di Mariangela Maraviglia, storica
Tra le espressioni coniate da papa Francesco, spesso inedite nei documenti ecclesiali e presto suscitatrici di calde adesioni, «Chiesa in uscita» è una delle più felici per l’immediatezza con cui è capace di trasmettere le necessità da lui individuate e proposte per l’annuncio del Vangelo nel tempo presente.
L’invito a «uscire» richiama il movimento su cui si fonda il messaggio biblico di salvezza: Dio “esce” da sé creando il mondo e incarnandosi; la storia dell’Antico Testamento è storia di patriarchi e di un popolo che “escono” da terre amate o inospitali alla luce di una promessa; l’annuncio della «buona notizia» si diffonde grazie alla predicazione itinerante dell’uomo Gesù e di un popolo chiamato a farsi «pellegrino ed evangelizzatore».
Nella vicenda cristiana il movimento è metafora e realtà di dinamismo, mentre la staticità è figura della tentazione – ricorrente e subita dalla Chiesa nel corso della storia – di chiudersi in strutture autoreferenziali e tranquillizzanti, che sembrano proteggere ma in realtà bloccano, incapaci come sono di trasmettere la bellezza e la novità evangelica.
Essere «Chiesa in uscita» implica in primo luogo un muoversi verso Gesù Cristo e l’accogliere il suo muoversi verso di noi – «cercarlo ogni giorno senza sosta», «lasciarsi incontrare da Gesù» (Evangelii gaudium, n. 3) –, inesauribile elemento di conversione e riforma per la comunità ecclesiale e per ognuno dei suoi membri, chiamati a nuovo protagonismo.
L’incontro con Gesù, l’apprendimento del suo “stile” di umiltà, accoglienza, fiducia, trasforma le vite, suscita attitudine alla comunione fraterna che si fa «attraente e luminosa», testimonianza credibile in un mondo ferito dal rancore e dall’inimicizia e non più sensibile a forme intellettuali e astratte di trasmissione della fede.
Come Gesù, la Chiesa che si pone in cammino con lui si apre all’incontro con gli altri, anche con i lontani di pensiero e di fede, non per imporre nuovi pesi, ma per condividere la comune umanità, segnalando un orizzonte ulteriore di senso e di vita.
Compagna di strada delle donne e degli uomini del proprio tempo, la «Chiesa in uscita» è consapevole delle sfide inconsuete e drammatiche della modernità e coglie nel confronto e nell’avvio di pratiche di comunione e collaborazione (sinodalità, dialogo) gli strumenti efficaci per farvi fronte. Il “grido dei poveri” e il “grido della terra ferita”, le seduzioni dell’immagine, del potere, del denaro: iniquità antiche o nuove, ora avvantaggiate da raffinate tecnologie e amplificate dai processi di globalizzazione, che possono essere raccolte e combattute con alleanze intelligenti e operose anche con chi non si riconosce nella proposta cristiana.
Essere «Chiesa in uscita» significa non arrendersi davanti ai diversi volti del male, assumere con modestia ma con determinazione il quotidiano impegno di realizzare, nel frammento di storia che a ognuno è dato, tutta l’umanità, la giustizia e l’amore possibili. Papa Francesco ne ha recentemente riconosciuto l’esemplarità in due presbiteri del Novecento, don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, in passato discussi per il loro cristianesimo vigorosamente incarnato e il loro sguardo critico perché amante nei confronti delle opacità della Chiesa.
Due vite spese per il Vangelo, i poveri, il dialogo, due realizzatori ante litteram del mandato di una «Chiesa in uscita», sintetizzato mirabilmente da un’altra grande figura novecentesca, il gesuita Pierre Teilhard de Chardin: «amorizzare il mondo».