i linguaggi del divino: un itinerario per ripercorrerli

È giunta al termine la seconda edizione dei linguaggi del divino, intitolata quest’anno “Rinascere dall’alto”. Un arco di incontri dedicati alla spiritualità nel desiderio di recuperare i contenuti chiave della spiritualità cristiana. Una spiritualità in dialogo con l’uomo contemporaneo, che si innerva nelle tensioni e nei luoghi “originari” dell’esperienza umana: la domanda di senso e il senso del tempo, la solitudine, il silenzio, la morte, il senso della liturgia e del rito, l’esperienza dello Spirito.

Ci preme esprimere almeno alcune considerazioni generali sull’andamento degli incontri. In primo luogo la risposta da parte del pubblico, che è stato vario e generalmente consistente. Accanto ad una platea più affezionata e abituale si sono aggiunte presenze esterne e nuove richiamate dai singoli relatori. In secondo luogo è stato bello rintracciare attraverso i diversi interventi una continuità significativa, non soltanto conseguenza della pertinenza al tema generale, ma anche per una generale “sintonia” accompagnata dalla sensibilità per una proposta non riservata agli “addetti ai lavori” bensì aperta e in dialogo con un pubblico vario. Infine attraversare la città in alcuni dei suoi luoghi più belli e carichi di storia come il Battistero, il convento di San Domenico, la chiesa e convento di San Francesco, ci sembra che abbia aiutato a sentirsi “in uscita”, se non altro “in movimento”, dentro e per la città, in spazi che, perduta la storica presenza di vita religiosa, chiedono di non disperdere o dimenticare la propria storia.

A conclusione di questa lunga e bella avventura, è doveroso ringraziare quanti si sono impegnati a realizzare gli eventi accanto all’Ufficio comunicazioni sociali e cultura e all’Ufficio per la pastorale sociale e il lavoro, in primo luogo la Curia diocesana,  i volontari che hanno contribuito all’allestimento e alla gestione degli incontri, l’opera Spatha Crux, i padri Betharramiti di San Francesco, i Padri Domenicani e in particolare il padre provinciale Aldo Tarquini, il capitolo della Cattedrale, i seminaristi, Mariagela Montanari per le foto, Lorenzo Marianeschi per i filmati, Daniel Giusti per le riprese video. Un sentito ringraziamento per il contributo offerto da CONAD e per le piante ornamentali messe a disposizione da MATI piante.

Ricordiamo che tutti gli interventi sono disponibili online sul canale youtube diocesano

Di seguito proponiamo un piccolo itinerario attraverso gli interventi per ripercorrere la ricchezza che ci è stata consegnata.

Bernardo Gianni

Ha aperto la rassegna padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte giovedì 5 ottobre nel battistero di San Giovanni in Corte. Padre Bernardo, monaco olivetano molto noto a Firenze e dintorni, si distingue per la capacità di dialogare con vicini e lontani così come con l’arte e la letteratura. Il relatore ha infatti proposto una riflessione molto suggestiva, carica di echi letterari indicando il cielo, -nel segno del titolo della rassegna- come un «grembo di rinascita». È ancora possibile -si domandava- rinascere dall’alto laddove la contemporaneità avverte «la sterilità del cielo»? Una sterilità che è conseguenza di un uomo che si sente gettato nell’esistenza da una forza inafferrabile e disordinata. Anche l’incredulo, o l’inquieto Nicodemo di oggi, tuttavia può sentirsi collocato in una realtà più “grande”. «Noi tutti non siamo solo terrestri», «noi nati, noi forse ritornati, portiamo dentro una mancanza e ogni voce ha dentro una voce sepolta, un lamentoso calco di suono». Sono i versi di Mariangela Gualtieri (Cesena, 1951-) che padre Bernardo Gianni ha rilanciato nello spazio cavo e aperto del Battistero di Pistoia, quasi un grembo in cui posare e far crescere l’eco delle sue suggestioni.

La serata è stata accompagnata, quasi una traduzione visiva di una traiettoria spirituale, dalle foto in bianco e nero di Mariangela Montanari, originaria di Roma, abitante a Pistoia, oblata benedettina a San Miniato al Monte, cui ha dedicato il suo libro fotografico «Ubi amor, ibi oculus» (Polistampa, 2018).

Guidalberto Bormolini

Guidalberto Bormolini, monaco della comunità “i ricostruttori della preghiera”, ha proposto una riflessione sulla morte molto forte e coinvolgente. Il suo procedere ha preso spunto da una contemporaneità sempre più infastidita dalla morte, che tende drammaticamente a rimuovere o negare. Dall’indagine del reale padre Bormolini passa alla sapienza dei padri della Chiesa, ma anche ai frutti di un costante e personale lavorìo spirituale con cui ha scosso l’uditorio. D’altra parte la preparazione alla morte, ha ricordato Bormolini, è sempre stata presente nella storia millenaria dell’uomo sia attraverso l’orizzonte filosofico che quello religioso. Morte da pensare e ri-pensare, dunque, come compimento della vita, apertura ad un oltre, porta della vita. Rinascere dall’alto – concludeva Bormolini – per il pensiero cristiano significa entrare pienamente dentro questo oltre, per diventare, qui, ora, corpo di luce, di fuoco divino. È il cammino di divinizzazione che la trazione cristiana propone all’uomo stretto nella finitezza del suo essere.

 

Antonella Lumini

Antonella Lumini, eremita metropolitana di Firenze ha raccontato, con l’aiuto di Paolo Rodari, giovane vaticanista di Repubblica, la sua esperienza spirituale condotta, dopo un tempo di lontananza dalla fede, attraverso lunghi anni di ricerca. Un’esperienza che ha registrato una prima svolta in un momento luminoso di percezione “altra” di sé e delle cose create avvenuto sul nostro appennino pistoiese. Di lì in poi Antonella ha scoperto e percorso una via di solitudine e silenzio, pur dentro la vita “normale” di archivista della Biblioteca Centrale di Firenze. Il silenzio e il raccoglimento, li vive infatti nella sua casa, o meglio, in una stanza della sua abitazione di Porta Romana che, secondo la tradizione ortodossa, ha trasformato in pustinia, eremitaggio casalingo che ha anche il significato di “deserto”. Un deserto che ha sperimentato come luogo di ascolto e accoglienza dello Spirito. Lascia stupiti il modo semplice e dimesso di raccontare la sua vicenda e che segue un’urgenza dello Spirito emersa soltanto dopo venti anni di preghiera e ascolto.

