ASCOLTARE, DISCERNERE, VIVERE LA CHIAMATA DEL SIGNORE

Domenica 22 aprile la Chiesa celebra la 55a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni

Ogni vita è una chiamata. Per tutti il Signore sogna la santità e ad essa chiama ogni uomo e ogni donna secondo una via del tutto personale che può passare per il matrimonio cristiano, la vita religiosa o il sacerdozio, così come attraverso un’attività di servizio, un lavoro svolto secondo la volontà di Dio o perfino un’esistenza segnata dalla fragilità.

Anche nella Diocesi di Pistoia, tuttavia, il Signore non si stanca di chiamare a una vita di speciale consacrazione come al ministero sacerdotale. Attualmente, infatti, la Chiesa di Pistoia conta sei seminaristi: Eusebiu Farcas, Alessio Bartolini, Maximilien Baldi, Alessio Biagioni, Andrea Torrigiani e Sandro Pacini. I seminaristi frequentano il Seminario arcivescovile di Firenze, si ritrovano ogni fine settimana a Quarrata con il rettore e svolgono un servizio pastorale in alcune parrocchie della Diocesi o in cattedrale per le celebrazioni con il vescovo.

Insieme hanno provato a riflettere sulle parole chiave indicate da Papa Francesco nel suo messaggio in occasione della Giornata di preghiera per le vocazioni 2018: «Ascoltare, discernere, vivere la chiamata del Signore».

Ascoltare Dio

Ascolto significa mettersi in silenzio, dedicare tempo al silenzio per sentire la voce di Dio e capire la chiamata che il Signore ci fa. Indaffarati e distratti come siamo se non ci fermiamo un momento in silenzio non riusciamo ad ascoltare. Mettersi in ascolto è l’occasione per accogliere Dio.

Ascoltare i fratelli

L’Ascolto di Dio e della sua Parola è fondamentale nella vita del cristiano, ma è importantissimo anche l’ascolto dei fratelli, perché l’apertura verso gli altri va di pari passo con la nostra apertura al Signore. Un ascolto discreto, attento, rispettoso della libertà dell’Altro, disponibile e non frettoloso di dare risposte.

Discernere

Il discernimento ci permette di acquisire una più profonda conoscenza di noi stessi. È un anello di congiunzione tra l’ascolto e la vocazione. Un percorso nel quale ci mettiamo alla luce dalla Parola per comprendere il disegno di Dio su di noi.

Vivere la chiamata del Signore

La vocazione nasce dalla dimensione di ascolto e dalla domanda «chi sono io?»; «a chi appartengo?». Le risposte le troviamo solo all’interno della realtà e perciò è necessario smettere di fuggire da essa e calarci nella realtà più profonda di noi stessi.

Scoprire la propria vocazione significa iniziare a leggere i segni che sono quotidianamente presenti nella nostra vita e decidere di interpretarli con Gesù. Conoscerlo e seguirlo significa accettare che Egli ha un sogno per noi, implica fidarsi della bontà di Dio e confidare nella Sua parola che dà vita. Significa assumere i suoi stessi sentimenti per scoprire che la Sua bellezza abita in noi e ci rende capaci di cose straordinarie.

Per me la vocazione è innamorarsi giorno dopo giorno di Gesù sempre di più. È anche annunciare e testimoniare agli altri l’amore di Dio per noi con l’esempio. Ma è anche un percorso di conversione, dove scopriamo di essere amati per quello che siamo.

La preghiera per le vocazioni può rivolgersi a volti e storie concreti.
Ecco quelle dei seminaristi diocesani.

Eusebiu Farcas ha 24 anni ed è nato in Romania. La sua vocazione ha origine in parrocchia, vicino all’altare dove per tanti anni ha prestato il suo servizio come chierichetto. All’età di 14 anni è entrato nel seminario minore, dove ha iniziato la formazione e la verifica della sua vocazione. Eusebio si è poi trasferito a Pistoia presso il seminario vescovile, per continuare la formazione verso il sacerdozio ministeriale. Attualmente frequenta il quinto anno di Teologia e svolge il suo servizio pastorale presso la parrocchia dell’Immacolata a Pistoia.

