La testimonianza dell’apostolo Jacopo

L’omelia del Vescovo Tardelli nella Messa Pontificale del 25 luglio 2024, giorno di San Jacopo

Il ricordo del santo patrono e la conclusione del Sinodo diocesano

 

Fratelli nel sacerdozio, rev. Capitolo di questa nostra Cattedrale, rappresentanti del Capitolo della Cattedrale di Pescia, diaconi, seminaristi, religiose e religiosi, autorità tutte della città e della Provincia, civili e militari, rappresentanti dei rioni e della giostra, fedeli, uomini e donne qui presenti per festeggiare il nostro Santo Patrono, San Jacopo: un saluto affettuoso e sentito a tutti voi.

Ci ha detto Gesù nel vangelo rivolto proprio a Jacopo, al nostro Jacopo e agli altri apostoli: “Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così: ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

Il riferimento a ciò che accade nel mondo è, purtroppo, azzeccato, dobbiamo riconoscerlo. Chi ha il potere, lo usa spesso per schiacciare gli altri, per sottometterli, per affermare se stesso o per fare i propri interessi. Le democrazie dovrebbero essere abbastanza immuni da tutto questo, perché il loro criterio fondamentale è il servizio del popolo. Stiamo però constatando una grave crisi delle democrazie nel mondo, la disaffezione alla partecipazione, la presenza comunque della corruzione. 

Non è esente da tutto questo purtroppo la stessa Chiesa, lo stesso popolo di Dio nei suoi membri. Non per niente Gesù si rivolge proprio al Collegio apostolico ed erano stati proprio Jacopo, il nostro San Jacopo insieme al fratello Giovanni, a cercare tramite la madre, posti di onore e di potere. 

Ecco perché San Paolo nella seconda lettera ai Corinti dice che l’apostolo porta un tesoro inestimabile, che è la parola di Dio e la sua Grazia, però in vasi di argilla, immagine che dice la debolezza e la fragilità della nostra umanità, segnata dal peccato. 

Tutti dunque siamo invitati a cambiare i nostri pensieri e comportamenti, sottoponendoli al vaglio di un solo criterio: il bene comune. Il bene dell’umanità. Non cercando prima di tuto il nostro interesse, ma quello di tutti. 

La testimonianza dell’apostolo Jacopo, che ha dato la vita per Cristo, primo fra gli apostoli, ci richiama alla consapevolezza di dover affrontare anche noi con coraggio, per essere anche soltanto uomini degni di questo nome ma ancor più come cristiani, i rischi e pericoli che si incontrano se si vuol perseguire giustizia e pace.  

Oggi più che mai. Attraversati da terribili correnti di morte, potremmo essere sopraffatti dal terrore o dal desiderio di rinchiuderci in noi, cercando disperatamente di metterci al sicuro. Non vogliamo fare gli eroi, questo no. Ma certo dovremmo cercare di essere uomini e donne con una coscienza sincera e retta, che hanno a cuore il bene dell’umanità, aldilà di ogni distinzione e appartenenza; che sanno fare il proprio dovere quotidiano dovunque si trovino; che si sforzano di operare ogni giorno secondo verità e giustizia e per la pace.

Ecco, dunque, il nostro sinodo diocesano. Quello che abbiamo celebrato a 88 anni dall’ultimo e primo dopo il Concilio Vaticano II, è stato esattamente il tentativo collettivo che ha mobilitato gran parte della chiesa di Pistoia e anche realtà non ecclesiali, di rinnovare la nostra fede in questi nostri tempi, riformando anche la nostra chiesa; di rinnovare la testimonianza della carità e la presenza nei territori tra la gente, come seminatori della speranza che non delude.

È doveroso e bello rendere grazie a Dio per quello che è avvenuto: l’aver cioè cominciato, sotto l’impulso dello Spirito Santo, ad assumere uno stile sinodale che vuol dire camminare insieme come popolo di Dio, corresponsabili della missione del Vangelo; l’aver inoltre ascoltato e individuato attraverso un discernimento comunitario, guidato sempre dallo Spirito Santo, quelle che sono le principali attese di Vangelo presenti in noi e nelle persone dei nostri territori; quelle sfide che lo Spirito Santo ci mette davanti e alle quali abbiamo cercato di rispondere, individuando strade e percorsi. 

Vorrei sottolineare questo fatto che chiamerei una vera e propria profezia per il nostro mondo e per il tempo che stiamo vivendo. Mentre oggi l’umanità sembra frantumarsi, dividersi, contrapporsi, in un mondo dove tutto sembra portare quasi inesorabilmente allo scontro e alla guerra; dove la violenza pare prendere sempre più il sopravvento e anche ideologie imperiali di forza e potenza sembrano rinascere, la chiesa, con semplicità e senza far rumore, va invece contro corrente: si riunisce insieme, si mobilita, si mette in ascolto di Dio e della coscienza di ognuno, si confronta nelle sue membra, cerca di camminare insieme, pur essendo composta da persone diversissime le une dalle altre. Davvero con il sinodo, la chiesa sta manifestando chiaramente quella sua identità che il Concilio Vaticano II ha ben descritto: “Segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”.

Il nostro sinodo ha individuato alcune sfide importanti, alcune grandi priorità con cui misurarsi: nove per la precisione, per ciascuna delle quali sono state indicate, attraverso un’ampia consultazione e il lavoro delle assemblee sinodali, percorsi di impegno e di cambiamento per un rinnovamento della nostra chiesa e della sua presenza sul territorio. 

La prima e fondamentale sfida individuata dalle assemblee sinodali è così sintetizzata: “L’attesa di Vangelo e di nuovi cammini educativi”. In effetti c’è oggi una grande attesa di una Notizia bella che sia veramente buona; c’è bisogno di speranza che dia consolazione ma anche coraggio e forza alla vita. La situazione che stiamo vivendo non è facile. Dal fondo della nostra società sembra emergere un malessere diffuso, una scontentezza generalizzata, una rabbia latente ma neanche troppo, un’infelicità nascosta dietro risa sbandierate ma sforzate e apparenti. Si respira un vuoto di prospettive, di futuro. E in un contesto del genere, l’impegno educativo e formativo nei confronti in specie delle nuove generazioni, ne fa le spese, viene inesorabilmente meno. Tutto questo ci convince sempre di più che quello di cui oggi c’è più bisogno è proprio la buona notizia del Vangelo, la buona notizia dell’amore gratuito e disinteressato di Dio per noi in Gesù Cristo, che diventa poi proposta di vita nuova nell’amore. Impegnarci per educarci ed educare ad una vita buona, umanamente e cristianamente, ci è parso perciò qualcosa di assolutamente prioritario per l’oggi. 

