«Riconosci, cristiano, la tua dignità» : l’omelia del vescovo Tardelli per il giorno di Natale

25 dicembre 2018

Solennità del Natale
Messa del Giorno

Nell’orazione cosiddetta colletta con la quale, dopo il canto del gloria, ho dato inizio alla celebrazione odierna del Natale, si trova racchiuso in sintesi, non solo il messaggio del Natale ma ciò che esso è. Così infatti ho pregato: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana».

Duemila anni fa, il Figlio unigenito di Dio, ha voluto assumere la nostra natura umana. Così si dice. Il Verbo, cioè la parola di Dio, si fece carne e venne ad abitare tra di noi, ci ha annunciato San Giovanni nel Vangelo.

Questo è il fatto; questo è l’evento che noi riviviamo; questo è ciò che è accaduto a Betlemme tanti secoli fa. Una novità assoluta nella storia. Perché introduce in essa qualcosa di inaudito: Dio stesso. La storia è fatta dagli uomini ed è il frutto delle loro scelte. Nel bene o nel male, sono gli uomini a determinare gli eventi della storia. Essa è, potremmo dire, affare di uomini. Ma col Natale non è più così!

Il vagito del piccolo bambino di Bethleem segna una novità assoluta dentro la storia degli uomini: Dio ora non è più all’origine del mondo, causa di esso, al di fuori di esso. Ora egli è nel mondo. È entrato personalmente come uomo nella storia e questa, dunque, non è più ormai soltanto storia di uomini, irrimediabilmente votati all’odio e alla morte, ma è storia di uomini e di Dio, dove Dio è attore e partecipe, che assicura un destino di bene dell’umanità e la sconfitta del male, dando la possibilità a chi liberamente lo accoglie, di edificare un regno di pace e di giustizia, di vivere una vita nuova nell’amore, liberi dal peccato e dal male, gioiosi nella carità e lieti nella speranza.

Questo fatto, cioè il Natale del Signore, come abbiamo pregato nell’orazione della Messa di quest’oggi, viene a rinnovare a redimere l’umanità, la nostra natura umana, noi uomini. Noi che, pur creati a immagine e somiglianza di Dio, abbiamo deturpato questa immagine col peccato, con la disobbedienza alla legge d’amore del Signore. L’uomo è stato creato da Dio ed è una cosa straordinaria. Se noi esistiamo e possiamo gustare la vita è perché Dio ci ha messo al mondo, ci ha voluti partecipi della vita e creandoci ci ha donato una dignità straordinaria, quella di essere a immagine e somiglianza sua. Ma l’uomo – e la storia è lì a dimostrarlo – non ha saputo far tesoro del dono ricevuto e ha deturpato in sé e negli altri l’immagine bella di Dio impressa in ciascun uomo. È così allora che la morte e ogni nefandezza è entrata nel mondo e la terra ha cominciato ad assorbire sangue innocente versato per l’odio tra fratelli.

La nascita di Dio nella carne, viene a cambiare le cose, a restaurare la dignità dell’uomo, a liberare cioè l’uomo dalle catene del male, a rinnovare l’uomo nell’amore, rialzarlo ed elevarlo oltre lo stato creaturale e farlo addirittura Figlio suo, partecipe della sua vita, della sua luce e del suo amore.

Ecco perché l’orazione colletta prega, supplica Dio perché ognuno di noi, proprio a seguito della nascita di Gesù, possa condividere la vita divina del Figlio di Dio con tutto ciò che ne consegue nella vita di ogni giorno. E nell’ufficio delle letture di questo giorno, San Leone Magno, grande Papa e dottore della chiesa del V° secolo, giustamente ci invita: «Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare all’abiezione di un tempo con una condotta indegna. Ricordati chi è il tuo Capo e di quale Corpo sei membro. Ricordati che, strappato al potere delle tenebre, sei stato trasferito nella luce del Regno di Dio. Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo! Non mettere in fuga un ospite così illustre con un comportamento riprovevole e non sottometterti di nuovo alla schiavitù del demonio».

Con queste parole antiche ci viene esplicitato proprio quanto nella orazione della Messa abbiamo chiesto: poter condividere la vita divina di Gesù. Dunque una vita piena di amore, liberata dal giogo del peccato, gioiosa nel dono di sé, perfetta nella carità misericordiosa verso il prossimo in specie i più poveri.

Certo è che, mentre preghiamo Dio di poter condividere la vita divina del Cristo, dobbiamo nello stesso momento mettere, con un deciso impegno, la nostra parte, dobbiamo fare la nostra parte perché, come dice un altro grande padre della chiesa, S. Agostino, «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13); senza cioè la nostra libera adesione, la nostra chiara disponibilità a percorrere la via che Cristo stesso ci ha indicato.

