Omelia nella Veglia per le vittime dell’esodo migratorio

(Cattedrale di San Zeno, 10 Settembre 2015)

La prima parola di stasera è il silenzio. Silenzio raccolto e drammatico. Silenzio carico di dolore, di preghiera ma anche di speranza. Silenzio di compassione e indignazione insieme. Facciamo silenzio per le migliaia e miglia di morti in mare e altrove in questa migrazione epocale che stiamo vivendo.
Questi nostri fratelli, vecchi giovani, donne, uomini, bambini cercavano un mondo migliore, nuove opportunità di vita, un futuro, la libertà, e sono morti.
Li accompagniamo con la nostra preghiera al trono dell’Altissimo perché Lui, l’unico giusto, possa dare loro non solo ciò che non hanno trovato su questa terra, ma molto di più: la felicità piena e duratura, il compimento traboccante delle loro aspettative di felicità, amore senza fine. Dio che è ricco nella misericordia e nella fantasia, siamo certi saprà non far rimpiangere loro quanto hanno lasciato sulla terra, asciugherà le loro lacrime, una ad una e consolerà i loro cuori.

La prima parola di stasera è dunque il silenzio con cui affidiamo a Dio tutti questi nostri fratelli e nostre sorelle che non sono più tra noi sulla terra, di cui non conosciamo il nome, anonime vittime della guerra, dell’ingiustizia, del terrorismo, dell’indifferenza e dell’odio, ma che Dio, l’onnipotente invece conosce per nome. Lui di ognuno di loro conosce il nome e il colore degli occhi, il numero dei capelli e le pieghe dell’anima; Lui ama ognuno di loro come unico.

La seconda parola però, oltre il silenzio, è un grido. Un grido che vuole risvegliare la coscienza di ognuno di noi, un grido che ci chiama a responsabilità, che ci domanda conto del sangue del fratello. E non possiamo rispondere come Caino: “son forse io il custode di mio fratello?” Noi siamo i custodi dei nostri fratelli e questa consapevolezza deve essere forte in noi.
La seconda parola stasera è un grido che mi sento di lanciare di fronte al mondo. La mia voce è una povera voce e conta niente. Chi mai l’ascolterà? Chi potrà raggiungere? Ciononostante voglio parlare. Qualcuno mi potrebbe dire: ma chi ti credi di essere? Ma io parlo lo stesso. Qualche altro forse mi potrà dire che sono un ingenuo che non conosce la complessità dei problemi e dice banalità. Ciononostante sento il dovere da questa cattedrale, di dire alcune cose, anche a rischio di essere incompleto o parziale.

Ai fratelli dell’Islam dico: fate pace tra di voi e fate voi per primi gesti di accoglienza! E’ urgente, necessario, doveroso che tra sciiti e sunniti e tutte le altre fazioni in lotta ci sia pace; isolate e fermate i terroristi che bestemmiano il nome di Allah il grande! Molti paesi islamici poi hanno ricchezze a non finire: le usino non per fomentare le guerre ma per accogliere i propri fratelli di fede.

Ai terroristi, ai quali va una buona parte di responsabilità per la situazione attuale, gridiamo: basta, in nome di Dio. Basta, perché il vostro disprezzo della vita umana e della cultura sta causando solo morte e distruzione. Pagherete domani, davanti alla storia e a Dio, per i vostri misfatti.

Ai potenti del mondo che governano le nazioni gridiamo di adoperarsi in ogni modo perché ci sia un po’ di pace nel mondo. Una pace che non può che essere fondata sulla giustizia sociale. E’ possibile fare qualcosa. Occorre farlo e in fretta.

Ai potentati economici e finanziari che sfruttano il mondo, in particolare l’Africa, diciamo con Papa Francesco che una certa economia uccide e che ogni ingiustizia nei confronti dei poveri grida vendetta al cospetto di Dio. L’economia deve aiutare la vita e l’ambiente, non distruggerli. Chi poi fa profitti speculando sui poveri, siano scafisti o gentleman in giacca e cravatta, ha un peso enorme sulla propria coscienza.

Ai paesi europei che chiudono le frontiere, dico che non è questa l’Europa che vogliamo, non è questa l’Europa che sogniamo.

Ai nostri amministratori comunali, quelli delle nostre terre che ancora non hanno aperto le porte all’accoglienza, domando di farlo al più presto, mentre alle comunità cristiane presenti in questi comuni chiedo di essere di sprone e pungolo.

Ai governati in particolare dell’Africa gridiamo: cessi la corruzione; cessino le guerre fratricide e la ricerca sfrenata del proprio interesse; dedizione invece chiediamo, dedizione piena al bene dei propri paesi, perché ci siano in essi condizioni di vita migliore.

