I cattolici in politica secondo Mons. Tardelli

CATTOLICI IN POLITICA: IL BENE INTEGRALE DELLA PERSONA AL CENTRO DI UN RINNOVATO IMPEGNO

Una riflessione a tutto campo del vescovo di Pistoia. Criticità, punti fermi e proposte per una stagione complessa ma stimolante.

Il card. Bassetti, presidente della CEI, ha rivolto recentemente un appello all’impegno politico dei cattolici.
Lo aveva già fatto in altre occasioni e ritengo che vada preso molto sul serio. Mi domando però se nei cattolici italiani ci siano oggi punti di riferimento chiari, tali da motivare e dare sostanza al loro impegno politico. Mi domando quali siano, ma anche quali dovrebbero essere. Non credo che il problema stia nel fatto che si consideri la politica in se stessa qualcosa di “sporco” da cui il cristiano dovrebbe stare alla larga. Semmai c’è un giudizio negativo sulla politica praticata dai politici, ma questo è un discorso diverso.

Il problema mi pare invece un altro: ci sono ancora dei cattolici che sappiano cosa voglia dire esserlo? Ci sono ancora cattolici che abbiano un pensiero politico coerente e -cosa altrettanto importante- sappiano leggere la realtà alla luce di quel pensiero, trovando soluzioni politiche praticabili, offrendo inoltre una credibile testimonianza personale?

Non mi pare nemmeno del tutto vero che chi va in chiesa o almeno fa in qualche modo riferimento alla chiesa, si disinteressi di politica o non esprima col voto le sue idee. La maggior parte se ne occupa eccome di politica, e vota. Altrimenti non avremmo certi risultati elettorali, sia riguardo le amministrazioni locali oppure il governo del paese, con queste percentuali di affluenza alle urne. Forse qualcuno pensa che i cattolici si siano astenuti in massa o che non abbiano contribuito all’incremento dei partiti e delle coalizioni che hanno avuto più voti nell’ultima tornata elettorale?

COERENZA TRA IMPEGNO POLITICO E CRISTIANO

Il problema dunque è un altro: cioè che cosa si vota, quali scelte politiche si fanno e soprattutto sulla base di che cosa si sceglie. È quello cioè, della coerenza tra fede e scelte politiche; tra convinzioni di fede e impegno politico, dove il primo problema, a mio parere, è proprio la fede e le convinzioni di fede: dove sono? Quali sono?
C’è anche un altro elemento da non sottovalutare e da interpretare: un certo scollamento tra i sentimenti e le scelte politiche della maggioranza dei cattolici e quelle rappresentate dal cosiddetto “cattolicesimo democratico”. Sembra che la base cattolica non si ritrovi in quelle linee. Il grande Papa Paolo VI, nella Octogesima Adveniens, al n. 46 diceva che «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri» e aggiungeva che «i cristiani, sollecitati a entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e l’evangelo e di dare, pur in mezzo a un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini». Per i cattolici italiani però, cosa significa «impegno cristiano al servizio degli altri»? Cosa vuol dire «coerenza tra le opzioni e l’evangelo»? Più in generale: cosa dovrebbe caratterizzare l’impegno politico dei cattolici? Personalmente, ho come l’impressione che non lo si sappia o che in merito regni una grandissima confusione. Un po’ per la complessità della situazione e la difficoltà a leggere con obiettività la realtà, un po’ e soprattutto, per la confusione che regna sull’identità cattolica. Forse anche per quello scollamento a cui facevo riferimento, tra la base del popolo cristiano e le istanze del “cattolicesimo democratico” che hanno caratterizzato per lungo tempo l’impegno dei cattolici.

Potrebbe venirci in aiuto la “Nota della Congregazione per la Dottrina della fede circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica” del 2002, a firma dell’allora cardinale Ratzinger. In essa si afferma che: «i fedeli laici si devono impegnare a promuovere organicamente e istituzionalmente il bene comune, partendo da una retta concezione della persona. Su questo principio – testuali parole- l’impegno dei cattolici non può cedere a compromesso alcuno, perché altrimenti verrebbero meno la testimonianza della fede cristiana nel mondo e la unità e coerenza interiori dei fedeli stessi».

La nota suddetta esemplifica che cosa significhi «retta concezione della persona» e quali conseguenze “politiche” comporti la sua centralità. Riporto qui solo alcuni brani del testo come promemoria, rinviando a una lettura personale integrale. «Quando l’azione politica viene a confrontarsi con principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno, allora l’impegno dei cattolici si fa più evidente e carico di responsabilità.

Dinanzi a queste esigenze etiche fondamentali e irrinunciabili, infatti, i credenti devono sapere che è in gioco l’essenza dell’ordine morale, che riguarda il bene integrale della persona. È questo il caso delle leggi civili in materia di aborto e di eutanasia; il caso del rispetto e della protezione dei diritti dell’embrione umano; della tutela e della promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e diversa da ogni altra forma di convivenza; il caso ancora della libertà di educazione dei genitori; quello della tutela sociale dei minori e della liberazione delle vittime dalle moderne forme di schiavitù; quello del diritto alla libertà religiosa; quello dello sviluppo per un’economia che sia al servizio della persona e del bene comune, nel rispetto della giustizia sociale, del principio di solidarietà umana e di quello di sussidiarietà; il caso infine della promozione della pace. Non si tratta di per sé di “valori confessionali”, poiché tali esigenze etiche sono radicate nell’essere umano e appartengono alla legge morale naturale».

