Mario Longo Dorni: uomo di fede e di comunione

Una piccola biografia dedicata al vescovo che governò la diocesi per ventisette anni, dal dopoguerra al post concilio.

Per chi lo riconosce fa quasi un certo effetto. I libretti blu della casa editrice Velar sono noti infatti per raccontare in forma stringata, ma comunque seria e accessibile allo stesso tempo, le biografie di santi e beati di ogni dove e di ogni tempo. Tra gli oltre seicento libretti trova ora posto anche una pubblicazione dedicata a due “testimoni della fede”, due vescovi di Ornavasso, piccola cittadina della Val d’Ossola di cui erano originari Monsignor Edoardo Piana e Mario Longo Dorni, vescovo di Pistoia. Fa dunque un certo effetto riconoscere il profilo di Longo Dorni di fronte a una veduta della cittadina natale incorniciata da un improbabile arcobaleno. Il libretto – fuori da ogni intento agiografico- rappresenta un significativo (e più unico che raro) ricordo del vescovo che resse la diocesi di Pistoia dal 1953 fino al 1981: una lunga e irripetibile stagione della società e della chiesa pistoiesi; dalla ripresa dal dopoguerra, agli anni del Concilio Vaticano II, dalle contestazioni del ’68 alla crisi degli anni di piombo. Un arco di tempo formidabile in cui la diocesi ha cambiato profondamente il suo volto.

Il libretto dell’editrice Velar è uscito dalla penna di Giannino Piana, teologo moralista di rango nazionale, noto anche ai pistoiesi per le frequentazioni della Settimana Teologica, nativo pure lui di Ornavasso. La biografia di Longo Dorni è accompagnata da quella di Edoardo Piana (1896-1976), zio dell’autore e interessante figura sacerdotale impegnata in ambito sociale, attiva nei duri anni della resistenza antifascista (sono le terre della repubblica partigiana dell’Ossola) e nel riscatto delle donne dal giro della prostituzione. Nominato vescovo ausiliare di Novara Edoardo Piana è ricordato per il suo impegno nei confronti del clero e degli ammalati, ma anche per le sue posizioni concilianti nei confronti della sinistra; fu “reo”, tra l’altro, di aver celebrato una messa in suffragio di Palmiro Togliatti.

A noi interessa soprattutto, però, il sintetico ritratto di monsignor Longo Dorni (1907-1985). La biografia di Piana risulta particolarmente interessante per ripercorrere gli anni precedenti l’ordinazione episcopale. Ne emerge, infatti, il profilo di un sacerdote brillante, capace organizzatore, attento interprete delle esigenze di giustizia sociale e impegno ecclesiale. Longo Dorni fu pienamente consapevole delle potenzialità delle organizzazioni ecclesiali del tempo: dall’Azione Cattolica, alla San Vincenzo de’ Paoli, a un assistenzialismo cattolico aperto ai più poveri come alle esigenze del Terzo mondo. Un tratto che costituisce l’ossatura del suo futuro episcopato, come tratteggia un passo della sua lettera indirizzata alla diocesi di Pistoia per il suo ingresso: «interpretando a modo mio lo stemma della città di Pistoia, vedo nella scacchiera dei riquadri un muro di massi sagomati, un giuoco ad arte di blocchi atti ad erigere una diga, a costruire un fortilizio dello spirito e un edificio santo che porta sul frontone, a caratteri d’oro, inciso: “Diocesi di Pistoia” e i blocchi e le pietre vive sono: Clero, Azione Cattolica, Istituti Religiosi, ACLI, S. Vincenzo ecc.. strutture del Regno di Dio amalgamate dal cemento che è l’amore, e, se volete, il vostro vescovo».

Uomo colto e dotato di un’oratoria brillante, almeno secondo i canoni della retorica sacra dell’epoca, Longo Dorni mostrava anche un’umanità sollecita, paterna – almeno nelle intenzioni-, di vero pastore. Vale la pena ricordare un episodio del tempo dell’occupazione nazifascista segnalato nel libretto di Piana. Nel dicembre 1943, infatti, l’allora don Mario «assistette alla fucilazione di undici martiri, tra i quali un ragazzo di quindici anni»; in quella circostanza «non esitò ad affrontare, incurante del pericolo, il sanguinario colonnello tedesco, offrendosi come ostaggio allo scopo di risparmiare i propri cittadini». I suoi cittadini erano gli abitanti di Borgosesia, dove Longo Dorni era allora parroco, che mai dimenticarono questo gesto di eroismo, tributandogli nel 1972 la cittadinanza onoraria e intitolandogli nel 2014 una piazza.

A Pistoia era arrivato ancora giovane nel 1954, ad appena 47 anni. Gli anni dell’episcopato pistoiese corrono rapidi nella biografia di Piana, lasciando l’impressione di una descrizione inevitabilmente “fatta da lontano”. Un contributo comunque prezioso che permette di rileggere l’episcopato di Longo Dorni dentro un sintetico ma coerente disegno della diocesi di Pistoia allora da poco “separata” della parte pratese. Di Longo Dorni si ricorda la passione per la liturgia e la catechesi, ma anche il “fervore delle opere”, segnato dalla creazione di numerose nuove parrocchie, la costituzione della Caritas diocesana, la creazione della “Missione Pistoia” nella diocesi di Manaus in Brasile. La biografia si chiude con un capitolo dedicato alla sofferenza degli ultimi anni e alle sue dimissioni dall’episcopato nel 1981 per ragioni di salute.

Il testo non manca di accennare alle difficoltà di un ministero segnato anche da «resistenze», «intemperanze e conflitti», citando in chiusura le parole di monsignor Frosini che molto tacendo molto lasciano intuire: «in queste condizioni il vescovo è diventato soprattutto il simbolo della sofferenza della Chiesa che non riesce ad amalgamare in armoniosa sintesi il vecchio e il nuovo. Al di là di ogni realizzazione, forse questo è il suo più grande merito e il maggior titolo di riconoscenza da parte della comunità cristiana».

