PER UN ‘IDENTIKIT’ DEL BULLO
Giulia Vendramini, psicologa collaboratrice del Centro Famiglia Sant’Anna ci aiuta a comprendere il fenomeno del bullismo
Qual è l’identikit del bullo? Cosa si nasconde dietro il suo comportamento?
Spesso alla base del comportamento aggressivo c’è una personalità piuttosto fragile. Alle spalle di un bullo, ciò che di frequente manca, è un nucleo familiare in grado di dialogare, ascoltare ed educare ponendo le dovute regole. Tutto questo comporta instabilità emotiva e una perdita totale di punti di riferimento. Il comportamento del bullo non è correlato all’estrazione sociale della famiglia, spesso infatti, si tratta di ragazzi che provengono da famiglie di ceto sociale elevato, in cui i bambini vengono eccessivamente compensati e coccolati.
Purtroppo viviamo in una società dove quello che più conta è il mostrare e il fare piuttosto che l’essere. I ragazzi sono abituati ad ottenere tutto quello che vogliono. Tra i miei giovani pazienti è all’ordine del giorno preoccuparsi di cosa farsi regalare da babbo o mamma per una qualsiasi festività o anche solo per un bel voto e i regali in alcuni casi sono anche economicamente consistenti come smartphone e vacanze.
Quello che noto dalla mia esperienza è che molti giovani non sono abituati a faticare e sacrificarsi per raggiungere un obiettivo e godere del proprio successo e dell’avercela fatta da soli. Non tollerano neanche la frustrazione di eventuali imprevisti o difficoltà che nella vita inevitabilmente accadono e che servono a mettere alla prova la persona e a stimolare la ricerca di soluzioni alternative. Al mio studio arrivano sempre più ragazzi insicuri, con una autostima estremamente bassa, che non provano neanche ad affrontare una minima difficoltà perché danno per scontato di non farcela, puntano il dito verso l’altro attribuendogli tutta la colpa e aspettano che qualcuno risolva la situazione per loro.
I ragazzi passano giornate intere su internet: è da lì che nasce in loro lo spirito di emulazione?
Sicuramente internet è uno strumento con una doppia faccia: da una parte, se ben usato, risulta molto utile per apprendere ed arricchirsi, dall’altra invece può diventare una fucina di pericoli e trappole subdole, in cui anche i ragazzi più preparati e informati possono cadere. Nella nostra società dell’apparire farsi un video e postarlo sui social, sperando di diventare famoso, è un comportamento all’ordine del giorno ed estremamente facile, grazie alle moderne tecnologie.
I nuovi idoli dei ragazzi sono gli influencer e i youtuber, spesso giovanissimi, che sono riusciti a diventare famosi e a guadagnare postando video e foto sui principali social network. Sembra che per essere riconosciuti come persona contino di più i “like” raccolti dai followers su internet, piuttosto che i propri pensieri, comportamenti e le relazioni vere, in carne ed ossa, che tessiamo.
Una piccola parentesi va aperta anche sui videogiochi; numerosi studi internazionali negli ultimi vent’anni hanno riscontrato un’influenza negativa dei videogiochi violenti negli adolescenti, disturbando la personalità dei ragazzi che ne fanno uso e favorendo l’aggressività fisica e l’indifferenza alla violenza. Già da bambini al giorno d’oggi si comincia a giocare con tablet, pc e cellulari di mamma e babbo, spesso a giochi violenti assolutamente non consoni all’età del giocatore. Questi giochi dove uccidere è una cosa normale e dove morire poco importa perché si può ricominciare daccapo, influiscono negativamente sul valore reale della vita vera.
Il ruolo dei genitori è importante per questi ragazzi. Purtroppo spesso manca il dialogo all’interno della famiglia..
La famiglia nella nostra società è cambiata negli ultimi decenni. Siamo passati da famiglie con tanti figli, che vivevano insieme a nonni e zii sotto lo stesso tetto o comunque vicini, a famiglie nucleari in cui spesso e volentieri entrambi i genitori devono lavorare per sopravvivere economicamente. I nonni, quando ci sono, costituiscono degli aiuti importanti, ma non sempre sono a piena disposizione dei nipoti. Alcuni lavorano ancora e hanno un tempo limitato da dedicare, inoltre non spetta a loro il ruolo educativo, quello è compito dei genitori, che talvolta dopo aver lavorato tutto il giorno non riescono a dedicare il giusto tempo ai figli. Sarebbe auspicabile, invece, riuscire a dedicare un tempo di qualità, piuttosto che di quantità ai figli, ascoltandoli, confrontandosi, facendo sentire loro la nostra vicinanza con piccoli gesti.
Il momento della cena in cui tutta la famiglia si riunisce a tavola, rappresenta un momento conviviale importantissimo in cui scambiarsi informazioni, racconti, emozioni, eppure è facile cadere vittime della televisione o degli smartphone che assorbono tutta la nostra attenzione, distogliendoci dal dialogo.
Una lamentela che mi riportano spesso i genitori di figli adolescenti è il non riuscire a comunicare con loro, visto che spesso e volentieri, parlano poco oppure si chiudono in camera. Dai comportamenti dei figli possiamo cercare di capire cosa sta succedendo, se hanno litigato con un amico o hanno concluso una storia d’amore. A volta non importano tante parole, ma gesti per dimostrare al figlio che babbo e mamma ci sono e ci saranno sempre per sostenerlo. I genitori devono essere dei buoni osservatori e notare i piccoli cambiamenti, cosa molto difficile perché richiede sforzo e attenzione.