L’assemblea sinodale però non si è fermata lì: l’altra sfida importante con cui misurarsi è stata colta proprio nel tempo che stiamo vivendo. Confuso e incerto, attraversato da ombre nere di morte, però sempre tempo di Grazia e di opportunità per la testimonianza evangelica. Esso non va subìto ma va saputo affrontare a nervi saldi, in modo positivo, nonostante tutto. Il discernimento comunitario ha chiaramente ribadito che la fede non ci estranea dalla storia ma ci inserisce dentro di essa, però con lo sguardo consapevole di chi vede il piccolo seme del Regno comunque crescere.

Un’altra attesa davvero grande rilevata è quella di relazioni umane significative, di una fraternità reale, fatta di incontri autentici tra persone, di relazioni vere da persona a persona, perché la solitudine sembra un rischio concretissimo in un mondo in cui paradossalmente sono cresciute a dismisura le comunicazioni

Abbiamo anche capito che la famiglia resta un caposaldo dell’umana convivenza e del progetto di Dio sull’umanità. Essa però ha più che mai bisogno di attenzione e cura. Essa stessa richiede di risentire la buona notizia del Vangelo.

E poi l’attenzione alla donna, nella Chiesa e nella società: quest’altra metà del cielo spesso non accolta in tutto il suo valore e in tutte le sue potenzialità di umanizzazione del mondo. Dono e responsabilità appunto.

E ancora abbiamo colto altre sfide ineludibili quali i giovani e insieme gli anziani; nel loro incontro tutto ancora da realizzare, si è intravista una via necessaria da percorre per il bene della nostra società. Come pure ci siamo misurati con la complessa sfida dei migranti, perché le migrazioni non sono un fatto emergenziale e destinato a sparire nel giro di poco tempo: sono invece una realtà ordinaria del nostro mondo globalizzato che ci interpella profondamente e che chiede risposte concrete ed umanamente ricche. 

Infine, è emerso il bisogno di una Chiesa “nuova”, rinnovata profondamente dallo Spirito, più evangelica e testimoniale. Più casa accogliente radicata nel Vangelo, gioiosa di vita nuova in Cristo. Una trasformazione in questo senso di tutte le nostre parrocchie è apparsa necessaria, perché siano realmente comunità fraterne, vere famiglie.

Come si può ben capire, a conclusione di queste mie parole, la chiusura ufficiale del XX sinodo della chiesa pistoiese, non chiude in realtà il cammino. Anzi, esso ora si fa più stringente perché le Dichiarazioni e i Decreti sinodali da me promulgati divengano operativi. 

Mettiamo allora tutti i nostri propositi con tanta fiducia nelle mani di Dio e della Vergine Maria. Una specialissima intercessione la chiediamo inoltre al nostro patrono San Jacopo che ormai è cittadino pistoiese a tutti gli effetti. Ci guidi lui e ci protegga; ci sostenga nel cammino, perché possiamo essere nel nostro tempo, testimoni della bellezza del Vangelo di Gesù come lo è stato lui.

+ Monsignor Fausto Tardelli, Vescovo di Pistoia e Pescia




Fra’ Giuseppino Giraldi

Fra’ Giuseppino Giraldi (1863-1921)

 

Ètempo di riscoprire Fra’ Giuseppino Giraldi (1853-1889), francescano vissuto nel convento di Giaccherino, figura di santità oggi venerabile. Ne ricostruisce il profilo Padre Livio Crisci, ministro provinciale dei frati minori della Toscana .

Padre Livio, chi era Frate Giuseppino?

Emilio Giraldi nasce a S. Baronto nel 1853 da modesta famiglia di artigiani. Educato cristianamente dalla madre fin dall’infanzia entrerà nel Convento dei frati Minori del Monte Calvario (Pistoia) nel 1875. Alla vestizione dell’abito francescano gli fu dato il nome di Frate Giuseppe. Avrebbe desiderato diventare sacerdote, ma a causa della scarsa preparazione e della salute cagionevole accettò di rimanere fratello laico. Umile semplice e laborioso passò questuando di casa in casa nelle colline e nella pianura pistoiese. Consumato dalle penitenze, dal lavoro di questuante e dalla salute cagionevole, morì il 9 magio 1889 a soli 36 anni. Alla sua morte l’afflusso di fedeli fu grandissimo e molti dissero di aver ricevuto grazie per sua intercessione.

Quali sono gli aspetti della vita di Frate Giuseppino che più riflettono il carisma francescano?

Sicuramente la semplicità, il saper stare con Dio e con la gente di ogni estrazione sociale. Andava sempre a piedi con i sandali e non prendendo mezzi di trasporto era sempre a contatto con la gente nelle case e lungo la strada. Aveva una forte vita di preghiera e pur stanco dal cammino non mancava mai i momenti di preghiera anche di notte, insieme agli altri frati. Solo quando glielo comandava per obbedienza il Guardiano, vedendolo esausto, non si alzava per l’ufficiatura notturna.

Frate Giuseppino da San Baronto era considerato come San Francesco dalla gente del luogo. Com’è nata la devozione nei suoi confronti?

Frate Giuseppino esteriormente non ha fatto niente di diverso da tanti altri frati questuanti, ma la sua intimità con Dio, che pregava anche lungo la strada quando era solo e per ore in silenzio quando era in chiesa, e la sua affabilità con la gente, che lui ascoltava molto, esortava al bene e confortava con parole semplici, conquistarono la gente del pistoiese.

Frate Giuseppino è oggi venerabile. Cosa manca per la beatificazione?

Occorre che venga riscoperta la venerazione che la gente del pistoiese aveva di lui e valorizzata la figura. La testimonianza della Chiesa locale e i segni della sua santità di vita che il Signore ha manifestato o che ancora vorrà manifestare nel suo popolo mediante l’intercessione di Frate Giuseppino sono gli elementi essenziali per il riconoscimento ecclesiale della suo esempio di vita cristiana e francescana.

