IL FENOMENO DELLE MIGRAZIONI CON GLI OCCHI DELLA FEDE

ROMA – «Venticinque anni fa, la Commissione ecclesiale per le migrazioni pubblicava il documento Ero forestiero e mi avete ospitato, interpretando e accompagnando il fenomeno dell’immigrazione nei suoi inizi e sviluppi in Italia “con gli occhi della fede”. A venticinque anni di distanza avvertiamo la necessità, come pastori, di condividere una riflessione sul tema dell’immigrazione». Così i vescovi italiani si rivolgono alle comunità cristiane, nella lettera pubblicata lo scorso 20 maggio, che ricorda i venticinque anni del documento scritto nel pieno della prima grande crisi migratoria nel cuore del mediterraneo.

«L’immigrazione nel 1993 era un fenomeno “nuovo” ed emergente – si legge nel documento – di cui non si riusciva ancora a cogliere le dimensioni e le prospettive. Secondo i dati del Ministero dell’Interno gli immigrati regolari in Italia erano infatti 987.405, in maggioranza europei dell’Unione Europea e dell’Europa orientale». Oggi il totale dei migranti supera i 5 milioni, di cui, va detto, oltre la metà è rappresentato da donne, bambini e minori non accompagnati. Una semplice rassegna dei dati può smontare alcuni luoghi comuni e mettere a fuoco il fenomeno migratorio.

Chi sono i migranti presenti nel nostro paese? Forse sorprende sapere che oltre il 50% dei migranti proviene principalmente dall’Europa Centro-Orientale; capolista la Romania con il  22,9% del totale e a seguire Albania, Marocco, Cina e Ucraina. La nota della CEI ci illustra altri dati significativi: «Nel 2016 circa 24.000 sono stati i matrimoni misti o tra immigrati (14,1% del totale dei matrimoni); 72.000 i nuovi nati da famiglie straniere (14,8% sul totale)». Numeri importanti che rivelano, per contrasto, la flessione di matrimoni e nascite in un paese sempre più vecchio.

E i rifugiati e richiedenti asilo? «Alla fine del 2017 erano in accoglienza nel nostro Paese 183.681 richiedenti asilo e rifugiati: appena il 3 per mille dei residenti».

Se i migranti crescono, occorre tenere presente anche gli italiani hanno lasciato il paese con una cifra in costante aumento. In 25 anni circa 5 milioni sono emigrati, raggiungendo il numero dei nuovi arrivati.

I Vescovi italiani – negli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 – hanno ricordato che il fenomeno delle migrazioni è «senza dubbio una delle più grandi sfide educative».  D’altra parte non si possono negare le criticità di un contesto socio economico per niente roseo in cui «l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese». Eppure, affermano i vescovi «l’opera educativa deve tener conto di questa situazione e aiutare a superare paure, pregiudizi e diffidenze, promuovendo la mutua conoscenza, il dialogo e la collaborazione».

«Riconosciamo – si legge nel documento – che esistono dei limiti nell’accoglienza. Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità, esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose».

Allo stesso tempo, si precisa nel documento che «il primo diritto è quello di non dover essere costretti a lasciare la propria terra. Per questo appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti, per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente». Non è pensabile leggere il fenomeno migratorio senza questo sguardo globale, in cui molti fattori dell’immigrazione sono frutto di scelte politiche ed economiche discutibili dei paesi più ricchi. «Occorre dunque – è uno dai passi più forti del documento – pensare in grande per agire “politicamente” in senso forte e responsabile, così da colpire efficacemente, ovunque si trovino, poteri e persone che prosperano sulla morte degli altri, cominciando dai trafficanti di armi fino a quelli di esseri umani».

Le migrazioni, d’altra parte sono un inequivocabile segno dei tempi. «Leggere le migrazioni come “segno dei tempi”» e un presupposto necessario che chiede «uno sguardo capace di andare oltre letture superficiali o di comodo, uno sguardo che vada “più lontano” e cerchi di individuare il perché del fenomeno». La lettura della realtà invita a comprendere che non c’è altra via rispetto all’integrazione; un obiettivo che il documento propone di raggiungere a tappe.

  1. Dalla paura …all’incontro

Il primo passo è individuato nel primo incontro, dove ci si deve confrontare con la diversità. Ed è in questa diversità che emerge la paura: «la mia paura e quella che prova lo straniero. La sua paura – si precisa nella nota– è quella di chi è venuto in un mondo a lui radicalmente estraneo, dove non è di casa e non ha casa, un mondo di cui non conosce nulla. La mia è quella di ritrovarmi di fronte ad uno sconosciuto che è entrato nella “mia” terra, che è presente nel “mio” spazio e che, nonostante sia solo, mi lascia intravvedere che forse molti altri lo seguiranno». «Queste paure sono legittime, – ha ricordato recentemente papa Francesco – Avere dubbi e timori non è un peccato. Il peccato è lasciare che queste paure determinino le nostre risposte, condizionino le nostre scelte, compromettano il rispetto e la generosità, alimentino l’odio e il rifiuto».

Per passare dalla paura all’incontro occorre intraprendere «un cammino esigente e a volte faticoso a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica. Si tratta di riconoscere l’altro nella sua singolarità, dignità, valore umano inestimabile e desiderare di fargli posto, di accettarlo. Tutto ciò senza rinnegare la nostra cultura e le nostre tradizioni, ma riconoscendo che ve ne sono altre ugualmente degne».

  1. Dall’incontro …alla relazione

Solo «da un incontro vero nasce la relazione e il dialogo (…) Un dialogo che non ha come fine l’uniformità, ma il camminare insieme, il ricercare un “consenso”, un senso condiviso a partire da presupposti differenti. È nel dialogo, allora, che si modificano i pregiudizi, le immagini, gli stereotipi (…) siamo interrogati sulle nostre certezze e sulla nostra identità». Le reazioni di rigetto che talvolta suscita l’immigrazione, in altre parole, non fa altro che mettere in luce «un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo».

  1. Dalla relazione… all’interazione

Il passaggio più difficile è l’ultima tappa del cammino: l’integrazione, ovvero «un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità». Un passaggio in cui la Chiesa non può certamente fare tutto, ma può accompagnare, sussidiariamente, lo Stato e le istituzioni internazionali.