Ai giovani africani che vengono da noi, manifestiamo certo la nostra accoglienza fraterna e piena ma anche diciamo che il loro futuro non è prevalentemente qui. Non può che essere in Africa, un ricco continente che ha bisogno di crescere nella prosperità, nella giustizia e nella pace che per questo ha bisogno di loro. Che abbiano quindi il coraggio, passata l’emergenza, di ritornare nei loro paesi e contribuire così al loro sviluppo.

A tutti i cattolici o che si ritengono tali, ripeto le parole di Gesù: “avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero forestiero e mi avete alloggiato…” Queste parole ci impegnano a servire ogni uomo, specialmente quando è più debole e fragile: quando è nel seno materno appena concepito, quando è bambino indifeso, quando è vittima dell’ingiustizia e depredato dei suoi diritti, quando è migrante e forestiero, quando è senza lavoro, quando è malato o anziano o vicino alla morte. Prima di ogni altra considerazione e di ogni distinzione, prima di ogni legittima mediazione politica o valutazione su quote, possibilità e modalità, il cuore di ogni cattolico non può che essere abitato da queste parole di Gesù.

E proprio guardando alla nostra chiesa, provenendo in questo momento i migranti per la stragrande maggioranza dall’Africa, chiedo a tutto il personale religioso, sacerdoti e consacrati, di origine africana, di mettersi a completa disposizione di questa emergenza migratoria, non chiudendosi in se stessi, quasi che la loro condizione fosse un privilegio, ma sentendosi partecipi in pieno delle angosce e delle speranze dei propri fratelli africani. Il Signore ci ha fatto dono da anni di questa presenza tra noi. Lui che vede più in là di noi, forse ci stava preparando al momento attuale. Ora è giunto il tempo che questa ricchezza africana della nostra Chiesa, sia messa a frutto.




Settimana Teologica: le conclusioni del Vescovo

(4 settembre 2015)

Tirare le conclusioni. E’ una parola! Come si fa a tirare le conclusione di una settimana teologica? Mi limito quindi a qualche nota conclusiva in vista di future riprese.

Sono state serate intense, molto interessanti, quelle che abbiamo vissuto. Anche assai animate, stimolanti, sia per i relatori che per gli interventi. Come ho già detto, per me è stata un’esperienza nuova che ho vissuto con interiore partecipazione e gusto. Mi sento di confermare in pieno questa iniziativa che ha già 28 anni, ma che può avere davanti a sé molti anni ancora. Forse ci sarà da rivedere qualche cosa nella sua formula, forse nelle date, nel periodo, non so. Lo vedremo. Anche la numerosa partecipazione è un bel segno e mi fa dire e lo ribadisco, che la Settimana teologia è un vera perla preziosa della Chiesa pistoiese e, come vescovo di questa diocesi, me sono orgoglioso.

Voglio qui pubblicamente e sinceramente ringraziare Mons. Frosini per averla pensata 28 anni fa e per averla animata in tutti questi anni, con la sua passione e la sua intelligenza. Credo davvero che la Diocesi, anche solo per questo, gli debba gratitudine e sono certo che la Settimana teologica rimarrà nella storia di questa Chiesa particolare come qualcosa d’importante. Lo ringrazio anche per la consapevolezza sempre a me manifestata, di aver voluto in questo modo servire con il meglio di sé la Chiesa di Pistoia. Lo ringrazio infine per la sua relazione che ci ha fatto ancora una volta capire, giustamente, che senza l’impegno nel mondo, senza una presenza di giustizia e di amore dentro la storia, senza un impegno personale e sociale nella società, dalla parte dei poveri e coi poveri, non si da fede autentica, vera speranza e genuina carità. Don Frosini è un teologo di rilievo nel panorama italiano e anche oltre. Si può non esser d’accordo con lui su qualche cosa, si può avere una sensibilità teologica diversa, si può discutere con lui. E’ però un pensatore di valore, soprattutto per l’attaccamento e l’amore forte al Concilio Vaticano II e l’attenzione a tutto ciò che attiene alle problematiche della presenza della Chiesa nel mondo.

Sono stato molto contento del tema che, insieme proprio a don Frosini, abbiamo scelto per questa Settimana. L’Evangelii Gaudium di Papa Francesco rappresenta sicuramente, insieme ai suoi gesti e alle sue azioni concrete, il dono specifico di questo pontificato. Novità, certamente, ma dentro un solco già tracciato. Si può dire ciò che si vuole, si possono fare tutte le critiche e notare tutte le differenze che vogliamo, dobbiamo però dire che da 150 anni a questa parte il Signore ci ha donato Papi straordinari; molto diversi l’uno dall’altro, ma ognuno a suo modo grande e qualcuno anche santo. Invece di lamentarci, dovremmo ringraziare davvero il Signore per questa grazia abbondante e semmai domandarci se noi, con le nostre sottigliezze bizantine, non abbiamo a volte sperperato questa grazia.