L’incontro con Antonella Lumini è stato seguito dal documentario “Voci dal Silenzio”, un affresco sull’esperienza eremitica in Italia realizzato da due giovani registi, Joshua Wahlen e Alessandro Seidita. Un’esperienza visiva che incanta e porta lontano (o forse molto a fondo dentro di sé) nelle diverse esperienze di solitudine e contatto con la natura dove, pur nelle diverse sensibilità religiose e nei diversi stili di vita, emerge un contatto con le sorgenti originarie dell’essere.

Ermes Ronchi

Gli incontri dei Linguaggi del divino hanno poi proposto la riflessione di Ermes Ronchi, biblista molto apprezzato e anche noto volto della televisione per i suoi commenti al Vangelo. Padre Ronchi ci ha raccontato un Gesù in dialogo, sempre teso e interrogare e far interrogare l’uomo perché rintracci dentro di sé le attese del cuore, i quesiti di senso, i sogni profondi. «Ma cosa vive in te? Cosa muove la tua vita?»; il Gesù dei Vangeli – ha affermato Ronchi – «entra attraverso domande, più che attraverso proposizioni assertive». «Quali domande fanno vivere?», chiedeva padre Ronchi. «Le buone domande sono quelle del cuore» e «la domanda prima è: ma io sono contento? Mi piace la mia vita?». Ronchi ha tracciato l’umile via della domanda che attraversa i Vangeli e in particolare il Vangelo di Giovanni dall’inizio («Che cosa cercate?», Gv 1,38) alla fine («Mi vuoi bene?», Gv 21,17). Una via che rivela tutta l’arte dell’incontro propria di Gesù e mostra un volto di Dio che è forse un po’ diverso da come ce lo siamo sempre immaginati.

Andrea Monda

Andrea Monda, docente di religione cattolica presso i licei di Roma, scrittore e appassionato di letteratura e cinema ha raccontato la propria esperienza a contatto con gli adolescenti. Uno sguardo interessante sulla realtòà giovanile di oggi, che invita e non generalizzare, a uscire dalle categorie sociologiche per entrare nell’ascolto, offrire un tempo di disponibilità in cui è il racconto, anche della propria esistenza, che suscita interesse, coinvolge e apre al dialogo. Il mestiere del docente di religione – appuntava Monda- si configura sempre più come uno “sport estremo” in cui la prima difficoltà è superare e riagganciare un linguaggio laddove si sono perse le parole chiave del vocabolario cristiano o “spirituale”. Eppure, ricordava «in un’ora di lezione può cambiare la tua vita ..se accade un incontro», una realtà imprevista, incontrollabile, che chiede di essere «disarmati» e disponibili.

Gaetano Piccolo

Padre Gaetano Piccolo, con chiarezza di pensiero e una grande vivacità simpaticamente partenopea, ha offerto una sintesi sul discernimento a partire dalla tradizione gesuitica. Discernere – ha ricordato Piccolo – non fa primariamente rima con “scegliere”, ma con la capacità di rintracciare senso nelle vicende della propria esistenza. Piccolo, che è gesuita e docente di metafisica presso la Pontificia Università Gregoriana, ha ripresentato il vocabolario chiave del discernimento, segnato la differenza tra emozioni, sentimenti, pensieri per far comprendere l’importanza di prestare attenzione ..alla vita e di restare in ascolto della Parola di Dio. È impossibile, infatti, – ha ricordato Piccolo – che la Parola di Dio non ti faccia sentire niente. Domandati allora: «che cos’è che non vuoi sentire?». Tante le indicazioni –anche pratiche- per vivere il discernimento che Piccolo ha riassunto in un libretto di grande successo dal titolo emblematico: «Testa o cuore?. L’arte del discernimento».

Goffredo Boselli

Goffredo Boselli, monaco di Bose e liturgista, ha proposto la sua riflessione sulla relazione tra umanità e liturgia. Parlare di umanità in rapporto alla liturgia è possibile perché Dio stesso si è fatto uomo. Per cui occorre recuperare ciò che unisce la forma della rivelazione alla forma della celebrazione. La riforma del Vaticano II ha cercato di venire incontro a questa esigenza, proponendo forme rituali che non si allontanano dalle forme abituali della vita. «Se eliminiamo ciò che è più umano – ricordava Boselli – si toglie ciò che è più divino». La liturgia è in continuità con la forma della rivelazione ed è chiamata a essere Vangelo celebrato. «Solo una liturgia umana – ammoniva Boselli – sa centrare il centro della vita umana. Se non capiamo la vita non capiamo Dio». Boselli ha infine evidenziato un ultimo punto cruciale, cioè «l’umanità sofferente come criterio ultimo della liturgia». La liturgia, cioè, non può essere sottrazione o alienazione dal mondo e dall’umanità sofferente. La liturgia autentica può invece farci «crescere in umanità»: la «liturgia è una risorsa di umanità».

Basilio Petrà

Mons. Basilio Petrà, preside della facoltà Teologica dell’Italia Centrale, ha proposto una profonda riflessione sul tema “Che cos’è la vita nello Spirito?”. Uno Spirito con la S maiuscola, perché Spirito Santo. Un Spirito che non mortifica o diminuisce l’uomo, ma lo rende capace di essere se stesso. Lo Spirito ricevuto nel Battesimo – ricordava Petrà- ci introduce in una vita nuova e ci pone in una relazione differente con il mondo, ormai mediata dallo Spirito, che ci accoglie come un grembo materno dal quale imparare a percepire, conoscere e riconoscere. Lo Spirito, ricordava Petrà sulla scorta della tradizione orientale a lui particolarmente cara, ci rende icone viventi di Cristo: «è Lui il grande iconografo». La vita nello Spirito è un’esperienza che tutti i battezzati possono sperimentare. Petrà non ha mancato, dietro un fuoco di fila di domande da parte del pubblico, di evidenziare come un criterio per comprendere se davverso si vive nello Spirito è interrogarci se siamo capaci di amare i propri nemici. Una proposta esigente, ma concreta, con cui misurare l’azione dello Spirito che ci rende più umani.