Alessio Bartolini ha 38 anni ed è originario della Parrocchia del Sacro Cuore di Montemurlo. Già militare nell’esercito italiano è poi passato nella Croce Rossa italiana, dove ha lavorato fino al suo ingresso in seminario. È seminarista al quinto anno di studi teologici e all’inizio di quest’anno ha ricevuto il ministero di accolito. Presta il suo servizio pastorale presso la Parrocchia di Quarrata, come cerimoniere vescovile e membro dell’Ufficio Liturgico Diocesano.

Maximilien Baldi ha 33 anni, è nato in Francia e cresciuto in Toscana. Ha lavorato per 15 anni come imbianchino finché nel settembre del 2015 è entrato a far parte della comunità del seminario di Pistoia. Nel suo primo anno di seminario ha conseguito il diploma di Liceo Scientifico e adesso è al secondo anno del quinquennio filosofico-teologico. Svolge servizio pastorale a Poggio a Caiano.

Alessio Biagioni ha 38 anni ed è nato a Pistoia. Da sempre coltiva passione per il cinema. È stato autore e regista di numerosi cortometraggi. Dal 2004 ha esercitato la professione di avvocato. Il 26 settembre 2016 è entrato nel Seminario di Pistoia e frequenta il secondo anno della Facoltà Teologica a Firenze. Svolge attività pastorale presso le parrocchie di Vignole e Casini.

Andrea Torrigiani è nato a Pistoia 26 anni fa. Dopo la maturità ha svolto diversi lavori, anche all’estero, tra cui quello di cuoco. Svolge attività pastorale presso l’unità pastorale del Centro storico. Questo è il suo secondo anno di seminario.

Sandro Pacini è nato a Pistoia e ha 34 anni. Diplomato in chimica industriale si è poi laureato, svolgendo la professione, come tecnico radiologo. Ha una grande passione per la musica lirica. Lo scorso ottobre ha fatto ingresso nel Seminario di Pistoia. Attualmente frequenta il secondo anno del quinquennio filosofico-teologico a Firenze e svolge attività pastorale presso la parrocchia di Gello.

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ANTONIO PAOLUCCI PER IL RITORNO DELLA VISITAZIONE IN SAN GIOVANNI

Venerdì 27 aprile lectio magistralis del noto storico dell’arte sul patrimonio artistico diocesano

PISTOIA – La Visitazione è tornata a casa. Dopo il grande successo dell’esposizione nella chiesa di San Leone, il capolavoro di Luca della Robbia ritrova posto nella chiesa di San Giovanni Fuorcivitas a Pistoia. Un rientro accompagnato da una novità significativa: la Visitazione sarà infatti collocata in una diversa posizione, più rispettosa della documentazione antica, in linea con quella attestata prima dello smontaggio dovuto al secondo conflitto mondiale.

Il ritorno del gruppo di Della Robbia sarà accompagnato dalla presenza e dalle parole dello storico dell’arte Antonio Paolucci. Volto notissimo, anche ai meno esperti, Paolucci ha ricoperto numerosi e prestigiosi incarichi: studioso del Rinascimento, soprintendente, ministro dei Beni Culturali, direttore dei Musei Vaticani, senza mai perdere le qualità del fine conoscitore e del grande divulgatore. I suoi contributi appaiono sulle principali riviste d’arte e su importanti quotidiani, tra cui il mensile di Avvenire “Luoghi dell’Infinito” di cui è collaboratore da tanti anni.