Ed è a questo punto che giungono a noi come un severo monito le parole evangeliche ascoltate poco fa: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di Lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto». Il Natale del Signore allora, da festa ed esultanza si trasforma in dramma. Dramma che le luci artificiali e i trucchi di una falsa gioia non riescono a nascondere, facendo diventare il Natale una vera tristezza che deprime e disgusta. Ciò accade per l’appunto quando Dio non trova posto nella nostra vita o sta sempre e soltanto all’ultimo posto; quando trasgrediamo tranquillamente la legge di Dio, pensando così di essere più liberi e furbi. Ciò accade ancora quando poco ci curiamo della nostra vita interiore e non la alimentiamo con la divina parola e i santi Sacramenti; ciò succede inoltre quando ci lasciamo dominare dall’indifferenza nei confronti degli altri, chiudiamo il nostro cuore al prossimo, in specie a chi più è nel bisogno, disprezziamo e offendiamo gli altri e ci lasciamo prendere da sentimenti xenofobi, antisemiti o razzisti. A quanti però accolgono Dio e si lasciano convertire dal suo amore, testimoniando questo amore nel servire con gioia i fratelli, Dio da – come dice l’apostolo Giovanni nel prologo del vangelo – il potere di diventare figli suoi.

Preghiamo allora davvero con fede, con impegno, in questo preciso momento, facendo nostra l’orazione di questa santa Messa di Natale: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fa’ che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana». Amen.

+ Fausto Tardelli

 




Natale 2018: gli auguri del vescovo Tardelli

Auguri di Natale 2018

Alla città e a ogni uomo e donna che vivono in queste terre

Il Natale è una festa cristiana ma non è per i soli cristiani. È per tutti. La nascita di Dio nella carne infatti, dice cose importanti al mondo: che ogni uomo è grande agli occhi di Dio, qualunque sia la sua condizione sociale, la cultura o il colore della pelle; che ogni essere umano fa parte di una umanità chiamata ad essere un’unica famiglia; infine che ogni persona può essere migliore, essere liberata dal proprio egoismo e aprirsi all’altro da sé. Un messaggio questo, non scritto su un libro o insegnato come una dottrina, ma incarnato in un concreto bambino a Betlemme di Giudea duemila anni fa.

Alla città di Pistoia, auguro che sia sempre di più all’altezza della sua bellezza. Che risplenda come una città di pace che crede nel dialogo come via per affrontare e risolvere i problemi e che non sia mai sorda o indifferente nei confronti di chi soffre. Mi auguro che ci sia più lavoro, lavoro per tutti e lavoro dignitoso, giusto. Auguro alla città uno sviluppo vero e consistente e a chi l’amministra, il coraggio di cercare solo e soltanto, in sincerità di coscienza, il bene comune.

A tutti indistintamente gli abitanti di questa terra, va inoltre il mio augurio di Buon Natale. Un pensiero particolare lo rivolgo ai tanti nostri anziani in casa in famiglia o a volte soli. E ancora a tutti i malati che sono in ansia per la propria salute e devono sottoporsi a cure impegnative. Penso anche a chi ha perso il lavoro o non riesce a trovarlo, come ai tanti fratelli immigrati che sono venuti tra noi a cercare speranza. Infine, voglio rivolgere un augurio speciale ai ragazzi e ai giovani, spesso vittime innocenti della nostra cattiva società.

Pace di cuore a tutti. Pace interiore e profonda. Pace che si estende alle relazioni sociali, al vicinato, alle contrade, all’intera città. Quella pace che gli angeli annunciarono ai pastori di Betlemme: «Gloria a Dio nell’altro dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore».

+ Fausto Tardelli,
vescovo

 




La visita del vescovo all’ospedale san Jacopo

Lunedì 17 dicembre mons. Tardelli ha incontrato i degenti dell’ospedale e i volontari della Cappellania ospedaliera.

 

«Sto alla Porta!» (Ap 3,20) È alla luce di questa parola del libro dell’Apocalisse che abbiamo vissuto la visita del nostro vescovo in ospedale; una visita sempre attesa, gradita e significativa.

Prima di recarsi dagli ammalati il vescovo ha salutato il personale ospedaliero e i volontari della Cappellania esortandoli ad essere pronti e disponibili al prossimo sofferente che “bussa” alla porta del nostro cuore.

Mons. vescovo ha insistito sull’atteggiamento di “umanità” verso il malato, il sofferente, la persona anziana: anche i più sofisticati strumenti tecnologici non riusciranno mai a comunicare quel calore umano che il prossimo bisognoso attende! Cristo, d’altra parte, si è sempre accostato alle persone con parole e gesti di tenerezza. Nella preghiera celebrata insieme abbiamo riflettuto sulla lettera indirizzata alla chiesa di Laodicea (Ap  3,14-22): una chiesa, «nè fredda, nè calda», bisognosa quindi di essere scossa e risvegliata: «sii zelante e convertiti, ecco sto alla porta e busso…».

Papa Francesco insiste tanto sulla necessità di una chiesa in “uscita”, non ripiegata su se stessa, non asfittica! Il Natale ci ricorda che Dio è uscito da se stesso, dal suo paradiso per farsi incontro alla nostra umanità. «Vieni a liberarci, noi siamo sempre più schiavi: e dunque vieni sempre, Signore!» (D. M. Turoldo)

Il vescovo, recandosi in alcuni reparti dell’ospedale, ha portato una parola di conforto, un sorriso, una carezza, una benedizione ai pazienti, lasciando loro la bella immagine della “Madonna dell’Umiltà”, con l’augurio di sentirla sempre vicina come Madre tenerissima.