Daniela Raspollini

Preghiera per chiedere grazie a Fra’ Giuseppino Giraldi

O Gesù dolce Signore, che nel tuo Servo Fra’ Giuseppino ci hai mostrato quanto ami l’umiltà e la semplicità del cuore, dona anche a noi un po’ di quelle virtù che ornarono il suo animo veramente francescano, e, insieme, degnati di donarci – per i meriti e l’intercessione del tuo Servo fedele – tutte le altre grazie spirituali e temporali di cui abbiamo bisogno e, in modo particolare, la grazia per cui ti supplichiamo. Amen

Pater, Ave, Gloria.




Fama e santità del vescovo Atto: una mostra in Fabroniana

Dal 25 giugno al 27 luglio una mostra per scoprire e ripercorrere la fama e la santità del vescovo Atto attraverso immagini e libri antichi.

La mostra “Libri su Atto”, allestita nelle storiche sale della Biblioteca Fabroniana a cura di Anna Agostini, permetterà di conoscere una serie di testi che a partire dal XVII secolo si occuparono di valorizzare la figura del santo monaco e vescovo di Pistoia, canonizzato il 24 gennaio 1605 per interessamento dell’Ordine vallombrosano e della Chiesa pistoiese.

La mostra, che si aprirà venerdì 25 giugno e rimarrà aperta fino al 27 di luglio, è uno degli eventi collaterali del Convegno di studi promosso dalla diocesi di Pistoia, Monaci Vallombrosani, Comune di Pistoia e Dipartimento Sagas Università di Firenze: «Atto abate vallombrosano e vescovo di Pistoia. Bilancio storiografico e prospettive di ricerca sulla vita e l’opera di un protagonista del XII secolo» curato da Francesco Salvestrini che si svolgerà a Pistoia nei giorni 26 e 27 giugno.

L’esposizione è divisa in tre sezioni che presentano nell’ordine:

  1. opere storiche generali pistoiesi a partire dal XVII secolo,
  2. opere di storia religiosa e memorialistica ecclesiastica che dal primo ventennio del Seicento arrivano alla fine dell’Ottocento.
  3. La terza sezione dell’esposizione, che si occupa delle memorie e dell’iconografia di S. Atto, è composta da materiale eterogeneo sia per qualità dei documenti che per la loro datazione. Si parte da un codice miscellaneo del XIII secolo dell’Archivio Capitolare che nel calendario obituario attesta alla data del 21 giugno 1153 la morte di Atto, per dare poi spazio alle Vite del santo e relative immagini xilografiche e terminare con inediti documenti ottocenteschi sulle feste centenarie del 1855.

Tra le opere presenti in mostra segnaliamo la presenza del volume quinto del mese di maggio della monumentale pubblicazione, oltre sessanta tomi, degli Acta Sanctorum, la raccolta critica di documenti e dati coevi relativi ai santi iniziata dal gesuita belga Jean Bolland. Nell’opera completa che inizia dal mese di gennaio i santi sono inseriti secondo l’ordine liturgico e ogni voce è accompagnata da un commento. La lunga trattazione sul vescovo pistoiese, alla data 22 maggio, prende in esame molti documenti e si basa anche sulla visita a Pistoia del gesuita Papebroch del 1662 e del bollandista Ianningo che fu a Pistoia nel 1685 e volle vedere personalmente il corpo del santo.

La mostra sarà visibile nell’orario di apertura della Biblioteca Fabroniana, il martedì e il giovedì dalle 8.30 alle 12.30 con possibilità di visite guidate con il curatore e contemporaneamente sarà fruibile sul sito youtube della diocesi un tour virtuale realizzato da Lorenzo Marianeschi.




San Zeno: dall’Africa a Verona a Pistoia

Il 12 aprile ricorre la festa di San Zeno titolare della cattedrale di Pistoia. Il vescovo celebrerà la santa messa in duomo alle ore 18.

Venerdì 12 aprile la Diocesi di Pistoia ricorda San Zeno vescovo. La sua memoria sarà celebrata con il grado di solennità in Cattedrale, come festa nel resto della Diocesi.

San Zeno è un santo che è arrivato da lontano, quasi come Jacopo, sia pure per strade diverse e con due tappe ben distinte. Zeno, infatti era nato in Africa, a Cesarea, e da qui aveva viaggiato e studiato in oriente, finchè non giunse a Verona, dove nel 362 clero e popolo lo elessero vescovo di quella diocesi. Da vescovo Zeno rivelò presto le sue qualità di pastore: con coraggiosa eloquenza fece fronte sia all’eresia ariana che al paganesimo restaurato dall’imperatore Giuliano.

Ma a Pistoia non sarebbe mai arrivato senza l’evento miracolo ricordato da Papa Gregorio Magno nei suoi Dialoghi; nel 589, circa due secoli dopo la sua morte, l’Adige straripò a Verona, inondando tutta la città; le acque raggiunsero anche la chiesa di San Zeno fino all’altezza delle finestre, ma davanti alla porta, che pure era spalancata, si fermarono «come un sodo muro, senza far danno nè all’edifizio, nè a chi v’era dentro».

Non c’è dunque da stupirsi che i pistoiesi «che per il sito del loro paese andavano frequentemente soggetti a simili flagelli» abbiano cominciato a raccomandarsi a questo santo così potente «sulle inondazioni e sulle fiumane» e gli abbino intitolato la loro cattedrale. Il suo nome, infatti, fin dal 923 appare tra titolari della cattedrale insieme ai santi Rufino e Felice; dal 1443 è invece menzionato da solo. Delle quattro feste a lui dedicate -8 dicembre per la nascita, 12 aprile per il martirio, 12 maggio per il miracolo dell’Adige -col tempo ha acquisito importanza la data del 20 aprile,  ricorrenza della morte. In Cattedrale a Pistoia però, la memoria si celebra il 12 aprile. Dai ricordi del proposto Giovanbattista Cancellieri sappiamo che nel 1559 il vescovo Fulvio Passerini si rifiutò di riconoscere come solenne la festa dell’8 dicembre e invece che alla messa e in processione andò in villa a Igno -la residenza di campagna del vescovo- col risultato di cadere malamente e morire quel giorno stesso. Notizia che il cronista fa precedere da questo discutibile commento: «Noto qui che san Zeno pur fa de miracoli».