Un ultimo capitolo, più personale e coinvolto, consegna un “ritratto interiore” di monsignor Longo Dorni, così come lo stesso Giannino Piana ricava dai suoi ricordi. Il vescovo ci viene descritto come uomo di fede profonda: «una fede che puntava all’essenziale e che era espressione di un grande lavorio interiore, un cui rivestivano un ruolo determinante passione e ragione, sentimento e volontà», ma anche uomo pronto al servizio, vescovo e “ufficiale” insieme; «uomo – conclude Piana – di fede e di comunione».

Giannino Piana, Mario Longo Dorni – Edoardo Piana. In memoria di due vescovi ornavassesi, Editrice Velar, Gorle (BG) 2019, pp. 72; euro 5.00.

Ugo Feraci

Mario Longo Dorni

Nato a Ornavasso in provincia di Novara l 11 settembre 1907. Ordinato il 27 giugno 1930. Fu all’inizio cappellano a Villa d’Ossola, poi proposto, prima a Pieve Vergante e poi a Borgosesia. Fu vicario generale e canonico teologo. Fu nominato vescovo di Pistoia il 24 aprile 1954 e consacrato il 6 giugno 1954. Il 6 luglio 1981 si ritirò presso la casa di riposo San Francesco a Bonistallo dove morì il 17 agosto 1985. È sepolto nella cripta della Cattedrale di Pistoia.




Un corso per imparare a leggere in Chiesa

L’Ufficio liturgico della Diocesi di Pistoia propone un breve itinerario di formazione per quanti proclamano la parola di Dio. Conoscere la spiritualità del lettore, le tecniche e l’uso del microfono in quattro lezioni. Un’ultima lezione nella chiesa di Sant’Andrea: dove il pulpito è il luogo della Parola per eccellenza.

Se ascoltare è un’arte, nemmeno leggere è cosa da nulla. Chi frequenta la messa sa che non basta aver gli orecchi buoni per udire la Parola di Dio; per intenderla (come si può) occorre che chi legge sappia farlo per davvero. Un servizio semplice, che chiede però di essere svolto con grande attenzione.  Può capitare, purtroppo, pur con tutta la buona volontà dei lettori “della domenica” che -come fa notare l’ufficio liturgico diocesano- la lettura in Chiesa a volte sia «sciatta» e «senza partecipazione»: una lettura che «addolora e deprime»piuttosto di dare slancio e speranza. Una buona lettura fa la differenza: «i lettori – ricorda don Luca Carlesi, direttore dell’ufficio liturgico – prestano a Dio la propria voce e di fatto condizionano, con la loro lettura e intelligenza del testo, la stessa comprensione dell’assemblea dei fedeli».

L’ufficio liturgico della diocesi di Pistoia – sollecitato dal monsignor Fausto Tardelli- desidera venire in soccorso di quanti abitualmente proclamano in parrocchia la parola di Dio con un  vero e proprio “corso per lettori”.

L’iniziativa propone quattro lezioni guidate da “esperti”: nella prima lezione (6 novembre) don Luca Carlesi toccherà il tema della spiritualità del lettore e nella successiva (13 novembre) illustrerà l’ordinamento  del messale e del lezionario, il libro cioè, che contiene le letture della messa, mentre Don Alessio Bartolini, tratterà il tema “Bibbia come Parola di Dio”; nella lezione successiva (20 novembre) saranno elementi più “tecnici” e suggerimenti pratici per la lettura (il tono della voce, le pause, il respiro..) a cura di alcuni tra i giovani attori che hanno proposto in Battistero – a chiusura del festival “i linguaggi del divino” lo spettacolo “Oltre me”.

Non mancherà un’attenzione particolare all’uso del “microfono: nell’ultima lezione (27 novembre) l’ingegner Giuseppe Gori darà indicazioni su come posizionarsi correttamente davanti al microfono ed evitare rumori fastidiosi.  L’incontro finale, infatti, si svolgerà nella chiesa di Sant’Andrea per provare direttamente “sul campo”  quanto appreso.  Un luogo decisamente segnato dalla proclamazione della Parola, come testimonia lo straordinario pulpito di Giovanni Pisano a cui don Luca Carlesi dedicherà un approfondimento.

Ad eccezione dell’ultima lezione, il corso, previsto nei mercoledì del mese di novembre, si svolgerà in seminario (via Puccini, 36 – Pistoia) alle ore 21. L’iniziativa, rivolta principalmente ai lettori “istituiti” (quanti cioè hanno ricevuto un vero e proprio ministero ecclesiale, conferito dal vescovo) è aperta anche ai lettori “di fatto”: quelle persone di ogni età ed estrazione a cui, con varia regolarità, viene chiesto di alternarsi per leggere, durante le messe, brani delle sacre scritture.

Per info: ufficioliturgico@diocesipistoia.it

 




I 100 anni di don Italo Taddei

Il 25 ottobre don Italo Taddei, compie 100 anni. L’avvocato Alvaro Bartoli, che dal 1956 fino al 1965 è stato uno dei suoi “ragazzi” , racconta don Italo e la storia della “Casa del ragazzo”. Una bella pagina della chiesa pistoiese che non può essere dimenticata.

Avvocato, come ha conosciuto don Taddei?

Dopo la morte di mio padre nel 1955, in quanto orfano di lavoratore fui accolto nella “Casa del ragazzo” di via Enrico Bindi (a Monteoliveto), nell’ala del complesso già riservata al Seminario Minore. Allora eravamo una sessantina di ragazzi dai 10 anni in su. Personalmente sono profondamente debitore di don Taddei: contrariamente alle intenzioni dell’ente ENAOLI (ente nazionale orfani e lavoratori italiani) che pensava di avviarmi ad un istituto professionale, desideravo studiare latino e greco, così grazie alla tenacia e all’incoraggiamento di Don Taddei, anziché la scuola dell’ente, mi fu possibile frequentare il Liceo Forteguerri di Pistoia.

Può parlarci brevemente della sua personalità?

