A San Miniato l’incontro regionale per i presbiteri con l’Assistente nazionale di Azione Cattolica
Qual è l’originalità di Azione Cattolica? Come rilanciare l’associazione e inserirla nell’azione pastorale delle parrocchie? Quali sono le sfide e le tentazioni del momento presente?
Tanti interrogativi sull’identità e la missione dell’Azione Cattolica al centro dell’incontro organizzato a San Miniato mercoledì 3 maggio, in occasione dell’incontro regionale per i presbiteri con l’Assistente nazionale di Azione Cattolica Mons. Gualtiero Sigismondi. Un’occasione importante per far conoscere l’associazione ai sacerdoti delle diocesi toscane e riflettere sulla sua presenza nella realtà parrocchiale.
ll vescovo di Pistoia Fausto Tardelli, delegato CET per le aggregazioni laicali, portando i suoi saluti, ha confermato la fiducia e l’attenzione dei vescovi toscani nei confronti dell’associazione, che svolge un ruolo importante anche nel lavoro della consulta regionale delle aggregazioni laicali. La riflessione è stata quindi affidata a Mons. Gualtiero Sigismondi, assistente nazionale AC e successore del compianto vescovo Mons. Mansueto Bianchi.
L’AC, ha affermato Sigismondi è un «scuola di sinodalità e una scuola di formazione permanente per il clero». Ad oggi il testo di riferimento per Azione Cattolica, «l’icona più completa» per indirizzarne l’azione è sicuramente Evangelii Gaudium di Papa Francesco. A partire un breve riferimento al libro degli Atti degli Apostoli Mons. Sigismondi ha indicato quattro tensioni della Chiesa di oggi: il pericolo di mettere da parte la parola di Dio; l’incapacità di non essere segno di contraddizione, la tentazione di chiudersi in compartimenti stagni, il rischio di disgiungere dottrina e pastorale.
La missione di Azione Cattolica può risultare importante per affrontare queste quattro tensioni e superarle. AC, infatti, educa a lavorare in squadra: «l’Azione Cattolica – ha affermato Sigismondi – è scuola di sinodalità in cui si impara l’agilità pastorale».
Se l’AC è una palestra ecclesiale è anche perché la sua funzione, «il suo scopo non è che quello proprio della Chiesa». Uno scopo che raccomanda di «evitare le iniziative prive di iniziativa che ingolfano l’opera dell’associazione e della Chiesa», ma che chiede anche di prendere sul serio l’appello alla conversione pastorale richiesta da Papa Francesco. Mons. Sigismondi ha indicato alcuni precisi “passaggi” pastorali necessari alla vita di Azione Cattolica. Ha infatti invitato a:
passare a una pastorale dedicata a guidare la formazione di laici impegnati;
passare dalla rete pastorale delle parrocchie alla pastorale a rete delle parrocchie in alleanza in cui i diversi assistenti sono chiamati a imparare un lavoro condiviso;
passare dalla pastorale del campanile a quella del campanello, perché sia sviluppata una vera e propria «pastorale dell’orecchio»; una pastorale che opera «a goccia e non a pioggia», in cui assume importanza la direzione spirituale;
passare dai corsi di preparazione del sacramento del matrimonio a cammini di accompagnamento degli sposi novelli, nella consapevolezza che occorre ripartire dalla famiglia;
passare da una pastorale quasi esclusivamente concentrata nella iniziazione cristiana che vede i genitori latitanti ad una che li coinvolga, perché Azione Cattolica sa bene che non ci si può concentrare solo su i ragazzi;
passare da una pastorale giovanile ormeggiata al molo dei grandi eventi ad un discorso attento al discernimento vocazionale, alla decifrazione dei linguaggi dei giovani. In AC non può esserci principalmente pastorale dei grandi eventi, ma un cammino quotidiano che dice cura della vita interiore;
passare dal reclutamento dei catechisti a una formazione seria. Per questo un parroco può scommettere sull’Azione Cattolica;
passare dalla trincea della ritrosia di fronte a un mondo che cambia, alla presenza anche nei media digitali;
passare da un laicato che compie opera di manovalanza, ad essere cristiani che partecipano attivamente alla vita sociale del nostro paese, vincendo ogni forma di silenzio e reticenza: «meno sacrestani e più cristiani» diceva Bachelet.
Di fronte alla sfida proposta da questi numerosi, ma decisivi passaggi, l’Azione Cattolica è chiamata a prendersi cura della coscienza delle persone. AC è davvero una grande scuola di libertà, illumina e favorisce la maturazione di coscienze libere seminando la Parola senza stancarsi; avviando processi senza forzature, riconoscendo che ogni anima ha la sua pienezza nel tempo. «Soltanto un accompagnamento pastorale mirato – ha continuato Sigismondi – sa raggiungere tutti, per imparare a coinvolgere senza farsi travolgere. Un buon educatore sa mantenere le distanze della sicurezza e inquietare senza irritare, ma anche avere l’audacia di favorire il dialogo, incoraggiare senza fermare. Un po’ come si fa in famiglia. E Proprio a questo rimanda «la più bella definizione di AC», quella formulata da Mons. Bianchi: «una famiglia bella e grande».
Sigismondi ha concluso il suo intervento segnalando, con acutezza, le dodici tentazioni di un assistente AC:
- dimenticare che si è preti nell’AC e non dell’AC e che esiste una continua circolarità tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale;
- dimenticare di amare la Chiesa. L’AC non si lamenta della Chiesa, ma la ama;
- sottovalutare che gli assistenti formano un collegio, che sono chiamati a coordinarsi con il vescovo;
- ignorare le regole della partecipazione democratica alla vita associativa e non ricordarsi di stare ognuno al proprio posto;
- abdicare alla pastorale dell’orecchio. All’assistente è chiesto principalmente di dirigere le coscienze e confessare;
- scordare che come c’è un’arte di celebrare, ce n’è una di accompagnare;
- rinunciare a tenere sotto controllo la febbre degli eventi;
- resistere a portare avanti una pastorale integrata tra i vari settori;
- perdere il carattere asimmetrico della relazione educativa, coinvolgendosi senza lasciarsi travolgere. In una società senza padri, infatti, il rischio è che l’assistente faccia da ‘babbo’ e non da ‘padre’.
- appiattire l’AC sulla parrocchia; essere cristiani non è un abito da vestire in privato;
- snobbare gli appuntamenti associativi;
- rileggere la storia dell’Azione Cattolica senza impegnarsi a scrivere la parabola del buon seminatore, cioè senza impegnarsi in un lavoro chiamato a seminare con generosità.
u.f.