Miracoli a parte, san Zeno, nella veste marmorea di Andrea Vaccà, resta insieme a Sant’Jacopo a proteggere Pistoia dall’alto della facciata del Duomo. Nell’archivio capitolare di Pistoia si conserva invece la più antica copia dei suoi Sermoni con cui aveva fatto fronte all’eresia di Ario e al paganesimo dell’imperatore Giuliano.

D.R.

(foto di David Dolci)




Alla scoperta di San Baronto

Dalla Francia al Montalbano, attraverso un viaggio ultraterreno, la storia dell’eremita Baronto e del suo compagno Desiderio. La chiesa di Pistoia li ricorda ogni 26 marzo

Baronto nacque in Francia da una nobile famiglia, probabilmente a Limoges, al tempo del re merovingio Teodorico III (673/75-691). Dopo una vita dedita ai piaceri si ritirò, assieme al figlio, Aglioaldo, nel monastero di San Pietro di Longoreto, nei pressi di Bourges. Ammesso all’ordine monastico, Baronto divenne un fedele servitore di Dio.

Un mattino una febbre lo ridusse improvvisamente in fin di vita, tanto da sembrare morto, ma il mattino successivo, dopo che per un’intera giornata e una notte era stato vegliato dai suoi confratelli, improvvisamente si risvegliò e narrò un sublime viaggio che la sua anima aveva compiuto tra le gioie celesti e i terribili tormenti dell’inferno. Caduto in un sonno profondo, raccontò Baronto, gli vennero incontro due demoni che strangolandolo cercarono di condurlo all’inferno. Per fortuna lo soccorse l’arcangelo Raffaele, che dopo un’aspra lotta con i demoni, decise di portarlo davanti al tribunale dell’eterno Giudice. Superato il vicino monastero di Méobecq e oltrepassato l’inferno, San Raffaele e Baronto, accompagnati dai due demoni, giunsero alla prima porta del paradiso, dove molte anime dei suoi confratelli monaci erano in attesa del giorno del Giudizio. I quattro varcarono poi altre due porte, incontrando prima migliaia di vergini e di fanciulli biancovestiti, poi, oltre la terza, una folla di santi incoronati e sacerdoti, che sedevano su troni in dimore costruite di mattoni d’oro. Oltre la quarta porta non era possibile andare e Baronto riuscì a scorgere solo un’intensa luce. Raffaele inviò un angelo a chiamare Pietro che, appena giunto, si sorprese che un monaco del suo convento dovesse essere condotto all’inferno. I demoni, allora, accusarono Baronto di vari peccati. San Pietro, dopo aver avuto l’ammissione da Baronto stesso delle sue colpe, invitò i demoni a considerare che, avendo egli fatto l’elemosina, confessato i suoi peccati ai sacerdoti e consacrato la sua vita al servizio di Dio, si era mostrato degno di un riscatto totale. I demoni, non convinti, insisterono nel volere il giudizio diretto di Dio. San Pietro li mise allora in fuga minacciando di colpirli con le sue tre chiavi; fece poi riaccompagnare Baronto alla prima porta del paradiso, dove questi incontrò un suo confratello incaricato di ricondurlo nel suo corpo. Una volta incamminatosi sulla via del ritorno, Baronto vide prima Abramo poi, seppure con fatica per l’oscurità e il fumo, intravide nell’inferno migliaia e migliaia di dannati incatenati e divisi secondo i peccati, tra cui distinse i vescovi Vulfoledo di Bourges e Didone di Poitiers. Scorse infine un luogo ove erano posti i dannati che, avendo compiuto in vita oltre ai peccati anche qualche buona azione, ricevevano, come refrigerio quotidiano, una manna ristoratrice. Superato l’inferno, Baronto e il suo accompagnatore ritornarono al monastero. Qui l’anima di Baronto, rimasta sola si trascinò fino al letto e rientrò nel suo corpo attraverso la bocca.

Successivamente a questa straordinaria esperienza, narrata nella Vita Baronti, Baronto supplicò insistentemente il suo abate affinché gli consentisse di lasciare la Gallia sia per pregare sulla tomba di San Pietro, che aveva sottratto la sua anima ai demoni, sia per dedicarsi totalmente alla preghiera e alla vita ascetica. Ottenuto il permesso giunse a Roma e, dopo aver pregato sulla tomba di San Pietro, tornò verso la Toscana, dove si fermò sulle colline vicino Pistoia in un luogo che a lui sembrò adatto alla vita di preghiera. Subito vi costruì una capanna poi, pregando intensamente il Signore, scavò con le proprie mani sul vicino pendio facendone scaturire una sorgente. Rimasto in questo luogo Baronto si dedicò giorno e notte alla contemplazione di Dio; essendosi diffusa la sua fama di santità un uomo, di nome Desiderio, si affiancò a lui condividendone la scelta di vita; Desiderio fu poi seguito da altri quattro giovani. Quando Baronto morì il suo corpo fu sepolto dai suoi discepoli nella cappella da lui stesso edificata.

 

Per i prodigi che vi si sarebbero verificati, la tomba di San Baronto divenne meta di un continuo pellegrinaggio, tanto che dopo molto tempo alcuni notabili di quella terra costruirono un monastero, nel quale in seguito fu traslato il suo corpo per volere del vescovo di Pistoia, Restaldo (attorno al 1018). Fin qui la tradizione agiografica.

Veniamo ora al monastero e al culto del santo. L’abbazia di S. Baronto ha una storia ultramillenaria. N. Rauty, sulla base delle indicazioni contenute nel manoscritto sulla vita e degli elementi architettonici degli edifici monastici, ha individuato tre fasi relative alla sua antica costruzione. Secondo questa ipotesi, al tempo di Baronto (VII-VIII secolo) sarebbero state costruite alcune celle eremitiche e una cappella per il culto dove fu sepolto inizialmente il santo. Attorno a questo primo nucleo a partire dall’VIII secolo si sarebbe poi sviluppato un organismo architettonico più complesso: un monastero, nel quale fu traslata la salma dell’eremita al tempo del Bvescovo Restaldo (attorno al 1018). Infine, attorno al 1050, vi fu un nuovo intervento per trasferire vicino alla tomba di Baronto anche i corpi di Desiderio e dei suoi compagni.

