NATALE 2015: LE PAROLE DEL VESCOVO. MESSA DELLA NOTTE
Avevo fame e mi deste da mangiare; avevo sete e mi deste da bere; ero nudo, infreddolito, indifeso, straniero, piccolino, e mi avete accolto, curato, sostenuto, amato…. Questo è ciò che vorremmo e dovremmo sentirci dire questa notte dal bambino Gesù. Questo è ciò che vorremmo e dovremmo sentirci dire da Lui…. ma ce le potrebbe rivolgere in verità, stanotte, Lui, queste parole? La domanda ci inquieta. E’ giusto che ci inquieti, perché il Natale, nella sua umile dolcezza è solo apparentemente innocuo: in realtà è profondamente provocatorio.
Dio, carissimi amici e fratelli, è venuto a visitarci come un bimbo bisognoso di tutto e ci chiede una sola cosa: di accoglierlo con amore. E’ venuto nella povertà. Come ci ha detto il Vangelo: Maria “diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio”.
Eccolo lì, il nostro Dio, Colui che né il cielo né la terra possono contenere. Eccolo lì, in quella mangiatoia per animali, nel posto dove stanno gli animali. Eccolo lì e ci chiede una sola cosa: di fargli spazio, di prenderlo in braccio e cullarlo, di accoglierlo con amore. Il Nostro Dio, che è misericordia infinita e usa misericordia nei nostri confronti, chiede Lui a noi misericordia. E’ davvero un paradosso: Dio ci usa misericordia chiedendoci misericordia, tendendo verso di noi le piccole braccia di bimbo, bisognoso di tutto. Abisso inaudito della logica di Dio che sconvolge i nostri modi di ragionare, che ci stupisce d’amore e ci fa cadere in ginocchio adoranti.
In questi giorni, un po’ dovunque, in casa come in strada, nelle chiese come nei palazzi si fanno i presepi. Ci affascinano sempre ed è una tradizione bellissima che il genio di San Francesco ha consegnato alla storia e che va fatto ogni sforzo per mantenere in vita.
Davanti ad essi cerchiamo però di fare attenzione. Non accontentiamoci di vederli e ammirarli: ascoltiamoli, invece. Accostiamo l’orecchio e proviamo ad ascoltare. Nel silenzio udremo allora una flebile voce di bimbo che dice: ho fame, ho sete, sono nudo e infreddolito, piccolino e indifeso… che cosa aspetti ad accogliermi, curarmi, amarmi?
Sarà Natale per davvero, carissimi fratelli e sorelle, se riusciremo a sentire questo bimbo che piange e ci chiede risposta. Se, ascoltandolo, tenderemo le nostre mani con gioia per incontrarlo nel cuore come grazia che salva, parola di vita che rigenera e volto misericordioso di un Dio che ci ama. Se, pentiti della nostra arroganza, correremo da Lui e lo riconosceremo come nostro Signore e Re dei re. Si, re dei re e signore dei signori. Come ci ha infatti detto il profeta Isaia: “Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace.” “Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.”
Riconoscerlo così, il nostro Dio, nato bambino, è inequivocabilmente questione di fede. Riconoscere in quel bimbo infreddolito e bisognoso di tutto, Dio onnipotente, il re dei re, solo la fede può farlo. La ragione si arresta sulla soglia di questo mistero e sarebbe tentata addirittura di dichiararne l’assurdità. Soltanto la fede riesce a cogliere la verità profonda del Natale. Per questo, la prima cosa che dobbiamo chiedere stanotte è che la nostra povera fede si rafforzi, maturi, acquisti occhi per vedere e contemplare il mistero di Dio, illumini tutta la nostra vita, osi manifestarsi con coraggio e letizia.
Non va però dimenticato che la fede senza le opere è morta. San Paolo ce lo ha ricordato, quando ha detto nella seconda lettura che l’incarnazione del Verbo di Dio ci deve insegnare “a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà.”
Perciò sarà Natale per davvero – e saremo davvero Chiesa del Signore – anche e solo se nella richiesta d’aiuto e d’amore che viene dal bambino di Betlemme coglieremo il grido di tutti i bambini offesi del mondo, di tutti i poveri della terra. E se a questa richiesta d’aiuto risponderemo andando in fretta incontro al fratello, condividendo con lui il tempo, ciò che abbiamo e che siamo, abbattendo i muri dell’indifferenza a volte più spessi dell’odio.
Ci dice Papa Francesco nella bolla d’indizione dell’anno santo speciale della Misericordia, da lui ardentemente voluto, che dobbiamo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. E afferma: “Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi!” “Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi.” “Siamo chiamati perciò a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità.”
Carissimi amici e fratelli, il divino bambino di Betlemme ci tende le braccia e aspetta la nostra risposta. Non possiamo far finta di niente, né accontentarci di guardare la sua immagine dentro i presepi, né di una emozione passeggera. Gesù bambino attende risposta, attende scelte di vita. La attende a Natale ma anche dopo, nei giorni molti o pochi della nostra umana esistenza. Ognuno è chiamato in prima persona. Egli aspetta risposta da me, da te, da noi, dal mondo. E alla richiesta d’aiuto unisce una promessa che è benedizione per oggi e speranza per domani: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.
+ Fausto Tardelli