Venerdì 27 aprile, alle ore 17, in San Giovanni Fuorcivitas Antonio Paolucci offrirà una relazione sul patrimonio artistico della Diocesi di Pistoia. Un intervento che guiderà i presenti alla scoperta di tesori, forse ancora sconosciuti ai più, presenti nel territorio diocesano. Il suo intervento sarà preceduto da un’introduzione della Dott.ssa Maria Cristina Masdea, funzionario della Soprintendenza, già curatrice dell’esposizione in San Leone. Porterà i suoi saluti il vescovo di Pistoia Mons. Fausto Tardelli. La partecipazione è aperta all’intera cittadinanza.

LA VISITAZIONE

Il gruppo della Visitazione fu realizzato da Luca della Robbia intorno al 1445 per l’altare della Compagnia della Visitazione nella chiesa di San Giovanni Fuorcivitas di Pistoia ed è una delle prime opere in terracotta invetriata, tecnica di cui Luca è considerato l’inventore. L’artista per primo applicò alla scultura in terracotta una copertura in smalto stannifero che rendeva la superficie lucida e resistente, iniziando una produzione di grande successo. Il gruppo raffigura l’incontro tra Maria e Elisabetta, come è narrato nel Vangelo di Luca (Lc 1, 39-45). Maria, dopo aver ricevuto dall’angelo l’annuncio del concepimento di Gesù, va a trovare la cugina Elisabetta che, nonostante l’infertilità e l’età avanzata, è al sesto mese di gravidanza. Appena Elisabetta sente il saluto di Maria, il bambino che ha in grembo (Giovanni il Battista), sussulta di gioia. Maria risponde innalzando a Dio un canto di lode, il Magnificat.




DIACONI: CUSTODI NEL SERVIZIO DELLA CHIESA

Riapre in diocesi il cammino per il diaconato permanente

La conferenza episcopale toscana ha redatto un nuovo documento sul diaconato permanente: «Custodi nel servizio della Chiesa. Orientamenti e norme per il diaconato permanente nelle chiese toscane» (novembre 2017).

Il testo è stato presentato giovedì 12 aprile dal vescovo Fausto Tardelli in occasione dell’incontro mensile con il clero diocesano.

Non si tratta di un documento dottrinale, ma di un testo che vuole essere concreto e attento alle mutate esigenze della realtà e che nella diocesi di Pistoia accompagna anche la riapertura del cammino al diaconato permanente dopo diversi anni di stop.

Nel documento, dopo una premessa sul carisma diaconale, vengono offerti alcuni orientamenti pastorali sul discernimento vocazione e la formazione; seguono alcune indicazioni relative all’esercizio del ministero diaconale.

Il testo evidenzia il carisma proprio dei diaconato che esprime la rappresentanza di Cristo in quanto servo. L’animazione della diaconia è un carisma. Proprio perché tutto il popolo cristiano viva la diaconia i candidati andranno individuati tra coloro che già la svolgono e mostrano una disponibilità al servizio. Per questo ogni candidatura dovrà fiorire all’interno di una comunità cristiana. Una valutazione speciale sarà poi riservata alla famiglia qualora il candidato sia coniugato. L’età minima per accedere alla formazione è per i coniugati 31 anni; 21 per i celibi.

Un capitolo importante riguarda la formazione, che pure -cosi come per il clero- non si esaurisce con l’ordinazione, ma è inserita in un cammino di formazione permanente. In merito si richiede un percorso di tre anni escluso l’anno propedeutico. La formazione al diaconato prevede infatti, un anno propedeutico dedicato al discernimento e alla formazione di base, così come richiesto anche a chi acceda al seminario in vista dell’ordinazione sacerdotale.

La formazione si articola in: umana, spirituale, teologica e pastorale.
Una particolare attenzione deve essere riservata anche alla famiglia qualora il diacono sia sposato.

Si richiede anche una solida preparazione intellettuale. Prioritariamente il piano degli studi dovrà avvalersi dove è possibile, degli Istituti di Scienze Religiose attraverso un triennio dilazionabile nel tempo in base alle esigenze personali del candidato. Occorre, comunque, essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore.

