1- Monsignore, dopo quasi sei mesi dal suo arrivo a Pistoia che profilo può tracciare della città?
E’ ancora presto per tracciare un profilo attendibile della città. Ogni giorno di più mi rendo
conto di quanto devo ancora conoscere e capire. Posso quindi soltanto parlare di prime
impressioni che, dico subito, sono sostanzialmente positive. Esprimerei tutto questo con
una sensazione: mi trovo a mio agio in questa città. Non l’avrei pensato, prima di
avvicinarla almeno un po’. E invece, con una certa mia sorpresa, devo dire che mi ci trovo
bene. E’ una città viva e vivace. Bella. Come uno scrigno misterioso che incuriosisce. E
che racchiude gioielli preziosi, sul piano artistico, culturale, sociale. Una città ancora
popolare, vissuta, abitata, come non accade più ormai in tanti centri storici pedonalizzati a
oltranza e diventati artificiali set cinematografici dove si trovano solo monumenti, uffici
oppure splendide ma fredde vetrine.
2- Com’è cambiata, se è cambiata, la prospettiva e la visione che aveva della città
inizialmente?
Si, in effetti è un po’ cambiata. Confesso candidamente che sapevo davvero poco di
Pistoia, pur essendo cresciuto in una città come Lucca che è a due passi ed essendo stato
vescovo della vicina San Miniato per 10 anni. Non la conoscevo e, scioccamente, pensavo
poi che non ci fosse niente di speciale in questa città. Mi sbagliavo. La prospettiva è
cambiata fin dal momento del mio ingresso in città, quando ho sperimentato una grande e
calorosa accoglienza, una vicinanza e un affetto immediato che non immaginavo. E così,
giorno dopo giorno, ho cominciato a scoprire la bellezza di questa città e della sua gente.
Una città che con magnifico e azzeccatissimo aggettivo è stata chiamata da Bigongiari
“rocciosa”. Forse esagero un po’ – ma ho cominciato ad innamorarmene..
3- Come descriverebbe i pistoiesi?
Ho trovato gente schietta, sincera, con animo buono, dove una innegabile certa spigolosità
non è che l’altra faccia della schiettezza. Gente concreta, laboriosa, accogliente e…. mi
sia permesso di dirlo, che cucina molto bene! Ho trovato intraprendenza e inventiva,
radicata attenzione ai sofferenti, ai poveri, a chi è in difficoltà. Mi par di notare a volte, ma
credo di scoprire l’acqua calda, una certa tendenza alla frammentazione. Frammentazione
in gruppi e interessi, se non proprio in lotta, che viaggiano un po’ a compartimenti stagni.
Cosa che credo alla fine impedisca quel gioco di squadra soprattutto oggi tanto necessario
per raggiungere obiettivi di autentico sviluppo sociale.
4- Cosa le piace di più di Pistoia? Cosa invece non le piace?
Ciò che mi piace di più è la sua sensibilità sociale, l’attenzione diffusa e generalizzata nei
confronti del prossimo. L’ospedale del Ceppo, con le sue stupende formelle robbiane che
illustrano le opere di misericordia, non è solo un bel monumento. E’ la carta d’identità di
una città e di un popolo, pur attraversato da forti contraddizioni testimoniate nella storia da
aspre contese e lotte fratricide. Cosa non mi piace? Più che altro direi ciò che mi
sembrerebbe bisognoso di miglioramento e cioè la consapevolezza del proprio valore e
delle proprie risorse, la capacità di fare squadra e di giocare in squadra, la convinzione
delle proprie radici cristiane testimoniate tra l’altro da stupende chiese, in particolare da
quella serie pulpiti che la fanno unica al mondo.
5- Veniamo alla Diocesi… Ha scritto una lettera alla Diocesi dove ha dato le linee guida
per il primo anno di episcopato pistoiese: un itinerario di ascolto e discernimento. Quale
riflessione l’ha portata a seguire questa strada?