La nota riconosce poi la legittimità di un certo pluralismo nelle scelte politiche. «Dalla concretezza della realizzazione e dalla diversità delle circostanze scaturisce generalmente la pluralità di orientamenti e di soluzioni che debbono però essere moralmente accettabili».

IL BENE INTEGRALE DELLA PERSONA

Osservando con attenzione quanto si afferma nella nota, si può ben vedere come tutto ruoti attorno alla difesa e alla promozione del valore della persona umana, a qualsiasi razza o cultura appartenga, senza discriminazioni di sorta, a partire da coloro che sono più svantaggiati e dal momento del concepimento fino alla morte naturale. Una persona che è considerata intrinsecamente aperta alla trascendenza e agli altri; che comprende la dualità uomo e donna e quindi l’istituto familiare; che ha come connotato imprescindibile la libertà ma anche la responsabilità; che si realizza nella società anche se ha un destino eterno; una persona che ha diritti universali inalienabili, insieme a precisi doveri di rispetto di sé e degli altri, doveri cioè di solidarietà sociale. L’insieme di tutti questi elementi viene a delineare quello che nell’ambito della Dottrina sociale della chiesa è chiamato il “bene comune”.

Sorgono però subito un paio di problemi piuttosto grossi: il primo, che è dirimente, prende corpo in una domanda molto semplice: i cattolici condividono le affermazioni della nota e il suo impianto antropologico? C’è un comune sentire nel merito? C’è convergenza? Non vorrei sbagliarmi ma credo proprio di no. È difficile allora andare da qualche parte, se non si condivide la meta. Se le cose stanno così, anche se dispiace ammetterlo, ciò è dovuto in gran parte al fatto di aver buttato al macero la Dottrina sociale cristiana o – cosa non meno grave – di averla intesa solo come progetto politico. È da tempo che non si cerca di elaborare un pensiero sociale ispirato al Vangelo, ma esso non può nascere che come efflorescenza dell’incontro vivo e vivificante con Cristo, come pienezza di vita in Cristo. È questa la proposta che spesso manca nelle nostre parrocchie e di lì tutto il resto. Soprattutto difficilmente si trova quella formazione permanente, individuale e comunitaria alla vita in Cristo, che è la sola capace di generare prospettive convincenti anche di dedizione all’impegno politico per il bene comune.

Il secondo problema non è meno serio del primo e riguarda l’impostazione dello stesso impegno politico. La nota pone le questioni in termini validi ma piuttosto astratti, deduttivi. In un modo un po’ datato, direi. Oggi si ragiona diversamente e il consenso ricevuto da certe forze politiche lo dimostra. Oggi si parte dal concreto, da quel che si aspettano le persone, cercando quindi risposte ai loro problemi. Per fare politica, in effetti, non si può che partire misurandosi con la realtà, essendo capaci prima di tutto di leggere la società senza abbagli o “occhiali” ideologici.

A mio modesto parere, l’insuccesso elettorale di certe forze politiche è dovuto principalmente all’incapacità di leggere in profondità la realtà, i reali bisogni della gente e i cambiamenti in atto. E il cattolico? Ebbene, da una parte dovrebbe essere in grado di leggere la realtà, intercettando i bisogni reali delle persone, le paure, le ansie, le attese e i sogni; dall’altra, riuscire a dimostrare come quella visione dell’essere umano, della persona e della società, diciamo pure quell’orizzonte antropologico che porta con sé e che gli viene da una ragione illuminata dalla fede, non è astrazione ma luce fondamentale ed efficace, nonché istanza critica del presente, per trovare risposte concrete ai bisogni dell’oggi, nella prospettiva di un futuro migliore. La conclusione del ragionamento fatto fin qui potrebbe essere amara. Se, infatti, da una parte mettiamo l’inconsistenza dell’identità cattolica con relativa confusione nel definirla e dall’altra poniamo l’incapacità di misurarsi davvero con la realtà e non solo con le mode del momento, resta compromessa la possibilità di qualsiasi impegno politico.

UNA NUOVA STAGIONE DI ASCOLTO

Mettiamo allora i remi in barca e chi s’è visto s’è visto? Direi proprio di no. Con molta pazienza e umiltà, credo dovremmo innanzitutto pensare in termini di lungo periodo. Nell’immediato sarebbe già tanto se i cattolici che militano in politica, sia a livello locale che nazionale, riuscissero ad essere critici dall’interno, senza appiattirsi sui luoghi comuni o sugli slogan degli schieramenti a cui si decide di appartenere. Dovremmo poi provare ad ascoltarci e a parlarci liberamente e tranquillamente, pur da versanti opposti, per riscoprire ciò che accomuna i cattolici che vogliano essere tali; tentando di confrontarsi su di una lettura senza pregiudiziali, la più oggettiva possibile, dei fatti, dei problemi, delle attese e delle paure della gente. Partendo intanto col misurarsi, per esempio, su quanto è avvenuto con le ultime elezioni e il governo che ne è venuto fuori. Di primo acchito si potrebbe parlare di un trionfo dell’egoismo, dell’individualismo, della chiusura agli altri. E in gran parte è vero. Non mi pare però azzardato ritenere che al fondo si è manifestato soprattutto un disagio, un malessere, un rifiuto e una voglia di cambiamento che ha coinvolto anche le nuove generazioni e che andrebbe analizzato con attenzione.