La formazione del diacono si apre anche alla missionarietà, secondo quanto indicato in Evangelii Gaudium. I diaconi, infatti, si caratterizzano come avanguardie.di una Chiesa in uscita. La loro formazione deve puntare anche alla «capillarità», perché il ministero sia diffuso nel territorio, particolarmente dove, in genere, la pastorale ordinaria non arriva. Il delegato episcopale, dovrà seguire il discernimento del candidato al diaconato.

La terza parte del documento precisa il ruolo del tutto speciale del diaconato nella conversione missionaria della Chiesa. Anche la chiesa di Pistoia è orientata ad aprirsi sempre più alla missione. Su questo impegno si concentrerà a partire dal triennio 2020-2023.

Il diacono è chiamato ad operare nelle diverse pastorali di ambiente: lavoro, scuola, carcere, sanità…, secondo la triplice forma in cui si esprime la diaconia: liturgia, predicazione e carità (LG 29).

L’ultimo capitolo del documento è dedicato a obblighi e diritti del diacono richiamandone alcune peculiarità: incardinazione, missione canonica.
Laddove ci sia l’esigenza il diacono potrà svolgere una funzione di supplenza nelle parrocchie. Il sacerdote potrà quindi rivestire la funzione di moderatore pastorale, mentre il diacono ricevere l’incarico di cura pastorale. Nel loro servizio, inoltre, i diaconi possono anche essere destinati alla cura delle comunità cristiane disperse.

Chi volesse saperne di più è invitato a contattare il proprio parroco.

(ucs)




IL PROFUMO DELLA VITA

Venerdì 23 marzo, con il tragitto dal Battistero di San Giovanni in Corte alla chiesa di San Giovanni Fuorcivitas, si è concluso il cammino delle stazioni quaresimali; un «itinerario quaresimale che ci ha visto attraversare la città da un chiesa all’altra, andando dietro al Signore, per cercare Colui che ci ha cercato e trovato per primo».

Un cammino fermatosi alle soglie della Settimana Santa, che prima di ripercorrere la passione di Cristo ha fatto gustare, in anticipo, il profumo della vita. Il vangelo di venerdì scorso raccontava infatti la vicenda di Lazzaro: «il tripudio della vita – ha ricordato il vescovo Tardelli nella sua omelia -. La resurrezione di Lazzaro, amico di Gesù, come la risurrezione del figlio della sunamita ad opera del profeta Eliseo, ci fanno sentire la gioia, il profumo, l’allegria della vita».

Una fragranza che fa misurare tutta l’incompatibilità tra l’uomo e la morte. «Possiamo compiere tutti gli sforzi del mondo per assuefarci alla morte; possiamo tentare di esorcizzarla in ogni modo; cercare di tenerla lontana dalla nostra vista, dalla nostra esperienza….. Ma non c’è niente da fare. Pur nello stordimento della distrazione – ha ricordato il vescovo -, essa, col suo carico di tristezza, di gelo e di ineluttabilità, torna ad assalirci sempre di nuovo (…). Tutto si ribella in noi di fronte alla morte. Non siamo fatti per la morte».

La vicenda degli uomini, senza l’orizzonte di Dio, resta incastrata nel dramma della finitudine e della fragilità. Avvertiamo, infatti «come una contraddizione inaccettabile venire alla vita, respirarla a pieni polmoni, magari superando grandi difficoltà, e poi finire nel vuoto di un sepolcro. Per tutto questo, il miracolo della risurrezione di Lazzaro rappresenta una esplosione di gioia e di speranza». Eppure anche Lazzaro, tornato alla vita, era destinato a morire di nuovo. Il miracolo della vita sfuma forse nell’illusione?

Forse qualcuno si ricorda –di quel film scandaloso, ma per niente banale che è l’Ultima tentazione di Cristo di Scorsese – la scena in cui Gesù chiama Lazzaro a uscire dal sepolcro. D’improvviso, dall’oscurità del sepolcro, Lazzaro tende la mano a Cristo. Gesù è quasi sconvolto dalla forza della sua preghiera. La mano tesa di Lazzaro, già segnata dalla decomposizione, lo afferra e lo trascina con sé, per un attimo, nel buio del sepolcro. Immagine sconvolgente di un Cristo inconsapevole di fronte all’orrore della morte.

