse alla vita. Volevano imparare a vivere. Erano pazzi?».

Diocesi e Scholas hanno sottoscritto un protocollo d’intesa per confermare l’impegno nell’educazione dei giovani. Scholas porterà a Pistoia una scuola per formatori, ma anche progetti di alternanza scuola lavoro, percorsi che diano senso, portino la presenza di questa proposta in mezzo ai giovani.




L’Immacolata di monsignor Tardelli

Nella solennità mariana dell’8 dicembre ricorre il quinto anniversario dell’ingresso a Pistoia. Una lettura a cuore aperto della Chiesa pistoiese -tra peccati e segni di grazia- nell’omelia pronunciata in cattedrale.

 

PISTOIA. Celebrare la Solennità dell’Immacolata e ricordare i primi cinque anni nella chiesa di Pistoia: l’8 dicembre del Vescovo Tardelli è un giornata davvero speciale. L’occasione in cui indicare a tutti la bellezza di Maria Immacolata, ma anche fare il punto su una chiesa che proprio immacolata non è.

Attorno al vescovo, per la messa pontificale della solennità dell’Immacolata, c’erano numerosi sacerdoti della Diocesi di Pistoia, ma anche tanti fedeli e un clima di grande attenzione e preghiera. Nell’omelia il vescovo ha chiesto di partire da Maria; una «madre tenerissima» che neppur l’essere priva di peccato originale allontana irrimediabilmente dagli uomini: «la sua grandezza – ha precisato il vescovo- non la distacca da noi, perché ella rimane l’umile serva del Signore, col grembiule della povera gente addosso, con la dolcezza di una madre che piange per i figli scapestrati o indifferenti. E lei finisce sempre per prenderci per mano e portaci al Signore».

La Madre di Dio, come sente la gente, anche in una fede semplice e popolare, è una mamma premurosa per i suoi figli, la cui bellezza non «impedisce di prendere le nostre mani sporche di odio e di ribellione per lavarcele alla fonte, proprio come fa appunto una mamma col bambino che si è sporcato».

Eppure, ha aggiunto monsignor Tardelli, «la festa di oggi è anche occasione per riconoscere la distanza della nostra vita da quello che il Signore si attende da noi. E penso stasera, soprattutto, alla nostra Chiesa pistoiese; a tutte quante le sue pesantezze; al peccato che l’attraversa; alla pochezza della vita ecclesiale. Non me ne vogliate se dico stasera che non siamo una chiesa immacolata».

La Chiesa di Pistoia, come la chiesa universale, è certamente anche santa, e lo è «per il suo redentore e perché lo Spirito ancora soffia nelle sue ali. Santa per i suoi gloriosi santi del passato e per quella schiera anonima di santi della porta accanto che ancora oggi abitano la nostra chiesa».

Eppure, allo stesso tempo la chiesa pistoiese ha pure i suoi guai: «dobbiamo in sincerità riconoscere che siamo una chiesa difettosa sotto tanti aspetti. Una chiesa non certo immacolata, ma macchiata per il peccato dei sui membri. Macchiata per le divisioni che ancora ci caratterizzano; per il cinismo che a volte ci prende; per le sordità e le cecità che spesso abbiamo». «Siamo forse – domandava il vescovo- un cuor solo e anima sola? Direi ancora troppo poco. A sprazzi qualche volta, ma il più delle volte, ognuno cammina per conto suo».

In cinque anni Monsignor Tardelli ha imparato a conoscere pregi e difetti della chiesa di Pistoia e di certa pistoiesità:

«quanta fatica facciamo ancora a conoscerci e a stimarci, ad accoglierci e a pensare più a ciò che ci unisce che a ciò che ci divide! E poi quanto poco ancora siamo rivolti al Signore come al nostro unico re! Così poco protesi a seguire Lui e Lui solo. Come invece facciamo presto ad assumere criteri di giudizio, valutazioni, opinioni che sono quelle veicolate dal mondo, riproducendo così all’interno della comunità cristiana quelle stesse dinamiche di potere, di interessi e invidie che nel mondo conducono all’ostilità e alla violenza!».

Che ci piaccia o meno, ha aggiunto, questa è la nostra chiesa: «non possiamo costruirne un’altra di chiesa, a nostro piacimento, perché questa non ci piace. La nostra unica casa, la nostra unica e comune dimora, l’unica e sostanziale comunità cristiana è questa: presieduta dal Vescovo in nome del Buon Pastore, servita dai presbiteri e dai diaconi, formata da tutti i battezzati, laici e religiosi; tutti partecipi dello stesso dono e della stessa missione nel mondo».

Un atto di verità cui non manca l’affetto profondo del pastore:

«il bene che vi voglio, che voglio a questa chiesa santa e peccatrice allo stesso tempo è grande e più grande di cinque anni fa. Più consapevole e realistico, ma sicuramente più grande e intenso».

Le parole del vescovo non hanno trascurato di ricordare tutto il bene che c’è, perché «lo Spirito lavora. Lavora instancabilmente. E ha lavorato. In questi cinque anni, da quando sono qua, posso dire di aver visto tante volte lo Spirito del Signore all’opera e questo da speranza e consolazione». Uno Spirito che ha suggerito al vescovo di avviare un percorso sinodale importante. Il 2021, l’anno iacobeo, sarà infatti anche l’anno del sinodo della Chiesa di Pistoia, evento in cui sarà chiamata a confrontarsi in tutte le sue componenti (dal vescovo ai laici delle più piccole parrocchie) e in tutte le sue articolazioni (dalle montagne alla piana), sulla necessità di una conversione missionaria. «Dopo cinque anni – ha infatti concluso il vescovo- siamo ora qua a tentare un cammino  sinodale che è una tappa importante per la nostra chiesa. Un passo che dobbiamo fare insieme, credendo che per una chiesa, è questo il modo di rinnovarsi e rendersi docile all’azione dello Spirito Santo … per essere fermento di umanità nuova nel mondo. Questo oggi siamo e vogliamo essere».