È innegabile la dimensione di protesta e il desiderio di provare qualcosa di nuovo del voto del 4 marzo con le conseguenze che abbiamo sotto gli occhi. Però la protesta, lo sconforto, la rabbia, la ricerca di un cambiamento non si possono liquidare facilmente. Sarebbe un grave errore. Non è certo facile interpretare il disagio, la rabbia, la protesta e le aspettative. Dobbiamo però ugualmente interrogarci sulle cause. È una situazione indotta dai mezzi di comunicazione che amplificano e deformano? È la corruzione che, almeno secondo i media, appare dilagante? È la sensazione di insicurezza o la insicurezza reale? È la mancanza di lavoro o l’enorme precariato diffuso oppure ancora il debole sostegno alle famiglie con figli? Forse, perché no, il disagio è provocato anche dall’essere dentro una società liquida, senza punti di riferimento, dove si propugna come un bene la liquidazione di ogni identità, in un relativismo che confonde ogni cosa? E dove forse anche l’accoglienza è intesa da alcuni come negazione del valore della propria identità? Forse c’è anche nausea per le burocrazie europee che non risolvono i problemi? Forse, ancora, si reagisce al fatto che una certa parte politica ha spesso guardato dall’alto in basso il popolo ignorante, rivendicando per sé una superiorità ideale e morale che umilia e provoca?

Tante domande con poche risposte; però non possiamo eluderle. È urgente rifletterci sopra, perché la storia ci insegna che dal non ascoltato disagio delle popolazioni, snobbato, non preso in seria considerazione, spuntano sempre prima o poi scelte autoritarie, che magari avranno il volto cibernetico e affascinante di un algoritmo, ma non per questo meno pericolose e distruttive. Non basta però confrontarsi sulla realtà. Anche se, in questo momento, riuscire ad ascoltarsi e a parlarsi sarebbe già un bel contributo alla nostra povera Italia che rischia di deflagrare in una guerra di tutti contro tutti. Occorre anche, insieme, mettersi con serietà ad approfondire la Dottrina sociale della chiesa, evitando però il rischio di una sua lettura ideologica. La Dottrina sociale infatti è Vangelo vissuto e pensato, lievito dentro la realtà sociale. Poi si dovrebbe tentare di individuare risposte concrete sulla base di uno studio serio dei problemi e di un’altrettanta seria conoscenza e pratica del Vangelo di Gesù.

La stagione che stiamo vivendo credo in ogni caso che sia stimolante per la Chiesa, perché la stimola a rivedere le priorità della sua azione pastorale. Un’azione pastorale che sia quindi centrata per davvero sull’annuncio di Cristo morto e risorto e sulla vita nuova in Cristo, secondo lo Spirito; che valorizzi i carismi di tutti senza elitarismi e nello stesso tempo spinga a “pensare” la società e il mondo nell’orizzonte di un’integrale antropologia cristiana, unendo a questo “pensiero” la pratica dell’attenzione e del servizio alle persone, a partire da quelle più deboli. In questo modo potrebbe davvero sorgere col tempo una nuova bella stagione di impegno politico dei cattolici, capace di catalizzare le forze e i sogni di tanti uomini e donne di buona volontà, liberi e forti. Ce lo auguriamo.

+ Fausto Tardelli, vescovo di Pistoia

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In Italia crescono dipendenze e consumo di droga

Il 26 giugno è la giornata mondiale contro la droga. Il CEIS di Pistoia, da decenni impegnato nel contrasto alle dipendenze e in percorsi di accompagnamento e recupero, rilancia il comunicato redatto dalla FICT (Federazione Italiana Comunità di Recupero) per questa giornata di sensibilizzazione.

«Secondo la relazione europea sulla droga 2018, l’Italia è il terzo paese europeo per uso della cannabis e ottiene il quarto posto per l’uso di cocaina. I dati dell’Osservatorio europeo corrispondono purtroppo alle stime rilevate dall’Osservatorio dati dei Centri federati alla FICT nell’anno 2017: su oltre 9.858 persone accolte, circa il 50% degli ospiti risulta aver iniziato con la cannabis, circa il 24% con la cocaina, a seguire  l’eroina e altre sostanze…».

«Tutti gli esperti del settore – afferma Luciano Squillaci, Presidente FICT – manifestano una crescente preoccupazione verso il mondo digitale ed il mercato online perché difficilmente controllabile: sono 270 mila ragazzi a rischio dipendenza da internet. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ultimamente, ha riconosciuto ufficialmente la dipendenza da videogame come una patologia:  il “gaming disorder”,  il quale  è stato inserito nel capitolo sulle patologie mentali. I più coinvolti sono gli adolescenti dai 12 ai 15, 16 anni.

 Corriamo il pericolo di non saper leggere e monitorare il disagio dei nostri ragazzi con una politica che sembra abbia abdicato al proprio ruolo, normalizzando l’abuso di sostanze e le dipendenze come un male necessario del nostro tempo, magari costruendoci sopra business interessanti, come nel caso del gioco d’azzardo.

Strategie politiche inesistenti, problemi di budget che rendono difficoltoso il diritto alla cura (solo l’11% dei tossicodipendenti hanno la possibilità di accedere ad una comunità terapeutica), investimenti nella prevenzione ridotti zero.

Ci vuole una scelta coraggiosa, – afferma Squillaci – che rimetta al centro del dibattito la persona con i suoi bisogni. È necessario che il Governo nazionale e quello regionale si prendano realmente carico del problema, con investimenti adeguati al reale fabbisogno, a cominciare dai percorsi di prevenzione strutturati all’interno delle scuole e nei luoghi di aggregazione giovanili. Occorre fermarsi e ridisegnare il modello, innovare, ricostruire il sistema di cura, fondando gli interventi sulle evidenze scientifiche che in questi anni sono state validate, uscendo dalle logiche auto-riproduttive e salvifiche ormai appartenenti ad un passato remoto. Ed occorre farlo subito».

