Abbiamo chiesto ad alcuni giovani di proporre una riflessione sulle parole chiave del dialogo tra Gesù a Nicodemo. Un brano, contenuto nel terzo capitolo del Vangelo di Giovanni, in cui è possibile isolare un piccolo “vocabolario” di “spiritualità” da cui è stato preso spunto per le tematiche discusse nell’edizione 2018 de “i Linguaggi del divino – Rinascere dall’alto”.
Arianna Candelli (20 anni), giovane studente di archeologia propone la sua riflessione su: «sentire/voce».
Sottile Voce di silenzio
Spesso si fa del suono svago, sollievo e passatempo. Con i pensieri dialogano la solitudine del cuore e la pace perduta che si fanno vive sulle labbra. Il nudo silenzio della propria essenza copriamo pudici col manto sfarzoso dell’eloquenza. Profonde incomprese verità si proferiscono in ogni dove e solide fortezze si innalzano maestose su friabile terreno. Come faremo, quindi, così vestiti ed arroccati nei nostri baluardi a sentire l’umile autentica Voce del vento farsi strada tra le fessure degli infissi e giungere a noi?
La sensibilità di cui siamo dotati per sentire non è semplice da affinare, e la parola, per mezzo della quale la Voce parla, è un’entità di per sé fragile. Non stupisce che Dio, infinito ed eterno difensore dei deboli, abbia scelto proprio questa piccola indifesa per rivelarvisi, penetrando in una realtà così delicata, in un mondo che pullula di voci e di rumori.
Nel capitolo 11 della Genesi i versetti 1-9 sono dedicati all’emblematico episodio della Torre di Babele e leggendone l’inizio troviamo scritto che, prima della dispersione degli uomini, tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Su quale fosse la lingua primigenia dell’umanità molti si interrogarono a lungo. Fra’ Salimbene de Adam da Parma, francescano del XIII secolo, nella sua Cronica ci racconta, a proposito di questo fatto, che l’Imperatore Federico II di Svevia, nel tentativo di venire a capo proprio di quel quesito, avrebbe fatto crescere alcuni bambini ordinando di non rivolger loro alcuna parola o vezzo. Non parlando con nessuno, purtroppo, questi piccoli morirono presto. Commenta Salimbene che i neonati «non potrebbero vivere senza quel batter le mani e senza quegli altri gesti, senza l’espressione sorridente dei volti e senza le carezze delle loro balie e nutrici». Esiste dunque un idioma primordiale? Sì. Si tratta di un linguaggio custodito nell’anima di ciascuno di noi che ci permette di sentire: quello dell’Amore, della tenerezza della madre per il figlio, di Dio per l’uomo. È la Sua Voce che siamo chiamati ad ascoltare, quella di Colui che nel donarci più di Se Stesso tutto ci dona. Ed ecco che l’esile parola, nel Suo Amore, si fa potente, energica, splendente di luce, codice e fonte di cultura e di speranza.
Accade, tuttavia, che talvolta in momenti di frenesia, debolezza, difficoltà e turbamento, i sensi dell’uomo siano annebbiati e non riescano più a ricordarsi come sentire. Espandiamo nell’etere il nostro io e nella dimensione della preghiera, spesso superbamente, pretendiamo di trovare facili risposte di conforto ai problemi presenti, ma Dio non ascolta le nostre parole se non quando è Lui stesso a plasmarle dalla nostra bocca. Conosce infatti ogni bisogno ancor prima che sia manifesto e nulla ottiene da Lui chi prega per il solo avere. L’uomo che non ha responsi immediati si sente abbandonato, escluso in questa circostanza di offuscamento, incapace di percepire la Voce del Signore che sussurra al cuore tenendoci per mano. Lì si è subito posto vicino ad ognuno, e sempre lì sarà ad accompagnarci nei mondi della vita terrena e celeste. Ci domandiamo dove Lui sia e dove ricercare la sua Voce quando non l’udiamo più. Forse ascoltando i flutti ondosi del mare, lo scroscio d’una cascata impetuosa, il crepitio d’una pioggia autunnale, lo scricchiolìo nei ghiacci invernali, il cinguettare del risveglio di primavera o il tuono nel cielo plumbeo?
Dio ha creato tutte queste meraviglie per i nostri sensi, ma la Sua Voce è spesso silenziosa e più difficile da percepire di ogni altra cosa. Per questo, come figli dell’Amore del Nostro Signore, immersi oggi più che mai in un tumulto continuo di discorsi, immagini e richiami diretti ed espliciti, dove il tempo e lo spazio per ciò che è invisibile agli occhi sono molto ridotti, dovremmo cercare di educarci ed educare, lasciandoci avvolgere fiduciosi dalla brezza del vento di Dio, a sentire la bellezza autentica del Divino Silenzio fine e leggero ove ogni parola si compendia.
Arianna Candelli
nella foto: Edward Steichen, Moonlight: The Pond (1904)