Linguaggi del divino 2018: un vocabolario ‘originario’
Rinascere dall’alto. Sono le parole che Gesù, in un colloquio notturno dettato dalla curiosità e un certo timore, rivolge a Nicodemo. Un dialogo dove l’inquietudine di quest’uomo pio e ormai un po’ invecchiato nelle proprie certezze fatica a entrare nella proposta di Cristo. Eppure, con i suoi tentennamenti, le sue paure, ma anche per la sua apertura e il suo desiderio sincero di verità, la figura di Nicodemo resta simpatica. Alla morte di Gesù lo ritroviamo pronto a recuperare e onorarne il corpo: una delicatezza dietro cui la sua figura sparisce, non sappiamo se ormai pienamente ‘convertita’, ancora incredula o in cammino. A Nicodemo, protagonista ‘della soglia’, Gesù consegna un vocabolario fondamentale. Un vocabolario fatto di parole ‘originarie’, che stanno dentro la vicenda dell’uomo, ma che – allo stesso tempo – assumono una densità sempre sorprendente.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di scoprire la densità di queste parole originarie che ridicono l’uomo all’uomo e, allo stesso tempo, aprono al ‘di più’ che invoca l’esistenza umana. Il recente Instrumentum Laboris del sinodo dei Giovani, è un’osservatorio significativo sull’atteggiamento odierno riguardo queste parole originarie. Lo rappresenta perché sintetizza le testimonianze di giovani di tutto il mondo, raccolte attraverso questionari scritti e online, ma anche discusse insieme dai giovani in un pre-sinodo svoltosi nel marzo scorso. Un’inchiesta planetaria che supera i confini della chiesa cattolica, aperta alle altre confessioni cristiane, ma anche a giovani non credenti o non inquadrabili nelle categorie tradizionali. I giovani – vi si legge – «in generale si dichiarano aperti alla spiritualità, anche se il sacro risulta spesso separato dalla vita quotidiana. Molti ritengono la religione una questione privata e si considerano spirituali ma non religiosi (nel senso di appartenenti a una confessione religiosa). La religione non è più vista come la via di accesso privilegiata al senso della vita, ed è affiancata e talvolta rimpiazzata da ideologie e altre correnti di pensiero, o dal successo personale o professionale» (n. 29).
Lo scollamento significativo – e drammatico- tra spiritualità e vita, tra religione e ricerca di senso sono passaggi emblematici su cui vale la pena riflettere. Così come l’appiattimento orizzontale delle risposte, spesso fragili e dal fiato corto, chiuse in una prospettiva privata se non individualistica. È il segno che si è perso di vista il vocabolario ‘base’ per la ricucire le attese e le aperture del cuore, come della mente, alla proposta spirituale.
«In alcune parti del mondo vi è una spontanea apertura alla trascendenza; in altre, dominate da un “umanesimo esclusivo”, la richiesta alla Chiesa è di essere mistica, capace di aprire spiragli di trascendenza nella vita di uomini e donne. Per questo alcuni vedono la liturgia come occasione di profezia. Infine, è forte la richiesta di radicalità» (n. 72). «In un tempo di confusione molti giovani si rendono conto che solo la preghiera, il silenzio e la contemplazione offrono il giusto “orizzonte di trascendenza” entro cui poter maturare scelte autentiche» (n. 183). Forse aveva proprio ragione Karl Rahner, celebre teologo gesuita, quando affermava che «il cristiano del futuro o sarà mistico o non sarà neppure cristiano» (Nuovi saggi, Roma 1968, p. 24). E il futuro, ci pare, lo ritroviamo anche nel ‘vocabolario’ che Gesù consegna a Nicodemo.
«Rinascere». «Come può nascere un uomo quando è vecchio?» (Gv 3, 4). Quale tensione si agita dentro il desiderio di ‘rinascere’?
«Alto». «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Cosa cerca il nostro sguardo oltre l’orizzonte di questo mondo?
«Cielo». Incatenato alla terra, l’uomo sente che il cuore cerca il cielo. «Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?» (Gv 3,12). Quale meraviglia che ‘supera’ l’uomo può ancora sorprenderci?
«Luce». «La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie» (Gv 3,19). Quale ‘luce’ rischiara la vita?
«Spirito». «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3,5).
«Carne». Ecco un’altra parola chiave. «Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6). Carne che indica il limite e la materialità irriducibile dell’uomo, che ha fame, sete, sonno, sessualità, sensibilità.
«Sentire/voce». «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito» (Gv 3,8). C’è un sentire che non può essere svalutato, un ascolto che va in profondità e che pure si affaccia sul mistero.
L’edizione dei linguaggi del divino 2018 intende prendere sul serio questo vocabolario. Sarà possibile ripercorrerlo attraverso la voce di personalità significative del pensiero e della spiritualità di oggi. Otto incontri, più tre eventi straordinari si dipaneranno in tutto il mese di ottobre (5 -22).
L’apertura, venerdì 5 ottobre alle ore 17.30 presso il Battistero di San Giovanni in Corte, sarà affidata a padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato al Monte (Firenze), testimone significativo di una spiritualità che dialoga con le “cose della terra” e conosce bene il cuore dell’uomo. Seguirà, alle 21, la presentazione del libro fotografico di Mariangela Montanari “Ubi amor, ibi oculus”: un suggestivo racconto per immagini in cui lo sguardo riesce a cogliere l’oltre dentro la realtà. La prima settimana si chiude con domenica 7 ottobre ore 17.30 presso la Sala Capitolare del Convento San Francesco con Guidalberto Bormolini che affronterà l’affascinante e drammatico sguardo dell’uomo di fronte alla morte, tra desiderio di rinascita e spiritualità. Solo l’inizio di un denso e affascinante percorso.
U. F.
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