“Ripartire dalle parrocchie e da una comunità fraterna e missionaria”

In occasione della solennità di San Jacopo il Vescovo Fausto ha consegnato alla diocesi la lettera di indicazioni per l’anno pastorale 2018/2019. “Una comunità fraterna e missionaria” è il titolo della missiva alle componenti della chiesa di Pistoia che chiude il piano triennale pastorale incentrato sul discernimento personale e comunitario di un trittico di tematiche, iniziato nel 2016 – 2017 con “l’anno del Padre” e proseguito quest’anno con “l’anno dei poveri”.

Nella lettera pastorale il vescovo tratta molti punti: dal bisogno, avvertito da tutti, di ritrovare relazioni vere e sincere in antitesi rispetto alla solitudine crescente, al bisogno di comunione, di pace e unità, anche nella comunità dei battezzati, ponendo al centro della riflessione il tema della comunità di base, ovvero la parrocchia.

Afferma mons. Tardelli: «Come non vedere nel disperato bisogno di riconoscimento e di relazioni sincere e autentiche che è presente nella nostra società uno dei principali ‘segni dei tempi’? In quella tragica contraddizione cioè, di un mondo sempre più globale e in rete eppure sempre più colmo di solitudini? La solitudine è lo spettro che si aggira nelle nostre contrade e città. Una popolazione sempre più anziana ne rimane facilmente vittima. Non è meno vero per le generazioni più giovani. Persino tra i ragazzi e gli adolescenti la solitudine miete vittime. Una solitudine che è causa di molti mali, spesso anche del diffuso disagio economico. A sua volta ne è anche conseguenza, in una specie di circolo vizioso che intristisce l’anima e la vita. La solitudine non si vince però con la confusione e l’affollamento. I famosi “non luoghi” di Marc Augè sono pieni di gente che va e che viene ma che non si incontra. Sono invece le relazioni umane autentiche, l’accoglienza e il sorriso, la mano tesa e gli occhi che si incrociano, l’apertura del cuore e la disponibilità all’amicizia che rompono la solitudine». «Di qui l’urgenza – continua Tardelli –  di riscoprire e ritrovare il conforto di una comunità veramente fraterna (Gv 13,34; Gv 20,17), la profezia di cuori che si uniscono nella diversità (At 4,32), “l’oasi della misericordia” che è la comunità cristiana, dove si possa dire con il salmo 133: «Ecco come è bello e com’è dolce, che i fratelli vivano insieme!». 

«La comunità cristiana, la parrocchia – afferma il vescovo – sia per tutti i suoi membri l’occasione di sperimentare la comunione che caratterizza il Popolo di Dio in cammino nella storia. Una comunione fatta di amicizia e di relazioni buone. Anche conflittuali a volte, perché sincere, ma sempre positive. E per essere questo, ogni parrocchia deve mettere al suo centro Gesù Cristo e una scuola permanente di formazione alla vita nuova in Cristo secondo lo Spirito. Se si cercasse di edificare la vita comunitaria soltanto con iniziative di socializzazione umana sbaglieremmo, perché la comunità cristiana si edifica nell’amore, ma a partire dall’Eucaristia e dalla Parola viva di Cristo che trasforma e forma i cuori. Da questo incontro nasce la festa e la gioia del ritrovarsi».

Il vescovo, nella seconda parte della lettera,  propone alcuni spunti e indicazioni operative: dal riordino e al ripensamento della struttura e al numero parrocchie, alla presenza e riscoperta delle feste e delle tradizioni religiose diocesane e parrocchiali, alla valorizzazione dei “gruppi di Vangelo, alla sinodalità come strumento per una vera riforma della chiesa, al ruolo della formazione, alla valorizzazione del laicato e dei diaconi permanenti.

In ultimo mons. Vescovo richiama la questione dei giovani, con la quale chiude la indicazioni pastorali definito: «vero nervo scoperto della nostra Chiesa in questo momento».«Lo vado constatando nella mia visita pastorale – scrive Tardelli – la stessa Chiesa universale ha messo all’ordine del giorno i giovani. Ci vuole dunque ascolto e impegno nei confronti degli adolescenti e dei giovani, anche in chiave vocazionale sulla scia del Sinodo dei vescovi che il Santo Padre Francesco ha indetto per l’ottobre 2018».«Abbiamo troppo paura dei giovani -lasciatemelo dire-, mentre è giunto il momento di mettere nelle loro mani la Chiesa, le nostre parrocchie, con fiducia e speranza. Essi hanno prospettive diverse dalle nostre e forse preoccupazioni che non sempre comprendiamo, ma forse, come insegna San Benedetto nella sua famosa regola, al cap. III, essi possono insegnarci molto: «Ogni volta che in monastero bisogna trattare qualche questione importante, l’abate convochi tutta la comunità ed esponga personalmente l’affare in oggetto. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci rifletta per proprio conto e faccia quel che gli sembra più opportuno. Ma abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore». L’attenzione al mondo giovanile poi, è bene che si specifichi con proposte adeguate all’ accompagnamento degli adolescenti con percorsi ante e post Cresima; dei giovani più grandi e infine delle giovani coppie o famiglie».

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San Jacopo 2018: l’omelia del vescovo Tardelli

Sulla scia del santo vescovo Atto che di lui ottenne per Pistoia una preziosa reliquia, onoriamo anche quest’anno l’apostolo Giacomo il maggiore, grande testimone del Vangelo, ucciso dal re Erode Agrippa verso l’anno 44 d.C. a Gerusalemme

In questa annuale ricorrenza, credo che la prima cosa che dobbiamo imparare da San Jacopo sia il coraggio e la coerenza della fede. La fede per la quale egli ha dato la vita, è un grande dono che non solo va conservato ma che dobbiamo alimentare ogni giorno e anche chiedere, se ci pare di non averlo. La fede cristiana è la nostra identità, è il fondamento della nostra vita, è tra le basi della nostra civiltà; purtroppo la si può perdere o si può affievolire a causa di compromessi e viltà o di quella che viene definita “secolarizzazione”, tipico fenomeno delle società ricche e opulente. Ma cosa vuol dire “essere cristiani”.

Chi è il cristiano? C’è bisogno di chiedercelo perché in questi tempi di confusione c’è chi dice con estrema leggerezza che essere cristiani, islamici, buddisti o animisti sia la stessa cosa; a volte poi capita anche che ci si professi cristiani e cattolici senza sapere che cosa davvero significhi o senza esserlo nei fatti. Allora è bene ricordare che è cristiano chi crede in Gesù, vero Dio e vero uomo, Figlio di Dio incarnato, morto e risorto per liberarci dai peccati e aprirci le porte del paradiso. Cristiano è chi confida in Lui e lo riconosce unico salvatore del mondo, via verità e vita e che con Lui spera di entrare nel Regno dei cieli che è la piena comunione con la Trinità santissima. Per questo cerca di vivere già quaggiù, insieme a fratelli e sorelle nella Chiesa, seguendo Gesù e mettendo in pratica i dieci comandamenti che si concentrano nell’amore verso Dio e verso il prossimo chiunque esso sia.