Giordano Frosini

La conclusione degli incontri è stata affidata a Mons. Giordano Frosini, “padre” delle settimane teologiche pistoiesi e animatore culturale della nostra diocesi. Gli acciacchi dell’età non hanno spento la passione per la curiosità intellettuale, né la pungente capacità di mettere in crisi pensieri “addomesticati”, conformismi e apatie culturali. Il suo intervento è stato l’occasione per riascoltare la vivace proposta di una teologica fondamentale, capace di interpellare ogni uomo, credente o meno, che pure abbia il coraggio e la passione di interrogarsi e ragionare sui grandi temi che toccano l’uomo di ogni tempo: perché l’essere e non il nulla? Come leggere i Vangeli? Quali sono i bisogni e le attese fondamentali dell’uomo di oggi e di sempre? L’uomo nutre ancora “desiderio di infinito?”.

Giovannini, Letta, Santoro

Un ultimo appuntamento, a cura dell’Ufficio diocesano pastorale e sociale del Lavoro ha visto una tavola rotonda sui temi dell’impegno civile e politico, dell’economia e del lavoro che ha riscosso una notevole partecipazione da parte di numerosissime persone. La tavola rotonda, moderata dal giornalista Marco Damilano, direttore dell’Espresso, ha visto come protagonisti mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, delegato dalla Confenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e del Lavoro, Enrico Letta, economista ed ex premier, Enrico Giovannini, economista ex presidente dell’Istat, fondatore dell’ASVIS (Agenzia per lo sviluppo sostenibile).

ugo feraci




Art Bonus, una buona notizia per chi investe in cultura

PISTOIA – Un nuovo strumento di stimolo per gli investimenti dei privati nella valorizzazione dell’immenso patrimonio culturale e artistico del nostro paese. Questo il senso dell’evento del prossimo 29 ottobre “Art Bonus, un’opportunità per la cultura e la bellezza” nel corso del quale verrà presentata la legge regionale 5 aprile 2017, n. 18 detta “Art Bonus Toscana”. La legge regionale prevede infatti importanti sgravi fiscali per chi investe nella valorizzazione del patrimonio culturale ecclesiastico. Nel corso della serata la diocesi presenterà alcuni progetti pilota agli imprenditori e alle associazioni di categoria.

Ospiti della serata saranno il vescovo Tardelli, la consigliere regionale Ilaria Buggetti, il direttore generale dell’area “cultura e ricerca” della regione Roberto Ferrari, i dirigenti d’area e i tecnici che spiegheranno l’applicazione della legge e le opportunità per le imprese.

L’evento è organizzato dalla diocesi di Pistoia in collaborazione con il consiglio regionale della Toscana e con l’osservatorio giuridico legislativo della conferenza episcopale toscana.

L’appuntamento è per lunedì 29 ottobre alle ore 17 nel seminario vescovile di Pistoia.

(foto di David Dolci)




I giovani, un futuro sostenibile, la dignità del lavoro e dell’uomo

Una tavola rotonda con Letta, Giovannini e mons. Santoro, vescovo di Taranto ha chiuso “i linguaggi del divino”.

Nella splendida cornice della Chiesa di S. Francesco, Lunedì 22 Ottobre, si è svolto l’ultimo evento della Rassegna 2018: una tavola rotonda su interessanti temi di attualità quali. L’impegno civile e politico e quello dell’economia e del lavoro, che -possiamo con soddisfazione affermare- ha riscosso una notevole partecipazione da parte di numerosissime persone.
La tavola rotonda, moderata dal giornalista Marco Damilano, direttore dell’Espresso, ha visto come protagonisti relatori di grande livello: mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, delegato dalla Conferenza Episcopale Italiana per i problemi sociali e del Lavoro, Enrico Letta, economista ed ex premier, Enrico Giovannini, economista ex presidente dell’Istat, fondatore dell’ASVIS (Agenzia per lo sviluppo sostenibile).

Il titolo scelto per l’incontro «Fa’ che non manchi mai il pane e il lavoro- L’impegno per un mondo più giusto» ha dato subito il senso dell’iniziativa stessa, iniziativa che ha trovato il suo fondamento nelle numerose indicazioni da parte del Magistero della Chiesa. In particolare abbiamo tenuto presente la 48° Settimana Sociale dei cattolici italiani tenutasi un anno fa a Cagliari.
La settimana sociale di Cagliari non è stato un convegno astratto, nè un punto di arrivo, ma un punto di partenza per la mobilitazione del “popolo cattolico”, chiamato ad operare una profonda “conversione culturale” allo scopo di trovare risposte ai bisogni urgenti della gente. In quella sede fu proprio lo stesso mons. Santoro a lanciare un forte appello, invitando i cattolici a riprendere la loro “leadership” nel «dibattito pubblico, sociale e politico» facendo leva sul potenziale costituito da tantissime competenze ed esperienze presenti nella comunità ecclesiale italiana e che vanno messe a servizio del “bene comune” e dell’interesse generale, in primis sulla “questione lavoro”. «I problemi economici – afferma il vescovo di Taranto – non sono una nicchia, ma costituiscono l’asse portante della nostra società che, come tale, non può essere lasciato in mano all’attuale modello di sviluppo, non può vedere assenti o insignificanti i cattolici: lavoro, famiglia, scuola, salute, ambiente, migranti, gli ambiti in cui la rilevanza pubblica dei cattolici deve svilupparsi, senza dimenticare mai l’opzione preferenziale per i poveri e l’attività caritativa».