Don Taddei non era un teorico dell’educazione, ma aveva il senso della praticità e l’intento dell’inserimento dei propri ragazzi all’interno della comunità cittadina, tenendo conto delle loro aspirazioni e desideri, come delle loro capacità. Don Taddei ha sempre avuto rispetto dei “ragazzi”, oggi non solo sparsi a Pistoia, ma anche in Italia e all’estero. Tra loro ricordo Emilio, che partì per il Canada e dopo mantenne a lungo contatti con don Italo e gli altri ragazzi, chiedendo per sé fotografie e anche, per ricordo, una bandiera italiana. I ragazzi frequentavano le scuole pubbliche e grazie al suo aiuto sono state inseriti nel mondo del lavoro, trovando ognuno la propria strada. Tra loro ci sono stati anche laureati, musicisti che si sono specializzati in conservatorio, uno dei quali entrò nell’orchestra della RAI; altri sono diventati docenti e comunque si sono inseriti pienamente nella società. Oggi siamo quasi tutti nonni o bisnonni.

Don Taddei era un uomo forte: pretendeva, ma soprattutto incoraggiava a uscire dalla marginalità, a vivere un riscatto. Con lui abbiamo scoperto le Dolomiti, in cui ci accompagnava ogni anno, stringendo relazioni con altre comunità, anche fuori d’Italia, per momenti di collaborazione e ospitalità. Ci ha lasciato sempre liberi dal punto di vista religioso, ma era un sacerdote molto credente. Un episodio mi ha sempre colpito: uno dei ragazzi desiderava entrare in un corpo militare, ma tenuto conto dei precedenti familiari gli negarono l’accesso: don Taddei non si perse d’animo, andò a Roma, a parlare con i vertici militari perché fosse riconosciuto al giovane il diritto di entrare e la cosa si risolse.

Molti non sanno o non ricordano cosa fosse la “casa dei ragazzi” di Pistoia: ce ne può parlare?

Don Taddei iniziò la propria attività nel 1946, dopo due anni da cappellano a Montale inserendosi nella difficile realtà cittadina dell’immediato dopoguerra, segnata da distruzioni e diffusa povertà. Iniziò le sue attività con i giovani nel ricreatorio del Tempio in via San Pietro con l’aiuto della signorina Spagnesi e, tra gli altri, del maestro Amadori e del canonico Lelli. In un ala del seminario minore poté poi svolgere la sua attività di accoglienza di giovani orfani, occupandosi -tra le mille difficoltà dei primi anni- anche delle faccende più pratiche, ad esempio, imbullettando le finestre perché all’epoca mancavano i vetri.

Don Taddei, vorrei ricordarlo, non era solo, ma sostenuto nella sua attività dalle sorelle che hanno vissuto fino all’ultimo con lui. Nella storia della “Casa del ragazzo” la svolta avvenne il primo agosto 1957, quando l’istituto si trasferì in via San Biagio in Cascheri, dove attualmente si trova la fondazione MAiC, in un immobile più grande, dotato di campo sportivo. Lì confluirono molti ragazzi anche da altre province italiane, alcuni anche segnalati dal Tribunale dei minori. L’ambiente era davvero funzionale e spazioso. La fine della “Casa del ragazzo” fu dovuta, in parte, alla legge sull’adozione speciale del 1967, che svuotò gli istituti educativo-assistenziale. Nel 1975, con lo scioglimento dell’ONMI (opera nazionale maternità infanzia), ci fu una scelta politica (e forse anche ecclesiale) che pervenne allo scioglimento della “Casa”. D’altra parte, già per iniziativa di Don Taddei si era andati incontro a soluzioni sempre più legate al coinvolgimento delle famiglie. Nel 1977 don Italo diventò segretario del cardinale Benelli per poi continuare la sua attività presso la Santa Sede, nell’ufficio delle migrazioni. Più recentemente è diventato canonico di San Giovanni in Laterano, dove attualmente risiede.

Sono molti i ricordi che la legano a quel tempo trascorso con lui nella “casa del ragazzo”: com’era la vita con lui?

Le nostre giornate nella “Casa del ragazzo” non erano segnate da un rigido regolamento, ma c’era un bel senso di famiglia: ogni ragazzo aveva la propria responsabilità all’interno della casa: qualcuno si occupava della biblioteca, chi si preoccupava dei giochi, chi faceva “l’infermiere”: c’era un  senso di responsabilità diffusa, ma anche tante difficoltà economiche. Eppure don Italo faceva di tutto per inserirci nella comunità cittadina: frequentavamo le attività culturali di Pistoia, facevamo uscite in montagna. Nella Casa fu anche istituita la “Banda primavera”: una piccola banda musicale in cui suonavano quasi tutti i ragazzi, guidati dal maestro Morosi; un’opportunità che dette spazio anche a momenti di uscita in diverse città italiane: Firenze, Bologna, Roma…

All’interno della casa, pur essendoci ragazzi segnalati e sostenuti dagli enti più diversi in base alle situazioni familiari di provenienza, per don Italo non c’erano differenze. Don Taddei si preoccupava di inserirli nel mondo del lavoro, aiutandoli anche a mettere su dei risparmi via via che iniziavano a lavorare. Ci ha sempre insegnato ad aborrire la parola “assistenziale” perché limitativa al diritto proprio di ogni ragazzo. Non dimenticheremo quanto ha fatto per noi. Ricordo che una volta gli regalammo un piccola targa per la sua auto, una fiat 600 familiare: c’era scritto: “Papà non correre”.

Daniela Raspollini




Credere è la risposta all’amore

Una piccola sintesi alla conclusione della terza edizione dei linguaggi del divino dedicata al tema del credere oggi

La terza edizione dei linguaggi del divino si è conclusa consegnando, nella pluralità e varietà di voci intervenute, altre numerose domande da mettere accanto a quella del titolo. «Perché credere?» domandava ad esempio Rino Fisichella, nella sua prolusione; «abbiamo il coraggio di proporre il cuore incandescente del Vangelo?», «Siamo in grado di mettere in rilievo la forza elevante, unificante della comunità cristiana? Creiamo occasioni di preghiera capaci di riconciliare la vita delle persone?»: solo alcune delle tante provocazioni di don Alfredo Jacopozzi, e ancora – «come rispondere – sottolineava la prof.ssa Cecilia Costa– alle “domande perdute” dei giovani di oggi?» e che differenza c’è tra credere e non credere? Che cosa intendiamo – suggeriva il prof. Andrea Vaccaro– quando parliamo di “intelligenza spirituale”? Cosa accomuna la vita spirituale delle diverse proposte religiose? Alcune delle tante domande rimbalzate dalle relazioni di questa edizione e che, in maniera molto sommaria e sintetica, mi sembrano indicare tre punti con cui ripercorrere l’arco degli incontri.