Cappellania Ospedaliera di San Jacopo – Padre Natale Re




Natale 2018 : le celebrazioni con il vescovo Tardelli

La memoria annuale della nascita del Salvatore e delle sue prime manifestazioni costituisce per la Chiesa, dopo la rievocazione del mistero pasquale, la celebrazione liturgica più importante e come tale esige un’intensa e consapevole partecipazione dell’intera comunità cristiana.

Particolare significato assumono le celebrazioni presiedute dal vescovo il quale, unito ai fedeli nella liturgia, simboleggia l’unità nella carità del Corpo Mistico che è la Chiesa.

Ricordiamo che il S.E. Mons. Fausto Tardelli celebrerà:

Lunedì 24 dicembre 2018

ore 23.30 : Veglia e Messa della Notte di Natale

Martedì 25 dicembre 2018

ore 10.30 :  Messa Pontificale presieduta nel Giorno del Natale del Signore; Benedizione Papale con Indulgenza Plenaria

 

Ricordiamo anche le seguenti celebrazioni di tempo di Natale in Cattedrale:

Lunedì 31 dicembre 2018

ore 18.00 : Messa presieduta da Mons. Vescovo nella Solennità di Maria Madre di Dio – Canto del Te Deum di ringraziamento al termine dell’anno civile.

Martedì 1 gennaio 2019

ore 18:00 : Messa nella Giornata Mondiale della Pace presieduta da Mons. Vescovo

Domenica 6 gennaio 2019

ore 10.30 :  Messa Pontificale presieduta da Mons. Vescovo nella Solennità della Epifania del Signore

Domenica 13 gennaio 2019

ore: 18.00 : Messa Pontificale presieduta da Mons. Vescovo con Rito di ordinazione diaconale di Alessio Bartolini, Eusebiu Farcas del Seminario Vescovile di Pistoia e fratel Antonio Benedetto Sorrentino della Fraternità Apostolica di Gerusalemme.

 




Che cos’è l’accoglienza? Una riflessione a partire dalle parole del vescovo

Ci sono molti spunti di riflessione, almeno per coloro che siano riusciti a conservare calma e ragionevolezza, nelle parole che il vescovo di Pistoia ha rivolto alla Chiesa e alla città nel suo recente comunicato. Parole che rappresentano certo un contributo utile alla comprensione di quanto sia accaduto nel tempo recente.

Uno dei richiami sui quali il comunicato di mons. Fausto si incentra riguarda il valore dell’accoglienza. La domanda che in tutta questa vicenda realmente rintocca, sottotraccia, profonda e sorda, è infatti proprio questa: che cos’è davvero l’accoglienza? Cosa significa veramente accogliere? È questo il punto vero di quanto accaduto, finora affrontato solo dalle parole del vescovo, sul quale appare necessario riflettere. Si tratta di una domanda e di una questione che travalicano gli spiccioli fatti di cronaca più o meno gradevoli.

In questo senso non è possibile non cogliere nelle parole del vescovo il tentativo di strappare alle logiche della cronaca gli accadimenti e gli episodi, per loro stessa natura sempre effimeri e passeggeri, e ricondurre il tutto agli orizzonti di senso, ai significati primi e ultimi dove il rumore della cronaca non può riuscire ad arrivare. Non si tratta, infatti, o non si tratta più di una semplice vicenda parrocchiale. Quello che ormai è in discussione è uno dei valori di riferimento di chi cerca di seguire il Signore. Che cos’è l’accoglienza? Come, e perché, e quando, e in nome di chi praticarla?

Lezioni splendide e senza tempo si potrebbero ritrovare, a questo riguardo, nelle pagine di profeti del nostro passato. Ne cito uno tra tutti: don Tonino Bello. L’accoglienza si rintraccia certamente nelle scelte pastorali che una comunità parrocchiale o una diocesi operano. E a questo proposito occorre dire che sarebbe (stato) bello poter vedere che molte parrocchie si adoperano in questa direzione, mentre si deve purtroppo annotare che i molteplici appelli di mons. Tardelli in tal senso, invece, sono stati scarsamente o frettolosamente ascoltati. Ma ancora di più l’accoglienza si rintraccia in uno stile pastorale, in un atteggiamento interiore davanti ad ogni vicenda. Di essa ci sono chiarissimi e inequivocabili segnali rivelatori che ne evidenziano la presenza (o l’assenza) e che, a volte istintivamente, le persone sanno riconoscere senza errore.

L’accoglienza cristiana quindi è veramente tale quando diventa stile di vita ancora più e ancora prima che scelta organizzativa. Quali siano questi segnali non è semplicissimo da dire, ma alcuni possono essere individuati. Certamente il rispetto dell’altro qualunque siano la sua provenienza o il colore della pelle o l’età o le convinzioni politiche. Certamente il rifiuto dello scontro, a partire proprio da coloro che la pensano diversamente.

L’accoglienza, quando è atteggiamento interiore – e quindi stile di vita, e solo allora scelta operativa – non ha nemici, non sente persecutori, non interrompe il dialogo con alcuno. Vede, apprezza, dà valore alle ragioni dell’altro; fa sue le esigenze di tutti, quelle fisiche, quelle morali, quelle pastorali; si adopera perché chiunque si possa sentire preso in cura.