La realizzazione di questo evento, voluto dalla diocesi di Pistoia all’interno de “I linguaggi del divino” è stata indubbiamente una importante occasione per conoscere meglio, avere una lettura più illuminata scaturita dal confronto con esperti qualificati. I temi trattati riferiti ai cambiamenti del mondo del lavoro, alla necessità di rimettere al centro del dibattito politico i temi dell’economia reale e del lavoro, nonché sull’impegno dei cattolici in politica, sono stati di evidente interesse, coinvolgenti e stimolanti in quanto riguardano la vita di tutti noi, il futuro delle nostre comunità.

Enrico Letta nel suo intervento ha messo costantemente l’accento sui giovani, offrendoci peraltro una “lettura” nettamente positiva e piena di speranza per il futuro. «In questi giovani, nei miei studenti ritrovo ogni giorno – ha affermato l’ex premier – quella stessa capacità di innovazione e creatività che hanno costituito il motore dello sviluppo del nostro paese. Se li guardo vedo soltanto un grande futuro per l’Italia e per l’Europa – e noi abbiamo la responsabilità di garantire loro una formazione di alto livello per affrontare al meglio le sfide del prossimo futuro».

Enrico Giovannini – portavoce Asvis (Agenzia per lo sviluppo sostenibile ) – associazione nata due anni e mezzo fa per diffondere la cultura della sostenibilità e la conoscenza dell’Agenda 2030 – ha messo in evidenza che, per quanto in alcuni ambiti si registrino dei passi avanti, se non si interviene con interventi coordinati e con azioni immediate e consistenti, sarà impossibile rispettare gli impegni presi dal nostro Paese. «Ciò che manca – ha spiegato Giovannini – è una visione coordinata delle politiche per costruire un futuro dell’Italia equo e sostenibile. Il confronto tra le forze politiche nelle ultime elezioni non si è svolto intorno a programmi chiari e con un orientamento in tal senso. Come Asvis – ha continuato – stiamo proponendo al governo almeno due misure urgenti e a costo zero: introdurre lo sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della nostra Costituzione e trasformare il Cipe in Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile. «Senza un’attenzione all’ambiente che ci ospita – ha ricordato – non potrà esistere un futuro di prosperità per nessuno».

«Dobbiamo riscoprire un rapporto diverso con il lavoro e con i lavoratori – ha affermato mons. Filippo Santoro – rimettendo al centro la persona e la sua dignità, addirittura prima di qualsiasi altra istanza, sia essa economica o tutela dei diritti». Il vescovo ha ricordato le parole pronunciate da Paolo VI nel corso della messa della notte di Natale del 1968, celebrata all’allora Italsider di Taranto: «Montini affermò che la Chiesa non condivide le passioni classiste, quando queste esplodono in sentimenti di odio e in gesti di violenza; ma la Chiesa riconosce, sì, il bisogno di giustizia del popolo onesto, e lo difende, come può, e lo promuove. E aggiunse: “non di solo pane vive l’uomo, dice la Chiesa ripetendo le parole di Cristo; non di sola giustizia economica, di salario, di qualche benessere materiale, ha bisogno il lavoratore, ma di giustizia civile e sociale”».

Selma Ferrali – Ufficio Pastorale Sociale e Lavoro

(foto di Mariangela  Montanari)




Chiude il monastero della Visitazione: il dolore e il ringraziamento del vescovo

Solo oggi, 22 ottobre, ricevo la notizia ufficiale da parte di chi ha la responsabilità ultima del monastero della Visitazione in Pistoia, della sua imminente chiusura.

La cosa era nell’aria da tempo, è vero. La Madre federale che aveva assunto qualche mese fa il governo del Monastero per disposizione della Santa Sede, all’inizio del suo mandato era venuta da me a presentarmi la situazione, certamente pesante per l’età avanzata delle monache, il loro esiguo numero, la configurazione stessa del monastero. L’avevo pregata di fare di tutto perché non venisse meno questa esperienza storica di vita contemplativa nella città e nella diocesi di Pistoia. L’ho pregata di cercare una soluzione, facendola accompagnare a visitare ambienti, ville, luoghi in Pistoia e fuori dove poter trasferire le monache e rivitalizzare il monastero con qualche immissione nuova, proveniente da qualche altro monastero. Non c’è stato niente da fare. Non è stato trovato niente di adatto in Pistoia e dopo alcuni falliti tentativi di trasferimento del Monastero in altra diocesi vicina, il Consiglio federale, organo di governo che riunisce le varie superiore monastiche di una regione ecclesiastica, ha deciso di chiedere alla S. Sede la soppressione del Monastero di Pistoia.

Il Vescovo, ogni vescovo, al riguardo della vita dei religiosi e dei monasteri ha un compito di vigilanza ma comunque dei poteri ben limitati, sia rispetto ai superiori legittimi che alla Santa Sede.

Il fatto non può che addolorarci profondamente, perché viene a mancare uno spazio spirituale importante, che l’amorevolezza delle monache aveva coltivato con grande sensibilità, così da essere ristoro per tante anime e ricchezza per la nostra chiesa locale oltre che per l’intera città. La chiusura di case religiose e monasteri è purtroppo all’ordine del giorno in Europa e anche in Italia, causa la scristianizzazione della società, la drastica riduzione delle nascite, il venir meno di vocazioni religiose. La nostra diocesi non sfugge alla crisi, anzi ne è significativamente colpita. Soltanto un paio di anni fa se ne andarono definitivamente i figli di San Francesco; alla fine di agosto di quest’anno andati via i padri domenicani; tra l’altro gli uni e gli altri presenti attivamente a Pistoia da molti secoli. Oggi è la volta delle monache salesiane. E domani? La cosa mi preoccupa non poco. Può mai vivere una diocesi senza la testimonianza della vita consacrata, senza la presenza di uomini o donne che si dedicano totalmente alla preghiera nella contemplazione del mistero di Dio salvatore del mondo? Io penso di no e quindi leggo questi avvenimenti come un severo monito del Signore a tutti noi, perché torniamo con forza ai valori spirituali, rinnoviamo il nostro impegno di vita cristiana, per l’edificazione di comunità cristiane vive e per famiglie autenticamente evangeliche. Solo da questo potranno scaturire quelle vocazioni alla vita consacrata e contemplativa di cui sentiamo oggi acutamente il bisogno.