1. L’invito, ma direi meglio l’urgenza, di riscoprire nel testo biblico la capacità di parlare all’umano dell’umano. Nella Sacra Scrittura si possono ritrovare le domande profonde che accompagnano l’uomo, anche se il testo biblico chiede non soltanto lo studio, ma il tempo del silenzio, della fatica di sostare su ciò che in prima battuta resta poco chiaro, di domandarsi – in definitiva- quale parola ascoltiamo davvero. Dal testo biblico – ci hanno ricordato le lectio divine di madre Angelini e di padre Mosconi – emerge una sapienza che è per la vita. Chi ha ascoltato le loro meditazioni, come quella di Benedetta Rossi, ha potuto accorgersi come il testo sacro non spenga, ma accolga le inquietudini, anche le paure e il dolore dell’uomo; indubbiamente ha sentito accendersi il “gusto” di riprendere in mano la Bibbia.

2. La consapevolezza che pur nel tempo dell’età secolare, di un mondo sempre più pagano, la Chiesa ha in sé un tesoro prezioso, forse dimenticato o contestato, ma in fondo atteso perché profondamente agganciato all’umano. La relazione di don Andrea Lonardo, l’analisi di Cecilia Costa e le provocazioni di Davide Rondoni, hanno indubbiamente manifestato criticità delle nostre proposte ecclesiali, ma anche gli spazi, ancora in gran parte inesplorati per agganciare le attese dell’uomo di oggi. Una chiesa come un “cantiere aperto”, secondo le parole di Giovanni Ferretti, ma aperta ad un’umanità fragile, ferita, in cerca di maestri, di punti di riferimento, assetata di relazioni autentiche.

3. Il fascino di attingere alla forza sempre nuova e rigenerante del Vangelo. Un Vangelo da ri-ascoltare e da vivere in modo credibile. Il carisma di Papa Francesco, trasmesso con grande efficacia da Wim Wenders nel suo “Francesco, un uomo di Parola”, sta proprio dentro la sua capacità di rilanciare la verità evangelica –sine glossa– in tutta la sua carica originaria e dirompente. Chi sa riportare la vita al Vangelo in maniera comprensibile a tutti, come don Luigi Maria Epicoco – una delle relazioni più affollate dei linguaggi – trova “naturalmente” seguito.
Tante domande dunque, ma anche qualche possibile risposta, attorno alla grande risposta. «Vorresti sapere cosa ha inteso il tuo Signore e conoscere il senso di questa rivelazione? – ricordava Fisichella citando la mistica Giuliana di Norwich – Sappilo bene: amore è ciò che Lui ha inteso. Chi te lo rivela? L’amore. Perché te lo rivela? Per amore».

Altre, più concrete domande, toccano la capacità di coinvolgere un pubblico più ampio, di suscitare l’interesse della città, di gestire al meglio orari e numero degli incontri. In attesa di un bilancio non può comunque mancare un doveroso ringraziamento a quanti hanno collaborato, con compiti e in tempi diversi, alla realizzazione di questa edizione e a quanti la hanno ospitata: i monaci della fraternità di Gerusalemme di San Bartolomeo, i padre Betharramiti di San Francesco a Pistoia, i padri domenicani per il convento di San Domenico, il capitolo dei canonici per il Battistero di San Giovanni in corte. Un sentito “grazie” anche a quanti hanno seguito con passione e fedeltà i diversi appuntamenti.
Ricordiamo che le relazioni di questa edizione sono disponibili sul canale youtube diocesano e che sulla pagina Facebook della Diocesi di Pistoia è possibile recuperare foto e commenti degli incontri.

u.f.




Per una chiesa sinodale e missionaria

Il vescovo Tardelli ha aperto l’anno pastorale 2019-2020 e conferito il mandato a catechisti e operatori pastorali. Una sintesi dell’evento e delle parole del vescovo.

 

Nel giorno della festa di San Luca si è aperto per la nostra Diocesi il nuovo anno pastorale con il mandato ai catechisti e agli operatori pastorali. Il vescovo -affidandolo al Signore- ha ricordato che il nuovo anno sarà accompagnato dalla lettera pastorale «E di me sarete testimoni», che ha come sottotitolo «Con Gesù per le strade del mondo».

Ai fedeli giunti da ogni parte della Diocesi il vescovo ha spiegato che questa celebrazione è un gesto semplice ma significativo, con cui chi ha un ministero da svolgere nella propria comunità, dal più piccolo al più grande, con particolare attenzione al ministero del catechista, riceve un vero e proprio mandato iniziale che pone la persona che lo riceve al servizio della Chiesa. Si invoca il dono dello Spirito perché questo servizio sia portato avanti con fede, generosità, amore alla Chiesa, competenza e umiltà. Il vescovo invita a nutrirsi con gratitudine della Parola di Dio e a cibarsi dello stesso pane di vita per camminare insieme, con un’attenzione premurosa per tutti coloro che vivono nei nostri territori.

«Il cammino della evangelizzazione – ha ricordato il vescovo- non è esente da difficoltà, da crisi, da momenti difficili, anche di sconforto. Dobbiamo metterli nel conto questi momenti. Non esiste una chiesa ideale o “altra”. Esiste la chiesa concreta che siamo noi: santa e insieme fatta di peccatori. Dobbiamo accettarlo e, senza recriminare l’un l’altro il nostro peccato, darci piuttosto una mano per aiutarci ad essere sempre più conformi a quanto il Signore vuole».