Cristiano è chi perdona le offese ricevute e si sforza di amare anche i nemici; accoglie i pellegrini e i forestieri; da da mangiare agli affamati e da bere agli assetati e si fa incontro con umiltà a chiunque sia nel bisogno. Cristiano è chi partecipa assiduamente all’Eucaristia domenicale, fonte e culmine di tutta la vita cristiana; prega e fa penitenza per i propri peccati, si nutre della parola di Dio e lavora instancabilmente per il Regno. Il cristiano vive in Cristo, per Cristo e con Cristo, sotto la guida dello Spirito Santo, nella grazia di Dio. Cerca di pensare come Cristo, di agire come Lui, di amare come Lui, secondo quello che la bimillenaria trazione della Chiesa propone a credere.

Questa, che ho brevemente descritto, carissimi amici e fratelli, è la fede operosa di un cristiano. Non è la fede professata nell’Islam o la credenza del buddismo o di qualsiasi altra religione. E’ fede cristiana. Nessuno ci costringe ad abbracciarla. Nessuno ci costringe a mantenerla. O è libera o semplicemente non è fede cristiana. Se però la professiamo, non sia esteriormente o di facciata; lo sia invece per convinzione profonda, impegno costante e gioiosa gratitudine.

Il cristiano però è prima di tutto un uomo. Vorrei soffermarmi ancora un attimo su questo fatto non trascurabile. Non vorrei che risultasse strano questo fermarsi a riflettere sull’uomo. No, perché l’apostolo, il testimone di Cristo, il martire è la fioritura dell’umano e l’umano resta il fondamento su cui sorge tutto l’edificio. E in certi momenti della storia, è necessario ricordarsi anche che cosa significhi essere uomini, perché il rischio della barbarie non è superato, anzi è sempre dietro l’angolo. Sia che esso prenda la forma di un mondo nuovo governato dagli algoritmi di una tecnologia che tutto pianifica e pacifica, imbrigliando però la libertà dell’uomo perché considerato l’essere più pericoloso della terra; sia che assuma la forma muscolosa di un nuovo “super uomo”, forte e prepotente che afferma la sua superiorità sugli “altri”, “sub umani” senza diritti e dignità e che considera la pietà, la giustizia e la solidarietà ridicole debolezze.

Occorre dunque ricordarci di essere uomini. Chi è però un uomo? Non è facile rispondere. Eppure bisogna farlo. Unità di corpo e anima spirituale, caratterizzato da complementarietà sessuale, l’uomo è un animale pensante e parlante e quindi relazionale, libero e cosciente si sé, a meno che qualcosa non lo condizioni in modo determinante. Che cerca la felicità e cioè il bene, il vero e il bello. Per il credente è creatura a immagine e somiglianza di Dio. La sua natura personale non è lui a darsela e a inventarsela; la può solo riconoscere e semmai svilupparla in sé e negli altri come una inalienabile dignità che unisce tutti gli esseri umani, qualunque sia la loro condizione di vita, il colore della pelle, la storia o le idee personali. Egli ha una natura sociale, per cui si definisce a partire dall’altro, non viceversa. Per questo, nell’accoglienza dell’altro fatta di attenzione, rispetto e amore, sta il compimento della sua vita che egli spera vittoriosa sopra la morte. Un tale uomo sa anche di essere estremamente fragile e di sbagliare ogni giorno. E’ dunque umile e desideroso di imparare e di migliorare se stesso con il necessario aiuto degli altri.

Come potete vedere anche da questa mia breve descrizione, carissimi amici, essere persone umane e mantenersi tali non è affatto sempre facile. Come essere per davvero cristiani. Però è necessario e pertanto occorre vigilare.

E’ tempo, il nostro, in cui io credo occorra vigilare. Sulle nostre idee e sulle nostre parole; su ciò che ci viene comunicato e a nostra volta comunichiamo. Su ciò che facciamo ogni giorno; sulle nostre piccole o grandi scelte quotidiane. Occorre vigilare, prima che accada il peggio! Perché la rabbia non vinca sulla pazienza, la paura sul coraggio, l’insulto e l’arroganza sul rispetto, la violenza sull’amore. Occorre vigilare, perché la menzogna non vinca sulla verità; gli istinti sulla ragione, la furbizia e la corruzione sull’onestà, il relativismo sul bene oggettivo…

Vigiliamo, si, vigiliamo almeno un po’. Ne basterebbe anche solo un po’ di vigilanza, ma ci vuole, perché senza son sempre successe nella storia le peggio cose.

Che il grande apostolo San Jacopo nostro patrono, allora vegli per davvero su di noi e sulla nostra città e ci aiuti ad essere vigilanti, per mantenerci sempre orgogliosamente umani e per essere autenticamente e gioiosamente cristiani.

+ Fausto Tardelli, vescovo




San Jacopo 2018: il messaggio del vescovo alla città di Pistoia

«Sulla scia del santo vescovo Atto che ne ottenne per Pistoia una preziosa reliquia, onoriamo anche quest’anno l’apostolo Giacomo, grande testimone del Vangelo. San Jacopo, detto il maggiore, fu il primo degli apostoli a versare il suo sangue per Cristo. Morì a Gerusalemme per mano del re Erode Agrippa verso l’anno 44 d.C. I suoi resti mortali si conservano in Spagna a Santiago de Compostela. Dal 1145, ogni 25 di luglio, la città di Pistoia è in festa per lui.

Nell’occasione di questa annuale ricorrenza, intendo rivolgere un breve messaggio alla diocesi e alla città per dire tre semplici cose.

La prima è che dobbiamo imparare da San Jacopo il coraggio e la coerenza della fede. La fede nel Signore Gesù, morto e risorto per la quale egli ha dato la vita, è un grande dono che non solo va conservato ma che dobbiamo alimentare ogni giorno. La fede cristiana è la nostra identità, è il fondamento della nostra vita; purtroppo la si può perdere o si può affievolire a causa di compromessi e viltà. Non è un generico “credere in qualcosa” senza rapporto con la vita. È invece confidare in Gesù Cristo, riconosciuto come Figlio di Dio e unico salvatore del mondo. È affidarsi a Lui nel grembo della Chiesa, cercando di seguirne le orme, con tutte le esigenze che questo comporta sul piano delle convinzioni personali, delle scelte di vita, come dei comportamenti morali. La nostra fede cristiana deve essere forte, consapevole e gioiosa, incarnata nella vita, umilmente capace di confrontarsi con altre visioni del mondo o religioni e di approfondirsi attraverso questo dialogo.