Voglio qui ringraziare di vero cuore le care monache della Visitazione per la loro presenza e la loro testimonianza. Quelle che ora vengono trasferite in altro monastero e quelle del passato. Io ho potuto conoscere soltanto le ultime, ma già da questo contatto ho capito quanto sia stata ricca e bella la loro vita. Ho ascoltato da molti pistoiesi ciò è stato fatto nel passato e l’importanza del monastero per Pistoia. Invito pertanto tutta la cittadinanza, in primo luogo le autorità cittadine che ci rappresentano, a riconoscere nella gratitudine, anche pubblicamente, il dono prezioso che è stato il monastero delle salesiane, mentre chiedo a tutta la nostra diocesi di pregare insistentemente il buon Dio perché non venga meno nella nostra chiesa particolare, la testimonianza della vita consacrata.

+ Fausto Tardelli, vescovo

23/10/2018




Il vescovo Tardelli interviene sulla vicenda Vicofaro

PISTOIA – “L’altra sera a Vicofaro è successo qualcosa che mi ha amareggiato profondamente. Non ne ero stato certo avvisato; e perché mai avrei dovuto esserlo, del resto? Mi ha amareggiato per tanti motivi, non per uno solo. Qualcosa mi inquieta e non mi piace in ciò che è accaduto. È stato un punto che ha segnato il vertice di una escalation insopportabile. Invece di sciogliersi e trovare una soluzione accettabile, la vicenda di Vicofaro nel tempo è andata sempre più ingigantendosi, complicandosi, esacerbandosi.

Ma – mi dico – non sarebbe meglio spegnere i riflettori su Vicofaro e cercare tutti, come già diceva il grande Papa S. Giovanni XXIII, ciò che  ci unisce, piuttosto ciò che ci divide? In tempi di schieramenti sempre più feroci, questa mia affermazione non andrà a genio a molti. Non importa perché non ho da piacere a nessuno. Sono del tutto convinto che la verità non stia mai tutta solamente da una parte e nessuno la possieda completamente. Ci sono sempre ragioni da una parte e dall’altra.

Solo nell’ascolto reciproco, nell’attenzione all’altro, nel venirsi incontro si trova la soluzione ai problemi. A Pistoia questo è possibile? A volte, sinceramente mi pare proprio di no. Eppure io credo che dobbiamo tutti sforzarci di fare un passo indietro e ragionare, senza farci prendere dall’emotività o, peggio, dai risentimenti.

Chi è credente in Gesù Cristo sa bene che non possiamo accusarci l’un l’altro di essere lontani da Lui, ma solo correggerci fraternamente perché tutti impariamo a seguirlo sempre di più laddove egli ha voluto essere: nella Chiesa, nella sua parola, nei sacramenti, nel volto dei poveri come i migranti che vengono da noi in cerca di futuro per la loro vita.

Vorrei allora che ci domandassimo: ma tutta questa storia, la vicenda di Vicofaro, da quando l’anno scorso iniziò sui social, ci ha portato ad essere migliori? Ha condotto a migliorare questa città? Ha fatto aumentare il numero delle persone solidali e aperte agli altri? Ha fatto crescere in questa città il senso di una fraternità accogliente? Ha permesso una vera integrazione degli ospiti accolti? Onestamente, mi pare proprio di no. È aumentata l’intolleranza; nel quartiere qualcuno è giunto all’esasperazione; nel frattempo le posizioni si sono soltanto radicalizzate e politicizzate, tant’è che sembra di esser tornati al tempo dei Panciatichi e dei Cancellieri. Manca solo che ci si cominci ad accoltellare l’un l’altro. E’ questo che vogliamo? Ci pare che si possa costruire qualcosa di bello in questo modo? Vogliamo arrivare alla guerra? L’unica cosa da fare è “chiamare alle armi”?

Credo piuttosto che dovremmo tutti interrogarci sulle nostre responsabilità e su cosa possiamo fare in positivo perché Vicofaro diventi davvero un luogo di speranza e non di scontro; di unione e di pace e non occasione di divisione e di contrasti, un laboratorio di civiltà e di convivenza e non un terreno di lotta.

Molto può fare don Massimo, sicuramente. Molto dipende da lui. Non voglio dire di più. Credo che se ne stia rendendo sempre più conto. Non è in discussione l’accoglienza. Quelli che la mettono in discussione, lo dico chiaramente, sbagliano di grosso. Vorrei che costoro capissero che l’accoglienza è un valore grande, profondamente umano e cristiano. Vorrei che non si facessero confondere le idee da slogan, luoghi comuni o ben congegnate falsità. L’accoglienza vera però mira all’integrazione. Richiede attenzione alle persone e al luogo dove si realizza; deve riuscire a intavolare un dialogo costruttivo con i nostri ambienti, con tutti i settori della nostra società; deve cercare di superare pregiudizi e paure, facendo crescere la conoscenza e la relazione tra le persone; con pazienza, dolcezza, positività. Deve essere sempre “accompagnata” e mettendo in atto un processo educativo che insegni anche il rispetto per gli usi, le tradizioni, i valori del popolo in cui si è accolti.

Oltre a don Massimo, possono fare qualcosa anche chi sta attorno a lui, aiutandolo a migliorarsi, a porsi nel modo giusto nei confronti della gente del quartiere, delle autorità, della comunità parrocchiale.

Possono fare qualcosa anche i politici. Sì: star fuori da Vicofaro. Lo dico chiaramente. A Vicofaro non si combatte una battaglia tra schieramenti politici; tra chi è a favore del governo e chi è contro. Non può essere l’occasione per condurre lotte partitiche. L’esperienza di Vicofaro è nata dentro una parrocchia quale segno dell’attenzione della chiesa al mondo dei migranti e questo deve rimanere, non può snaturarsi. E questa è anche una mia precisa responsabilità.

