San Jacopo: un culto che spiega l’anima della città e il cammino della chiesa pistoiese
Nell’omelia del vescovo Tardelli per la solennità di San Jacopo il valore di un culto che ha segnato, attraverso i valori dell’accoglienza e del pellegrinaggio, la storia della nostra città. Nel segno di san Jacopo apostolo anche il futuro prossimo della città, invitata a cogliere le attese di Vangelo del nostro tempo e a camminare insieme verso il sinodo diocesano nell’anno jacobeo 2021.
L’apostolo San Giacomo il maggiore è un
nostro fratello e amico. In lui abbiamo un grande testimone della fede, fino
all’effusione del sangue. Egli fu infatti il primo degli apostoli a subire il
martirio, ucciso di spada per le mani del re Erode, come ci dice il libro degli
Atti. Fratello di Giovanni l’evangelista, fu pronto a lasciare le reti quando
il Signore Gesù lo chiamò sulle rive del lago di Tiberiade per divenire
pescatore di uomini. Spesso fu con Gesù nei momenti salienti della vita del
salvatore e imparò da Lui, come ci ha ricordato il vangelo poco fa, la via
dell’umiltà e del servizio. Un’antica tradizione dice che sia stato in Spagna a
portare il Vangelo.
Discepolo fedele di Cristo, membro del
collegio apostolico, evangelizzatore, testimone di amore con il dono della
propria vita: sono tanti i motivi per sentirci onorati di avere un così nobile
e grande patrono. Non va dimenticato poi il forte richiamo alla carità che il
culto iacobeo porta con sé: infatti, dopo il ritrovamento dei resti mortali
dell’apostolo a Compostela, si sviluppò un vasto movimento di pellegrini che
portò a quella singolare pratica dell’ospitalità e dell’accoglienza che fece
fiorire ospizi, ospedali e luoghi di servizio e carità un po’ dovunque, lungo
le antiche vie di comunicazione.
San Jacopo è patrono speciale della
città di Pistoia, della comunità civile cioè, non soltanto di quella ecclesiale.
Comunità che saluto, qui rappresentata dalle autorità civili e militari, dalle
realtà economiche e sociali del territorio, dalle associazioni storiche e
culturali, come dai cittadini tutti presenti.
Avere al centro della città le reliquie del santo apostolo che fu compagno di Gesù, evangelizzatore e martire; averle poi da così tanti secoli, racchiuse in scrigni di affascinante bellezza come un tesoro prezioso, è un fatto che merita attenzione. Significa che la nostra città non è un agglomerato informe di case e costruzioni, di vicoli e vie senza nesso, affidate al caso e abitate da un insieme occasionale di individui. Essa è invece una città, una “civitas”, una comunità cioè di uomini e donne liberi che si riconoscono fratelli diversi l’uno dall’altro, ma con gli stessi diritti e gli stessi doveri, rispettosi della dignità di ognuno; persone che interagiscono tra di loro, sentendosi un popolo, con una storia e un destino. La nostra città ha dunque un suo centro, urbanistico e simbolico a un tempo, ben rappresentato dalla nostra meravigliosa piazza del duomo. Non è però un centro del potere, come spesso si interpreta e come a prima vista potrebbe sembrare. Il vero centro infatti è dato dalla reliquia dell’apostolo Giacomo e cioè dalla testimonianza di un uomo che ha dato la vita per restare fedele alla sua coscienza, consumando la sua esistenza nel servizio degli altri e dal cui culto si sono affermati nei secoli i valori del pellegrinaggio e dell’accoglienza. Da questa testimonianza di dedizione e di servizio, trovano senso anche i “poteri” che sulla piazza si affacciano.
Fu la fede cristiana a motivare la
collocazione della reliquia del santo nel cuore della città e a suscitare tante
imprese d’arte e d’ingegno, insieme ad operose iniziative di carità. Essa ha
ancora da dire qualcosa all’uomo di oggi e alla città di Pistoia. Può ancora
alimentare creatività, opere di generosità e di bellezza. Occorre però che non
ci si accontenti di celebrazioni esteriori. Non serve mostrare o esibire
simboli cristiani o fare qualche rievocazione storica: la fede cristiana
dovrebbe tornare ad essere orizzonte luminoso di senso e vita vissuta
nell’esistenza quotidiana. Ciò non vuol dire sminuire l’importanza e il valore
di altri orizzonti di pensiero e di azione, di cultura e religione, che sono i
benvenuti in mezzo a noi e coi quali la fede cristiana vuole solo dialogare e
confrontarsi.
In questa occasione così importante per la diocesi e la città è consuetudine che io consegni gli orientamenti pastorali per l’anno che ci sta davanti e che inizierà a settembre. “…E di me sarete testimoni” (Atti 1,8) è il titolo della lettera pastorale che consegnerò e riprende le parole di Gesù agli apostoli al momento dell’ascensione. Il sottotitolo esplicita bene il tema: “Con Gesù per le strade degli uomini”.