La seconda cosa la dico in riferimento alla tradizione jacobea legata strettamente al pellegrinaggio e all’accoglienza dei pellegrini. Una cosa antica per la chiesa, che da sempre ha visto nell’ “alloggiare i pellegrini” un’importante opera di misericordia, perché nel forestiero e nel pellegrino c’è Cristo stesso. Dagli “xenodochia” dei primi secoli – ospizi che sotto l’autorità del vescovo erano allestiti lungo le grandi arterie di comunicazione – agli Hospitia e Hospitalia che soprattutto a partire dal IX secolo si edificarono lungo le vie di pellegrinaggio dedicandoli a San Jacopo, tutto ci dice che l’accoglienza di chi è nel bisogno e viaggia per mare o per terra in cerca di vita, appartiene alla nostra tradizione cristiana e alla nostra civiltà. I rischi, che pure non vanno sottovalutati, e la ragionevole necessità di affrontare i problemi eliminandone le cause, non ci possono mai, dico mai, spingere alla chiusura dei cuori, alla frapposizione di barriere, al rifiuto dell’altro. Guai a noi! Tutti i legittimi distinguo, non possono condurci a reazioni irresponsabili e sguaiate, nutrite di slogan a volte crudeli che riempiono la bocca ma non risolvono niente, anzi, aggravano di molto la situazione.

La terza cosa mi sento di dirla alla città di Pistoia e all’intera comunità civile. La memoria dell’apostolo Jacopo e dei santi fioriti nei secoli tra noi, come pure le bellezze di cultura e d’arte cristiana che rendono davvero speciale la nostra terra, dovrebbero spingere tutti, anche chi non si sente di condividere l’esperienza cristiana o ha da ridire sulla chiesa, a riconoscere che la fede non è nemica dell’uomo, non è contraria alla sua felicità, non è una superstizione che aliena dalla storia. Essa è invece linfa vitale che ispira e feconda; forza di rinascita e di rinnovamento; sorgente di speranza e fonte di servizio disinteressato agli ultimi; non chiusura nei confronti di altre prospettive culturali o religiose, bensì apertura e dialogo, sostenuto dalla profonda convinzione che ogni uomo è perdutamente amato da Dio. La fede fa parte delle nostre radici, senza le quali le nostre città non sarebbero le stesse.  È un dato di fatto, non un attentato alla laicità della società! Le nostre radici cristiane non sono un ostacolo, bensì una risorsa di energia che ci permette di migliorare il mondo e di affrontare con sapienza le sfide del futuro.

Concludo invocando per intercessione dell’apostolo Jacopo, la benedizione di Dio sull’intera nostra città e sulla diocesi, perché tutti noi che qui viviamo, da qualsiasi parte del mondo si provenga e qualunque sia il colore della nostra pelle, possiamo sperimentare la gioia di incontrare sul nostro cammino degli amici veri e sinceri».

+Fausto  Tardelli




I vescovi italiani: «Migranti, dalla paura all’accoglienza»

Gli occhi sbarrati e lo sguardo vitreo di chi si vede sottratto in extremis all’abisso che ha inghiottito altre vite umane sono solo l’ultima immagine di una tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci. Ci sentiamo responsabili di questo esercito di poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture. È la storia sofferta di uomini e donne e bambini che – mentre impedisce di chiudere frontiere e alzare barriere – ci chiede di osare la solidarietà, la giustizia e la pace. Come Pastori della Chiesa non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto. Animati dal Vangelo di Gesù Cristo continuiamo a prestare la nostra voce a chi ne è privo. Camminiamo con le nostre comunità cristiane, coinvolgendoci in un’accoglienza diffusa e capace di autentica fraternità. Guardiamo con gratitudine a quanti – accanto e insieme a noi – con la loro disponibilità sono segno di compassione, lungimiranza e coraggio, costruttori di una cultura inclusiva, capace di proteggere, promuovere e integrare. Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata.

La Presidenza della CEI




Un’opera segno in memoria del Vescovo Mansueto

Lunedì 23 luglio sarà celebrata l’inaugurazione della cittadella della carità “Hospitium Mansueto Bianchi”. Un progetto che prevede la realizzazione, a fianco della Mensa Caritas “don Siro Butelli” e dei locali del CEIS, di una nuova sede per il Centro di ascolto diocesano e di un dormitorio per senza fissa dimora o situazioni di grave emergenza abitativa con 12 posti. L’Hospitium sarà anche aperto ad accogliere pellegrini che sul tracciato della Romea Strata o dei cammini legati al culto jacopeo faranno sosta a Pistoia. Il progetto, sostenuto dalla Caritas nazionale e della Fondazione CARIPT, completa il restauro e la trasformazione dei locali del Tempio, consegnando alla città di Pistoia un nuovo significativo polo della solidarietà e dell’accoglienza. La nuova cittadella della carità del Tempio sarà anche il segno “permanente” dell’anno pastorale appena concluso e interamente dedicato ai poveri. A partire dal settembre scorso, infatti, la Chiesa di Pistoia ha accolto e meditato la lettera pastorale di Mons. Tardelli dal titolo “nei poveri il volto di Dio”. Un testo pastorale e insieme di meditazione, che ricordava la necessità di ascoltare, incontrare e condividere la vita con i poveri sviluppando forme di aiuto e assistenza. Una lettera in linea con le indicazioni di Papa Francesco, che proprio alla fine del 2017 ha istituito la “giornata mondiale dei poveri”, da celebrarsi ogni anno la domenica precedente la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.

La titolazione dell’hospitium a Mons. Mansueto Bianchi, compianto vescovo della nostra diocesi, intende mantenerne viva la memoria a ormai due anni dalla scomparsa e di legarla stabilmente alla vita diocesana, in particolare al servizio dei più poveri.

Il rimando al termine hospitium, infine, intende riallacciarsi alla secolare tradizione di accoglienza del nostro territorio, da sempre crocevia di uomini e popoli tra nord e sud della penisola e dell’Europa, legato, in particolare, al pellegrinaggio jacopeo. Il termine latino hospitium infatti, rimanda a hospes, cioè all’ospite, a colui che chiede e riceve accoglienza e riparo e indica, quindi, strutture dedicate all’alloggio e all’accoglienza di pellegrini e viandanti.

Alle ore 17.30 è prevista la benedizione dei locali, quindi alle ore 18.00 la Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Decollato o del Tempio. Seguirà un’agape fraterna nel chiostro del Tempio.




Il luglio della Chiesa pistoiese

Il programma degli appuntamenti diocesani per un mese che apre già al nuovo anno pastorale

Il Luglio della Chiesa pistoiese non è solo tradizione. Il calendario, all’insegna del culto jacopeo, è arricchito da ulteriori appuntamenti che segnano il cammino ordinario della Diocesi e sono espressione della vitalità ecclesiale.

Festa della Madonna dell’Umiltà

Martedì 17 Luglio la Chiesa di Pistoia celebra la festa della Madonna dell’Umiltà, compatrona, con San Giacomo Apostolo dalla nostra diocesi. Il 17 luglio 1490, infatti, l’effigie con la Madonna dell’Umiltà affrescata nell’antica cheisa di Santa Maria Forisportam emise una prodigiosa lacrimazione. Ancora oggi i segni di questa lacrimazione sono visibili sull’affresco. Il miracolo, avvenuto mentre in città infuriavano lotte fratricide e in una stagione di profonda crisi civile ed economica, accrebbe in tutta la diocesi il culto della Vergine. Attorno all’affresco miracoloso fu presto edificata la grandiosa basilica rinascimentale con la cupola progettata da Giorgio Vasari. La Santa Messa presso la Basilica della Madonna dell’Umiltà sarà presieduta dal vescovo Tardelli alle ore 18.30.