Potrebbe fare qualcosa anche il governo. Si, il governo. Nazionale e locale. Alla fine, in ultima istanza, è a chi governa che si può attribuire quanto accaduto l’altra sera. Purtroppo mi pare che se il governo precedente ci ha dato una pessima gestione del fenomeno migratorio, giocata tutta o esclusivamente sull’emergenza, l’attuale si sta muovendo in una linea dura di rigore che non è ragionevole e rischia di offrire obiettivamente spazio a sentimenti razzisti e xenofobi indegni dell’uomo e del nostro paese. Ma i governi, in un paese democratico, li scelgono in buona sostanza i cittadini con il voto; quindi non è lamentandosi che si cambiano le cose ma acquisendo consensi attorno a valori e scelte più confacenti alla dignità umana.

Potrebbero infine fare qualcosa anche i mezzi di comunicazione, se cercassero di abbassare i toni e invitassero alla ragione. Se spegnessero un po’ i riflettori su Vicofaro e non inseguissero o, peggio, creassero la notizia che fa più rumore. Se mettessero invece sempre più in luce le cose positive che sono presenti nel nostro territorio e che ci permettono di sperare in una risoluzione dei problemi e in un futuro migliore di questa città.

Credo che tutti vogliamo che Pistoia sia una città di pace, bella, accogliente, multietnica e al tempo stesso sicura e ben custodita, che cresce e prospera attraverso l’apporto sereno di tutti. E allora, lavoriamo tutti generosamente per questo. Per questo diamoci da fare, insieme.

Mons. Fausto Tardelli – vescovo di Pistoia




“Fa’ che non manchi mai il pane e il lavoro”: a Pistoia si parla di futuro

Economia, sviluppo sostenibile, ecologia, dignità del lavoro saranno solo alcuni dei temi sviluppati nell’incontro di lunedì 22 ottobre.

Ospiti Mons. Santoro, vescovo  di Taranto, Enrico Letta e Enrico Giovannini.

PISTOIA – «Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato, cioè considerato spazzatura, avanzo, quindi spinto fuori dalla società. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti».

Queste parole di Papa Francesco ispirano e sintetizzano lo spirito dell’incontro del prossimo 22 ottobre organizzato dalla diocesi di Pistoia intitolato “Fa’ che non manchi mai il pane e il lavoro, l’impegno per un mondo più giusto”. L’evento – che chiuderà la rassegna “I linguaggi del divino”  –  conta su ospiti d’eccezione: Enrico Letta, Enrico Giovannini, Mons. Filippo Santoro, coordinati da Marco Damilano, direttore de L’Espresso. Gli ospiti daranno vita a una tavola rotonda di altissimo livello sui temi lavoro e dignità, disuguaglianze, sviluppo sostenibile ed economia.

Nel corso della serata gli ospiti saranno chiamati a dibattere su questioni d’attualità: dalla situazione dell’economia e del mondo del lavoro, alla riflessione sugli attuali modelli di sviluppo e sul loro impatto ambientale; dal rapporto dei cattolici con la politica, al necessario investimento nei giovani e nel loro attaccamento alla “cosa pubblica”.

Proprio in Pistoia, nel 1907, nascevano le settimane sociali dei cattolici, che tanto hanno dato all’elaborazione culturale, politica e sociale italiana. In questo tempo così complicato per la vita del nostro paese, da Pistoia nasce nuovamente uno spunto di riflessione profonda sull’impegno – serio e formato – dei cattolici nelle sfide che concorrono alla costruzione di un futuro migliore per la nostra casa comune.

L’appuntamento è per lunedì 22 ottobre alle 17 a Pistoia presso la chiesa di San Francesco (Piazza S. Francesco d’Assisi).




Frosini: L’uomo e il suo desiderio di infinito

Sabato 20 ottobre chiude la terza settimana dei “Linguaggi del divino”, nella sala capitolare del convento di San Francesco alle 17.30, l’intervento di mons. Giordano Frosini, presbitero pistoiese, teologo e fondatore delle settimane teologiche pistoiesi, con un intervento intitolato “Desiderio di infinito tra neopaganesimo e “utopia cristiana”.

Quali sono i bisogni e le attese fondamentali dell’uomo di oggi e di sempre? «La domanda – afferma Frosini – chiama in causa il nostro più profondo mondo interiore, la storia dell’intera umanità, la letteratura più incisiva di sempre, specialmente del nostro tempo. In questa atmosfera sta ritornando felicemente una parola che si diffuse nei primi secoli del cristianesimo per opera dei padri della chiesa sia orientali che occidentali: divinizzazione».

Giordano Frosini (1927) è presbitero della diocesi di Pistoia dal 1950.
Dopo gli studi compiuti in seminario, ha conseguito la laurea in filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana e la laurea in teologia presso la Pontificia Università degli studi S. Tommaso d’Aquino.

Nella diocesi di Pistoia è stato rettore del seminario, vicario episcopale e successivamente vicario generale. Ha dato avvio, dagli anni Settanta del Novecento, ad attività di formazione di laici e clero come la Scuola diocesana di teologia, il Centro culturale Jacques Maritain, la Settimana teologica diocesana.

Accanto all’impegno pastorale ha svolto una costante attività di insegnamento e di approfondimento culturale: per circa venticinque anni è stato docente di Teologia sistematica presso lo Studio Teologico Fiorentino, poi Facoltà teologica dell’Italia centrale.

A partire dagli anni Settanta è autore prolificissimo di studi di ricognizione e di divulgazione teologica: una cinquantina di titoli – alcuni tradotti in spagnolo, portoghese, polacco, albanese -, a cui vanno aggiunti gli innumerevoli articoli pubblicati su riviste scientifiche, periodici e giornali fra i quali «Il Regno», «Famiglia Cristiana», «Settimana del clero», e il giornale diocesano di Pistoia «La Vita», di cui è direttore responsabile. Per cinque anni è stato una voce della rubrica «Ascolta si fa sera» su Rai Radio1.