Sono partito da ciò che sentivo urgente per me. Il Signore mi ha inviato in questa terra, a
una chiesa che ha la sua storia, le sue vicende liete e tristi, il suo cammino. Sentivo e
sento la necessità di capire che cosa il Signore mi chiede oggi qui. Ho pensato allora che
questo periodo di discernimento nello Spirito Santo, potesse essere anche quello di tutta
una chiesa, dopo il lungo episcopato di Mons. Scatizzi e quello più breve ma intenso di
Mons. Bianchi e all’epoca di papa Francesco. Mi son detto che la chiesa, nel suo insieme,
laici e preti, consacrati e famiglie, giovani e anziani, parrocchie, associazioni e movimenti,
vive dello Spirito, deve essere docile al suo soffio vitale, deve costitutivamente e
abitualmente lasciarsi guidare dallo Spirito. Per cui ogni giorno è in stato di discernimento
per comprendere qui ed ora dove lo Spirito la sospinga a testimoniare la gioia del Vangelo
e l’amore misericordioso di Dio. Con la mia prima lettera pastorale ho inteso dire
esattamente questo.
6- Su che cosa ha voluto che la Diocesi riflettesse con questo percorso?
Ho chiesto intanto che ci si mettesse in preghiera, invocando con umiltà e fervore lo Spirito
Santo, perché “se il Signore non costruisce la città, invano faticano i costruttori”. Poi che ci
si sforzasse di leggere i segni dei tempi. Ciò che la chiesa universale sta compiendo con i
sinodi sulla famiglia, ciò che le chiese che sono in Italia stanno portando avanti col
convegno ecclesiale per un nuovo umanesimo in Cristo. Ho chiesto ancora che si
cercasse di cogliere i tratti salienti del cammino diocesano compiuto in questi anni per poi
proiettarsi in avanti. Prima l’esortazione apostolica Evangelici Gaudium e adesso la
proclamazione dell’anno santo della Misericordia da parte di papa Francesco attendono da
noi una risposta.
7- Pensa che abbia dato buoni frutti?
I frutti del lavoro pastorale si vedono solo a lungo termine. Mi pare di cogliere comunque
un certo impegno, una buona accoglienza della mia lettera, uno sforzo per camminare
insieme. Mi rendo conto che ci sono tante fatiche, forse anche incertezze dovute al cambio
del vescovo dopo un periodo di sede vacante. Sono però molto fiducioso.
8- Quali sono i punti di forza della Diocesi di Pistoia e quali quelli di debolezza secondo
lei?
Anche qui la risposta non può che essere approssimativa e provvisoria. Vado ancora per
impressioni e debbo dire ogni giorno è una scoperta. Di problemi ma anche di grandi doni
dello Spirito. Resto quindi in attesa. Già fin d’ora comunque, girando la città e le periferie,
nella campagna e nella montagna, nelle varie comunità parrocchiali come nei gruppi, mi
sento di dire che c’è tanto di bene. C’è ancora partecipazione e coinvolgimento, fervore di
fede e di carità. Più di quanto uno si potrebbe aspettare o di quanto i vari mezzi di
comunicazione dicono in genere della chiesa. Vedo una grande attenzione ai poveri, ai
deboli, agli scartati del mondo. Vedo in tanti volti la gioia del Vangelo, di Gesù vivo e vero.
Riscontro però anche un certo procedere a compartimenti separati. Noto qualche
scollamento e indifferenza che non ci dovrebbe essere, tra realtà ecclesiali diverse, tra
parrocchie, tra centro diocesi e periferie.
9- Quali sono le prime problematiche diocesane su cui ha intenzione di intervenire?
E’ ancora presto per dirlo compiutamente, lo ribadisco, ma certo, scorgo già delle urgenze:
la formazione permanente del clero, l’attenzione educativa verso adolescenti e giovani
come verso le giovani famiglie, la riforma in senso missionario delle parrocchie e di tutta la
pastorale con un’apertura sempre più grande nella verità alla condivisione con gli ultimi di
sofferenze e speranze testimoniando la misericordia di Dio; la crescita del senso
comunitario e prima di tutto, il rinvigorimento della fede in Gesù morto e risorto con
l’approfondimento dell’esperienza viva di Lui, via, verità e vita. Ecco, già fin d’ora mi paion
queste alcune delle problematiche che meriteranno attenzione e impegno.
10- Quali le prospettive di lavoro futuro per la Diocesi
Sulla traccia di quanto ora ho affermato, ritengo si possa guardare al futuro. Quello che mi
preme però e che si cammini insieme, che ci si senta ognuno parte di un corpo che è
quello di Cristo e che insieme si viva nell’unità variegata e molteplice dei carismi e dei
dono, “perchè il mondo creda” e si salvi, come ci ricorda l’evangelista Giovanni.