L’ascolto è cosa del cuore

Un invito a scoprire il bisogno di essere riconosciuti e ascoltati, per imparare il valore di un ascolto differenziato.

di Cecilia Costa*

La prof.ssa Cecilia Costa è sociologa e docente presso l’università di Roma Tre. Recentemente è stata nominata consultore della segreteria generale del sinodo dei vescovi, ed ha partecipato ai recenti sinodi convocati da Papa Francesco. A partire dalla sua vasta esperienza in ambito ecclesiale e sociologico ci consegna una riflessione sul valore dell’ascolto con una particolare attenzione al mondo dei giovani.

Situazione culturale

La Chiesa è impiantata nella società, di conseguenza ha bisogno di conoscere la situazione socio-culturale nella quale opera al fine di annunciare il Vangelo. Per diffondere il suo messaggio, dunque, la Chiesa deve essere più che mai attenta ai “segni dei tempi” e al difficile rapporto tra il Vangelo e i valori, il costume, il linguaggio e i simboli di un determinato momento storico. Alla luce di questa premessa, non si può trascurare, pertanto, di riferirsi all’attuale clima culturale della nostra modernità avanzata, in cui, da una parte, si garantiscono delle possibilità straordinarie in campo medico-biologico e tecnologico-comunicativo. Dall’altra parte, invece, si devono affrontare delle problematiche emergenti, tra le quali ci sono: l’abuso della tecnologia digitale; il deficit simbolico di identità, memoria, storia; l’enfasi soggettivista e l’autoreferenzialità; il consumo eletto a fine esistenziale; la concezione della salvezza intesa ormai come generico benessere psicologico; lo scarso senso di appartenenza  e di comunità; la difficoltà di fare scelte per la vita e di assumersi responsabilità nel sociale.

 

Di questi e altri nuclei tematici si è riflettuto anche nell’assemblea sinodale 2018, mettendo in conto che nell’attualità diventa tutto più complesso, perché l’odierno tessuto socio-culturale spesso mette in dubbio ogni verità e spinge verso gli idoli moderni. A fronte di queste problematiche, si evidenziano anche alcuni bisogni,  trasversali a tutte le fasce di età, dalle più giovani alle più adulte, che possono essere riassunti come segue: bisogno di orizzonti di senso, di individualizzazione del sé, di accompagnamento, di relazione e di ascolto. In sostanza, nonostante si sia immersi in una cultura dell’immanente, dell’indistinto, del provvisorio, del dubbio, dello sradicamento, della «perdita del senso della totalità […] del senso della vita e del vivere insieme», come dice Papa Francesco nella Laudato si’, proprio nella nostra epoca sembra che si stiano amplificando le domande di significato, il desiderio di ognuno di essere riconosciuto nella propria unicità e ascoltato.

Ascolto

 

A proposito dell’ascolto, −come recita il documento finale del sinodo dei vescovi XV assemblea generale ordinaria, I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, 2018−, esso deve essere inteso come incontro di libertà, coniugato con l’azione divina, offerta dai sacramenti, e con un’adeguata direzione spirituale.

 

Deve essere un ascolto empatico, dialogante, all’insegna del camminare insieme, della relazionalità, della pazienza, dell’accoglienza, dell’affetto, della disponibilità, dell’approccio non indifferenziato, perché ogni persona vuole essere ascoltata per i propri desideri, le proprie incertezze e le proprie paure.

 

Un ascolto che non deve essere segregato in atti, regole, procedure, ricette, comportamenti standardizzati o “costruito” formalmente, ma portato avanti da esperienza a esperienza, da persona a persona. Un ascolto capace, −nei momenti liminali o di fragilità, come in quelli ordinari− di rispettare il ritmo e l’unicità di ciascuno.

 

Bisogna cercare di ascoltare in modo intenso, attenti sia all’aspetto teologico che pedagogico, mirando a far comprendere la libertà e accettarne il rischio. Una libertà che nell’attualità non è ben compresa nel suo significato profondo, perciò va descritta con chiarezza, dicendo che essa rientra nel dialogo della salvezza. Si deve spiegare che la vera libertà, come sottolineato da Paolo VI, è generata da una “domanda d’amore”, alla quale ognuno è «libero di corrispondervi o di rifiutarla» (Ecclesiam suam).

 

In modo particolare, le nuove generazioni per poter affrontare il mondo contemporaneo con le sue sfide inedite e complesse, per imparare a discernere e per diventare consapevoli hanno bisogno di essere riconosciuti, ascoltati, dagli accompagnatori, dai pastori e dalle guide spirituali. Essi hanno necessità di figure vicine, pazienti, sensibili, appassionate, empatiche, che commuovano, parlando al cuore e non solo all’intelletto; che risveglino l’anelito per l’altro da sé e per il bene comune; che favoriscano il saper «riconoscere, interpretare e scegliere» (I giovani, la fede e il discernimento vocazionale, Documento Finale). I giovani e gli stessi adulti hanno bisogno di testimoni credibili, di interpreti autentici di quella che Ignazio d’Antiochia ha chiamato la «novità della speranza», che sappiano aiutare ciascuno a domandarsi  non chi sono io, bensì «per chi sono io?» (Christus vivit).

 

Nel nostro momento storico, la pastorale per essere veramente adeguata ai segni dei tempi dovrebbe adottare un nuovo modo di ascoltare e uno nuovo stile relazionale-comunicativo, nel segno della prossimità, dell’amicizia, dell’affettività, del “cuore” (termine ripetuto 58 volte nell’esortazione Christus vivit) e della “rivoluzione della tenerezza”.

 

* consultore della segreteria generale del sinodo dei vescovi

(pubblicato sul settimanale “LA VITA” n. 2 del 19 gennaio 2020)