Al primo libro Teologia delle realtà terresti (Marietti 1971) sono seguiti tra gli altri (possiamo qui ricordare solo pochi titoli): La fede e le opere. Le teologie della prassi (San Paolo 1992); Aspettando l’aurora. Saggio di escatologia cristiana (EDB 1994); Una Chiesa possibile (EDB 1995); Chi dite che io sia? Una cristologia per tutti (EDB 1997); Lo Spirito che dà la vita. Una sintesi di pneumatologia (EDB 1998); Incontro al Padre. Una Teo-logia per tutti (EDB 1999); Dio il cosmo l’uomo: exitus-reditus (EDB 2011). Ma la sua penna felice ha ricostruito e presentato anche figure capitali o comunque significative del passato e del presente della Chiesa da Ildegarda di Bingen a Teresa di Lisieux, da John Henry Newman a Pietro Scoppola.

Nel 2008 al suo contributo di studio è stata dedicata la Settimana teologica diocesana: in quella occasione l’allora vescovo di Pistoia Mansueto Bianchi sottolineava la rilevanza del suo impegno al dibattito che aveva segnato la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II:

«Le sue grandi ricognizioni tematiche sono sempre impreziosite da sguardi rinnovati, guizzi creativi, proposte di soluzione in linea con le tendenze filosofiche contemporanee. I suoi libri hanno, a tutti gli effetti, una collocazione nella storia della teologia postconciliare».

In verità la sua riflessione si inscrive a pieno titolo nella creatività e vitalità della stagione postconciliare. Già in qualche modo consonante con figure che nel Vaticano II avevano viste realizzate le loro attese ecclesiali – tra gli altri Jacques Maritain, Giuseppe Dossetti, David Maria Turoldo, Giorgio La Pira, figure di riferimento nella sua formazione e cultura -, Giordano Frosini ha fatto poi tesoro della lezione dei teologi che di quell’evento erano stati partecipi personalmente o idealmente: Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, Hans Urs von Balthasar, Henri De Lubac, Bernhard Häring, sono nomi citatissimi nei suoi testi che elaborano e divulgano un volto nuovo di cristianesimo e di Chiesa.

Una Chiesa «mistero», «comunione», «missione», nell’ottica della Lumen Gentium; che non esiste per se stessa ma per una evangelizzazione che si traduca in un servizio all’uomo nella sua totalità, in opposizione a qualsiasi forma di schiavitù, spirituale-interiore e sociale-storica. La Chiesa è per Frosini depositaria di una «memoria pericolosa e liberatrice-redentiva dell’umanità […] coscienza critica dell’umanità durante tutto il suo percorso storico, capace di atteggiamento critico grazie al suo cammino escatologico» (Una Chiesa possibile, p. 199).
Una Chiesa pienamente compagna dell’umanità nella sua storia e insieme custode e nutrice del suo «desiderio di infinito», come recita il titolo di un altro suo libro (cfr. Desiderio di infinito. Il cristianesimo e le aspirazioni dell’uomo, EDB, 2001). Un titolo suggestivo, opportunamente ripreso anche nel contributo che gli è stato chiesto per i Linguaggi del divino 2018: «Desiderio di infinito tra neopaganesimo e “utopia cristiana”».

Mariangela Maraviglia




Come “funziona” la Liturgia?

Tu non hai bisogno della nostra lode,
ma per un dono del tuo amore ci chiami a renderti grazie;
i nostri inni di benedizione non accrescono la tua grandezza,
ma ci ottengono la grazia che ci salva, per Cristo nostro Signore.
( Messale Romano, Prefazio Comune IV)

Come funziona le liturgia?

È questa la domanda che abbiamo scelto per stimolare la riflessione, in attesa dell’incontro con Goffredo Boselli, Monaco della Comunità di Bose e liturgista.

La riflessione sul dato liturgico è oggi più che mai al centro del dibattito ecclesiale.
Nel tempo frammentato in cui l’uomo della post modernità preferisce il linguaggio segmentato del videoclip a quello articolato, progettuale ed armonico della sinfonia orchestrale, perché i riti?
Che valore hanno? Che concetto vogliono esprimere? Sono ancora vettori di un linguaggio che apre al dialogo tra l’umano e il divino?

Celebrare un rito è davvero celebrare l’Amore che vince la morte? È davvero realizzare ciò che permette all’umano di affacciarsi su ciò che non è mondo, che ci relaziona con l’Altro che non siamo noi, che ci catapulta in un altrove ed in un tempo altro, senza per questo catturare questa esperienza ed incatenarla nell’ideologia? È veramente anticipazione qui ed ora di ciò che sarà la nostra vita nella domenica senza tramonto, quando Dio sarà tutto in tutti?
La liturgia è ancora quell’Opus Dei a cui nulla va preposto, come ricorda San Benedetto, padre dei monaci d’occidente, nella sua Regola (RB n.43 §3)?

Cromazio, vescovo di Aquileia, in una sua omelia ricorda che «sebbene tale ufficio appaia esercitato per mezzo di uomini, l’azione tuttavia è di colui che è l’autore del dono ed è egli stesso a compiere ciò che ha istituito. Noi compiamo il rito, egli concede la grazia» ( sermone XV sulla lavanda dei piedi).

In una chiesa che guarda all’uomo nella sua integralità, che mette la persona al centro riconoscere il giusto posto alla liturgia nella nostra vita di fede è riconoscere innanzitutto che celebrare è lasciarsi fare dal rito stesso, perché nel rito si rinnova l’agire di Dio.
Noi compiamo il rito, egli concede la grazia… nell’agire liturgico esercitato dall’uomo, avviene il dono divino: la grazia ci conduce, attraverso i gesti e le parole, attraverso cose nuove e cose antiche, a realizzare la sinergia tra le opere dell’uomo fragili e limitate e l’opera di Dio, che è eterna.

Vivere il rito liturgico è allora davvero vivere la gratuità dei gesti d’amore fatti solo per Dio, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni nella narrazione del gesto poetico e innamorato dell’unzione di Betania, per aprirsi alla bellezza del dono, al di là delle categorie e delle logiche mondane perché l’umano si apra al divino e la liturgia sia veramente “ la danza della Chiesa attorno a Cristo” (C. M. Martini).

Alessio Bartolini

L’incontro con Goffredo Boselli avrà luogo giovedì 18 ottobre alle 17.30 presso la sala Conferenze del Convento di San Domenico a Pistoia.