In occasione della celebrazione il vescovo conferirà il ministero dell’accolitato a Fratel Antonio Benedetto, priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia. Il ministero dell’accolitato lo chiamerà ad aiutare il presbitero e il diacono nelle azioni liturgiche, distribuendo o esponendo l’eucaristia, ma lo inviterà anche a vivere una particolare attenzione nei confronti dei poveri e dei sofferenti. L’accolitato prepara Fratel Antonio all’ordinazione diaconale e, successivamente, a quella presbiterale.

Festeggiamenti Jacopei

I festeggiamenti del santo patrono, San Giacomo Apostolo, si apriranno mercoledì 18 luglio con la tradizionale vestizione di San Jacopo. La statua del santo patrono sulla facciata della Cattedrale sarà – come di consueto – raggiunta e vestita con il caratteristico mantello rosso dai Vigili del Fuoco di Pistoia. Il rosso è il colore del martirio, perché San Giacomo fu il primo tra gli apostoli a cadere martire per la fede. Il mantello, invece, si lega alla leggenda popolare di un San Giacomo solidale e generoso con i più poveri, pronto a negare l’evidenza e coprirsi col mantello d’estate, piuttosto che pagare i creditori. Alle ore 18 sarà celebrata la messa cui seguirà, sul sagrato della Cattedrale, la Vestizione di San Jacopo a cura del Comando dei Vigili del Fuoco di Pistoia.

A conclusione della giornata, alle ore 21.15, è previsto un Concerto di musica per organo in onore del Santo Patrono. All’organo Costamagna (1969) della Cattedrale di San Zeno, Francesco Unguendoli eseguirà la Gran Sinfonia in do di Padre Davide da Bergamo (1791-1863) e la Sinfonia n° 5 in fa minore, op. 42 n° 1 di Charles-Marie Widor (1844-1937).

Un’opera ‘segno’ in memoria del vescovo Mansueto

Lunedì 23 luglio sarà celebrata l’inaugurazione della cittadella della carità “Hospitium Mansueto Bianchi”. Un progetto che prevede la realizzazione, a fianco della Mensa Caritas “don Siro Butelli” e dei locali del CEIS, di una nuova sede per il Centro di ascolto diocesano e di un dormitorio per senza fissa dimora o situazioni di grave emergenza abitativa con 12 posti. L’Hospitium sarà anche aperto ad accogliere pellegrini che sul tracciato della Romea Strata o dei cammini legati al culto jacopeo faranno sosta a Pistoia. Il progetto, sostenuto dalla Caritas nazionale e della Fondazione CARIPT, completa il restauro e la trasformazione dei locali del Tempio, consegnando alla città di Pistoia un nuovo significativo polo della solidarietà e dell’accoglienza. La nuova cittadella della carità del Tempio sarà anche il segno “permanente” dell’anno pastorale appena concluso e interamente dedicato ai poveri. A partire dal settembre scorso, infatti, la Chiesa di Pistoia ha accolto e meditato la lettera pastorale di Mons. Tardelli dal titolo “nei poveri il volto di Dio”. Un testo pastorale e insieme di meditazione, che ricordava la necessità di ascoltare, incontrare e condividere la vita con i poveri sviluppando forme di aiuto e assistenza. Una lettera in linea con le indicazioni di Papa Francesco, che proprio alla fine del 2017 ha istituito la “giornata mondiale dei poveri”, da celebrarsi ogni anno la domenica precedente la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.

La titolazione dell’hospitium a Mons. Mansueto Bianchi, compianto vescovo della nostra diocesi, intende mantenerne viva la memoria a ormai due anni dalla scomparsa e di legarla stabilmente alla vita diocesana, in particolare al servizio dei più poveri.

Il rimando al termine hospitium, infine, intende riallacciarsi alla secolare tradizione di accoglienza del nostro territorio, da sempre crocevia di uomini e popoli tra nord e sud della penisola e dell’Europa, legato, in particolare, al pellegrinaggio jacopeo. Il termine latino hospitium infatti, rimanda a hospes, cioè all’ospite, a colui che chiede e riceve accoglienza e riparo e indica, quindi, strutture dedicate all’alloggio e all’accoglienza di pellegrini e viandanti.

Alle ore 17.30 è prevista la benedizione dei locali, quindi alle ore 18.00 la Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Decollato o del Tempio. Seguirà un’agape fraterna nel chiostro del Tempio.

Celebrazioni jacopee

Martedì 24 luglio alle ore 17.30 è prevista la celebrazione dei primi vespri della Solennità di San Jacopo; seguirà la santa messa capitolare presieduta dal proposto del capitolo Mons. Umberto Pineschi.

In serata si svolgerà per le vie del centro storico la processione di San Jacopo: un importante e suggestivo momento ecclesiale che è radicato nella storia religiosa della città. La “Processione – Pellegrinaggio” partirà dalla Chiesa di San Francesco alle ore 21 per dirigersi alla Basilica Cattedrale di S. Zeno. Alle Parrocchie e alle Aggregazioni Laicali si consiglia, se possibile, di intervenire con i propri stendardi o labari.

Mercoledì 25 luglio, giorno della memoria liturgica di San Jacopo, è il grande giorno della solennità. In Cattedrale alle ore 10.00 è prevista la preghiera delle lodi mattutine, alle 10,30 l’accoglienza alle porte del Duomo delle autorità cittadine e del corteo storico; alle 11.00 sarà quindi celebrata la messa pontificale presieduta da S. E. Mons. Fausto Tardelli, durante la quale il sindaco della città accenderà la lampada votiva di San Jacopo e i rappresentanti dei rioni offriranno ceri votivi.

Quest’anno la solennità del Santo Patrono sarà accompagnata dalla consegna delle indicazioni pastorali per il nuovo anno. La Chiesa di Pistoia, infatti, ha organizzato il proprio percorso pastorale secondo le linee guida indicate dagli orientamenti pastorali per il triennio 2016-2019. Gli orientamenti raccolgono il frutto di un lavoro sinodale dell’intera diocesi e sono stati organizzati dal vescovo Tardelli in un programma triennale. Il primo anno è stato dedicato alla figura di Dio Padre, l’anno pastorale ormai concluso – come ricordato – ha invece indirizzato la riflessione e l’azione della Diocesi sui poveri; il prossimo anno sarà invece dedicato a far scoprire e vivere la Chiesa di Pistoia come “una comunità fraterna e missionaria”. Al termine del pontificale di San Jacopo il vescovo consegnerà, quindi, le sue indicazioni pastorali per il 2018/2019 ad alcune rappresentanze dell’intera diocesi.

PROGRAMMA

Martedì 17 Luglio, Festa della Madonna dell’Umiltà

ore 18.30: Basilica della Madonna dell’Umiltà. Santa Messa presieduta dal vescovo Tardelli. Conferimento dell’accolitato a Fratel Antonio Benedetto, priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia.