I Vangeli ci dicono che la morte non ha l’ultima parola. Che Gesù, con buona pace di Scorsese, è entrato davvero nel buio del sepolcro ma, seppure dentro il dramma della passione, ci è entrato consapevolmente. E ne è uscito risorto. Occorre, dunque, «andare più in profondità e leggere le cose alla luce, non tanto della risurrezione di Lazzaro ma di quella di Cristo (…) Alla luce di Cristo allora, morto e risorto per portare a compimento il disegno del Padre; morto e risorto nel segno dell’amore che è Dio stesso, possiamo comprendere che la vita vera, quella piena ed eterna, che già comincia quaggiù ma che si realizzerà definitivamente oltre la morte, è quella che si condensa nell’amore».

Cedere all’orrore e allo sgomento della morte, è per il cristiano una tentazione. «Ben misera cosa sarebbe però – ha precisato il vescovo- fermarsi a gustare la superficie della vita, i suoi aspetti esteriori, le sue manifestazioni più contingenti se non andassimo invece al succo della vita; se non andassimo ad attingere alla fonte della vita vera che è Gesù Cristo».

Ben misera cosa sarebbe se cedessimo alla nostra ‘ultima tentazione’, quella di sfuggire alla volontà di Dio, «se non imparassimo a godere della gioia che ci viene da questa vita di Dio in noi, che è libertà dal peccato, pienezza d’amore, carità operosa nei confronti dei fratelli. In questo modo, niente di ciò che è veramente umano viene disprezzato o perduto, anzi, nella vita di grazia che lo Spirito Santo realizza in noi, tutto trova pieno significato e profondità».

Il rischio di non andare in profondità e di non riuscire a cogliere il “di più” di vita che ci dona il Signore conduce ad un’esistenza perennemente in bilico sull’abisso. La notte dei morti viventi è in realtà il lungo giorno di chi rincorre la vita laddove non c’è: «Anche se brindassimo tutti i giorni alla vita, anche se passassimo i giorni nella spensieratezza di tutte le possibili gioie terrene; anche se avessimo tutto e tutto ci potessimo permettere, saremmo nient’altro che dei morti che camminano per le strade».

Una prospettiva assai misera ed amara, almeno quanto la celebre battuta del film horror “la notte dei morti viventi” : «Vivere assieme per noi non è una gran gioia, ma morire assieme non risolverà niente». Chi è già morto dentro non possiede – ha continuato il vescovo – «la vita di Dio, la vera vita, quella Grazia santificante che proviene solo da Dio e si realizza soltanto nell’amore da Lui ricevuto e a sua volta donato a Lui e agli altri».

È proprio di fronte alla possibilità di vivere da morti, come se non ci fosse prospettiva davanti all’orrore della morte «che Gesù, come dice il racconto evangelico, letteralmente “scoppiò in pianto”. Pensiamoci».

«Alla luce interiore della Grazia – ha concluso mons. Tardelli-, anche il morire terreno diventa occasione di lode e gratitudine». Non c’è nessuna morte (neanche la seconda morte di Lazzaro) che possa sottrarre alla vita piena chi si lascia raggiungere dall’amore di Dio.
«È San Francesco a dircelo nel suo meraviglioso cantico delle creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare: guai a•cquelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no ’l farrà male.”»

Leggi l’intera omelia..




“CHIAMATI ALLA VITA”. GIOVEDÌ 22 LA VEGLIA PER I MISSIONARI MARTIRI

Giovedì 22 marzo a Montemurlo si celebra in Diocesi la ventiseiesima Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri.

Nella nostra diocesi la veglia di preghiera, presieduta dal vescovo Tardelli si svolgerà in data 22 marzo alle ore 21 nella parrocchia di Montemurlo.

