IN ASCOLTO DEI GIOVANI. UN INTERVENTO DEL VESCOVO TARDELLI

Riprendiamo da La Vita del 26/02/2017 un intervento del vescovo Tardelli in occasione di un’inchiesta sul mondo giovanile in attesa del prossimo Sinodo dei Vescovi.

La Chiesa Cattolica dedicherà ai giovani il prossimo sinodo dei vescovi. Il tema scelto per l’evento, previsto nell’autunno del 2018 è il seguente: “I giovani, la fede, e il discernimento vocazionale”. Quali  sono, a suo avviso, le problematiche più diffuse legate al mondo dei giovani?

Perché parlare di “problematiche”? È una brutta abitudine – dico di noi adulti – pensare ai giovani come “problema”. I giovani non sono un “problema”: sono una meravigliosa realtà di cui dovremmo esser grati al Signore e che dovremmo amare come una sua consolazione. In realtà il problema siamo noi, abbarbicati al nostro potere, alla presunta saggezza degli anni accumulati sulle spalle. In fondo, abbiamo paura che i giovani ci prendano il posto e per questo non gli diamo fiducia, dimostrando in sostanza che non li vogliamo. E’ così purtroppo anche per la chiesa: non sempre siamo disposti ad accoglierli e a lasciarli esprimere con il loro desiderio di vivere e di ridere, col loro modo di pensare e di sentire, accettando con buona pace che non rientrino nei nostri schemi ideologici.

Io credo che i giovani ci pongano una domanda imbarazzante: la società ci vuole? Ci amate, ci desiderate, ci rispettate? Purtroppo la risposta è si a parole, no nei fatti. La nostra società è già e sarà ancora di più una società con molti vecchi. Che non sarebbe poi niente di male, se non fosse piuttosto una società “di” vecchi e “per” vecchi che scimmiottano i giovani e se vecchiaia non volesse dire incapacità di far spazio ai giovani veri o addirittura ostilità nei loro confronti, perché considerati ladri dei propri privilegi.

Abbiamo davanti quotidianamente dei fatti drammatici di cui sono protagonisti proprio i giovani: suicidi, dipendenze, violenza… Come si può spiegare questo loro atteggiamento?

Spesso, purtroppo, la nostra società si dimostra nemica dei giovani. Lo dimostra già il fatto che se ne vedono sempre meno. Non solo nelle chiese. Natalità sotto o pari a zero da un po’. Le tragiche morti del sabato sera sono un segnale drammaticamente profetico dell’ostilità della nostra società nei confronti dei giovani. Come lo sono i suicidi che non ci possono lasciare tranquilli, la diffusione delle droghe, dello sballo, la disoccupazione. Quei pochi giovani poi li bombardiamo in continuazione con le nostre teorie e pratiche da società liquida, priva di valori assoluti e di ideali, immersa nel totale relativismo. Poi ci meravigliamo se qualcuno va con l’ISIS o se il nihilismo avanza e si manifestano qua e là inquietanti atteggiamenti nostalgici! Questi giovani li abbiamo messi di fronte alle nostre meschinità e alle nostre ipocrisie. Li abbiamo invitati a essere nient’altro che dei consumatori di beni, di sesso, di emozioni, di idee indifferenti: abbiamo rubato loro l’anima, facendogli vedere che è impossibile amarsi per sempre, donarsi l’un l’altro nella famiglia per tutta la vita, spendersi totalmente per qualcosa che non sia il proprio utile. Gli abbiamo messo di fronte una politica dagli eterni giochi meschini, un mondo dominato e corrotto dal denaro. Soprattutto, a questi giovani la nostra società ha rubato Dio dal cuore.

Un libro recente di Franco Garelli, “Piccoli atei crescono”, evidenzia la crisi di fede che attraversa le nuove generazioni tra la quali sarebbe diffusa una indifferenza religiosa che talora si spinge fino alla negazione di Dio. A partire dalla sua esperienza si sente di confermare questa analisi?

Mi domanderei, piuttosto: come chiesa, cosa offriamo ai giovani? I nostri problemi di “aggiornamento”, le nostre facce tristi, le nostre logore idee e infinite chiacchiere? È evidente che una chiesa così, senza entusiasmo e povera di fede, che non è innamorata di Gesù Cristo e non lo trasuda da tutti i pori delle sue membra, una chiesa ripiegata a discutere di matrimonio dei preti o di chi comanda, non può interessare ai giovani. Non vi trovano in essa chi sappia accendere la fiamma dell’amore vero, della nobiltà dell’eroismo, della grandezza dell’ideale fino al dono della vita. Non trovano nemmeno occasione per appassionarsi alla ricerca dello splendore della verità, ma solo mezze misure e compromessi, spesso disunione e cinismo. Non trovano soprattutto chi sappia ascoltarli con amore, considerandoli un dono e una risorsa, non un problema e che parli loro con semplicità e autenticità di Dio. “I bambini chiedevano il pane e non c’era chi lo spezzasse loro.” (Lam. 4,4): questa è la drammatica verità che la parola di Dio ci ricorda.

Il quadro che dipinge non è proprio esaltante. Accanto a questo presente dobbiamo prevedere un futuro nero?

Bene o male, credo che comunque i giovani stiano già cercando da sé le loro strade e sono certo che riusciranno a venir fuori dai vicoli ciechi in cui li abbiamo rinchiusi. Dio li ama immensamente e ha messo in loro una capacità di resilienza che nessuno può togliergli. Nemmeno la nostra grettezza di adulti. Per questo sono convinto che costruiranno un mondo migliore di quello che abbiamo realizzato noi.

Intervista a cura di Daniela Raspollini