Mercoledì 18 luglio

ore 18.00: Cattedrale di San Zeno. Santa Messa e, a seguire, vestizione della statua di San Jacopo

ore 21.15: Cattedrale di San Zeno. Concerto di musica per organo in onore del Santo Patrono.

Lunedì 23 luglio

ore 17.30: Inaugurazione della cittadella della carità “Hospitium Mansueto Bianchi” presso i locali del Tempio

ore 18.00: Chiesa di San Giovanni Decollato (il Tempio). Santa Messa presieduta dal vescovo Mons. Fausto Tardelli

Martedì 24 luglio

ore 17.30: Cattedrale di San Zeno. Preghiera dei primi vespri della Solennità di San Jacopo

ore 18.00: Cattedrale di San Zeno. Santa Messa Capitolare presieduta da Mons. Umberto Pineschi

ore 21: Solenne processione di San Jacopo. Partenza dalla Chiesa di San Francesco.

Mercoledì 25 luglio. Solennità di San Jacopo.

ore 10.00: Cattedrale di San Zeno. Preghiera della Lodi mattutine presieduta dal vescovo.

alle 10,30: Accoglienza alle porte del Duomo delle autorità cittadine e del corteo storico dei rioni

ore 11.00: Cattedrale di San Zeno. Pontificale della solennità presieduto dal vescovo Mons. Fausto Tardelli, con accensione della lampada votiva. Al termine della messa consegna delle indicazioni pastorali per l’anno 2018/2019.




Conoscere e superare le dipendenze oggi

Come affrontare il crescente consumo di droghe? Intervista a Franco Burchietti, presidente del CEIS di Pistoia

di Daniela Raspollini

 Indagini recenti affermano la crescita preoccupante del consumo di droghe nel nostro paese. Una piaga che attraversa anche il nostro territorio e che non può essere sottovalutata. Franco Burchietti, presidente del CEIS, il Centro di Solidarietà di Pistoia, ci illustra il fenomeno indicando criticità e possibili vie duscita.

Dalla nascita del Centro ad oggi come è cambiato l’approccio dei giovani alla droga?

Mentre negli anni ‘70 e ‘80 il rapporto con la droga era una piaga sociale con un forte impatto nella vita quotidiana delle città, legato soprattutto al consumo endovena di eroina (le siringhe in ogni luogo!), oggi il fenomeno droga si è profondamente trasformato, tanto da non essere spesso più avvertito come problema rilevante. Tuttavia la tossicodipendenza, o per meglio dire le dipendenze, sono ormai quotidianamente in evoluzione e, negli ultimi 10 anni, il fenomeno ha visto un mutamento enorme, nelle forme (di dipendenza), nelle sostanze abusate e persino nelle modalità di assunzione. Oggi, ad esempio, soprattutto in Italia, si registra una crescita esponenziale dell’uso di psicofarmaci anche fra i giovani e di nuove sostanze acquistate online. La maggior parte dei giovani “sperimentatori” di sostanze si rivolge alle cosiddette nuove droghe o droghe di sintesi, progettate e costruite in laboratorio, caratterizzate da rischi e danni specifici. Questa fluidità del fenomeno chiede ai servizi di ripensare continuamente l’adeguatezza dei propri interventi. Di contro, invece, operiamo con un sistema di intervento che fa riferimento ad una normativa di quasi 30 anni fa e che ci costringe ad inseguire questa problematica senza mai raggiungerla. La complessità del “fenomeno” delle dipendenze necessita di interventi altamente qualificati e fortemente connessi ai bisogni mutevoli e variegati del territorio.

I giovani percepiscono i rischi legati alle droghe leggere?

Fondamentalmente no. Già la differenzazione tra droghe leggere e droghe pesanti, pur importante in rapporto ai percorsi pedagogico-terapeutici e riabilitativi, sembra portare verso una diffusione culturale che distingue tra ciò che fa male e ciò che non lo fa. Tutte le sostanze stupefacenti hanno effetti dannosi a livello psico-fisico, anche la cannabis con il suo principio attivo (THC). Tuttavia il persistere di un dibattito sulla legalizzazione e sul concetto di “leggere” ha come conseguenza una importante sottovalutazione del fenomeno e delle sue conseguenze. A volte anche nelle stesse famiglie: «nostro figlio si fa ogni tanto una canna…».

Come possono i genitori rendersi conto che i propri figli hanno problemi di dipendenza? Quali sono i “campanelli di allarme”? Quali i consigli vi sentite di dare loro?

Non è facile per una famiglia accorgersi in tempo che il proprio figlio, il proprio fratello o marito o moglie .. ha iniziato a fare uso di droghe. Ed è ancora più difficile accettare l’idea che questo sia avvenuto. Spesso la notizia è un fulmine a ciel sereno. Purtroppo le famiglie che decidono subito di consultare qualcuno che sappia indicare il giusto comportamento sono relativamente poche. Per disinformazione, per vergogna o per sbagliato senso di protezione, per sopravvalutazione delle proprie forze o sottovalutazione del problema, passa purtroppo un lungo periodo prima che qualcuno della famiglia decida di chiedere aiuto e consigli fuori dalle mura domestiche. La famiglia deve prestare particolare attenzione al comportamento del figlio, specialmente se osserva dei cambiamenti netti (rendimento scolastico, rapporto con i familiari, relazioni con gli altri, interessi). Se ci troviamo di fronte ad un progressivo ed indubbio mutamento del comportamento, con buona probabilità si sta osservando la presenza di un disagio importante che richiede l’intervento di uno specialista. Per aiutare l’adolescente ad accettare l’aiuto di uno specialista è opportuno non focalizzarsi tanto e solo sulla dannosità del “farsi le canne”, cosa che produrrebbe incomprensione e conseguente chiusura, bensì focalizzarsi sul malessere evidente (tristezza, chiusura verso gli altri, senso di inadeguatezza). Il nostro “sportello famiglia” è sempre aperto: basta rivolgersi alla sede di P.zza dei Servi (0573/368701), anche scrivendo a primicolloqui@ceispt.org, o ad una delle tre comunità terapeutiche, i cui riferimenti sono facilmenti reperibili sul sito: www.ceispt.org .

Quali sono, in base alla vostra esperienza, le problematiche più urgenti da affrontare?

Credo che abbiamo oggi di fronte tre ambiti principali di impegno:

  1. sviluppare maggiormente l’azione di prevenzione e contrasto alle dipendenze, tenendo anche conto delle sue nuove forme quali, ad esempio, il gioco d’azzardo.
  2. rafforzare il lavoro sulla fascia di età “minori – giovani adulti”, fortemente in fase di crescita nell’uso di sostanze psico attive, compreso lo stesso alcool.
  3. trovare nuove forme di alleanza con tutte le “agenzie” formativo-educative, a partire dalla famiglia.

È urgente la necessità di organizzare campagne di informazione e prevenzione; a questo proposito il Ceis come opera sul territorio?