(red.)

foto di Mariangela Montanari




L’Avvento sia vera fraternità

Lettera della Caritas in occasione della raccolta fondi straordinaria prenatalizia

Nella prima domenica di Avvento è risuonata la Parola dell’apostolo Paolo «È ormai tempo di svegliarvi dal sonno. Gettiamo via le opere delle tenebre ed indossiamo le armi della luce».

Tutto il tempo dell’Avvento è un pressante invito alla vigilanza, al discernimento ad uno stile di vita che evidenzi come essere cristiani significa essere diversi, rispetto allo stile del mondo. In un tempo in cui come sottolinea Pannikar «la superficialità è il vizio supremo della nostra epoca», non possiamo permettere di farci sorprendere da ciò che è intorno a noi, come ai tempi di Noè (vangelo di Mt, 24,37-44), e scivolare verso una tiepidezza spirituale ed intellettiva che ci porta al sonno della ragione ma anche alla sclerosi del cuore. Abbiamo bisogno di riscoprire la presenza dello Spirito Santo perché ci impedisce di assopirci e ci permette di dilatare il cuore verso la fraternità, la generosità, la tolleranza, la presa in carico delle situazioni più drammatiche della dignità degli uomini.

Mentre i poteri del mondo con le spese folli per le armi, sprecano risorse che potrebbero invece essere utilizzate a vantaggio dei popoli e per la protezione dell’ambiente naturale, come ci ha ricordato Papa Francesco nel discorso tenuto a Nagasaki, noi siamo chiamati a donare il tempo, la mente, il cuore per operare nella carità verso i bisognosi. Sì, non possiamo prepararci al Natale senza un sussulto di indignazione verso le sempre maggiori ingiustizie che gravano sui più poveri e sugli impoveriti del nostro tempo e dei nostri territori.

La riflessione sull’impegno di carità e sulla Giornata della fraternità che si svolgerà il prossimo 15 dicembre, non deve però diventare un ritualismo tipico del buonismo natalizio, né solo un modo per fare un “fioretto spirituale”, ma una presa di coscienza per un chiaro impegno di tutta la chiesa e delle singole comunità parrocchiali, contro le povertà e verso le povertà.

Dai dati del nostro dossier Caritas emerge che tante famiglie, tanti anziani, tanti giovani, tanti disoccupati vivono tristezze, solitudini e disperazioni. Tanti ancora fra gli immigrati, non hanno ancora una casa, un lavoro, una dignità.

Fare la carità non è solo fare un’elemosina, per quanto necessaria, ma è rendersi conto che le povertà di ogni genere ci interpellano e ci chiedono scelte coraggiose, stili di vita più evangelici, capacità di condividere le nostre possibilità economiche per il bene comune.

La Caritas diocesana, pur sapendo che tante parrocchie e singoli credenti fanno molto per i poveri, chiede una giornata di raccolta di offerte per andare incontro a tante esigenze: potenziare le strutture di accoglienza e cercarne ancora perché ce n’è tanto bisogno; rispondere alle esigenze economiche di chi non ha il necessario per vivere o per chi non può pagare le bollette; cercare inserimenti appropriati per persone svantaggiate; andare incontro a tante altre necessità che con grande drammaticità noi riceviamo come esigenze dai nostri centri di ascolto.

È bene ricordarci che la Caritas non è un organo a sé nella Diocesi, ma fa parte integrante del cammino pastorale di questa Chiesa e per questo chiediamo a tutte le comunità parrocchiali di sensibilizzarsi sempre di più in questa raccolta per fare della nostra Diocesi il luogo privilegiato della accoglienza dei poveri. Papa Francesco instancabilmente esorta tutti noi credenti a non sprecare il nostro impegno pastorale in cose di poco spessore ma ad essere incentrati sul primato della carità semplicemente vivendo giorno dopo giorno quello che Gesù ci ha insegnato.

Le offerte che verranno raccolte durante la giornata di fraternità domenica 15 dicembre 2019, saranno devolute ai progetti in atto in CARITAS DIOCESANA, in particolare a:

EMPORIO DELLA SOLIDARIETÀ

Un vero e proprio market alimentare rivolto alle famiglie e persone che vivono in un temporaneo stato di difficoltà economica, che potranno ricevere gratuitamente i beni grazie ad una card punti.

HOSPITIUM “MANSUETO BIANCHI”

Nuova sede per il Centro di ascolto diocesano e di un dormitorio per senza fissa dimora o situazioni di grave emergenza abitativa con 12 posti.

MENSA DON SIRO BUTELLI

Aperta 365 giorni all’anno e fornisce 2800 pasti mensili tra pranzo e cena.

CENTRO MIMMO

Fornisce alle persone che ne hanno necessità di un servizio importante come il vestiario.

TENDA DI ABRAMO e PROGETTO VOLA

Case di accoglienza con 15 posti rivolte a giovani profughi e rifugiati e neo maggiorenni usciti dal sistema di accoglienza.