Per evangelizzare, ha poi continuato, occorre però crescere nel senso e nella pratica della vita comunitaria, avendo come fondamento il Signore Gesù. Il vescovo ci ha invitato a crescere nella comunione fraterna e nella capacità di camminare davvero insieme. «Dobbiamo lavorare – ha insistito – per una chiesa sinodale e per un nuovo e diffuso slancio missionario».

A conclusione dell’omelia il vescovo ha poi annunciato il sinodo diocesano che sarà celebrato a inizio 2021. Si tratta del primo sinodo del Chiesa pistoiese dopo il Concilio Vaticano secondo, dedicato all’urgente tema dell’evangelizzazione del popolo di Dio. Sarà quindi un momento di grande grazia per la nostra chiesa diocesana. L’invito conclusivo del vescovo è stato quello a camminare insieme per andare incontro al Signore, nella via della giustizia, della verità e dell’amore.

Claudia Marconi

Leggi l’omelia di mons. vescovo Fausto Tardelli 

(foto di Mariangela Montanari)

 

 




Una diocesi sulla strada della sinodalità

Venerdì 18 ottobre alle ore 21, la diocesi di Pistoia è convocata in cattedrale per una celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo, mons. Fausto Tardelli.

Da qualche anno questo appuntamento segna l’inizio dell’anno pastorale. In realtà non si tratta di un vero inizio, perché la vita pastorale non finisce mai e perché nelle parrocchie le principali attività sono già ricominciate da almeno gli inizi di settembre.

Ma allora in che senso parliamo di celebrazione di inizio? Soprattutto perché incontrarsi è sempre un nuovo inizio, un modo per ridirci la verità più profonda del nostro essere chiesa e per ricordarci il cammino a cui ci chiama il Signore Gesù. Essere Chiesa infatti significa essere convocati, significa lo stupore di scoprire che la fede non è mai un fatto solo personale, ma un cammino che si fa insieme agli altri.

Un cammino dove non siamo uguali, dove ogni credente, ogni realtà ecclesiale, porta la sua umanità, la sua storia, le sue modalità di vivere il vangelo. Siamo diversi, eppure ci ritroviamo insieme, uniti dal ricordo di qualcosa di così grande che ci ha fatto incontrare, ci ha fatto avvicinare, ci ha fatto scoprire che le diversità possono unirsi e diventare ricchezza. Questa è la Chiesa, la profezia di un mondo nuovo possibile, dove uomini e donne diversi, si riconoscono a partire dalla fede nel Signore. Solennizzare l’inizio dell’anno pastorale con una celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo, successore degli apostoli, è rimettere al centro della vita delle nostre comunità ecclesiali la chiamata ad essere insieme un segno dell’amore di Dio nel mondo. Come ci ricorda il vescovo nella sua lettera pastorale per il 2019/2020, il Signore ci chiama ad essere testimoni di lui (Atti 1,8) ma questo non sarà possibile se viviamo la fede come un fatto privato, se non ci poniamo il problema di condividere con gli altri le speranze che il vangelo suscita in noi, se non ci impegniamo «a  crescere nel senso e nella pratica della vita comunitaria» e se non impariamo ad ascoltare e a rispondere alle “attese di vangelo” del mondo di oggi.

Per questo durante la celebrazione di inizio anno pastorale il vescovo darà il mandato a tutti gli operatori pastorali della diocesi e ai catechisti, i quali a nome della chiesa sono protagonisti fondamentali della vita ecclesiale. Ma, ed è bene ricordarlo, ciò che il vescovo affida e domanda ai catechisti e agli operatori pastorali riguarda tutti noi credenti.

Comunità, attese di vangelo, testimonianza, sono queste alcune parole chiave che in quest’anno pastorale ci accompagneranno e che troveranno particolare attenzione nella preparazione al primo Sinodo della Chiesa pistoiese dopo il Concilio Vaticano II che il vescovo, a Dio piacendo, ha indetto per il 2021.

L’anno è appena iniziato ma la strada è già tracciata ed ha un nome preciso: Sinodalità, che altro non significa, etimologicamente come nei fatti, camminare insieme! I tempi, i contenuti, le modalità concrete con cui il percorso verso il Sinodo diocesano si realizzeranno saranno presto oggetto di discussione e comunicazione, ma intanto il cammino è già iniziato!

don Cristiano D’Angelo

(fonte: La Vita)




Battezzati e inviati: la veglia missionaria al tempo del sinodo

Dal papa un appello a vivere in maniera “integrale” la missione della chiesa. A Pistoia sarà occasione di riflessione e preghiera la veglia diocesana di mercoledì 23 ottobre.

L’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la regione pan amazzonica, che si sta svolgendo in questi giorni (dal 6 al 27 ottobre) a Roma, fissa l’attenzione su una porzione di mondo unica: 7,8 milioni di kmq suddivisi tra Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana francese, Perù, Suriname e Venezuela per un totale di 34 milioni di abitanti, 3 dei quali indigeni appartenenti a 390 popoli diversi con 240 lingue. Il documento preparatorio del Sinodo, frutto del consiglio presinodale e di un’ampia consultazione tra le comunità amazzoniche che ha coinvolto circa centomila persone, riassume le questioni che il Sinodo dovrà affrontare.

Sono molte le questioni da affrontare e la presenza di delegati appartenenti ai popoli indigeni non rappresenta una nota di colore, bensì esprime la consapevolezza che i popoli amazzonici hanno molto da insegnarci: per migliaia di anni si sono presi cura della loro terra, dell’acqua, della foresta, e sono riusciti a preservarli fino ad oggi affinché l’umanità potesse beneficiare della gioia dei doni gratuiti della creazione di Dio.

Papa Francesco, che non finisce mai di sorprenderci, ha voluto che questo Sinodo si svolgesse durante il mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alla missione e definendolo straordinario proprio per sottolineare come la missione della Chiesa, per essere completa, deve necessariamente abbracciare il creato nella sua totalità, indicando come strada maestra la scelta preferenziale dei poveri.