In ambito territoriale della Provincia di Pistoia non esiste al momento un sistema pubblico e strutturato di sensibilizzazione e formazione di giovani adolescenti e delle famiglie. Il Ceis da anni, tuttavia, svolge interventi significativi di informazione – sensibilizzazione nelle scuole secondarie superiori; interventi che necessitano, ovviamente, di una loro sistematizzazione e generalizzazione a tutti gli Istituti scolastici superiori presenti sul territorio, nonché un pieno coinvolgimento delle famiglie, che costituiscono a nostro avviso -voglio ripetere- una delle “agenzie” primarie di formazione, prevenzione e contrasto a stili di vita scorretti.

In tal senso il Ceis si sta attivando per mettere a punto un nuovo progetto più generale di prevenzione, da attivare già dal prossimo anno scolastico.

A tal proposito vorrei tuttavia sottolineare come la problematica “prevenzione” continui ad essere scarsamente considerata a livello istituzionale: da anni non esiste più in Italia un “Fondo antidroga” e che ogni Regione ha un approccio diverso sul tema e, purtroppo, senza un progetto sistematico ed uniforme per la prevenzione. Senza di essa e senza un investimento serio, semplicemente non c’è futuro, né speranza in una progressiva evoluzione a favore del benessere dei nostri ragazzi.




Clima velenoso e minacce dentro e fuori dal web

In merito al clima di violenza verbale e alle ulteriori minacce ricevute anche tramite social network da don Massimo Biancalani si rende noto che il Vescovo stigmatizza e giudica come indegni e inaccettabili ogni insulto, offesa e soprattutto minacce nei confronti, specialmente, di un sacerdote. Questa posizione, già sottolineata in molte uscite pubbliche e in comunicati stampa emessi in precedenza, vuole essere un dato chiaro e permanente e che vale per ogni vicenda che metta in pericolo, anche solo ipotetico, la vita o la libertà d’espressione di un presbitero o laico. Vista la situazione – che appare di assoluta gravità – mons. Tardelli invita inoltre il sacerdote in questione, e chiunque si senta minacciato o oggetto di attenzioni dei cosiddetti “odiatori” del web, a denunciare l’accaduto alle forze di Polizia. Questa è infatti la procedura affinché si possa far avviare indagini approfondite a tutela della sicurezza e della libertà di tutti.

05/07/2018




Restare umani di fronte alla globalizzazione dell’indifferenza

Ancora naufragi e morte a largo della Libia. Soltanto nell’ultimo week end sono oltre cento i morti nelle acque libiche, oltre 2.500 i rimpatri forzati nei sedicenti “campi di detenzione” del Paese che si sommano agli altri 10.000 che già popolano le strutture gestite dalle autorità locali in condizione definite dagli operatori internazionali come “disumane”.

L’indifferenza di Bruxelles e le soluzioni che vengono proposte dal governo italiano in seno all’UE appaiono – per usare le parole del Cardinal Bassetti – volte perlopiù a “distrarre” la popolazione dal dramma epocale che stiamo vivendo e dai tanti problemi reali che pendono sul nostro paese.

Le morti che si susseguono, la chiusura dei porti, l’innalzamento di muri ai confini settentrionali e una permanente strategia della paura stanno minando in profondità il nostro stesso senso di convivenza comune e pacifica.

Di fronte a queste vicende avvertiamo  la necessità di  contribuire a una riflessione profonda per costruire una società più aperta e attenta all’altro, più disponibile al dialogo con il diverso che si fonda su una consapevolezza antropologica fondamentale: l’altro è una sorgente insopprimibile del progresso umano e pertanto una società non può sottrarsi alla responsabilità di spalancargli le porte, preoccupandosi di salvaguardare le reciproche identità. Tutto questo si rinnova nell’incontro  tra le diversità e dà luogo a significative convergenze con tutti gli uomini e le donne che credono nel valore della vita, nella dignità di ogni persona, nella solidarietà tra esseri umani senza ignorare che possano sorgere problemi o incomprensioni, ma certi che non esista altra strada che quella dell’incontro, del dialogo, della consapevolezza dei diritti e doveri di ciascuno.

Come ha affermato il Vescovo Fausto nel discorso per la Giornata mondiale per la pace (1 gennaio 2018): «sembra evidente che a chi bussa alla nostra porta in condizioni di grave disagio, di qualsiasi natura esso sia, non gli si può sbattere l’uscio in faccia. Sarebbe un atto disumano, sbagliato e sciocco. Proprio per questo, come chiesa di Pistoia siamo assolutamente a favore dell’accoglienza di persone che fuggono da situazioni di difficoltà di ogni genere e che ci chiedono aiuto». L’accoglienza, prosegue il Vescovo, va certamente organizzata «non alla meglio ma nel migliore dei modi possibile, da tutti i punti di vista. Di fronte al dramma delle morti nel mediterraneo o dei maltrattamenti delle persone, come pure di fronte a ogni forma di tratta o di schiavitù di esseri umani, non ci può essere alcuna indifferenza o passività».

La Caritas di Pistoia quindi non può non affermare il principio di apertura e accoglienza  verso tutti coloro che sfidano la morte, in fuga da guerre , carestie, genocidi. D’altra parte non si può ignorare il profondo disagio che attraversa il paese ormai da tempo. Oltre alla paura del diverso, infatti, si fa largo l’incertezza legata al domani, sulle precarietà economiche e di lavoro, sulle possibilità di creare un futuro solido e positivo, in altre parole migliore, per i propri figli. Per favorire un ragionamento di uscita da questa rappresentazione del presente è necessario evidenziare che il complesso tema dell’accoglienza, della gestione dei flusso di migranti non può essere scisso da una visione inclusiva e solidale della società, che non scarti o lasci indietro nessuno.

Il  Santo Padre, nell’Evangeli Gaudium, ha rilevato in modo chiaro che è proprio l’egoismo e un certo stile di vita che concorre ad alzare i muri dell’indifferenza: «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare. Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, o per potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppata una globalizzazione dell’indifferenza. Quasi senza accorgercene, diventiamo incapaci di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non piangiamo più davanti al dramma degli altri né ci interessa curarci di loro, come se tutto fosse una responsabilità a noi estranea che non ci compete. La cultura del benessere ci anestetizza e perdiamo la calma se il mercato offre qualcosa che non abbiamo ancora comprato, mentre tutte queste vite stroncate per mancanza di possibilità ci sembrano un mero spettacolo che non ci turba in alcun modo».

Anche il Card. Bassetti, parlando in particolare della situazione italiana, ha affermato: «Auspichiamo un governo che pensi veramente al bene comune partendo dalle famiglie, dai giovani e dai poveri. In particolare, spero con tutto il cuore che il governo sappia unire e pacificare, cercando di dare una risposta concreta a quel clima di rancore sociale che serpeggia nel Paese».

Partendo da questi autorevoli spunti vogliamo fare quindi appello a tutte gli uomini e donne di buona volontà affinché si possa mettere sempre e comunque al primo posto ogni vita umana, perché come scrisse Simone Weil  «In ciascun uomo vi è qualcosa di sacro. Ma non è la sua persona. Non è neanche la persona umana. È lui, quest’uomo, molto semplicemente».