Il tema di quest’anno è: “Chiamati alla Vita”. Durante la celebrazione, infatti, saranno ricordati i 23 – fra sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche- che sono stati uccisi in odio alla fede e che quindi la Chiesa ha riconosciuto martiri, chiamati “a vita nuova” in Cristo.

In questi giorni la nostra Missionaria Nadia Vettori è tornata dal Brasile. Si conclude così la sua esperienza missionaria svolta per oltre 43 anni in Brasile. Per alcuni anni è stata a Manaus insieme a Don Enzo Benesperi e Don Umberto Guidotti, mentre dal 2004 era a Balsas, dove ha costruito la “casa della Comunità”, una struttura polivalente dedicata alla promozione sociale della popolazione a cominciare dai bambini, dai giovani e dalle donne con attività che spaziano in vari campi, dalle attività ludiche, al sostegno scolastico dei ragazzi e dei bambini, alla promozione del lavoro femminile, all’educazione religiosa e civile della popolazione.

Da sempre il Centro Missionario Diocesano ha dedicato la raccolta della quaresima missionaria al sostegno dei missionari fidei donum diocesani. I progetti sostenuti sono sempre stati legati alla loro attività: la raccolta 2018 verrà dunque destinata, sostanzialmente a due progetti:

– al sostegno di Don Marcello Tronchin, l’ultimo sacerdote fidei donum della nostra Diocesi, che opera in Ecuador in una parrocchia periferica della Città di Esmeraldas, in un contesto di forte degrado economico ed esistenziale. Don Marcello, pur essendo quasi ottantenne e con qualche problema di salute, continua la sua attività missionaria in favore di quella popolazione, in particolare di ragazzi problematici.

– Al sostegno del progetto di fraterna cooperazione fra la Diocesi di Pistoia e quella di Balsas, legata alla nostra anche dal ricordo di Mons. Rino Carlesi, nostro concittadino, che è stato per lunghi anni Vescovo amatissimo di Balsas nonché grande amico del Centro Missionario Diocesano.

Daniela Raspollini

 




SOLENNE CELEBRAZIONE DEL CORPUS DOMINI IN CATTEDRALE

Giovedì 15 giugno alle ore 21 appuntamento in Cattedrale per la celebrazione del Corpus Domini, con la Santa Messa solenne presieduta dal Vescovo Tardelli. A seguire la Processione Eucaristica per le vie del centro (vedi locandina per il percorso).

Il Santissimo sarà esposto per l’Adorazione Eucaristica ininterrottamente fino alle 17,30 di sabato 17 giugno.

La solennità del Corpus Domini (“Corpo del Signore”) è una festa di precetto, chiude il ciclo delle feste del periodo post Pasqua e celebra il mistero dell’Eucaristia istituita da Gesù nell’Ultima Cena. Clicca qui per approfondire sul portale di Famiglia Cristiana




PRIMI MESI ALLA GUIDA DELLA DIOCESI: INTERVISTA A MONSIGNOR TARDELLI

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1- Monsignore, dopo quasi sei mesi dal suo arrivo a Pistoia che profilo può tracciare della città?

E’ ancora presto per tracciare un profilo attendibile della città. Ogni giorno di più mi rendo

conto di quanto devo ancora conoscere e capire. Posso quindi soltanto parlare di prime

impressioni che, dico subito, sono sostanzialmente positive. Esprimerei tutto questo con

una sensazione: mi trovo a mio agio in questa città. Non l’avrei pensato, prima di

avvicinarla almeno un po’. E invece, con una certa mia sorpresa, devo dire che mi ci trovo

bene. E’ una città viva e vivace. Bella. Come uno scrigno misterioso che incuriosisce. E

che racchiude gioielli preziosi, sul piano artistico, culturale, sociale. Una città ancora

popolare, vissuta, abitata, come non accade più ormai in tanti centri storici pedonalizzati a

oltranza e diventati artificiali set cinematografici dove si trovano solo monumenti, uffici

oppure splendide ma fredde vetrine.