Durante il cammino compiuto dalla diocesi in questi anni, suggellato dalla mia prima visita pastorale alle parrocchie da poco conclusasi, mi è parso che emergesse sempre più una necessità o meglio una chiamata del Signore: quella di annunciare di nuovo e con più entusiasmo, la Buona notizia del Regno; sia all’interno delle nostre parrocchie, dove la fede a volte si è fatta stanca, sia all’esterno, dove occorre una presenza amorosa, carica di speranza che dia prospettive di salvezza agli uomini e alle donne del nostro tempo. Stimolati in particolare dall’esortazione apostolica programmatica di Papa Francesco, “Evangelii gaudium”, ci siamo resi sempre più conto che noi – chiesa pistoiese – dobbiamo crescere come una vera e variegata comunità fraterna e corresponsabile, facendo maggiore attenzione a quelle che ho chiamato “attese di vangelo”. Quelle situazioni personali o sociali cioè che, più o meno consapevolmente, manifestano un’attesa, un bisogno, la speranza di una notizia “davvero buona” che rinnovi la vita, dia pace e gioia, permetta di trovare un senso pieno alla propria esistenza. “Attese” che ci interpellano come singoli e come parrocchie, chiamati come siamo ad essere testimoni e annunciatori del Vangelo di Gesù. Queste “attese” sono tante e sono diffuse nelle persone e nelle nostre città. Dobbiamo saperle riconoscere e saper andare loro incontro con una concreta testimonianza d’amore. Penso per fare solo qualche esempio a tutto il mondo degli adolescenti e dei giovani; alle tante situazioni di fragilità e sofferenza che prostrano le persone; penso al bisogno di dignità umana spesso calpestata e oppressa; penso ancora alla crisi della ragione che è sotto gli occhi di tutti e alla debolezza estrema dei legami affettivi come, infine, a quella sete di speranza che nasce dalle profonde ferite della nostra anima.
In questi anni abbiamo però capito che per evangelizzare occorre anche crescere nel senso e nella pratica della vita comunitaria. In quel senso profondo di comunità, di famiglia che ha come fondamento il Signore Gesù; in quel senso ecclesiale di appartenenza a un popolo unito – ministri ordinati e laici – laici – lo ribadisco – da una comune vocazione, un comune dono di grazia e una comune responsabilità in ordine alla evangelizzazione, che è caratteristica fondamentale della chiesa.
Tuto questo mi ha portato allora a delineare il cammino della chiesa di Pistoia nei prossimi anni in poche, sintetiche parole: lavoriamo per una chiesa sinodale e per un nuovo, diffuso slancio missionario.
Non meravigli la
parola “sinodale”. La Chiesa manifesta e realizza in concreto il suo essere
comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare
attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice. Questo
vuol dire in sostanza la parola “sinodale”, e la messa in atto di una Chiesa
sinodale è ciò che da sempre il Signore chiede ai suoi discepoli come presupposto
indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero Popolo
di Dio.
Il lavoro pastorale di quest’anno per
una chiesa sinodale aperta alla missione, sfocerà quindi in un vero e proprio
Sinodo diocesano che celebreremo, a Dio piacendo, agli inizi del 2021. “Sinodo”
è parola importante per la chiesa, fin dalle sue origini. Ed è stato così anche
per la chiesa pistoiese, come ci dice la sua storia. Con questa mia lettera intendo
pertanto comunicare ufficialmente la celebrazione di quello che sarà il I°
sinodo della chiesa pistoiese dopo il Concilio Vaticano II, dedicato all’urgente
tema della evangelizzazione nel mondo di oggi. Sarà un momento grande di grazia
per la nostra chiesa – ne sono certo.
Ma non è finita qui. Con l’inizio del 2021 prenderà anche avvio – e con grande gioia lo annuncio qui solennemente– l’anno santo iacobeo. È tradizione che quando la festa di San Giacomo, cioè il 25 di luglio, cade di domenica, quello sia un anno santo speciale, celebrato con grande solennità a Santiago de Compostela. Questa volta però lo celebreremo anche noi, dal momento che custodiamo da secoli la reliquia più importante di San Giacomo apostolo, dopo quella di Santiago, dalla quale tra l’altro la nostra fu tratta. Già sono stati presi contatti con l’Arcivescovo di Santiago che, con il Capitolo dei canonici di quella Cattedrale, si è mostrato molto contento di celebrare l’anno santo insieme con noi. La memoria di un apostolo come San Giacomo, per l’appunto di un evangelizzatore, ci accompagnerà verso la missione e spero vivamente che le celebrazioni dell’anno santo promuovano un grande fervore di fede e di carità in tutta la Diocesi, riflettendosi positivamente anche sull’intera città e provincia di Pistoia.
Mentre dunque il prossimo 2020 ci
vedrà sostanzialmente impegnati in un capillare lavoro di mobilitazione e
preparazione, l’anno 2021 sarà davvero speciale per la nostra chiesa: si aprirà
– a Dio piacendo – con la celebrazione del Sinodo diocesano sul tema della
evangelizzazione e si dipanerà nella memoria festosa e impegnativa di un grande
apostolo, testimone della fede fino al dono della vita, esempio luminoso di
quella gioia del vangelo a cui Papa Francesco ci ha di continuo richiamato in
questi anni.
Allora, carissimi fratelli ed amici: ultreya! “Più avanti”, “sempre oltre”. Con l’antico e caratteristico grido dei pellegrini di San Jacopo, camminiamo insieme e andiamo avanti nella via della giustizia, della verità e dell’amore.
+ Fausto Tardelli, vescovo