In un certo senso noi cristiani ne abbiamo un alto modello perché l’accoglienza, se è vera, è il frutto di quell’amore all’altro che «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». Viceversa, se anche dessi tutti i miei beni ai poveri e perfino consegnassi il mio corpo alle fiamme, non sono nulla di più di un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna.

Un programma altissimo che coglie tutti in difetto, a partire dal sottoscritto, e di fronte al quale l’unico atteggiamento possibile è un’umiltà silenziosa e raccolta.

C’è una domanda nel comunicato che il vescovo Fausto ha rivolto che rintocca e fa riflettere. Come possiamo far crescere tra di noi, nelle nostre comunità, nella nostra città il senso di una fraternità accogliente? Di fronte a quali percorsi, a quali vicende, a quali testimonianze il cuore si allarga, lo spirito cresce, le coscienze maturano? Cosa può ancora essere capace di renderci persone migliori?

Difficile da dire. Di sicuro nulla e nessuno che scelgano di consegnarsi alle alterne sorti della cronaca e alle logiche mediatiche possono farlo. Bauman ha detto parole decisive a questo proposito, tanto per citare qualcuno. Anche se a volte ne siamo tentati e la nostra fragilità ci fa cadere in questi atteggiamenti non possiamo dimenticare che certo non è con la contrapposizione, col dire quattro e quattr’otto, con la pressione mediatica, col dividere i buoni dai cattivi che si dà all’altro una occasione di riflessione, di cambiamento o di integrazione.

Dialogo, pazienza, dolcezza, cura del dettaglio, disponibilità a mettersi in discussione, inclusività ed attenzione nei confronti delle necessità di ognuno, sono la strada obbligata per chiunque e specialmente per chi sceglie di stare dalla parte degli ultimi. Di più, sono l’inoppugnabile riscontro della bontà delle intenzioni profonde.

Un ultimo punto mi preme sottolineare nelle parole del vescovo Tardelli: il ruolo della politica nelle vicende ecclesiali. Altissimo è il contributo che, almeno in tempi passati, i cristiani e il pensiero cattolico hanno saputo dare alla vicenda politica del nostro Paese, almeno alla politica intesa come servizio all’uomo, impegno disinteressato per il bene comune, forma di carità. Tuttavia la distinzione e lo scarto di questi valori di fondo con l’attualità e con la cronaca è piuttosto stridente perché tali principi, peraltro da tutti evocati, anche in questo caso non sembrano nascere da atteggiamenti ed orizzonti interiori che poi diventano stili di vita e alla fine si incarnano in decisioni e scelte e comportamenti. Restano spesso parole. Parole di cartone.

Il rapporto tra la Chiesa e la politica – si potrebbe dire recuperando un linguaggio un po’ arcaico – va facendosi di conseguenza molto complesso. Se non mancano atti e circostanze di aperta ostilità, permangono tuttavia situazioni e momenti (ad esempio quelli elettorali) in cui la politica, nelle sue espressioni di partito o di associazione, cerca di strumentalizzare la Chiesa, a volte anche per supplire ad una mancanza di idee o di collegamento vero con le persone. Purtroppo non sembrano scarseggiare infatti coloro che, a vario titolo, cercano di sfruttarla dal punto di vista della visibilità personale, o economico, o del pubblico consenso o altro ancora. Ed ogni vicenda di cronaca, perfino questa, ne è un esempio.

Eppure anche di fronte a questo la Chiesa deve continuare a dialogare e a battersi, opportune et importune, per un mondo in cui l’uomo, la sua dignità e i suoi bisogni fondamentali siano al centro.
Se mai come ora è stato fragile e problematico il dialogo tra Chiesa e politica, tra Chiesa e politici (o aspiranti tali), è altrettanto vero che mai come ora è urgente riaprire questo dialogo e cercare di dare, da cristiani, il contributo più efficace possibile specialmente in un tempo, come è stato detto nelle conclusioni della Settimana Sociale di Cagliari, di «investimenti senza progettualità; finanza senza responsabilità; tenore di vita senza sobrietà; efficienza tecnica senza coscienza; politica senza società; rendite senza ridistribuzione; richiesta di risultati senza sacrifici».
Orizzonti di senso – e non piccole vicende di cronaca – da riscoprire e sui quali riflettere a lungo. Almeno per chi vuole lavorare per una comunità più bella e più giusta.

Edoardo Baroncelli
ConDirettore Regionale della Pastorale Sociale e del Lavoro
Conferenza Episcopale Toscana




Il vescovo Tardelli interviene sulla vicenda Vicofaro

PISTOIA – “L’altra sera a Vicofaro è successo qualcosa che mi ha amareggiato profondamente. Non ne ero stato certo avvisato; e perché mai avrei dovuto esserlo, del resto? Mi ha amareggiato per tanti motivi, non per uno solo. Qualcosa mi inquieta e non mi piace in ciò che è accaduto. È stato un punto che ha segnato il vertice di una escalation insopportabile. Invece di sciogliersi e trovare una soluzione accettabile, la vicenda di Vicofaro nel tempo è andata sempre più ingigantendosi, complicandosi, esacerbandosi.