Nei primi secoli del Basso Medioevo, grazie a lasciti e oblazioni, l’abbazia divenne ricca e fiorente, tanto che nel 1276/77 essa era tassata con una decima di 40 lire, inferiore nella diocesi di Pistoia solo a quella della cattedrale di San Zeno e di San Bartolomeo. A partire dal XIV secolo però, iniziò il declino della comunità monastica, vuoi per la crisi degli ordini monastici benedettini, vuoi perché questo luogo fu coinvolto nelle lotte tra Lucca, Pistoia e Firenze. La cura successivamente fu affidata ad un abate commendatario che spesso non viveva nell’abbazia ma beneficiava delle sue rendite e affidava la sua cura ad un cappellano. Nel 1577 passò sotto il controllo della Badia fiorentina e nel 1732 divenne prioria. Ciò che rimase costante nei secoli fu il culto del santo che, pur avendo un carattere locale, è rimasto vivo fino al secondo dopoguerra.

Effige di San Baronto, bronzo smaltato, XIII secolo, Allen Memorial Art Museum, Oberlin (Ohio)

Molti sono i segni di questa lunga permanenza del culto: in quest’occasione vorrei ricordarne almeno due. Le storie e le cronache antiche, come abbiamo visto, narrano che la fama dei miracoli avvenuti grazie all’intercessione dei Santi Baronto e Desiderio fu tale che prima le popolazioni vicine e poi quelle lontane fecero a gara a «correre qua ad invocare e venerare i sacri corpi dei santi ivi sepolti. Fin dalla Francia, dicon le cronache sarebbero venute qui […] turbe di pellegrini». Fino alla fine del XIX secolo di questo antico splendore rimaneva una traccia: si trattava di sei statuette raffiguranti S. Baronto e i suoi compagni eremiti. Erano -scriveva A. Mazzanti nel 1920- «graziose, pregevoli, antichissime figurine di bronzo, rilevate dalla parte anteriore e piane dalla parte per cui erano affisse [all’altare] con chiodi pure di bronzo al gradino [un dossale di legno], alte una spanna (dicon le memorie). Oggi anche questo pregevole resto di antichità è miseramente scomparso». In effetti per alcuni decenni non si ebbero più notizie di queste statuette, fino a quando nel 1963, durante un convegno a Spoleto, mons. S. Ferrali per una fortuita coincidenza incontrò una studiosa francese, S. Gauthier direttrice del laboratorio degli smalti di Limoges, che lo informò dell’esistenza di un antico smalto di Limoges a bassorilievo raffigurante S. Baronto, conservato negli Stati Uniti al Museo Oberlin (Ohio). I successivi contatti tra Mons. Ferrali e la studiosa francese portarono al convincimento che si trattasse di una delle statuette scomparse dalla Chiesa di S. Baronto, se non altro per la fattura conforme alle descrizioni antiche, ma soprattutto per la scritta S. Barontus incisa nell’aureola; ricordo infatti, che quella pistoiese è l’unica chiesa al mondo dedicata a questo santo. Il manufatto risale al XIII secolo ed è un segno evidente dell’antico culto di San Baronto.

Un altro segno del culto di San Baronto più vicino nello spazio e nel tempo è quello che possiamo trovare visitando la cattedrale di San Zeno (ringrazio l’arch. S. Martini per questa segnalazione). Nella cappella, detta di S. Atto (già S. Rocco e della Città) posta alla destra del presbiterio, si può ammirare, sopra l’urna di San Atto, la pala del pittore Mattia Preti raffigurante l’Incoronazione della Vergine con i Santi Baronto e Desiderio (metà XVII sec.). La tela non fu dipinta per la cappella di San Atto, ma per un altare dedicato ai santi Baronto e Desiderio voluto dalla famiglia Foresi. L’altare, posto nella navata sinistra, passò poi ai patronati Benesperi e Buonfanti. Nella trasformazione della cattedrale del 1836 fu trasferito su quella destra, vicino alla porta del crocifisso poi, in seguito ad ulteriori modifiche, l’altare fu soppresso e la tela portata nella attuale cappella. Al centro della scena c’è un angelo custode che indirizza verso l’empireo, dove ad accoglierlo ci sono la Vergine e la Trinità. In basso, in uno sfondo naturalistico, ci sono le due grandi figure di S. Baronto e S. Desiderio. Vicino hanno tre attributi iconografici: una cesta posta a fianco del monaco Desiderio, un libro (la Visio?) vicino all’eremita Baronto e uno zampillo d’acqua tra i due, in ricordo della fonte scaturita miracolosamente.

Ivo Torrigiani

La fortuna della Visio Baronti

La tradizione agiografica di San Baronto si fonda su due testi: la Visio Baronti, presente in alcuni codici risalenti all’età carolingia e datati a partire dal IX-X secolo, e la Vita Baronti redatta tra l’XI e il XII secolo, il cui manoscritto è andato smarrito, pertanto oggi la conosciamo nella trascrizione degli Acta sanctorum (Anversa, 1668). La Visio ebbe un’ampia circolazione nel medioevo come attestano le numerose copie manoscritte rimaste: lo storico tedesco W. Levison ricordava all’inizio del secolo scorso che nelle biblioteche europee erano ancora rintracciabili di questo testo oltre quindici codici, redatti tra IX e il XV. La Visio negli ultimi decenni è stata oggetto di numerosi studi. Da un lato gli storici di letteratura medievale si sono rivolti alla Visio ritenendola uno dei primi testi da cui prese l’avvio un nuovo genere letterario, che trovò il suo culmine poetico nella Commedia dantesca; d’altro lato gli storici del medioevo, impegnati nella ricostruzione dell’evoluzione delle rappresentazioni dell’aldilà nell’Europa medievale, l’hanno assunta come esempio di descrizione del Paradiso e dell’Inferno: in questo senso J. Le Goff l’ha indicata come fondamentale per la ricostruzione dell’immaginario medievale.

Per saperne di più: «La Vita e la Visio Sancti Baronti Monaco, eremita, santo» a cura di Ivo Torrigiani e Maria Virginia Porta San Baronto, Parrocchia di San Baronto, Ass. pro loco Amici di San Baronto, 2013.