Sulla scia dell’enciclica Laudato si’ -che ricordiamo non è semplicemente un documento di carattere ambientalista ma piuttosto un’enciclica “sociale”, come più volte sottolineato dallo stesso Papa Francesco- i lavori sinodali metteranno al centro della discussione dei partecipanti il concetto di ecologia integrale, un discorso cioè in cui la difesa della natura e della biodiversità includerà, ovviamente, anche un discorso sull’uomo e del suo diritto fondamentale ad una vita piena e dignitosa: non è più accettabile che quando si parla dell’uomo e del suo ambiente vitale si possa prescindere dall’affrontare quelli che sono i suoi diritti fondamentali: il diritto ad un lavoro dignitoso e rispettoso della propria cultura, diritto alla libertà di espressione, diritti politici, e via dicendo.

Quello che sta accadendo in Amazzonia è paradigmatico e riassume in sé tutte le ingiustizie del mondo: la distruzione delle foreste, in favore di pochi e a danno di intere popolazioni inermi, per sete di profitto e di dominio che alcune multinazionali (purtroppo anche italiane) che operano nel campo degli idrocarburi, nell’industria mineraria o nelle piantagioni intensive e monocolturali che, come conseguenza, provocano, oltre allo sfruttamento disumano di uomini, donne e bambini impiegati in queste attività, anche la distruzione dell’ambiente, inquinamento del suolo e impoverimento dei nativi. Una situazione che dovrebbe farci riflettere e spingerci a cercare canali di impegno per promuovere una sensibilità nuova sul tema dell’ecologia integrale, senza dimenticare che la distruzione dell’ambiente non riguarda solo l’Amazzonia ma anche le grandi foreste dell’Asia e dell’Africa ed è quindi un problema che interessa tutto il nostro pianeta. Accanto a questo impegno è necessario promuovere anche nuovi stili di vita che combattano lo spreco che non migliora certo la nostra esistenza, piuttosto provoca maggiore inquinamento e sottrae risorse ai più poveri.

In chiusura il centro missionario diocesano, dà appuntamento a tutte le donne e gli uomini di buona volontà, in particolare ai giovani, alla veglia di preghiera per la giornata missionaria mondiale, nella chiesa di San Benedetto a Pistoia, alle ore 21 di mercoledì 23 ottobre 2019. Il tema della veglia sarà: «Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo».

I “martiri” dell’Amazzonia

Ecco chi ha perso la vita per difendere i diritti dei nativi e proteggere i più deboli

A partire dai primi anni cinquanta dello scorso secolo la chiesa latino americana si è impegnata a fianco dei popoli nativi per difendere i loro diritti, e questo impegno, che continua ancora oggi, ha prodotto molti martiri. Vogliamo ricordarne alcuni:
– A Mecuri nello stato del Mato Grosso Brasile, nel 1976, fu ucciso il salesiano tedesco Rodolfo Lunkenbei, insieme al laico Simao Cristino Koge Kudugudutu, dai coloni bianchi che volevano cacciare gli indios dalle loro terre;
– nel 1976 morì per un colpo di pistola sparatogli da un poliziotto nel commissariato di Ribeiraro Cascalheira nel Mato Grosso, Joao Bosco Penido Burnier, gesuita brasiliano, dove si era recato, con Dom Pedro Casaldaliga a chiedere il rilascio di due contadine incarcerate ingiustamente;
Adelaide Molinari, religiosa delle figlie dell’Amore divino, fu assassinata, nel 1986, da sicari assoldati da latifondisti a Eldorado dos Carajas nello stato brasiliano del Parà;
Cleusa Rody Coelho, religiosa agostiniana brasiliana, dopo aver lavorato con ciechi e lebbrosi, si dedicò alla difesa degli indios, venendo per questo uccisa di 1985, a Lebrea nello stato Amazonas, da un sicario assoldato dai commercianti di noci del Brasile.
Josimo Moraes Tavares, prete brasiliano coordinatore della Commissione Pastorale delle terra della Diocesi di Imperatriz nel Maranhao, fu assassinato, nel 1986 su mandato degli allevatori locali per la sua difesa dei braccianti;
Ezechiele Ramin, missionario comboniano italiano, impegnato nella difesa degli indios Cacoal, nello stato brasiliano di Rondonia, fu assassinato, nel 1986, da sicari al soldo degli agrari in un’imboscata a Aripuanà;
Vicente Canas gesuita spagnolo, che per 10 anni ha vissuto con diverse popolazioni autoctone nello stato del Mato Grosso, condividendone i costumi, fu ucciso nel 1987 da latifondisti che volevano impadronirsi delle terre indigene;
Alejandro Labaka, cappuccino spagnolo e vescovo di Aguarico, in Ecuador, e Ines Arango, cappuccina colombiana, furono uccisi, nel 1987, da un gruppo di indios Tagairi che volevano proteggere la loro terra dall’imminente arrivo degli uomini della compagnia petrolifera a Petrobras;
Chico Mendes, sindacalista dei raccoglitori di caucciù, promotore della lotta per la tutela della foresta e per la riforma agraria, membro del gruppo fondatore del Partito dei Lavoratori, fu assassinato nel 1988 a Anapu, nello stato brasiliano di Acre, dai latifondisti;
Doroty Stang, religiosa statunitense delle suore di Notre Dame di Namur, impegnata in progetti di sviluppo sostenibile che garantissero la difesa della foresta e dei diritti degli indios, fu assassinata, nel 2005, ad Anapu, nello stato brasiliano del Parà da sicari assoldati da allevatori e latifondisti.




In cammino verso le attese di Vangelo. Intervista al vescovo Tardelli

Tempo di cammino sinodale per la chiesa universale e particolare. Anche Pistoia, nel 2021, si prepara a vivere il primo sinodo diocesano dopo il Concilio Vaticano II. Lo ha annunciato il vescovo Fausto nella sua ultima lettera pastorale “E di me sarete testimoni”, dove affronta con realismo alcune delle tematiche cruciali del presente e futuro della chiesa di Pistoia.

Lo scorso luglio ha annunciato per il 2021 un sinodo diocesano. Che cosa l’ha spinta a scegliere questa strada per la chiesa di Pistoia? Quali sono le sue aspettative?