Ma – mi dico – non sarebbe meglio spegnere i riflettori su Vicofaro e cercare tutti, come già diceva il grande Papa S. Giovanni XXIII, ciò che  ci unisce, piuttosto ciò che ci divide? In tempi di schieramenti sempre più feroci, questa mia affermazione non andrà a genio a molti. Non importa perché non ho da piacere a nessuno. Sono del tutto convinto che la verità non stia mai tutta solamente da una parte e nessuno la possieda completamente. Ci sono sempre ragioni da una parte e dall’altra.

Solo nell’ascolto reciproco, nell’attenzione all’altro, nel venirsi incontro si trova la soluzione ai problemi. A Pistoia questo è possibile? A volte, sinceramente mi pare proprio di no. Eppure io credo che dobbiamo tutti sforzarci di fare un passo indietro e ragionare, senza farci prendere dall’emotività o, peggio, dai risentimenti.

Chi è credente in Gesù Cristo sa bene che non possiamo accusarci l’un l’altro di essere lontani da Lui, ma solo correggerci fraternamente perché tutti impariamo a seguirlo sempre di più laddove egli ha voluto essere: nella Chiesa, nella sua parola, nei sacramenti, nel volto dei poveri come i migranti che vengono da noi in cerca di futuro per la loro vita.

Vorrei allora che ci domandassimo: ma tutta questa storia, la vicenda di Vicofaro, da quando l’anno scorso iniziò sui social, ci ha portato ad essere migliori? Ha condotto a migliorare questa città? Ha fatto aumentare il numero delle persone solidali e aperte agli altri? Ha fatto crescere in questa città il senso di una fraternità accogliente? Ha permesso una vera integrazione degli ospiti accolti? Onestamente, mi pare proprio di no. È aumentata l’intolleranza; nel quartiere qualcuno è giunto all’esasperazione; nel frattempo le posizioni si sono soltanto radicalizzate e politicizzate, tant’è che sembra di esser tornati al tempo dei Panciatichi e dei Cancellieri. Manca solo che ci si cominci ad accoltellare l’un l’altro. E’ questo che vogliamo? Ci pare che si possa costruire qualcosa di bello in questo modo? Vogliamo arrivare alla guerra? L’unica cosa da fare è “chiamare alle armi”?

Credo piuttosto che dovremmo tutti interrogarci sulle nostre responsabilità e su cosa possiamo fare in positivo perché Vicofaro diventi davvero un luogo di speranza e non di scontro; di unione e di pace e non occasione di divisione e di contrasti, un laboratorio di civiltà e di convivenza e non un terreno di lotta.

Molto può fare don Massimo, sicuramente. Molto dipende da lui. Non voglio dire di più. Credo che se ne stia rendendo sempre più conto. Non è in discussione l’accoglienza. Quelli che la mettono in discussione, lo dico chiaramente, sbagliano di grosso. Vorrei che costoro capissero che l’accoglienza è un valore grande, profondamente umano e cristiano. Vorrei che non si facessero confondere le idee da slogan, luoghi comuni o ben congegnate falsità. L’accoglienza vera però mira all’integrazione. Richiede attenzione alle persone e al luogo dove si realizza; deve riuscire a intavolare un dialogo costruttivo con i nostri ambienti, con tutti i settori della nostra società; deve cercare di superare pregiudizi e paure, facendo crescere la conoscenza e la relazione tra le persone; con pazienza, dolcezza, positività. Deve essere sempre “accompagnata” e mettendo in atto un processo educativo che insegni anche il rispetto per gli usi, le tradizioni, i valori del popolo in cui si è accolti.

Oltre a don Massimo, possono fare qualcosa anche chi sta attorno a lui, aiutandolo a migliorarsi, a porsi nel modo giusto nei confronti della gente del quartiere, delle autorità, della comunità parrocchiale.

Possono fare qualcosa anche i politici. Sì: star fuori da Vicofaro. Lo dico chiaramente. A Vicofaro non si combatte una battaglia tra schieramenti politici; tra chi è a favore del governo e chi è contro. Non può essere l’occasione per condurre lotte partitiche. L’esperienza di Vicofaro è nata dentro una parrocchia quale segno dell’attenzione della chiesa al mondo dei migranti e questo deve rimanere, non può snaturarsi. E questa è anche una mia precisa responsabilità.

Potrebbe fare qualcosa anche il governo. Si, il governo. Nazionale e locale. Alla fine, in ultima istanza, è a chi governa che si può attribuire quanto accaduto l’altra sera. Purtroppo mi pare che se il governo precedente ci ha dato una pessima gestione del fenomeno migratorio, giocata tutta o esclusivamente sull’emergenza, l’attuale si sta muovendo in una linea dura di rigore che non è ragionevole e rischia di offrire obiettivamente spazio a sentimenti razzisti e xenofobi indegni dell’uomo e del nostro paese. Ma i governi, in un paese democratico, li scelgono in buona sostanza i cittadini con il voto; quindi non è lamentandosi che si cambiano le cose ma acquisendo consensi attorno a valori e scelte più confacenti alla dignità umana.

Potrebbero infine fare qualcosa anche i mezzi di comunicazione, se cercassero di abbassare i toni e invitassero alla ragione. Se spegnessero un po’ i riflettori su Vicofaro e non inseguissero o, peggio, creassero la notizia che fa più rumore. Se mettessero invece sempre più in luce le cose positive che sono presenti nel nostro territorio e che ci permettono di sperare in una risoluzione dei problemi e in un futuro migliore di questa città.