Caritas Diocesana di Pistoia

foto di Francesco Malavolta




SS. Pietro e Paolo: in cattedrale la celebrazione con il vescovo e il ricordo dei giubilei sacerdotali

In occasione della solennità dei SS. Pietro e Paolo, venerdì 29 giugno, il vescovo Fausto Tardelli presiederà la celebrazione della Santa Messa in Cattedrale alle ore 18.00.

In questa ricorrenza la Diocesi celebra tradizionalmente gli anniversari sacerdotali; quest’anno, in particolare, la chiesa di Pistoia ricorda: il 60° anniversario sacerdotale di mons. Umberto Pineschi, il 50° di Mons. Renato Bellini e Don Ernesto Moro, il 25° di don Adam Tabieszwski.

Abbiamo raccolto di seguito le loro testimonianze di vita e ministero.

60° anniversario. Mons Umberto Pineschi

Mons. Pineschi ha svolto gran parte del suo ministero sacerdotale nell’insegnamento della musica sacra come nell’attività concertistica, spendendosi in prima persona nella salvaguardia del patrimonio musicale diocesano. Su questo fronte si è impegnato moltissimo, al punto che la sua dedizione e il suo lavoro sono stati molto apprezzati anche in altre diocesi.

Dopo la sua ordinazione, avvenuta il 21 agosto 1958, ha esercitato il suo ministero sacerdotale in Cattedrale come coadiutore del parroco per 13 anni, quindi come cappellano corale, infine come canonico dal 1993. Ha svolto servizio domenicale e festivo presso la chiesa dei SS. Prospero e Filippo dal 1984 al 1993, quando fu nominato cappellano del Monastero delle Monache Benedettine di Pistoia. Nel 2003 è stato nominato parroco della parrocchia dello Spirito Santo (per la Chiesa di Sant’Ignazio d Loyola) dove attualmente risiede. Questo suo ultimo incarico, rappresenta – a suo dire- l’esperienza più bella che ha vissuto nei suoi anni di vita sacerdotale.

Circa il suo impegno per la musica sacra è possibile ricordare anche il volume (giunto già alla quarta edizione) che raccoglie un repertorio di canti molto apprezzato fuori in diocesi e la sua attività di restauro e valorizzazione degli organi pistoiesi. Molti gli organi fatti realizzare direttamente da Mons. Pineschi, ad esempio quello nella chiesa del Carmine (Tronci 1840-Ghilardi 2008), il secondo organo di Sant’Ignazio (Ghilardi 2007), l’organo Tronci (1993) arrivato nella Cattedrale di Pistoia da Campi Bisenzio nel 1998 e, ancora in fase di costruzione, l’organo Ghilardi per la nuova chiesa della MAiC a Pistoia.

In questa ricorrenza Don Umberto intende proporre a tutti una riflessione di San Giovanni Maria Vianney, il santo Curato D’Ars dedicata al ministero sacerdotale: «Chi è un sacerdote? Un uomo che sta al posto di Dio, un uomo che è rivestito di tutti i poteri di Dio, provate ad andare a confessarvi dalla Santa Vergine o da un angelo: vi possono assolvere? No. Vi daranno il Corpo e Sangue di Nostro Signore? No. La Santa Vegine non può far discendere il suo divin figlio nell’Ostia. Se foste di fronte a duecento angeli nessuno di loro potrebbe assolvere i vostri peccati. Un semplice prete, invece, può farlo; egli può dirvi: “Va in pace, ti perdono”. Oh! Il prete è veramente qualcosa di straordinario! Il sacerdote non si comprenderà bene che nel cielo. Se egli comprendesse qui che cos’è, ne morirebbe non di spavento, ma di amore».
Daniela Raspollini

50° anniversario. Don Renato Bellini

«Si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto».
È guardando a questa immagine descritta da Giovanni, che nel 1998 si presentava alla Comunità di Vinci mons. Renato Bellini. L’ultima tappa di un percorso, compiuta come le altre, guardando alla Chiesa del grembiule, alla Chiesa del Concilio. Un servizio di 50 anni di sacerdozio, svolto, anche geograficamente, in tutta la Chiesa di Pistoia: dalla montagna di Pian degli Ontani e dell’Abetone al Montalbano Occidentale passando per la Curia stessa.

Consapevole che il Concilio Vaticano II non si era concluso nel 1965 e non era stato scritto una volta per sempre, ma che doveva essere vitalizzato e realizzato a partire da allora ed ancor più oggi, don Renato ha dato testimonianza da parroco con una serie continua di iniziative, incontri, attività. Da responsabile della Pastorale Diocesana ha orientato per diversi anni parrocchie, operatori e catechisti. Ma con quale spirito, con quale obiettivo?

Due orientamenti lo hanno sempre guidato: l’idea che comandare non significa imporre il proprio parere, ma andare insieme, preparare il terreno, predisporre, agevolare, stimolare; la volontà di aprire le porte e dare fiducia ai laici.
Nella grande storia italiana è questo atteggiamento libero ed aperto che ha permesso ad alcuni laici cattolici di permeare la stessa Costituzione di principi fecondi. Ma con il passare degli anni, per pretendere rispetto e considerazione, poteva magari arroccarsi rivestendosi di una corazza clericale. No! Anzi, questo lo ha più volte visto proprio come un pericolo per la chiesa stessa. Un atteggiamento che, ad esempio, nonostante la ormai comune riduzione dei partecipanti alla messa domenicale, gli ha permesso di vedere il grande affetto che la Comunità di Vinci nel suo insieme gli ha sempre riversato, oggi addirittura in un panorama più vasto, essendo titolare anche delle parrocchie di S. Amato, Vitolini, S. Ansano e S. Donato.

La città di Vinci è grata a mons. Renato Bellini, perché tante iniziative sono partite o condotte dai suoi impulsi prima con i giovani, poi con camminate, tra l’altro seguendo la via Francigena da Vinci a Roma in tre periodi. Alcuni organismi ed associazioni hanno ora una vita autonoma, a servizio del territorio: Casa Magdala nella sua funzione di residenza per il disagio mentale, Giovani Coppie, attiva con una scuola in Africa, Vinci nel Cuore con il Premio Letterario “Li omini boni”, Vincincontri con personaggi di prestigio. E poi la Palestina! Don Renato ha compiuto 17 visite in Terra Santa, accompagnando un gran numero di parrocchiani e di persone interessate, permettendo di vivere intensamente quei giorni anche con celebrazioni in luoghi particolari come il deserto di Giuda, ma senza mai staccarsi dalla realtà quotidiana, come lo sono stati altri pellegrinaggi ad esempio quelli svolti in Siria, in Giordania, in Turchia, in Armenia, in Iran.