2- Com’è cambiata, se è cambiata, la prospettiva e la visione che aveva della città

inizialmente?

Si, in effetti è un po’ cambiata. Confesso candidamente che sapevo davvero poco di

Pistoia, pur essendo cresciuto in una città come Lucca che è a due passi ed essendo stato

vescovo della vicina San Miniato per 10 anni. Non la conoscevo e, scioccamente, pensavo

poi che non ci fosse niente di speciale in questa città. Mi sbagliavo. La prospettiva è

cambiata fin dal momento del mio ingresso in città, quando ho sperimentato una grande e

calorosa accoglienza, una vicinanza e un affetto immediato che non immaginavo. E così,

giorno dopo giorno, ho cominciato a scoprire la bellezza di questa città e della sua gente.

Una città che con magnifico e azzeccatissimo aggettivo è stata chiamata da Bigongiari

“rocciosa”. Forse esagero un po’ – ma ho cominciato ad innamorarmene..

3- Come descriverebbe i pistoiesi?

Ho trovato gente schietta, sincera, con animo buono, dove una innegabile certa spigolosità

non è che l’altra faccia della schiettezza. Gente concreta, laboriosa, accogliente e…. mi

sia permesso di dirlo, che cucina molto bene! Ho trovato intraprendenza e inventiva,

radicata attenzione ai sofferenti, ai poveri, a chi è in difficoltà. Mi par di notare a volte, ma

credo di scoprire l’acqua calda, una certa tendenza alla frammentazione. Frammentazione

in gruppi e interessi, se non proprio in lotta, che viaggiano un po’ a compartimenti stagni.

Cosa che credo alla fine impedisca quel gioco di squadra soprattutto oggi tanto necessario

per raggiungere obiettivi di autentico sviluppo sociale.

4- Cosa le piace di più di Pistoia? Cosa invece non le piace?

Ciò che mi piace di più è la sua sensibilità sociale, l’attenzione diffusa e generalizzata nei

confronti del prossimo. L’ospedale del Ceppo, con le sue stupende formelle robbiane che

illustrano le opere di misericordia, non è solo un bel monumento. E’ la carta d’identità di

una città e di un popolo, pur attraversato da forti contraddizioni testimoniate nella storia da

aspre contese e lotte fratricide. Cosa non mi piace? Più che altro direi ciò che mi

sembrerebbe bisognoso di miglioramento e cioè la consapevolezza del proprio valore e

delle proprie risorse, la capacità di fare squadra e di giocare in squadra, la convinzione

delle proprie radici cristiane testimoniate tra l’altro da stupende chiese, in particolare da

quella serie pulpiti che la fanno unica al mondo.

5- Veniamo alla Diocesi… Ha scritto una lettera alla Diocesi dove ha dato le linee guida

per il primo anno di episcopato pistoiese: un itinerario di ascolto e discernimento. Quale

riflessione l’ha portata a seguire questa strada?

Sono partito da ciò che sentivo urgente per me. Il Signore mi ha inviato in questa terra, a

una chiesa che ha la sua storia, le sue vicende liete e tristi, il suo cammino. Sentivo e

sento la necessità di capire che cosa il Signore mi chiede oggi qui. Ho pensato allora che

questo periodo di discernimento nello Spirito Santo, potesse essere anche quello di tutta

una chiesa, dopo il lungo episcopato di Mons. Scatizzi e quello più breve ma intenso di

Mons. Bianchi e all’epoca di papa Francesco. Mi son detto che la chiesa, nel suo insieme,

laici e preti, consacrati e famiglie, giovani e anziani, parrocchie, associazioni e movimenti,

vive dello Spirito, deve essere docile al suo soffio vitale, deve costitutivamente e

abitualmente lasciarsi guidare dallo Spirito. Per cui ogni giorno è in stato di discernimento

per comprendere qui ed ora dove lo Spirito la sospinga a testimoniare la gioia del Vangelo

e l’amore misericordioso di Dio. Con la mia prima lettera pastorale ho inteso dire

esattamente questo.