 «Fino a 30 anni fa -dice Squillaci- ancora si parlava di eroinomani, persone che volevano stare “fuori dal gruppo”. Poi, dagli anni ‘90, abbiamo avuto la diffusione della cocaina e delle droghe “ricreative”, quelle che servivano per uno scopo opposto, che miglioravano la perfomance, e consentivano di “stare nel gruppo”.

Negli ultimi 15 anni abbiamo: da una parte, il boom delle NPS (nuove sostanze psicoattive), delle droghe sintetiche, degli psicofarmaci; e dall’altra l’aumento esponenziale delle dipendenze “comportamentali”, quelle senza sostanza, come il gioco d’azzardo o le psicosi da internet dipendenza. Eppure, nonostante questa costante evoluzione, il sistema italiano di contrasto e cura è rimasto fermo al modello classico, pensato e costruito per l’eroina, disegnato da una normativa, il DPR 309/90, di quasi 30 anni fa. Non è un caso che sui 140mila tossicodipendenti in trattamento, 120mila abusano di eroina quale sostanza primaria. Il nostro modello di cura, ormai vetusto e ancora fondato sulla sostanza, invece che sulla persona, non è più capace di rispondere con efficacia ad un’epidemia in preoccupante e costante aumento. È come se si volesse curare ancora oggi la tubercolosi con i sanatori, o la peste con i salassi».

Info: comunicazione@fict.it

(comunicato)




Giovani in cerca di annunciatori credibili

Daniele Masciotra è animatore dell’oratorio parrocchiale di Oste (Montemurlo). Da anni è impegnato in parrocchia nella Caritas e nella catechesi. A lui abbiamo rivolto alcune domande sulla realtà giovanile.

Quali sono, a tuo avviso, le problematiche più diffuse legate al mondo dei giovani?

Il mondo giovanile è una realtà molto importante sulla quale le comunità civili e religiose, a mio avviso, devono investire sempre di più cercando di collaborare insieme per garantire una crescita ed una formazione adeguate alle nuove generazioni.

Spesso, purtroppo, i giovani di oggi sono sfiduciati nei confronti del loro avvenire, oppure vivono alla giornata senza nutrire sogni e progetti per il futuro.

È proprio vero, in riferimento ad un recente libro dedicato ai giovani, che..”piccoli atei crescono”?

Dal punto di vista spirituale, la sempre più scarsa frequenza al catechismo e ai gruppi giovanili, e la scelta di non seguire più l’ora di religione a scuola, è indice di come la componente religiosa nei giovani sia sempre meno diffusa. In questo ritengo che un ruolo fondamentale lo ricopra la famiglia che dovrebbe incoraggiare i ragazzi a fare esperienza di fede nei gruppi parrocchiali; invece spesso ci troviamo davanti ragazzi che vivono disagi, fragilità, rabbia perché spesso sono le prime vittime di situazioni familiari difficili, di emarginazione fra gli amici e a scuola…

Che cosa hai imparato dopo tanti anni di attività oratoriale in parrocchia?

Nella mia ventennale esperienza con i giovani in parrocchia, sia nei gruppi giovanili, che nell’attività oratoriale durante l’estate, ho imparato quanto siano importanti la presenza di figure che stiano con loro; i giovani hanno bisogno di modelli concreti e non virtuali, hanno bisogno di scoprire che al giorno d’oggi il reale è più bello del virtuale, hanno bisogno di qualcuno che si occupi di loro anche al di fuori della famiglia e della scuola; e questo spesso nelle parrocchie è possibile grazie alla presenza di educatori, animatori, catechisti che dedicano con generosità ed amore il proprio tempo al servizio dei ragazzi, mettendosi in gioco per loro, talvolta anche arrabbiandosi o correndo il rischi di essere defusi, ma senza smettere mai di amarli. I giovani hanno bisogno di esempi sani, di punti di riferimento. È importante saperli ascoltare, senza banalizzare i loro problemi, ma aiutarli a vedere la vita da più punti di vista. I giovani hanno bisogno di incontrare Gesù, di conoscerlo, di farne esperienza, di saperlo riconoscere nella vita quotidiana.

Ci sono delle figure alle quali oggi i giovani possano far riferimento?

La società di oggi spesso presenta ai ragazzi figure di riferimento non sempre positive; io negli ultimi tempi ne ho conosciuta una, ed è il servo di Dio Carlo Acutis, un giovane morto nel 2007 a 15 anni che nella sua breve vita ha saputo essere un testimone di Gesù per tutti coloro che lo hanno conosciuto, pur vivendo la vita di un normale ragazzo del suo tempo. L’eredita spirituale che il giovane Carlo ha lasciato, ne fa tutt’oggi un modello da seguire per giovani ed adulti. Per Carlo Acutis è già iniziato il processo di beatificazione. Inoltre voglio suggerire anche la figura di don Bosco che è sicuramente una di quelle da cui gli animatori di oggi possono attingere per vivere il loro servizio nei confronti dei giovani.

Che cosa ti sentiresti di consigliare a chi si trova a lavorare con i giovani?

Stare con i giovani è una scuola che non finisce mai; non si smette mai di imparare e di ricevere; richiedono tanta energia, la capacità di aggiornarti sempre per parlare con i loro linguaggi, ma sanno anche darti tanto.

Secondo me, l’importante è seminare; non è detto che saremo noi a raccogliere i frutti, ma l’importante è continuare a seminare.

Preghiamo affinchè il prossimo sinodo dei giovani sia una buona occasione guidarci come Chiesa nel dialogo con le nuove generazioni, e ci renda credibili annunciatori e testimoni della Buona Novella.