Non voleva farne pubblicità, ma poi è stato divulgato. Il 1 marzo di quest’anno don Renato ha avuto la possibilità di celebrare la messa a S. Marta con Papa Francesco e di scambiare con lui alcune parole. Una grande emozione! Ma anche un segno del suo percorso …
Silvano Guerrini

50° anniversario. Don Ernesto Moro

Nel 50° della mia ordinazione sacerdotale mi piace ritornare a quel 15 dicembre 1968, per rivivere il Dono Grande del Sacerdozio, Dono Gratuito del Signore. È bello riassaporare la gioia di quella gratuità. A distanza di tanti anni ci sono ancora in me gli stati d’animo di stupore, di meraviglia e tanta riconoscenza.

Ripercorrendo il tragitto dei miei 50 anni di sacerdozio il primo pensiero di ringraziamento va ai miei genitori: a mio babbo Domenico e a mia mamma Valentina, un gigante nella fede in Gesù e Maria dalle ginocchia robuste che sostavano a lungo in preghiera. Un pensiero particolare poi, ai miei fratelli: don Luigi, ritornato alla casa del Padre un anno fa; don Vincenzo, parroco alla Chiesa Nuova, alle due sorelle suore: suor Anna e Suor Alberica, e ai mieri cinque fratelli sposati per il loro aiuto e la loro testimonianza cristiana.
Ringrazio tutte quelle persone (sacerdoti, religiosi, laici) che giorno dopo giorno mi hanno accompagnato e sostenuto, a partire dalla mia comunità parrocchiale di Dalmine, dove è maturata la mia vocazione sacerdotale. Senza paura di smentita la mia vocazione è nata sulle ginocchia di mia madre, dalle sue molte preghiere, dal senso di Dio che si respirava in famiglia. Mi ricordo il giorno che le dissi: «Mamma voglio diventare Sacerdote». Vidi illuminarsi i suoi occhi e scendere lacrime di gioia; poi mi disse: «Non sono degna di essere mamma di un Sacerdote “Alter Christus”».

Anziché entrare in seminario a Bergamo entrai in quello di Prato, sapendo che proprio in quell’anno mons Fiordelli iniziava un seminario di vocazioni adulte. Gli anni di seminario passarono presto e il 15 dicembre 1968 venni ordinato sacerdote dal vescovo Fiordelli nel Duomo di Prato, insieme al altri cinque sacerdoti. Ricordo ancora le sue parole durante l’omelia: «Da oggi le vostre mani sono come quelle di Cristo, accoglieranno il Verbo di Dio, spezzeranno il Pane di vita, benediranno e perdoneranno». Subito fui incaricato di svolgere il mio apostolato nelle fabbriche, per preparare gli operai alle solennità del Natale e della Pasqua.

Ricordo, inoltre, con affetto e riconoscenza, quelle parrocchie di montagna che mi furono affidate una volta incardinato nella diocesi di Pistoia: l’Abetone, Pianosinatico, Rivoreta, il Melo, Piazza: per ogni parrocchia una pagina di storia. Ma in particolare ricordo la parrocchia di Seano, che da 32 anni mi è stata affidata. Sono contento e ringrazio della buona collaborazione i diversi gruppi: cinque ministri straordinari dell’Eucaristia, il gruppo di venticinque catechisti, il gruppo Caritas, il gruppo S. Rocchino, il coro parrocchiale, gli scout AGESCI, il circolo ANSPI, i volontari della Misericordia, il gruppo degli amici di Medjugorje.

In questo anniversario mi è anche caro ricordare le parole dell’Apostolo Paolo: «Ti ricordo di ravvivare il Dono di Dio che è in te», il dono del Sacerdozio conferito con l’imposizioni delle mani. È un dono che si ravviva riscoprendo ogni giorno di essere conformati a Cristo, per il bene dei fratelli: celebrando l’Eucaristia, centro e cuore del ministero sacerdotale; con la preghiera quotidiana e l’Ufficio divino; con l’amore e la carità verso i poveri e i bisognosi, gli emarginati, non solo in parrocchia, ma oltre il confine della nazione, nelle zone poverissime di “Olghuin” a Cuba. È un mio sogno finire i miei ultimi anni insieme con i più poveri di Cuba.

In questi 50 anni di sacerdozio ho capito che il Sacerdote è l’uomo dell’ascolto. La gente ha bisogno di una buona parola, di essere incoraggiata, sostenuta, confortata, benedetta. Sì, Benedetta: perché il Sacerdote “Alter Christus” benedice, cioè “dice bene” di ogni persona, perché amata da Dio. Penso, però, che il segreto che ha animato e sostenuto giorno dopo giorno la mia vita sacerdotale, sia stata la profonda vicinanza con Cristo, amico, compagno, sposo.

Infine ho un ringraziamento particolare per Maria, perché il mio Sacerdozio lo devo a Lei. Il mio stile sacerdotale è mariano, tanto che ho affidato a lei il mio incarico di parroco a Seano considerandomi suo umile cappellano. Conoscendo i miei limiti e difetti, chiedo perdono a Dio e a tutti, per quello che avrei potuto fare e non ho fatto. Nonostante siano passati 50 anni di vita sacerdotale, non posso ammainare le vele: c’è ancora tanto da fare per il Regno di Dio; non mi è permesso perdere tempo, urge fino all’ultimo respiro servire i fratelli.
In questo anniversario canto con voi il mio Magnificat e dico grazie, indistintamente, a tutti voi per l’affetto, il sostegno, il conforto che mi avete dimostrato nel mio ministero pastorale. Davanti al Signore e alla Chiesa, rinnovo le promesse dell’Ordinazione Presbiterale e, attraverso le mani di Maria, il mio «sì» di fedeltà al Sacerdozio Ministeriale. “Ad multos annos”.

25° anniversario. Don Adam Tabieszwski

La vocazione di Don Adam è nata all’interno della sua famiglia, che gli ha consegnato una grande testimonianza di vita cristiana, ma che è stata poi rafforzata grazie alla partecipazione ad alcune organizzazioni cattoliche.
Don Adam proviene dalla Polonia ed è arrivato in diocesi ai tempi del Vescovo Simone Scatizzi. Nel 2001 il vescovo lo inviò a Capraia Fiorentina per accompagnare l’attività del parroco Don Pudlo Wieslaw. Don Adamo ha quindi svolto servizio per qualche mese presso la parrocchia di San Pierino Casa al Vescovo. Dal 16 ottobre 2002 svolge il suo servizio sacerdotale a Popiglio. Attualmente è parroco di quella comunità come delle parrocchie della Lima e di Lizzano.
Don Adamo ricorda con grande commozione il primo incontro con papa Giovanni Paolo II a Lublino in Polonia, nel periodo in cui era ancora seminarista. In quell’occasione lo aveva colpito il grande raccoglimento del papa nella preghiera; «osservandolo – afferma don Adamo- sembrava proprio che in quel momento tutto il mondo gli fosse presente nella preghiera».
Più recentemente don Adamo ha anche incontrato Papa Francesco a Santa Marta il 16 febbraio scorso, quando ha potuto ricordare la ricorrenza del suo 25° anniversario sacerdotale. In quella circostanza Papa Francesco gli ha dato la sua benedizione ringraziandolo inoltre dei libri che gli aveva donato.
Daniela Raspollini