Mattia Preti, Incoronazione della Vergine con i Santi Baronto e Desiderio (1657 circa), Cattedrale di San Zeno, Pistoia, cappella di Sant’Atto




Il luglio della Chiesa pistoiese

Il programma degli appuntamenti diocesani per un mese che apre già al nuovo anno pastorale

Il Luglio della Chiesa pistoiese non è solo tradizione. Il calendario, all’insegna del culto jacopeo, è arricchito da ulteriori appuntamenti che segnano il cammino ordinario della Diocesi e sono espressione della vitalità ecclesiale.

Festa della Madonna dell’Umiltà

Martedì 17 Luglio la Chiesa di Pistoia celebra la festa della Madonna dell’Umiltà, compatrona, con San Giacomo Apostolo dalla nostra diocesi. Il 17 luglio 1490, infatti, l’effigie con la Madonna dell’Umiltà affrescata nell’antica cheisa di Santa Maria Forisportam emise una prodigiosa lacrimazione. Ancora oggi i segni di questa lacrimazione sono visibili sull’affresco. Il miracolo, avvenuto mentre in città infuriavano lotte fratricide e in una stagione di profonda crisi civile ed economica, accrebbe in tutta la diocesi il culto della Vergine. Attorno all’affresco miracoloso fu presto edificata la grandiosa basilica rinascimentale con la cupola progettata da Giorgio Vasari. La Santa Messa presso la Basilica della Madonna dell’Umiltà sarà presieduta dal vescovo Tardelli alle ore 18.30.

In occasione della celebrazione il vescovo conferirà il ministero dell’accolitato a Fratel Antonio Benedetto, priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia. Il ministero dell’accolitato lo chiamerà ad aiutare il presbitero e il diacono nelle azioni liturgiche, distribuendo o esponendo l’eucaristia, ma lo inviterà anche a vivere una particolare attenzione nei confronti dei poveri e dei sofferenti. L’accolitato prepara Fratel Antonio all’ordinazione diaconale e, successivamente, a quella presbiterale.

Festeggiamenti Jacopei

I festeggiamenti del santo patrono, San Giacomo Apostolo, si apriranno mercoledì 18 luglio con la tradizionale vestizione di San Jacopo. La statua del santo patrono sulla facciata della Cattedrale sarà – come di consueto – raggiunta e vestita con il caratteristico mantello rosso dai Vigili del Fuoco di Pistoia. Il rosso è il colore del martirio, perché San Giacomo fu il primo tra gli apostoli a cadere martire per la fede. Il mantello, invece, si lega alla leggenda popolare di un San Giacomo solidale e generoso con i più poveri, pronto a negare l’evidenza e coprirsi col mantello d’estate, piuttosto che pagare i creditori. Alle ore 18 sarà celebrata la messa cui seguirà, sul sagrato della Cattedrale, la Vestizione di San Jacopo a cura del Comando dei Vigili del Fuoco di Pistoia.

A conclusione della giornata, alle ore 21.15, è previsto un Concerto di musica per organo in onore del Santo Patrono. All’organo Costamagna (1969) della Cattedrale di San Zeno, Francesco Unguendoli eseguirà la Gran Sinfonia in do di Padre Davide da Bergamo (1791-1863) e la Sinfonia n° 5 in fa minore, op. 42 n° 1 di Charles-Marie Widor (1844-1937).

Un’opera ‘segno’ in memoria del vescovo Mansueto

Lunedì 23 luglio sarà celebrata l’inaugurazione della cittadella della carità “Hospitium Mansueto Bianchi”. Un progetto che prevede la realizzazione, a fianco della Mensa Caritas “don Siro Butelli” e dei locali del CEIS, di una nuova sede per il Centro di ascolto diocesano e di un dormitorio per senza fissa dimora o situazioni di grave emergenza abitativa con 12 posti. L’Hospitium sarà anche aperto ad accogliere pellegrini che sul tracciato della Romea Strata o dei cammini legati al culto jacopeo faranno sosta a Pistoia. Il progetto, sostenuto dalla Caritas nazionale e della Fondazione CARIPT, completa il restauro e la trasformazione dei locali del Tempio, consegnando alla città di Pistoia un nuovo significativo polo della solidarietà e dell’accoglienza. La nuova cittadella della carità del Tempio sarà anche il segno “permanente” dell’anno pastorale appena concluso e interamente dedicato ai poveri. A partire dal settembre scorso, infatti, la Chiesa di Pistoia ha accolto e meditato la lettera pastorale di Mons. Tardelli dal titolo “nei poveri il volto di Dio”. Un testo pastorale e insieme di meditazione, che ricordava la necessità di ascoltare, incontrare e condividere la vita con i poveri sviluppando forme di aiuto e assistenza. Una lettera in linea con le indicazioni di Papa Francesco, che proprio alla fine del 2017 ha istituito la “giornata mondiale dei poveri”, da celebrarsi ogni anno la domenica precedente la Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.

La titolazione dell’hospitium a Mons. Mansueto Bianchi, compianto vescovo della nostra diocesi, intende mantenerne viva la memoria a ormai due anni dalla scomparsa e di legarla stabilmente alla vita diocesana, in particolare al servizio dei più poveri.

Il rimando al termine hospitium, infine, intende riallacciarsi alla secolare tradizione di accoglienza del nostro territorio, da sempre crocevia di uomini e popoli tra nord e sud della penisola e dell’Europa, legato, in particolare, al pellegrinaggio jacopeo. Il termine latino hospitium infatti, rimanda a hospes, cioè all’ospite, a colui che chiede e riceve accoglienza e riparo e indica, quindi, strutture dedicate all’alloggio e all’accoglienza di pellegrini e viandanti.

Alle ore 17.30 è prevista la benedizione dei locali, quindi alle ore 18.00 la Santa Messa nella chiesa di San Giovanni Decollato o del Tempio. Seguirà un’agape fraterna nel chiostro del Tempio.

Celebrazioni jacopee

Martedì 24 luglio alle ore 17.30 è prevista la celebrazione dei primi vespri della Solennità di San Jacopo; seguirà la santa messa capitolare presieduta dal proposto del capitolo Mons. Umberto Pineschi.

In serata si svolgerà per le vie del centro storico la processione di San Jacopo: un importante e suggestivo momento ecclesiale che è radicato nella storia religiosa della città. La “Processione – Pellegrinaggio” partirà dalla Chiesa di San Francesco alle ore 21 per dirigersi alla Basilica Cattedrale di S. Zeno. Alle Parrocchie e alle Aggregazioni Laicali si consiglia, se possibile, di intervenire con i propri stendardi o labari.