Credo che tutti vogliamo che Pistoia sia una città di pace, bella, accogliente, multietnica e al tempo stesso sicura e ben custodita, che cresce e prospera attraverso l’apporto sereno di tutti. E allora, lavoriamo tutti generosamente per questo. Per questo diamoci da fare, insieme.

Mons. Fausto Tardelli – vescovo di Pistoia




Mons. Tardelli: «una sinfonica costellazione di spunti di riflessione»

Pubblichiamo l’intervento di Mons. Tardelli pronunciato in  occasione dell’apertura della rassegna teologica “i linguaggi del divino”, venerdì 5 ottobre presso il Battistero di San Giovanni in Corte.

Discorso in apertura della rassegna teologica (5 ottobre 2018)

Con stasera inizia la II° edizione de’ “I linguaggi del divino”. In realtà, si tratta della XXXI edizione della storica “settimana teologica” pistoiese, perla preziosa della nostra chiesa. Dopo l’edizione straordinaria 2017, che celebrava il trentennale della sua istituzione, all’interno dell’anno in cui Pistoia è stata capitale italiana della cultura, riprendiamo adesso il cammino per così dire “ordinario” ma con importanti novità. A Dio piacendo, continueremo anche negli anni prossimi, sempre nel mese di ottobre.

Con l’anno scorso sono state apportate diverse novità che in gran parte ritroviamo nell’edizione 2018. Credo che ce ne fosse bisogno, per non perdere nell’abitudine il molto di buono che era stato fatto e insieme per aggiornarci ai tempi nuovi, complessi, liquidi, difficili, contraddittori ma anche ricchi di opportunità e nuove sfide. C’è oggi necessità più che mai di darsi tempo per ascoltare e per riflettere, ma anche per spaziare su orizzonti larghi che coinvolgano non solo la mente ma anche il cuore, la persona nel suo complesso. La formula adottata l’anno scorso ha avuto successo; è piaciuta; è stata molto partecipata, a volte di più a volte di meno, ma sempre a un buon livello. Abbiamo portato la riflessione in vari luoghi della città, unendo il pensiero che nutre la mente alla contemplazione del bello che arricchisce straordinariamente la nostra città e testimonia della fecondità della fede cristiana.. Abbiamo poi corredato la rassegna teologica di qualche altro appuntamento di variegata forma espressiva. Insomma, siamo rimasti molto soddisfatti. Voglio qui ringraziare i tanti che hanno collaborato a pensare, impostare e organizzare “I linguaggi del divino” nella edizione del trentennale. L’apporto è continuato anche per l’edizione di quest’anno. Un apporto corale che ha dato i suoi buoni frutti, permettendo a mio parere di offrire davvero un bel percorso e di qualità, sia per il tema individuato che per i relatori, come per gli appuntamenti di contorno allestiti. Quest’anno, pur in un tempo più contenuto, solo il mese di ottobre cioè, abbiamo pensato di proseguire con la formula dell’anno scorso.

L’obiettivo che si prefigge questa rassegna teologica non è tanto quello di dettare una “linea” teologica e pastorale alla diocesi o di svolgere un tema “accademico” distante dalla vita. Piuttosto quello di fornire una sinfonica costellazione di spunti di riflessione teologica, a partire dal vissuto esistenziale delle persone, dalle attese, dai bisogni, dalle ansie di noi uomini e donne del nostro tempo; ripercorrendo le domande che stanno alla base del vivere e sulle quali si innesta la proposta cristiana. L’intento è quello di offrire uno “spazio” non soltanto fisico, ma intellettuale e spirituale a quel “quaerere Deum” , quel movimento di ricerca di Dio, suscitato dallo stesso Spirito Santo, che è l’anima della edificazione di una città umana a misura d’uomo e insieme aperta verso l’infinito, come ebbe a dire Papa Benedetto XVI° in una memorabile lezione sul monachesimo e l’Europa nella scuola dei Bernardins a Parigi qualche anno fa.

Vorrei spendere ora qualche breve parola sul tema de “I linguaggi del divino di quest’anno”: rinascere dall’alto. Un tema che si riallaccia a quello degli orientamenti pastorali diocesani che ci siamo dati nel triennio che sta per concludersi. Orientamenti che – come ben sapete – portano significativamente il titolo “Sulle ali dello Spirito. Il padre, i poveri, la comunità fraterna e missionaria”. Le “ali dello Spirito” sono quelle che appunto ci fanno rinascere dall’alto e ci conducono in alto verso la nostra piena dignità di figli di Dio, coeredi con Cristo del Regno dei cieli.