Daniela Raspollini




Vinci, nuova vita per la pieve di Sant’Ansano

VINCI – Sabato 23 giugno riaprirà finalmente ai fedeli e al pubblico la storica pieve di San Giovanni Battista a Sant’Ansano in Greti, antica chiesa romanica situata nel Comune di Vinci, chiusa dal marzo del 2012 perché a rischio crollo. La chiesa è stata oggetto negli ultimi anni di un lungo e articolato intervento di restauro, reso possibile grazie alle risorse messe a disposizione dalla Conferenza Episcopale Italiana dai contributi dell’8×1000, per tramite dell’allora vescovo di Pistoia Mons. Mansueto Bianchi con 145mila euro; dal Comune di Vinci, con 50mila euro, e dal Mibact che, attraverso il più importante piano antisismico finora finanziato sul patrimonio culturale statale, ha stanziato solo per la Pieve vinciana 266.737 euro. Il progetto di riqualificazione è stato messo a punto dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio della città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, in particolare dall’architetto Gabriele Nannetti, funzionario della Soprintendenza, a cui è stata affidata anche la direzione dei lavori. C’è stato anche il prezioso contributo delle famiglie della parrocchia, in particolare le famiglie Desideri, Conti, Lombardi Romana che hanno donato un nuovo organo a tre tastiere, e poi dell’associazione Sant’Ansano e delle ditte Computer Gross, Inpa e Alex&Co, che hanno dato un contributo per il restauro degli arredi. Il primo intervento portato a termine ha riguardato il consolidamento statico della chiesa, attraverso elementi di rinforzo, palificazioni e un muro di contenimento in cemento armato, che hanno consentito di arginare il dissesto del versante franoso adiacente all’abside e rendere stabile la chiesa. Successivamente, si è passati al consolidamento definitivo delle strutture fondali e dell’apparato murario. Le strutture murarie sono state riqualificate attraverso opere di legatura e ritessitura e con l’applicazione di bande in fibra di carbonio. Infine, è stato consolidata e restaurata la copertura absidale, ripristinate le superfici interne a intonaco e restaurate le pavimentazioni.

«Sabato 23 giugno – afferma il vescovo di Pistoia, Mons. Fausto Tardelli – sarà un giorno particolarmente lieto per la vitale comunità di Sant’Ansano e per tutta la diocesi. Questo restauro è un caso particolarmente felice, perché mostra chiaramente che instaurando rapporti di stima e collaborazione, e unendo le forze, si possono raggiungere ottimi risultati. Ancora non tutto è perfetto: alcuni interventi sono in divenire, ma ora la chiesa può essere di nuovo officiata e tornare alla sua funzione. La pieve torna a essere punto di riferimento per la comunità di Sant’Ansano che può nuovamente viverla, così come hanno fatto i suoi predecessori che per secoli in questo edificio antichissimo hanno pregato nelle occasioni liete e in quelle tristi, riconoscendosi come comunità nella fede, in un edificio che davvero non è fatto solo di pietre. Insieme alle antiche e stupende chiese romaniche della città di Pistoia, la Pieve di S. Ansano con qualche altra sparsa nel territorio diocesano, testimonia la secolare fecondità della fede cristiana e la sua capacità di suscitare una singolare bellezza, che parla anche all’uomo di oggi. Vorrei rivolgere anche un ringraziamento prima di tutto a tutti coloro che hanno scelto di devolvere il loro 8 x mille alla Chiesa Cattolica, e poi alla Conferenza Episcopale Italiana, che ha assegnato per questo intervento una cifra davvero ingente senza la quale non si sarebbe potuto completare il restauro».

«È una grande gioia aver ritrovato l’antica pieve dopo 5 anni di lavori per il restauro – commenta Monsignor Renato Bellini, parroco di Vinci – Una chiesa affascinante, per gli occhi e per il cuore, da guardare e da respirare per quanto è bella. Ha sempre rappresentato un punto di riferimento per le parrocchie dei dintorni perché fa da collante per la comunità. Una comunità che è ancora oggi solida, accresciuta e che si sta rinnovando, grazie all’arrivo dei giovani che hanno rivitalizzato il paese. Le celebrazioni che si faranno nella nuova pieve aiuteranno a crescere in armonia e integrazione tra le tante famiglie presenti. Ringrazio il Comune di Vinci, la Soprintendenza di Firenze, la CEI, le ditte, gli operai e tutte le persone che sono affezionate alla pieve e che si sono sempre messe a disposizione per collaborare».

«La riapertura al culto e più in generale al pubblico dei visitatori della più che millenaria pieve di San Giovanni Battista a Sant’Ansano in Greti – ha affermato soddisfatto l’assessore alla cultura del comune di Vinci Paolo Santini – ci riempie di autentica gioia. I lavori di consolidamento strutturale e di restauro hanno avuto una lunga durata, tuttavia interventi epocali come questo – sicuramente l’intervento più significativo dopo i grandi restauri effettuati dal 1942 al 1970 – richiedono studio preliminare approfondito, progettazione accurata, supervisione competente e soprattutto tempo e maestranze qualificate. Tutti questi fattori combinati insieme possono dare grandi risultati, come è accaduto a Sant’Ansano. E la collaborazione, anche economica – ha proseguito Santini – fra enti coinvolti e proprietà, fra il Comune di Vinci, la Diocesi di Pistoia, il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo con la soprintendenza competente, la conferenza episcopale italiana, stavolta ha davvero prodotto un ottimo risultato finale, riconsegnando ai fedeli e alla comunità intera, non solo vinciana, un gioiello architettonico romanico dalle caratteristiche uniche anche in Toscana e uno scrigno di tesori d’arte assolutamente straordinario. Adesso l’auspicio – ha concluso l’assessore vinciano – è che possiamo trovare tutti insieme le modalità più adeguate per inserire la pieve di Sant’Ansano nel circuito museale dei beni culturali vinciani, assicurando, a chi lo vorrà, di poter visitare un complesso architettonico dall’enorme valore storico».