La decisione di celebrare un sinodo diocesano la considero una ispirazione dello Spirito Santo, al quale del resto ci siamo affidati fin dai primi momenti del mio episcopato a Pistoia. Non per niente il cammino intrapreso in questi anni voleva essere “sulle ali dello Spirito”. Ma la celebrazione di un sinodo presuppone una chiesa in “stato sinodale”, sia prima che dopo la celebrazione dell’evento vero e proprio. E una chiesa sinodale in parole semplici e povere è una comunità di fratelli e di sorelle che camminano insieme, che si sforzano di camminare insieme dietro al Signore Gesù, dentro questo concretissimo mondo, per portare l’annuncio di Cristo morto e risorto con la testimonianza di un amore generoso e disinteressato per gli uomini, a partire dagli ultimi. In questo senso La chiesa è sinodale per sua natura. Il Signore l’ha voluta così e solo così è segno di speranza per il mondo. La celebrazione vera e propria, solenne e coinvolgente, agli inizi del 2021, sarà solo l’apice, il manifestarsi di questa compagnia fraterna conquistata dal Vangelo.

Nella sua ultima lettera pastorale parla di attese di Vangelo. A che cosa si riferisce?

Si, ho parlato di “attese di vangelo” come chiave di lettura della realtà, della società umana, del nostro mondo. Un altro modo di parlare dei “segni dei tempi”. Il Vangelo, come dice la parola stessa è una “buona notizia”, un “buon annuncio” e di buone notizie ne sentiamo particolarmente il bisogno oggi. E in particolare di quella più buona di tutte: quella cioè che non si è soli, si è amati senza misura, che c’è qualcuno che si prende cura di noi e ci porta nel palmo della sua mano perché la nostra vita non si perda e superi l’oscurità del male, della cattiveria, della stessa morte. Cogliere queste attese di vangelo nella vita della gente, nella propria stessa vita, è compito dei cristiani e della chiesa, perché è proprio lì che l’annuncio cristiano deve potersi udire in fatti e parole. Come ho scritto nella lettera pastorale, si possono cogliere attese di vangelo nel mondo e nel cuore dei giovani, dentro la fragilità delle nostre esistenze, nella debolezza dei nostri amori, dentro la stessa cultura, come nella povertà di tanti, economica e non, come nei cuori malati di violenza, corrotti dal malaffare e dalla menzogna.

Secondo lei la chiesa non riesce più a parlare ai giovani e alle famiglie?

Noto una certa difficoltà del mondo ecclesiale a incontrare giovani e famiglie, per quello che sono, con tutte le contraddizioni, i loro problemi concreti e le loro prospettive…. La chiesa non può essere la chiesa dei pensionati, senza ovviamente togliere niente a queste persone così importanti per la vita delle nostre comunità. Però la bellezza del Vangelo, la bellezza di Cristo e della vita che Egli ci offre, dovrebbe conquistare giovani e giovani famiglie, coloro che sono nella pienezza della vita e dentro gli affanni della quotidianità. Lì troviamo una certa difficoltà. E’ come avere tra le mani un tesoro meraviglioso e non riuscire a farlo capire a chi ci sta attorno e sta cercando proprio un tesoro per vivere. Credo che occorra anche cambiare stili e modalità di organizzazione delle nostre comunità cristiane, anche se il problema non è l’organizzazione. Senza togliere l’essenziale, dovremmo avere quella duttilità di saper inventare forme nuove e oggi possibili di incontro, di scambio, di annuncio, sapendo dare il primo posto non certo all’organizzazione e alle strutture ma a ciò che oggi conta più di tutto e di cui c’è più bisogno: il contatto personale, l’a tu per tu di relazioni rispettose e amichevoli, che costruiscano una rete di relazioni positive che vincano quell’individualismo e quella solitudine che si fanno oggi sempre più minacciose.

Il professor Jacopozzi, in un incontro dei linguaggi del divino, ha parlato della “marginalità” della chiesa nel panorama culturale contemporaneo, parlando di necessaria «presa di coscienza di uno status di minoranza». Che ne pensa?

Penso che Jacopozzi abbia colto nel segno. Questa “marginalità” la constatiamo ogni giorno e dobbiamo prenderne atto sicuramente. Essere “piccolo gregge” del resto, non è l’eccezione per la Chiesa ma la normalità, come l’essere come agnelli in mezzo ai lupi. Ogni giorno, nel martirologio romano, si legge una piccola parte anche se numerosa dei santi celebrati in quella data: la stragrande maggioranza è fatta di persone crudelmente assassinate, eliminate dalla faccia della terra in modo violento, deboli e rese insignificanti agli occhi del mondo… Eppure quelle persone hanno vinto sul mondo e la loro fede ha travalicato regni e montagne, mari e imperi. Una minoranza può essere estremamente significativa anche se debole per mezzi e potere. Però vorrei dire anche un’altra cosa che corregge in parte le affermazioni di Jacopozzi e di altri che accentuano la situazione di minorità della chiesa. In realtà, a volte la coscienza di questa minorità è indotta da parte di chi non sopporta la chiesa e quello che dice e fa. La chiesa Cattolica, in Italia, da noi, ha ancora un forte radicamento popolare e attorno a luoghi e testimoni si radunano ancora folle. La chiesa è più influente di quello che sembra. In certi campi no, pare assolutamente inascoltata, è vero. Alla fine però, nel cuore di molti permane un riferimento che è comunque importante per la vita, anche se lo si contraddice tranquillamente. I segnali di questa strana appartenenza sarebbero tanti. Non vanno sottovalutati e sbrigativamente considerati come residuali. Anzi io, da incallito ottimista, ho la convinzione che si stiano preparando tempi sorprendenti e inaspettati per il cristianesimo e la chiesa.

La scorsa estate ha accompagnato un folto numero di giovani in terra santa. Ci sono dunque anche segni di speranza?