Rinascere dall’alto. Sono le parole che Gesù rivolge a Nicodemo quando quest’uomo, un fariseo, va da lui di notte. Lo muove la curiosità e forse una certa inquietudine interiore. Inizia un dialogo nel quale Nicodemo è per così dire “costretto” a entrare in una dimensione diversa da quella dalla quale è partito. È un uomo invecchiato, Nicodemo, ma non è solo una questione d’età. C’è un indurimento che vuol dire chiusura, rinuncia alla ricerca, roccaforte, sicurezze posticce. Nel colloquio con quest’uomo, Gesù, secondo la narrazione giovannea, richiama parole che hanno il sapore di un vocabolario fondamentale della vera vita, quella che rinasce sempre e non muore. Parole ‘originarie’, che fanno parte della vicenda dell’uomo, ma che – allo stesso tempo – assumono una densità sorprendente. «Rinascere», «Dall’alto», «Lo Spirito». La vita secondo lo Spirito è una nuova vita, quella dei redenti, dai battezzati innestati in Cristo. Una nuova vita che cerca, desidera altro e si avvia su cammini diversi da quelli del mondo e della “carne”. «Carne». Ecco un’altra parola chiave. L’edizione dei linguaggi del divino 2018 intende prendere sul serio questo vocabolario.

Mi piace qui richiamare le parole di Papa Francesco, nella recente Esortazione apostolica “Gaudete et Exultate”. Un documento a mio parere ben presto passato nel dimenticatoio, tant’è che non se ne sente quasi più parlare. Testimonianza evidente della selettività con lui i mezzi di comunicazione approcciano Papa Francesco, la sua persona e il suo insegnamento. Cosa che non gli rende senz’altro un buon servizio. Dice appunto Papa Francesco al n. 15 della “Gaudete et exultate”, rivolgendosi a ciascuno di noi personalmente: «Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr Gal 5,22-23). Quando senti la tentazione di invischiarti nella tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: “Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore”. Nella Chiesa, santa e composta da peccatori, troverai tutto ciò di cui hai bisogno per crescere verso la santità. Il Signore l’ha colmata di doni con la Parola, i Sacramenti, i santuari, la vita delle comunità, la testimonianza dei santi, e una multiforme bellezza che procede dall’amore del Signore, “come una sposa si adorna di gioielli” (Is 61,10)». E ancora Papa Francesco al n. 21 della stessa Esortazione apostolica: «Il disegno del Padre è Cristo, e noi in Lui. In definitiva, è Cristo che ama in noi, perché “la santità non è altro che la carità pienamente vissuta”. Pertanto, “la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua”. Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo».

Ecco, approfondire queste cose; percepirne la corrispondenza con le inquietudini e i desideri profondi del nostro cuore; imparare a sognare e a costruire un mondo dove si rinasce dall’alto ogni giorno e si è capaci di incontrarci nella novità dell’amore: questa è la proposta che si dipana con una pluralità di prospettive contenuta nel percorso de “I linguaggi del divino” di quest’anno. E abbiamo scelto di iniziare proprio qui, in questo battistero di San Giovanni in corte. Terminato nel 1361, ci son voluti quasi sessant’anni per costruirlo ed è l’ultimo degli antichi battisteri monumentali presenti in diverse città italiane. Conserva ancora questa magnifica vasca battesimale, segno palese della rinascita dall’acqua e dallo Spirito. C’era forse luogo più significativo e bello di questo battistero per parlare di “rinascita dall’alto”? Un luogo simbolo, proprio della rinascita dall’alto ad opera dello Spirito. Luogo che si erge al centro della città e va su in alto, quasi ad indicare la necessità per la città stessa di rinascere ogni giorno dall’alto, per essere città a misura e degna dell’uomo?

Ancora un’ultima parola per dire grazie all’Abate di San Minato al Monte che ha accettato di venire tra noi, l’abate Bernardo. Lo seguiamo con affetto e con attenzione mentre da quell’abbazia millenaria sopra Firenze si spande una luce di bellezza, di spiritualità, di cultura e di fede che è diventata sempre più punto di riferimento per tante persone, credenti e non, in ricerca della verità e della pace. È una gioia averlo tra noi e lo ringraziamo davvero di cuore.

+ Fausto Tardelli, vescovo

(foto di Mariangela Montanari)




Lettera pastorale: il vescovo la racconta in un video

In onda su TVL per la trasmissione Ora Insieme,  una sintesi della lettera pastorale di Mons. Tardelli : “una comunità fraterna e missionaria“.

Nel video mons. vescovo illustra i contenuti della lettera pastorale accanto alle voci di don Cristiano d’Angelo, vicario per la pastorale, giovani e laici impegnati in parrocchia.  L’invito a riscoprire la fraternità, un rinnovato slancio missionario, l’impegno per crescere nella sinodalità, l’attenzione ai giovani: questi i temi discussi nella trasmissione che permette di avere uno sguardo di sintesi, ma anche alcuni spunti di riflessione e provocazioni sul tema dell‘anno pastorale 2018/2019.

La puntata di Ora Insieme, a cura dell’Ufficio Comunicazioni sociali della Diocesi, è stata realizzata da Daniel Giusti.

Il filmato è disponibile su youtube, nel canale della Diocesi di Pistoia.