Mercoledì 25 luglio, giorno della memoria liturgica di San Jacopo, è il grande giorno della solennità. In Cattedrale alle ore 10.00 è prevista la preghiera delle lodi mattutine, alle 10,30 l’accoglienza alle porte del Duomo delle autorità cittadine e del corteo storico; alle 11.00 sarà quindi celebrata la messa pontificale presieduta da S. E. Mons. Fausto Tardelli, durante la quale il sindaco della città accenderà la lampada votiva di San Jacopo e i rappresentanti dei rioni offriranno ceri votivi.

Quest’anno la solennità del Santo Patrono sarà accompagnata dalla consegna delle indicazioni pastorali per il nuovo anno. La Chiesa di Pistoia, infatti, ha organizzato il proprio percorso pastorale secondo le linee guida indicate dagli orientamenti pastorali per il triennio 2016-2019. Gli orientamenti raccolgono il frutto di un lavoro sinodale dell’intera diocesi e sono stati organizzati dal vescovo Tardelli in un programma triennale. Il primo anno è stato dedicato alla figura di Dio Padre, l’anno pastorale ormai concluso – come ricordato – ha invece indirizzato la riflessione e l’azione della Diocesi sui poveri; il prossimo anno sarà invece dedicato a far scoprire e vivere la Chiesa di Pistoia come “una comunità fraterna e missionaria”. Al termine del pontificale di San Jacopo il vescovo consegnerà, quindi, le sue indicazioni pastorali per il 2018/2019 ad alcune rappresentanze dell’intera diocesi.

PROGRAMMA

Martedì 17 Luglio, Festa della Madonna dell’Umiltà

ore 18.30: Basilica della Madonna dell’Umiltà. Santa Messa presieduta dal vescovo Tardelli. Conferimento dell’accolitato a Fratel Antonio Benedetto, priore della Fraternità Apostolica di Gerusalemme di Pistoia.

Mercoledì 18 luglio

ore 18.00: Cattedrale di San Zeno. Santa Messa e, a seguire, vestizione della statua di San Jacopo

ore 21.15: Cattedrale di San Zeno. Concerto di musica per organo in onore del Santo Patrono.

Lunedì 23 luglio

ore 17.30: Inaugurazione della cittadella della carità “Hospitium Mansueto Bianchi” presso i locali del Tempio

ore 18.00: Chiesa di San Giovanni Decollato (il Tempio). Santa Messa presieduta dal vescovo Mons. Fausto Tardelli

Martedì 24 luglio

ore 17.30: Cattedrale di San Zeno. Preghiera dei primi vespri della Solennità di San Jacopo

ore 18.00: Cattedrale di San Zeno. Santa Messa Capitolare presieduta da Mons. Umberto Pineschi

ore 21: Solenne processione di San Jacopo. Partenza dalla Chiesa di San Francesco.

Mercoledì 25 luglio. Solennità di San Jacopo.

ore 10.00: Cattedrale di San Zeno. Preghiera della Lodi mattutine presieduta dal vescovo.

alle 10,30: Accoglienza alle porte del Duomo delle autorità cittadine e del corteo storico dei rioni

ore 11.00: Cattedrale di San Zeno. Pontificale della solennità presieduto dal vescovo Mons. Fausto Tardelli, con accensione della lampada votiva. Al termine della messa consegna delle indicazioni pastorali per l’anno 2018/2019.




San Giacomo Apostolo

Giacomo (Jacopo o Iacopo), figlio di Zebedeo e Salome, fu, insieme al fratello Giovanni, uno dei dodici apostoli; comunemente detto il Maggiore per distinguerlo da Giacomo di Alfeo, detto il Minore. Pescatore, si trovava sulla riva del mare di Galilea quando rispose alla chiamata di Gesù che “Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono. (Marco 1,19-20). Chiamato da Gesù figlio del Tuono (come il fratello Giovanni), si contraddistinse per lo spiccato carattere, irruento e impetuoso, dopo la Pentecoste predicò il Vangelo in Giudea e Samaria per poi spostarsi fino in Spagna. Una volta ritornato in Gerusalemme, nel 42 d.c.. fu il primo apostolo a subire il martirio di spada, per volere di Erode Agrippa. Il suo corpo, traslato in Spagna sarà ritrovato molti secoli dopo in una remota località della Galiza, grazie alla miracolosa indicazione di una stella. Da quel momento, il posto, chiamato Campus Stellae divenne con il nome di Santiago de Compostella (in ricordo di San Giacomo, Jago in spagnolo) luogo di pellegrinaggio di numerosi fedeli giunti da ogni parte del mondo. Nella memoria collettiva e nell’iconografia artistica è comunemente rappresentato con gli attributi tipici del pellegrino, quali il bastone, la zucca, il largo cappello, la bisaccia e la conchiglia (con precisione una capesanta, la valva simbolo del pellegrinaggio a Compostella che, secondo la tradizione, veniva raccolta sulla spiaggia di Finisterre). La festa ricorre il 25 luglio, giorno di celebrazione liturgica nelle città che lo hanno scelto come patrono, tra le quali Pisa, Pesaro e Pistoia.

Secondo l’erudito Michelangelo Salvi, la devozione di Pistoia per San Jacopo ebbe inizio quando correndo l’anno 849 vennero i Saraceni in Italia […] il che sentendo i Pistoresi, gran travaglio se ne presero, temendo fortemente di qualche grave danno o crudele invasione alla loro città: […] pensarono anco essi alla protezione del […] Santo ricorrere, e così invocatolo con viva fede, e ricevutolo per loro Protettore con solenissime feste e processioni, una Chiesa in onore e gloria di Lui, nella fortezza del Castellare fabbricarono, e la città loro non meno dal pericolo che dal timore restò liberata. La chiesa, edificata come solenne ringraziamento, è da identificarsi con quella di San Iacopo in Castellare la cui storia è indiretta testimonianza del primo embrione del culto jacobeo in Pistoia, molto prima dell’arrivo della reliquia da Compostella. Nel 1144, sarà infatti il Vescovo Atto ad ottenere una parte del corpo del santo, grazie all’intercessione di Ranieri, un ecclesiastico pistoiese trasferitosi nella città galiziana.