Azione Cattolica: tempo di campi estivi

Mercoledì 20 giugno un incontro in seminario aperto alle famiglie e a chi volesse saperne di più

È finalmente arrivata l’estate e per tutte le bambine, i bambini, i ragazzi e le ragazze dai 6 ai 18 anni che hanno preso parte ai cammini di Azione Cattolica, ma anche per tutti quelli che ancora non la conoscono, sta per iniziare un momento molto importante: il tempo dei campi estivi!

Non a caso l’Azione Cattolica ha deciso di chiamare il periodo delle vacanze “tempo dell’Estate Eccezionale!” perché, a contrario di quello che si può pensare, vista la pausa dalle attività di catechesi, sia parrocchiali che diocesane, per tutti gli aderenti all’associazione è proprio in estate che è possibile vivere l’esperienza di incontro, condivisione, riflessione e preghiera più profonda di tutto l’anno.

I campi estivi sono infatti delle settimane di convivenza scandite da momenti di preghiera, catechesi di gruppo, scoperta dell’altro attraverso il pensiero e il gioco; sono esperienze di conoscenza profonda del Vangelo proprio attraverso la modalità educativa evangelica per eccellenza… il vivere insieme quotidianamente.

Per permettere a tutte le famiglie una consapevolezza maggiore su quello che l’Azione Cattolica di Pistoia propone per i campi estivi 2018 è stata organizzata una serata di incontro e introduzione, nella quale sarà possibile chiedere informazioni dettagliate, conoscere tutti gli educatori e comprendere ancora meglio quali siano le attività che i partecipanti avranno modo di vivere.

Tutti coloro che sono interessati a conoscere la proposta estiva dell’Azione Cattolica di Pistoia possono venire mercoledì 20 Giugno alle 21 in Seminario (entrata Via Bindi, cancello del Giardino della casa dell’Anziano, poi procedere fino al parcheggio sul retro del giardino).

L’incontro è aperto naturalmente a tutti i genitori che vogliono iscrivere i figli ai campi, ma anche a tutte le famiglie che non hanno ancora avuto un’esperienza diretta con l’Azione Cattolica e che desiderano scoprirla. Sarà un modo per iniziare insieme questo tempo estivo e renderlo veramente eccezionale!

Calendario dei campi estivi dell’Azione cattolica di Pistoia 2018

26 Agosto – 1 Settembre Azione Cattolica Ragazzi (6-11 anni)
Località Torsoli, Greve in Chianti (FI)

30 Luglio -5 Agosto Azione Cattolica Ragazzi (12-14 anni)
Loc. Pian Degli Ontani, Cutigliano (PT)

30 Luglio -5 Agosto Azione Cattolica Giovanissimi (15-18 anni)
Loc. Pelago (FI)

Per informazioni: ac.pistoia@gmail.com




Don Siro Butelli: il prete dei giovani e degli ultimi

24 anni fa moriva don Siro Butelli. Pistoia lo ricorda con una santa messa celebrata nella sua chiesa del Tempio, da poco meno di un anno riaperta ai fedeli.

L’iniziativa è scaturita da alcuni amici di don Siro, legati a lui per l’attività in Azione Cattolica. «È stato il mio responsabile ACR – precisa, a nome degli organizzatori, Don Pierluigi Biagioni -. Per me resta una grande figura di prete, aperta all’evangelizzazione e ai poveri. Giovedì 7 alle ore 21 abbiamo pensato di coinvolgere il vescovo Tardelli nel ricordo di don Siro, per raccogliere le diverse realtà collegate alla sua figura: l’Azione Cattolica, gli Scout, il Coro della Genzianella…». «Presto, – precisa don Pierluigi- è sorta l’idea di vivere questo momento secondo le indicazioni pastorali diocesane che invitano a ricordare, nell’anno dedicato ai poveri, figure di carità significative per il nostro territorio».

A più di vent’anni dalla sua morte vogliamo ricordarlo con la testimonianza di Carmine Fiorillo che ha vissuto molti anni al suo fianco.

La sua missione, che è rimasta poi nel cuore di tutti, è legata al suo impegno al Tempio..

Il suo ingresso al Tempio avvenne nell’ottobre 1954, quando il Vescovo mons. Mario Longo Dorni lo nominò alla Cappellania Curata il “Tempio”. Iniziò cosi la sua opera, complessa e multiforme come direttore del Ricreatorio del Tempio che divenne un luogo di formazione e di attività pastorali per i ragazzi e i giovani.

Con quale metodo educativo riusciva a interessare i ragazzi che frequentavano il Ricreatorio?

L’attività sportiva innestata nel percorso educativo è stata una delle principali attività svolte nel Ricreatorio. All’inizio don Siro aveva organizzato sei squadre di ragazzi, ma l’Unione sportiva Tempio sarebbe presto arrivata a contare 120 ragazzi all’anno. La nonna e la madre di Don Siro, l’infaticabile signora Amabile, lo aiutarono nell’accoglienza di questi giovani calciatori, lavandone a mano tute, calzettoni, pantaloncini e magliette. Il 70-80% dei ragazzi delle parrocchie cittadine frequentava il Tempio. Da questa esperienza sarebbe nata l’Unione sportiva Tempio Chiazzano di cui don Siro è stato presidente onorario; il campo sportivo di Chiazzano, non a caso, porta il suo nome.