6- Su che cosa ha voluto che la Diocesi riflettesse con questo percorso?

Ho chiesto intanto che ci si mettesse in preghiera, invocando con umiltà e fervore lo Spirito

Santo, perché “se il Signore non costruisce la città, invano faticano i costruttori”. Poi che ci

si sforzasse di leggere i segni dei tempi. Ciò che la chiesa universale sta compiendo con i

sinodi sulla famiglia, ciò che le chiese che sono in Italia stanno portando avanti col

convegno ecclesiale per un nuovo umanesimo in Cristo. Ho chiesto ancora che si

cercasse di cogliere i tratti salienti del cammino diocesano compiuto in questi anni per poi

proiettarsi in avanti. Prima l’esortazione apostolica Evangelici Gaudium e adesso la

proclamazione dell’anno santo della Misericordia da parte di papa Francesco attendono da

noi una risposta.

7-  Pensa che abbia dato buoni frutti?

I frutti del lavoro pastorale si vedono solo a lungo termine. Mi pare di cogliere comunque

un certo impegno, una buona accoglienza della mia lettera, uno sforzo per camminare

insieme. Mi rendo conto che ci sono tante fatiche, forse anche incertezze dovute al cambio

del vescovo dopo un periodo di sede vacante. Sono però molto fiducioso.

8- Quali sono i punti di forza della Diocesi di Pistoia e quali quelli di debolezza secondo

lei?

Anche qui la risposta non può che essere approssimativa e provvisoria. Vado ancora per

impressioni e debbo dire ogni giorno è una scoperta. Di problemi ma anche di grandi doni

dello Spirito. Resto quindi in attesa. Già fin d’ora comunque, girando la città e le periferie,

nella campagna e nella montagna, nelle varie comunità parrocchiali come nei gruppi, mi

sento di dire che c’è tanto di bene. C’è ancora partecipazione e coinvolgimento, fervore di

fede e di carità. Più di quanto uno si potrebbe aspettare o di quanto i vari mezzi di

comunicazione dicono in genere della chiesa. Vedo una grande attenzione ai poveri, ai

deboli, agli scartati del mondo. Vedo in tanti volti la gioia del Vangelo, di Gesù vivo e vero.

Riscontro però anche un certo procedere a compartimenti separati. Noto qualche

scollamento e indifferenza che non ci dovrebbe essere, tra realtà ecclesiali diverse, tra

parrocchie, tra centro diocesi e periferie.

9- Quali sono le prime problematiche diocesane su cui ha intenzione di intervenire?

E’ ancora presto per dirlo compiutamente, lo ribadisco, ma certo, scorgo già delle urgenze:

la formazione permanente del clero, l’attenzione educativa verso adolescenti e giovani

come verso le giovani famiglie, la riforma in senso missionario delle parrocchie e di tutta la

pastorale con un’apertura sempre più grande nella verità alla condivisione con gli ultimi di

sofferenze e speranze testimoniando la misericordia di Dio; la crescita del senso

comunitario e prima di tutto, il rinvigorimento della fede in Gesù morto e risorto con

l’approfondimento dell’esperienza viva di Lui, via, verità e vita. Ecco, già fin d’ora mi paion

queste alcune delle problematiche che meriteranno attenzione e impegno.

10- Quali le prospettive di lavoro futuro per la Diocesi

Sulla traccia di quanto ora ho affermato, ritengo si possa guardare al futuro. Quello che mi

preme però e che si cammini insieme, che ci si senta ognuno parte di un corpo che è

quello di Cristo e che insieme si viva nell’unità variegata e molteplice dei carismi e dei

dono, “perchè il mondo creda” e si salvi, come ci ricorda l’evangelista Giovanni.