Goffredo Boselli è monaco di Bose. Dottore in teologia a l’Institut Catholique di Parigi, ha conseguito il Master in Storia delle religioni e antropologia religiosa presso l’Université Sorbonne Paris IV. Dal 2000 è responsabile della liturgia del Monastero di Bose e insegna liturgia presso il suo Studium. In qualità di esperto, dal 2003 collabora stabilmente con la Commissione Episcopale per la Liturgia della Conferenza Episcopale Italiana. Il suo volume Il senso spirituale della liturgia (Qiqajon, 2011), edito negli Stati Uniti da Liturgical Press, ha vinto l’Excellence in Publishing Awards 2015 della Association of Catholic Publishers. Presso Edizioni San Paolo ha pubblicato, insieme con Enzo Bianchi, Il Vangelo celebrato (2017).




Con Basilio Petrà sulle vie dello Spirito

Venerdì 19 ottobre alle ore 17.30 presso il convento di san Francesco la sua relazione dal titolo: “Cos’è la vita nello Spirito?”

Don Basilio Petrà è prete della diocesi di Prato. È da quasi quarant’anni docente di teologia morale nello Studio Teologico Fiorentino, divenuto poi Facoltà Teologica dell’Italia Centrale: dal 2017 ne è preside. È stato presidente dell’ATISM (Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale).

Insegna anche a Roma, presso l’Accademia Alfonsiana e presso il Pontificio Istituto Orientale: due istituzioni accademiche collocate sul Palatino, non lontane dalla basilica di Santa Maria Maggiore; istituzioni che anche simbolicamente riuniscono a breve distanza il profilo biografico e intellettuale di Petrà, l’interesse, cioè, per la morale e l’ispirazione orientale del suo pensiero. Petrà, infatti, è presbitero cattolico di rito latino, ma è di origine greca; essendo però nato ad Arezzo e avendo abitato fin da piccolo nel Mugello, a Firenze e poi a Prato.

Coerentemente a questa ispirazione, la sua attenzione si è volta ora al mondo dell’ecumenismo, ora alla teologia orientale sui sacramenti, ora al diritto delle Chiese orientali, ora ad alcuni autori greci e russi. Questa presenza del riferimento all’Oriente cristiano è come una costante sempre presente nel suo pensiero, uno sfondo nei suoi articoli e libri, un punto di vista che lo conduce a leggere la teologia (morale o dogmatica che sia) con altri accenti, altre problematiche, altre domande rispetto a quelle abituali alla teologia occidentale.

Questo punto di vista diverso lo ha ad esempio condotto ad affrontare – con un’attenzione rinnovata e illuminata dagli sviluppi della teologia orientale – ora il ministero ordinato, ora le persone divorziate e risposate; ben prima che nella Chiesa quest’ultimo tema venisse sollevato ai massimi livelli con il Sinodo dei vescovi convocato dal papa a discutere sulla famiglia tra il 2014 e il 2015.

Cos’è la vita nello Spirito?” è il titolo del suo intervento a “I linguaggi del divino” 2018: già nel titolo risuonano il riferimento all’azione dello Spirito nell’uomo, alla sua trasformazione, alla sua progressiva conformazione a Dio. Un linguaggio che non si ha difficoltà a riconoscere segnato dalla cifra pneumatologica e divinizzante tipica della teologia e della spiritualità orientali.

Don Francesco Vermigli (Facoltà teologica dell’Italia Centrale)




Sulle vie dello “Spirito” con Basilio Petrà

Venerdì 19 ottobre alle ore 17.30 presso il convento di san Francesco la sua relazione dal titolo: “Cos’è la vita nello Spirito?”

Don Basilio Petrà è prete della diocesi di Prato. È da quasi quarant’anni docente di teologia morale nello Studio Teologico Fiorentino, divenuto poi Facoltà Teologica dell’Italia Centrale: dal 2017 ne è preside. È stato presidente dell’ATISM (Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale).

Insegna anche a Roma, presso l’Accademia Alfonsiana e presso il Pontificio Istituto Orientale: due istituzioni accademiche collocate sul Palatino, non lontane dalla basilica di Santa Maria Maggiore; istituzioni che anche simbolicamente riuniscono a breve distanza il profilo biografico e intellettuale di Petrà, l’interesse, cioè, per la morale e l’ispirazione orientale del suo pensiero. Petrà, infatti, è presbitero cattolico di rito latino, ma è di origine greca; essendo però nato ad Arezzo e avendo abitato fin da piccolo nel Mugello, a Firenze e poi a Prato.

Coerentemente a questa ispirazione, la sua attenzione si è volta ora al mondo dell’ecumenismo, ora alla teologia orientale sui sacramenti, ora al diritto delle Chiese orientali, ora ad alcuni autori greci e russi. Questa presenza del riferimento all’Oriente cristiano è come una costante sempre presente nel suo pensiero, uno sfondo nei suoi articoli e libri, un punto di vista che lo conduce a leggere la teologia (morale o dogmatica che sia) con altri accenti, altre problematiche, altre domande rispetto a quelle abituali alla teologia occidentale.

Questo punto di vista diverso lo ha ad esempio condotto ad affrontare – con un’attenzione rinnovata e illuminata dagli sviluppi della teologia orientale – ora il ministero ordinato, ora le persone divorziate e risposate; ben prima che nella Chiesa quest’ultimo tema venisse sollevato ai massimi livelli con il Sinodo dei vescovi convocato dal papa a discutere sulla famiglia tra il 2014 e il 2015.

Cos’è la vita nello Spirito?” è il titolo del suo intervento a “I linguaggi del divino” 2018: già nel titolo risuonano il riferimento all’azione dello Spirito nell’uomo, alla sua trasformazione, alla sua progressiva conformazione a Dio. Un linguaggio che non si ha difficoltà a riconoscere segnato dalla cifra pneumatologica e divinizzante tipica della teologia e della spiritualità orientali.

Don Francesco Vermigli (Facoltà teologica dell’Italia Centrale)