A San Jacopo, patrono e protettore di Pistoia, ci rimanda l’esplicativa iconografia del dipinto, sotto il loggiato della Cattedrale, sulla lunetta d’ingresso alla Sacrestia di San Jacopo, raffigurante il barone messere, in veste di pellegrino mentre sorregge un’immagine della città di Pistoia, quale parte integrante di un ciclo pittorico più ampio con le Storie del Santo, opera di Giovan Battista Naldini e Giovanni di Bastiano Calducci (1582). La sacra capsella contenente il frammento di San Giacomo, una volta giunta a Pistoia doveva trovare solenne collocamento in un altare consacrato a ciò “in basilica nostre matris Pistoriensis ecclesia”. Per questo motivo, il presule Atto dette subito disposizione di costruire un altare predisposto a ciò, il quale, a sua volta, sarà più tardi inserito entro una cappella dedicata al santo, ricostruita, dopo l’incendio del 1204, in quelle forme gotiche che manterrà, inalterate, fino alla soppressione ricciana del 1784. La Cappella trovò collocazione nelle prime due campate della navata sinistra della Cattedrale di San Zeno, delimitata da un’elegante cancellata in ferro e dotata di una porta dei pellegrini per l’accesso diretto dall’esterno, ed assumendo, nella sua piena autonomia rispetto al resto dell’edificio che la conteneva. A partire dall’ottavo decennio del secolo XII, per la chiesa e il Comune le celebrazioni in onore del santo patrono iniziavano il 24 luglio, la vigilia del dies natalis, e continuavano per tutta l’ottava successiva, caratterizzandosi per un solenne susseguirsi di cerimonie liturgiche, cortei e tornei dove l’aspetto più sacro della festa finiva per sovrapporsi e qualche volta confondersi con il senso più civile e popolare del “giorno di festa”. La cerimonia degli omaggi e la processione, dal prato di San Francesco alla Cattedrale, erano i principali momenti della vigilia che si concludeva con una “luminaria” (pannelli unti o impregnati di materie resinose posti entro padelle) collocata sulle torre della Cattedrale e sui cornicioni dei palazzi pubblici e privati. Per il popolo pistoiese il 25 luglio era il giorno della festa, del riposo, della solenne celebrazione in Cattedrale ma anche il momento del pubblico divertimento dove assistere al palio dei barberi che si correva lungo le strade della città o prendere parte alla chiassosa e pittoresca fiera sul Prato di San Francesco. Nell’occasione della festa, la Cattedrale di San Zeno e la Cappella di San Jacopo erano preparati con ricchi allestimenti di pregiate stoffe, reliquiari e splendidi pezzi di oreficeria. Al temine della Messa, secondo una tradizione in uso dal 1372 al 1777, le autorità, i nobili pistoiesi e quelli forestieri si recavano presso il Palazzo Comunale per godere di una generosa colazione che consisteva in un ricco e prelibato banchetto culinario fatto di galanterie quali vini pregiati, frutta, pane, berlingozzo e trionfi di confettura dorata (confetti), forniti all’Opera dall’antica spezieria del Vescovato o Farmacia dei ferri. In esterno, di fronte alla Cappella di San Jacopo, era collocata, sopra un altare, una statua lignea di San Jacopo la quale, dalla seconda metà del secolo XIV, il giorno della vigilia e della festa, era coperta da un mantello rosso. La tradizione di coprire San Iacopo con il pastrano rosso, facendolo diventare non solo pellegrino ma anche barone e priore della repubblica medievale pistoiese, è continuata, salvo qualche breve parentesi, fino all’epoca attuale: soppressa la cappella di San Iacopo, si iniziò a vestire la statua di Andrea Vaccà, prima posta sul tetto del portico della Cattedrale, poi spostata in cima ai due acroteri. Se il significato sotteso al gesto simbolico di mettere il piviale vermiglio sulle spalle di un santo è quello di rimandare alla memoria del suo martirio e della sua santità, a Pistoia tale significato viene a piegarsi di fronte alla tradizione popolare che vuole vedere dietro quel gesto il ricordo della storia di un San Jacopo come sagace contadino pistoiese, protagonista dell’ironica e gergale novella Pagar ‘a tanto haldo di Gherardo Nerucci: Sa’Iacopo er’un contadino di giù di lontano, eppò ‘un zi dice S. Iacopo di Gallizia?. E pare ‘he fusse anco ‘n pò bindolo, o almeno, sa?…’un pagaa ma’ nessuno. Sicchè lu’ un giorno va da un contadino a comprà un par di vitelli, dice: “Ve li pagherò a tanto haldo; venite là per Sa’ Iaopo e allora ve li pago”. Codesto contadino gli dà ‘vitelli e lu’ se ne va. Quande ‘rivò a Sa’ Iacopo, ‘l contadino gli va a chiède ‘su quattrini, ma lu’ birbo, ‘he se n’arriordaa, ‘he devea vienì questo a piglià ‘quattrini, si messe ‘l pastran’ addosso per parè d’aè freddo. ‘Riva ‘l contadino, dice: “Oh!…or’è caldo, e siem’a Sa’Iacopo e son venuto a prènde’ ‘cuattrini de’ vitelli: Fa, lu’ dice: “Si, ma i’ ‘un ho mia ‘aldo! ‘un vedete ‘he ho sempre ‘l pastran’ addosso?”. E così lu’ ‘un pagò ‘vitelli e per cuesto ‘l giorno di Sa’ Iacopo gli mettano ‘l pastranino; eppo’ ‘un zi dice:

I Pistoiesi quant’enno hoglioni

Gli mettano ‘l pastranin né solleoni?!

Nella tradizione popolare, accanto al pubblico divertimento della fiera e del palio, si snoda tutta una serie di costumanze legate ai pranzi in famiglia fatti di berlingozzi e brigidini, uva saiacopa e mele saiacope, dove nel giorno del santo patrono la campana di mezzogiorno suona a maccheroni.

Tra le maggiori attrattive profane della festa di San Iacopo un posto di primo piano spetta alla palio dei cavalli barberi che si correva nella tarda serata del 25 luglio e al cui vincitore veniva dato come trofeo della vittoria, un palio.

 

Francesca Rafanelli