Proprio su questa lunghezza d’onda va l’esperienza fatta con sessanta giovani insieme a una ventina di disabili questa estate in terra santa. Una esperienza straordinaria che mi ha molto coinvolto anche personalmente. Ho incontrato dei giovani stupendi. Ognuno con la sua vicenda personale, le sue contraddizioni se vogliamo, ma carichi di entusiasmo e di voglia di vivere al meglio la vita, aprendosi agli altri, disposti a guardarsi dentro oltre la superficialità di una società dell’apparire. Per me è stato un grande segno di speranza. Come lo è stato la breve visita fatta coi vescovi toscani in Turchia a giugno. Solo ad Antiochia, Iskendurun e Tarso, per la precisione, dove abbiamo potuto incontrare piccole comunità cristiane che vivono in un contesto non facile ma che sono di una gioia e di una vitalità incredibile.

Il Santo Padre ha da poco aperto il sinodo sull’Amazzonia, quale significato ha per la chiesa questo sinodo, quali aspettative porta?

Il sinodo sull’Amazzonia affronta un grande problema per l’umanità, perché quella regione del mondo ha un’importanza vitale per tutto il pianeta, è invece luogo di sfruttamento contro l’uomo ed è terra abitata da popolazioni che da secoli sono schiacciate nella loro identità. In questo la chiesa si mostra attenta a tutto ciò che è il bene dell’uomo, nella sua integralità di anima e corpo. L’Amazzonia è anche una terra dove si misura la capacità del Vangelo di fecondare le culture dell’uomo, accogliendo, illuminando, correggendo e facendole fiorire. Da questo punto di vista il sinodo sull’Amazzonia è anche l’occasione, ancora una volta, per la chiesa di purificare la memoria di una evangelizzazione a volte condotta con la forza delle potenze coloniali.

a cura di Michael Cantarella

(fonte: Settimanale “La Vita”)




Tre video interviste per “ripartire dalle domande”

Sul canale youtube diocesano interviste e relazioni on line per i linguaggi del divino

«Cosa determina le tue scelte? Quali sono le persone a cui credi? Perché?»

Sono alcune delle domande che accompagnano la riflessione sul credere oggi proposte dal tema dell’attuale edizione dei linguaggi del divino. Domande con cui si confrontano Padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato, che ha predicato lo scorso anno gli esercizi spirituali a Papa Francesco a alla curia romana; Lucia Agati, cronista della Nazione di Pistoia, Bernard Dika, giovane studente, “Alfiere della Repubblica Italiana”, molto popolare tra i ragazzi e sui social. Le tre brevi interviste sono disponibili sul canale youtube diocesano: diocesi di Pistoia.

I video sono a cura dell’Ufficio Comunicazioni Sociali e Cultura diocesano; le riprese e il montaggio di Massimo Rosario Mantero.

Sul canale youtube diocesano saranno anche disponibili le registrazioni video degli incontri in programma per il festival “i linguaggi del divino”.




Credo? Ripartire dalle domande fondamentali

Sabato 5 ottobre aprirà il festival monsignor Rino Fisichella

L’edizione 2019 dei linguaggi del divino si apre con un interrogativo: Credo?

Abbiamo bisogno di tornare alle grandi domande, quelle essenziali e primarie. Un recente libretto pamphlet di Goffredo Fofi, L’oppio del popolo (Elèuthera 2019) mette in guardia dalla cultura elevata a sistema economico, “industria” del paese spesso ridotta a un «gran giro di soldi … e di chiacchiere» che intontisce piuttosto che far crescere. Ritornare alle grandi domande «che sono poi le grandi domande, diceva Tolstoj, che fanno i bambini: “perché sono al mondo?”, “perché ci sono i maschi e le femmine”, “perché ci sono i ricchi e i poveri?”, “perché le stelle girano e noi non giriamo?”, “e perché in quest’epoca e non in un’altra?” (…) Queste domande – prosegue Fofi- ogni analfabeta del passato prima o poi se le poneva, ma si direbbe che oggi “la cultura” abbia distrutto questa necessità per farci accettare montagne di parole mistificanti, per farci accettare ciò che al potere piace che noi accettiamo, nascondendocene lo squallore, la crudeltà, la perfidia..».

Provocazione che vale la pena cogliere in un tempo sovraccarico di proposte, distratto e alla fine, senza passioni. Ci sembra che valga la pena, dunque, aprirsi ad una domanda cruciale per ogni tempo e cultura, a maggior ragione per il nostro secolarizzato nuovo millennio che pure vive più o meno consapevoli forme di credenza, altre ne ricerca spasmodicamente fino al fondamentalismo, altre ne subisce senza neppure accorgersene.

La questione è ampia ma la nostra proposta si orienta nell’orizzonte della fede cristiana, aprendo alle riflessioni/provocazioni di teologi, docenti, credenti.
Aprirà il festival la prolusione di monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione. Monsignor Fisichella è esperto della riflessione attorno al credere, non soltanto per la sua formazione di teologo fondamentale, ma anche per aver curato importanti iniziative: dal giubileo della Misericordia, alle 24 ore per il Signore, alla giornata mondiale dei poveri, tutte a stretto contatto con la fede concreta del popolo di Dio. Il suo intervento si terrà nella chiesa di San Bartolomeo in pantano sabato 5 ottobre alle ore 17.

Seguirà un dialogo tra Domenico Mugnaini, giornalista e direttore di Toscana Oggi, con Andrea Gambetta, produttore cinematografico che ha realizzato insieme a Wim Wenders il film “Papa Francesco. Un uomo di parola”. Un’occasione per conoscere l’esperienza di un grande regista chiamato a raccontare uno dei (rari) “testimoni credibili” del nostro tempo; seguirà la proiezione del film.

Domenica 6 alle 17, nella sala capitolare del convento di San Francesco, don Alfredo Jacopozzi offrirà una relazione sul tema «nelle inquietudini dell’uomo post-moderno». Jacopozzi è direttore dell’ufficio cultura e del centro per il dialogo interreligioso dell’arcidiocesi di Firenze. Grande conoscitore e appassionato delle proposte spirituali orientali fa parte della scuola di formazione della comunità mondiale di meditazione cristiana (WCCM). Docente di Storia delle religioni alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale è autore di diversi libri e articoli in ambito di scienze delle religioni. Non mancate.