Come ha svolto Don Siro il suo impegno per la formazione e attività pastorale tra i giovani?

Don Siro dal 1979 al 1982 ospitò nei locali del Tempio tutto il settore giovanile di Azione Cattolica ragazzi (ACR) e l’Azione Cattolica giovanile in qualità di assistente spirituale. Don Siro accolse anche il Clan Orizzonti, cioè gli scout della fascia liceale universitaria. Nei locali del Tempio trovarono sede centrale il Centro Italiano di Solidarietà (Ceis) presieduto da Suor Gertrude, nonché il gruppo alcolisti anonimi. Vorrei anche ricordare l’apertura del Cinema Roma d’Essai di cui don Siro è stato gestore. Non possiamo dimenticare, infine, il suo impegno per il Centro Turistico Giovanile.

Quando ha iniziato concretamente il suo impegno verso gli ultimi?

Dedicarsi agli ultimi è stato il suo più grande messaggio di speranza. Quando infatti, tra il 1970 e il 1980 cominciarono a sorgere i centri parrocchiali, l’afflusso dei giovani verso il Tempio diminuì progressivamente e Don Siro iniziò una profonda riflessione per ridefinire le finalità del Tempio. Nacque così nel 1986 la Casa di Reinserimento il Tempio, con la precisa finalità di fornire ospitalità a persone giovani e adulti che vivevano in particolari situazioni di disagio (alcolisti, disadattati, detenuti o ex detenuti, persone che avevano realizzato significative tappe del percorso di uscita dalla tossicodipendenza, disoccupati, ecc). A queste persone la Casa ha offerto ospitalità, una proposta di quotidiano impegno lavorativo e un progetto di reinserimento nella società. Questa proposta della “Casa” nacque dal profondo convincimento che la solidarietà, per e con gli ultimi, non può essere ‘delegata’, perché è in primo luogo responsabilità di ogni singola persona.

È questa esperienza che Don Siro ha sempre considerato la più importante della sua vita di uomo e di sacerdote: considerava infatti una ‘grazia’ averla attivata ed esserne coinvolto.

Cosa ti preme ricordare della sua persona, tu che lo hai conosciuto molto bene?

Mi ricordo che la stanchezza non aveva spazio nella sua vita. Quando era ricoverato all’Ospedale del Ceppo nel lontano 24 febbraio 1994 scrisse una lettera con queste parole: «la vita al Tempio non è certo una villeggiatura (…). Sono felice di una gioia profonda, che si radica nella vicinanza quotidiana con gli ultimi, nel mondo degli ultimi, coi bisognosi, nel luogo – il Tempio – in cui si tenta di dare risposte ai loro bisogni. Cosa dovrei desiderare di più? (…) Mi chiedi se sono stanco. No, non lo sono (…). La stanchezza, che fa marcia indietro, che si arrende, che spegne la speranza, non è mai stata, nè voglio che sia mai, un’esperienza per me».

Don Siro morì il 7 giugno 1994. Il giorno precedente, mentre lo accompagnavo all’Ospedale mi disse: «Carmine, coraggio: c’è bisogno di uomini che sappiano spendere la propria vita con forza d’animo e serenità di intenti».

Lo diceva con quel respiro tenue, prossimo al viaggio, mentre soffriva, oltre il velo che inteneriva il suo sorriso.

Daniela Raspollini




CREARE LAVORO: UN’OPERA DI MISERICORDIA

BONISTALLO – «Uno degli aspetti più crudi della crisi è l’aver messo le persone, i lavoratori di fronte a una scelta drammatica: penso a me e me ne frego di ciò che accade agli altri o al contrario continuo a sopportare di non venir pagato e di lavorare, anche con mezzi sempre più scadenti, scegliendo di non mettere in difficoltà i miei colleghi e amici?». Cosi Francesco – dipendente  di una piccola azienda artigianale di Prato – in una lettera letta da Don Cristiano d’Angelo, ha definito in poche parole uno dei drammi del nostro tempo: la crisi del lavoro. E lo ha fatto ieri sera (8 maggio) nel corso di una serata di preghiera e di ascolto di testimonianze organizzata dall’ufficio diocesano della pastorale sociale e del lavoro in collaborazione con la parrocchia di Bonistallo, intitolata «Il lavoro che c’è e il lavoro che non c’è».

«Come Chiesa – ha esordito Selma Ferrali, direttrice dell’ufficio pastorale – vogliamo essere vicini alle persone nei loro luoghi di lavoro, senza presunzione di risolvere i problemi, ma per stimolare chi lo deve fare e per alimentare la speranza. La Chiesa è vicina all’uomo : dove c’è l’uomo c’è la Chiesa, dove c’è la Chiesa c’è il Vangelo».

«Il lavoro oggi si presenta completamente destrutturato, frammentato, polverizzato, spezzato ha annotato  Luca Gori – costituzionalista e docente della Scuola Sant’Anna di Pisa – risulta quindi inutile vagheggiare a un ritorno a un’epoca che non c’è più. Semmai è utile chiedersi se e come si possa ripensare al “diritto al lavoro” e se necessario pensare a forme di diritto a un reddito minimo vitale».

Nel corso della serata sono emerse molte le storie di lavoro, alcune delle quali di successo: quella di Piero Mazzei, dirigente di una ditta di smaltimento rifiuti, Federico Albini della Albini e Pitigliani trasporti, Daniela Daniele, piccola imprenditrice agricola, che hanno raccontato il lavoro che c’è, che garantisce futuro e genera dignità.

