Credere è una risposta d’amore

Una riflessione sul credere alla luce del recente magistero della Chiesa

di Alessio Biagioni*

Nel mese di ottobre nella nostra diocesi si svolgerà la seconda edizione dei linguaggi del divino dedicata quest’anno al tema “credere oggi”. Riflettere sul credere è infatti importante in questo periodo storico dove da un lato sembra prevalere, se non l’incredulità, perlomeno l’indifferenza, dall’altro vi è una richiesta di maggiore spiritualità a fronte di lamentati ed eccessivi materialismo ed edonismo.

L’atteggiamento oggi maggiormente condiviso sembra appunto quello dell’indifferenza rispetto al trascendente ma talvolta anche rispetto a ciò che esula da quello che si crede concreto, pratico. Si può segnalare poi anche un altro modo di porsi diffuso che comporta il credere non in ciò che è trascendente e spirituale, ma in quello che mezzi di comunicazione o personaggi ritenuti autorevoli diffondono, fino talvolta ad arrivare alla superstizione o al complottismo. Infine deve constatarsi che vi è invece una sempre maggiore richiesta di risposte alle domande fondamentali della vita che non si accontenta di un soggettivo “penso che sia così” o dell’opinione di chi fa più rumore.

Tale differenziazione di atteggiamento rende necessaria la comprensione di cosa significhi credere. Il titolo della manifestazione ci aiuta. Si riferisce a un episodio narrato dall’evangelista Marco: un padre disperato davanti a un figlio sofferente. Neppure gli apostoli sono riusciti a guarirlo, allora questo padre si rivolge a Gesù dicendo: «Credo, aiutami nella mia incredulità». Questa vicinanza delle parole credo e incredulità ci può sorprendere all’inizio, ma se ognuno di noi pensa alla propria esperienza di vita non può che riconoscersi nel grido del padre. Proprio questa apparente antitesi ci svela il punto di partenza. Tutto nasce da una esigenza urgente nella vita dell’uomo, una richiesta di aiuto ma anche una richiesta di senso (cfr. Francesco, Porta fidei, 10). Di fronte a certe drammatiche situazioni o a domande esistenziali l’uomo ha talvolta la sensazione di non poter far nulla da solo né di trovare risposte o conforto. A quel punto il padre riceve la trasmissione di una notizia: incontra gli apostoli, che lì per lì non sono risolutivi, ma che lo portano comunque a Gesù. Finalmente questo incontro porta a una presa di posizione radicale, un affidamento totale a una Persona. Si comprende perciò, come l’esperienza del credere non si limiti a un sentimento soggettivo, a una mera riflessione personale che si risolva con l’adesione all’idea di un leader o di un personaggio dello spettacolo, ma come una ferma scelta di adesione che deriva da una testimonianza credibile. Per questo non può mai avvenire in modo solitario, ma è un incontro che avviene all’interno di una comunità. La particolarità del cristianesimo è, come abbiamo visto, il fatto che credere è affidarsi totalmente a una Persona, a Gesù. «In quanto risorto, Cristo è testimone affidabile, degno di fede (cfr Ap 1,5; Eb 2,17), appoggio solido per la nostra fede» (Francesco, Lumen Fidei 17). Quando recitiamo il credo non affermiamo solo che Dio esiste e che ha creato e salvato il mondo ma «dire Io credo in Dio significa fondare su di Lui la mia vita, lasciare che la sua Parola la orienti ogni giorno, nelle scelte concrete, senza paura di perdere qualcosa di me stesso» (Benedetto XVI, udienza del 23/1/2013). Ci rendiamo conto che è qualcosa di diverso da un sentimento di simpatia verso certe idee: qui è in gioco la vita stessa! Questo perché l’adesione a una Persona è anche un atto d’amore, è l’amore che attualizza la fede in ogni attimo dell’esistenza.

Perché ciò sia possibile, l’adesione deve avvenire in una comunità: insegna papa Francesco «la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva, ma nasce da un ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio» (Francesco, Lumen Fidei 22). L’incontro con Gesù avviene innanzitutto grazie alla testimonianza di chi l’ha già incontrato e sta rispondendo al suo amore che «rende partecipi del cammino della Chiesa, pellegrina nella storia verso il compimento. Per chi è stato trasformato in questo modo, si apre un nuovo modo di vedere, la fede diventa luce per i suoi occhi». Ma questa testimonianza ha radici lontane e deriva dagli stessi apostoli che hanno visto il risorto e l’hanno annunciato fino ai confini del mondo. La Chiesa custodisce questa testimonianza e ce la fa pregustare ogni giorno mediante i sacramenti e l’ascolto della Parola di Dio. La nostra adesione a questo dono gratuito comporta un cambiamento in noi, una crescita, qualcosa che vivifica le nostre relazioni familiari e lavorative, la nostra professione e le nostre passioni. La vita di tutti i giorni diventa perciò testimonianza di quella professione di fede. Ma non basta, riempiendoci dell’amore donato nella Parola e nei sacramenti siamo spinti a «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Francesco, Evangelii gaudium 20). Il tema della prossima edizione dei linguaggi del divino ci conduce dunque a scoprire questo cambiamento di prospettiva, questa crescita personale in diversi ambiti dell’umano, nel lavoro, nello studio, nell’arte, nella letteratura e la chiamata della Chiesa alla missionarietà. Questo è utile per interrogare noi stessi, comprendere se stiamo davvero rispondendo all’amore che ci è stato gratuitamente donato. Non solo il racconto di esperienze o la visione di opere d’arte ma anche i nudi dati sociologici su fede e indifferenza non devono entusiasmare o demoralizzare ma essere di stimolo alla testimonianza.

Di fronte alla indifferenza e alla stanchezza di questi giorni è perciò opportuno fare il proprio lavoro e affrontare i problemi di ogni giorno alla luce della Parola di Dio; forse molte volte certe nostre scelte non saranno capite e saranno in contraddizione con certe idee e mode ma è soprattutto tale testimonianza di fede e di amore che può far scaturire la domanda «aiutami nella mia incredulità».

 

*Alessio Biagioni (nato a Pistoia nel 1979) è seminarista della diocesi di Pistoia al terzo anno di formazione e alunno dell’Almo Collegio Capranica a Roma dove frequenta la Pontificia Università Gregoriana. È avvocato, regista di cortometraggi e appassionato di filosofia.