Nel caso delle famiglie separate, purtroppo sempre in aumento, la situazione si complica, se poi la separazione è alimentata da conflitti genitoriali che usano i figli per colpirsi a vicenda, i ragazzi si trovano in una situazione ansiogena in cui si sentono manipolati piuttosto che compresi, vittime di una guerra tra adulti che non riescono a fornire punti di riferimenti ai figli. Capita poi che i genitori separati o che non riescono a dedicare tempo ai figli cerchino di ridurre il proprio senso di colpa comprando regali e cercando di rispondere a tutte le richieste materiali del figlio.
Purtroppo la famiglia che non pone i dovuti limiti ai figli, i genitori che non si assumono responsabilità educative, nuclei familiari disgregati e situazioni familiari complesse in cui possono essere presenti anche problemi economici e deprivazione culturale, possono spianare la strada a comportamenti aggressivi dei figli, che attraverso la violenza trovano una possibile strada per manifestare il loro disagio.
Non esiste più forse il coordinamento tra scuola e famiglia; un rapporto che sembrava portare buoni frutti adesso si è drammaticamente interrotto?
Qualcosa sembra essersi incrinato nel rapporto scuola-famiglia. Dopo gli ultimi casi di bullismo tra ragazzi e tra ragazzi e professori, ma anche dopo gli episodi di violenza verbale se non addirittura fisica da parte di qualche genitore nei confronti degli insegnanti, è necessario fermarsi a riflettere su cosa stia succedendo e come poter fare per ricucire un rapporto fondamentale per l’educazione e la formazione degli adulti di domani.
Purtroppo se un genitore non adempie al suo ruolo educativo e non trasmette i valori del rispetto verso gli altri e verso le regole, ma asseconda il figlio in tutto impedendogli di sbagliare e di fare i conti con la frustrazione e con eventuali conseguenze, viene meno alla sua funzione principale e rischia di crescere ragazzi incapaci di assumersi responsabilità e di diventare adulti maturi.
Mi trovo comunque sia d’accordo con la dichiarazione del presidente dell’Ordine degli Psicologi della Toscana, Lauro Mengheri, il quale sottolinea l’importanza di non generalizzare e di non cadere in condanne superficiali dopo il ben noto episodio di Lucca. Personalmente ho conosciuto famiglie e professori che hanno collaborano tra loro per sostenere i ragazzi anche in momenti di difficoltà. Come esistono episodi negativi, da non sminuire e su cui riflettere, esistono anche tante realtà positive che funzionano.
Questo fenomeno di bullismo nei confronti dei docenti sta dilagando: in che modo si potrà arginare?
Credo che i professori debbano riprendersi il loro ruolo educativo, ma devono essere loro i primi ad essere consapevoli dell’importanza del loro lavoro sulla formazione degli adulti di domani. Se non credono di svolgere il lavoro fondamentale che invece ricoprono, ma pensano di insegnare solamente una materia assegnando una serie di numeri o giudizi ai ragazzi, non riusciranno a trasmettere i giusti valori e la giusta motivazione ai ragazzi. La scuola poi, come la famiglia, dovrebbe avere regole chiare e certezza delle conseguenze per chi non rispetta tali regole. Tutto questo è importante per insegnare ai ragazzi ad assumersi le proprie responsabilità.
Chiaramente con le famiglie che non svolgono a pieno la loro funzione educativa sarà più difficile trovare una piena collaborazione; in questi casi un insegnante, come i genitori, deve essere un buon osservatore, riconoscere eventuali cambiamenti nel comportamento di un ragazzo e offrirgli uno spazio di ascolto e dialogo.
Sarebbe auspicabile che anche la famiglia collaborasse con l’insegnante per aiutare il figlio, se ciò non fosse possibile la scuola dovrebbe comunque attivarsi, indirizzando anche il ragazzo ad eventuali servizi scolastici come lo sportello di ascolto psicologico, oppure inserirlo in progetti pomeridiani con altre figure educative positive.
Quale ruolo può avere la Chiesa nell’educazione dei giovani e soprattutto nei confronti di chi ha atteggiamenti sbagliati? Quale messaggio vorrebbe rivolgere agli operatori pastorali? Molto spesso i ragazzi che fanno i bulli a scuola sono anche quelli che vanno a catechismo..
La Chiesa in qualità di istituzione formativa, così come la scuola e la famiglia, rappresenta un’ulteriore opportunità educativa trasmettendo valori cristiani come: rispetto, uguaglianza, tolleranza e offrendo uno spazio di ascolto e di confronto tra ragazzi. In caso di giovani in difficoltà è necessario attivare un canale di collaborazione con la famiglia e la scuola, segnalando eventuali comportamenti a rischio e cercando insieme di sostenere il ragazzo a 360 gradi.
È fondamentale che il giovane si senta seguito e supportato il più possibile e che possa contare su più figure di riferimento e su modelli educativi positivi. Gli operatori pastorali hanno il compito di offrire ai ragazzi un’esperienza di crescita e di formazione spirituale, personale e sociale. Come gli insegnanti, anche gli operatori devono essere sempre attenti e interessati ai ragazzi e ad eventuali cambiamenti nei loro comportamenti, in modo da attivarsi il prima possibile.
Daniela Raspollini