Ora Insieme può essere considerata la più antica trasmissione di Tvl, nata per dare la parola agli ultimi con un filo diretto con la vita della Fondazione MAiC. Spesso, infatti, protagonisti della trasmissione, curata di Don Diego Pancaldo e Elena Allegri, sono ragazzi diversamente abili. Da Ora Insieme sono passati e passano ogni settimana personaggi e testimoni di livello nazionale e internazionale, per parlare di fede, cultura e disabilità.

https://www.tvl.it/programmi/ora-insieme




Disposizione del vescovo: pregare il rosario per la Chiesa

Disposizione del vescovo di Pistoia

Rispondendo all’appello del Santo Padre Francesco chiedo alle parrocchie e comunità cristiane della diocesi come pure ai singoli fedeli, che ogni giorno, durante tutto il mese mariano di ottobre si reciti a gruppi o singolarmente il Santo Rosario con l’intenzione data dallo stesso Papa: “chiedere alla Santa Madre di Dio e a San Michele Arcangelo di proteggere la Chiesa dal diavolo, che sempre mira a dividerci da Dio e tra di noi.”

Al termine del Santo rosario, recitato in gruppo o singolarmente, sempre su suggerimento di Papa Francesco, si aggiungano le preghiere “Sub tuum praesidium” rivolta alla Vergine Santa e “Sancte Michael Archangele” rivolta a San Michele.

Sub tuum praesidium

Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio. Non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, ma liberaci da ogni pericolo, o Vergine Gloriosa e Benedetta.

Sancte Michael Archangele

San Michele Arcangelo, difendici nella lotta: sii il nostro aiuto contro la malvagità e le insidie del demonio. Supplichevoli preghiamo che Dio lo domini e Tu, Principe della Milizia Celeste, con il potere che ti viene da Dio, incatena nell’inferno satana e gli spiriti maligni, che si aggirano per il mondo per far perdere le anime. Amen.

Pistoia, 29 settembre 2018

+Fausto Tardelli




Lettera del vescovo alla diocesi di Pistoia

Venerdì 21 settembre l’apertura dell’anno pastorale con il pellegrinaggio diocesano al Santuario della Madonna di Valdibrana

Carissimi fedeli della Diocesi,

la Madonna detta “di Valdibrana” ci aspetta!

Come già preannunciato, venerdì 21 settembre prossimo, da tutte le parrocchie della diocesi ci muoveremo in pellegrinaggio verso il nostro Santuario diocesano, dove si venera l’antica immagine della Madonna di Valdibrana. Spero davvero che ci sia una larga e sentita partecipazione. Ho voluto questo pellegrinaggio per esprimere l’attaccamento della nostra chiesa locale a Maria Santissima. Ci teniamo a Lei; per noi è madre e sorella; fulgido esempio di ciò che è chiamata ad essere la chiesa; consolazione nel cammino della vita e sostegno nella sequela amorosa ed esigente di Cristo.

Ho desiderato questo pellegrinaggio diocesano per affidare in modo del tutto particolare alla Madonna di Valdibrana, tutta la nostra chiesa: i laici tutti, le religiose e i religiosi, i presbiteri, i diaconi, i nostri seminaristi. Tutti coloro che soffrono e son in mezzo alle difficoltà, i nostri fratelli immigrati che sono tra noi in cerca di un futuro migliore, i nostri anziani e i nostri giovani e in modo tutto speciale le nostre famiglie.
Alla Madonna affidiamo anche il nostro anno pastorale, dedicato alla “comunità fraterna e missionaria”. Per questo, il 21 settembre daremo anche inizio ufficiale all’anno pastorale, con il mandato ai catechisti e ai vari responsabili parrocchiali.

Che ci si muova da ogni angolo della diocesi per convenire nel santuario di Valdibrana è un bel segno di comunione e di quel “camminare insieme” che è ciò che ci prefiggiamo di fare, in quello stile e pratica sinodale che è caratteristica tipica della chiesa. Il pellegrinaggio sarà l’occasione per benedire la nuova, grande aula liturgica che è stata costruita accanto al Santuario e per inaugurare anche i locali annessi. Ambienti che sono a servizio della diocesi e offrono belle opportunità di incontro e di formazione.

A tal proposito chiedo anche ad ogni parrocchia un gesto di generosità: un contributo economico perché si possano ripianare al più presto i debiti fatti per realizzare quest’opera di utilità comune. Chiedo quindi a tutte le parrocchie un impegno straordinario il cui frutto deporremo proprio il 21 prossimo ai piedi della Madonna di Valdibrana.

Ogni parrocchia può organizzarsi come meglio credere, scegliendo la modalità di pellegrinaggio che ritiene più opportuna.

La celebrazione eucaristica inizierà alle 21.30 nella nuova aula liturgica.
Alle 20.00, per tutti coloro che vi si vorranno unire, partirà dal nuovo parcheggio un breve pellegrinaggio che girando dietro la chiesa di San Romano raggiungerà il Santuario per la S.Messa.

Prima della celebrazione, a partire dalle ore 20.00, ci sarà la possibilità di confessarsi presso lo stesso Santuario.

Cercate di non mancare e anche coloro che non potranno venire si uniscano quella sera in preghiera, per i bisognosi, per la conversione dei peccatori, per la nostra chiesa, per un mondo di giustizia e di Pace.

Pistoia, 1 settembre 2018
+ Fausto Tardelli


La lettera pastorale del Vescovo Tardelli “L’anno della comunità fraterna e missionaria” è disponibile presso la Libreria San Jacopo in via Puccini 32, oppure presso la segreteria degli Uffici Pastorali (Sig.ra Daniela, Seminario Vescovile, Via Puccini, 36). Il testo può essere scaricato anche in pdf dal sito web diocesano.