Presente anche mons. Tardelli, che ha ricordato: Il lavoro è un diritto non è una concessione, un’elemosina, il lavoro spetta alla persona : dove non c’è viene un diritto ed allora si compie un’ingiustizia – ha sottolineato il vescovo –, occorre creare le condizioni perché questo diritto ci sia. In pratica – ha affermato Tardelli – creare lavoro è l’ottava opera di misericordia. Essere imprenditore è un carisma che va messo a frutto, è un dono speciale, una capacità complessa che viene da Dio. Ognuno è chiamato a fare la sua parte, anche la Chiesa dovrebbe di più».

Michael Cantarella




VIVERE LA FEDE IN FAMIGLIA

Domenica 13 maggio si celebra la Festa della famiglia

Seguendo le indicazioni pastorali del vescovo Fausto Tardelli anche quest’anno la diocesi di Pistoia celebrerà la Festa della famiglia domenica 13 maggio. “Una giornata speciale” dedicata alla famiglia e “l’occasione di una adeguata contemplazione della famiglia di Nazaret e dei suoi esempi, a beneficio delle nostre famiglie” (Direttorio di pastorale familiare, CEI) affinché venga celebrata “la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie” (Papa Francesco).

Il tema scelto dalla conferenza episcopale della Toscana per questo anno è “La fede, preziosa eredità di famiglia“.

Chiediamo ad ogni parrocchia e associazione di celebrare, nelle modalità che ritiene opportune, questa festa (ad esempio con il rinnovo delle promesse matrimoniali, omelia dedicata al tema, benedizione e preghiera al termine della liturgia, incontri, giochi etc. ). L’ufficio ha anche preparato un segnalibro dedicato a questa giornata che potete ritirare alla libreria San Jacopo.

L’equipe di Pastorale con la Famiglia




IL MAGGIO A VALDIBRANA

Tante iniziative per il mese di maggio a Valdibrana. Come ogni anno tanti i fedeli che personalmente, con le comunità parrocchiali, gruppi o associazioni, si recheranno in pellegrinaggio al Santuario della Madonna delle Grazie di Valdibrana.

Per tutto il mese di maggio, il mese mariano per eccellenza, l’orario delle messe subirà le seguenti variazioni:

Nei giorni feriali la messa è alle ore: 18.00

Domenica e Festivi: ore 7.00 – 8.30 – 11.00 – 16.30 – 18.00

Tutti i giovedì sera alle ore 21.00 il rosario animato dai cori parrocchiali.

Segnaliamo anche alcuni prossimi appuntamenti:

Domenica 6 maggio ore 16.30: messa dei migranti

Domenica 6 maggio ore 18.00: messa per il pellegrinaggio dell’Azione Cattolica di Pistoia. La santa messa sarà preceduta alle 17.00, nei locali della nuova aula liturgica, da un incontro di presentazione delle attività dell’associazione.

Martedì 8 maggio alle ore 11.00 santa messa presieduta dal vescovo Fausto Tardelli nel giorno della festa della Madonna di Valdibrana.




MONS. TARDELLI PRESENTA: «GAUDETE ET EXSULTATE»

Il vescovo Tardelli rilancia e commenta l’invito alla santità di Papa Francesco

Lunedì 7 maggio alle ore 21, presso la Cattedrale di San Zeno, il vescovo di Pistoia presenterà ai fedeli la nuova esortazione apostolica “Gaudete et exsultate” sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. La serata, organizzata dall’unità pastorale del Centro Storico di Pistoia, è aperta a tutti.

Nella sua nuova esortazione, Papa Francesco invita a «non avere paura della santità». La santità, spiega, «non ti toglierà forze, vita e gioia. Tutto il contrario, perché arriverai ad essere quello che il Padre ha pensato quando ti ha creato e sarai fedele al tuo stesso essere (…) Non avere paura di puntare più in alto, di lasciarti amare e liberare da Dio. Non avere paura di lasciarti guidare dallo Spirito Santo. La santità non ti rende meno umano, perché è l’incontro della tua debolezza con la forza della grazia. In fondo, come diceva León Bloy, nella vita «non c’è che una tristezza, […] quella di non essere santi».

Il testo, reso noto quasi un mese fa, non si presenta come «un “trattato”», quanto come «un invito a far risuonare nel mondo contemporaneo una vocazione universale, la chiamata a diventare santi».  Un appello alla santità rivolto a tutti, per riconoscere «la santità della porta accanto» e far crescere «la classe media della santità».

Un intento che il Papa svolge in cinque capitoli ben riassunti da padre Antonio Spadaro,direttore di Civiltà Cattolica. «Il punto di partenza è “la chiamata alla santità” rivolta a tutti. qui si passa alla chiara individuazione di “due sottili nemici” che tendono a risolvere la santità in forme elitarie, intellettuali o volontaristiche. Quindi si prendono le beatitudini evangeliche come modello positivo di una santità che consiste nel seguire la via “alla luce del Maestro” e non una vaga ideologia religiosa. Si descrivono poi “alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale”: pazienza e mitezza, umorismo, audacia e fervore, vita comunitaria e preghiera costante. L’Esortazione si conclude con un capitolo dedicato alla vita spirituale come “combattimento, vigilanza e discernimento”.

L’esortazione apostolica è stata pubblicizzata dalla sala Stampa vaticana anche grazie a un video-spot. È la prima volta che un documento pontificio è accompagnato da un video di presentazione.