Le relazioni e le discussioni di questa settimana ci hanno permesso di approfondire l’Esortazione papale e di coglierne il messaggio fondamentale, racchiuso proprio nelle parole che danno nome all’esortazione “la gioia del Vangelo”. Che ci sia gioia per noi e per gli altri. Che ci sia gioia nella Chiesa e dentro le periferie del mondo. Gioia “rivoluzionaria”, mi piace chiamarla così, perché annuncia e cerca un nuovo assetto del mondo, a partire dal cuore di ognuno che deve essere quello stesso di Cristo. Non vorrei che sfuggisse che la Evangelii Gaudium si colloca consapevolmente dentro questo nostro mondo, in questo preciso momento storico. Non quello degli anni sessanta o ottanta o comunque del passato. Non ribadisce semplicemente quanto ci poteva dire allora. No, si colloca nell’oggi, in questo oggi dove si fa fatica a essere nella gioia, certamente di fronte al dramma che vediamo ogni giorno, ma anche per il vuoto interiore, la barbarie che avanza, la indifferenza che si globalizza, il deserto nei cuori e nelle città.

Quello che credo dobbiamo capire sono i nuovi scenari del mondo, il contesto nel quale siamo collocati, anche per comprendere bene la Evangelii Gaudium La crisi che viviamo non è solo economica, né solo sociale, ma anche morale e di umanità. Più profondamente ancora – a mio parere – è crisi di motivazioni autentiche nel cuore delle persone. Mi ritornano sempre in mente le parole di una canzone di Vasco Rossi di qualche anno fa, emblematiche: “Voglio trovare un senso a questa vita. Anche se questa vita un senso non ce l’ha. Voglio trovare un senso a questa storia. Anche se questa storia un senso non ce l’ha”. E’ questo il punto. Oggi, nel nostro mondo occidentale almeno, siamo in crisi di motivazioni. E’ il perché, il motivo per cui devo agire che è andato in crisi. I motivi profondi, quelli valoriali, quelli autentici…. E sono rimasti i motivi corti, in questa epoca della passioni tristi come è stata definita; sono rimasti i motivi utilitaristici e individualistici. E di qui il prevalere dell’interesse personale avanti a tutto, di qui la corruzione, di qui la globalizzazione dell’indifferenza, l’appannamento della ragione, la menzogna, l’economia che uccide, la distruzione dell’ambiente e così via.

In questo preciso contesto si colloca l’esortazione del Papa, che è si rivolta alla chiesa, ma perché si renda conto della sua missione nel mondo. Se è chiamata ad essere “ospedale da campo”, secondo l’espressione usata da Papa Francesco, è perché siamo in mezzo a un campo di battaglia e ci sono uomini e donne concreti morti e feriti per ogni dove, rovine e distruzioni dappertutto e nei cuori, primariamente. E’ questo che ci deve fortemente inquietare, come dice lo stupendo per me n. 49 della Evangelii Gaudium già citato in questi giorni: “se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza – dice il Papa – è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita.

Se però la crisi profonda sta nelle motivazioni, nel fatto che non si ha più un perché fondo, forte, di valore che spinge ad aprirmi agli altri con generosità, a donare la propria vita per il bene di tutti, potremmo vedere mille e mille foto di bambini morti sulla spiaggia, ma irrimediabilmente, a parte la commozione televisiva di un momento, non cambierà niente. Se la crisi è nelle motivazioni, la risposta non può essere nemmeno prima di tutto nella politica, nelle leggi, nel cambiamento delle strutture, semplicemente perché non ci saranno gli uomini per realizzarle, queste cose! La politica ha lei stessa bisogno di motivazioni ideali e forti, concrete e alte, nobili e generose altrimenti diventa – come purtroppo spesso vediamo – gioco di interessi contrapposti e comitato d’affari.

Ci vuole allora qualcosa che scaldi il cuore, che faccia rinascere la voglia, che faccia sorgere nell’animo quelle motivazioni profonde e forti che smuovono il coraggio, l’ardore e una intelligenza affascinata dal vero. Qualcosa che appunto riesca a rimotivare l’uomo. E questo è il Vangelo. Semplicemente il vangelo di Gesù Cristo; il Vangelo della misericordia, annunciato, vissuto e testimoniato nella gioia da una comunità di fratelli che si amano. Papa Francesco l’ha capito e ce lo dice con molta chiarezza. Per questo voglio concludere riportando una bellissima pagina della Evangelii Gaudium che indica molto bene ciò che, come singoli e come chiesa, dobbiamo innanzitutto fare e che è uno degli obiettivi primari che vorrei perseguire in questa chiesa pistoiese. Anche noi, infatti, vescovo, preti e laici, abbiamo soprattutto bisogno di ritrovare le motivazioni più forti e autentiche del nostro essere e del nostro operare. Anche se un po’ lungo permettetemi che riporti per intero il n. 264 della Evangelii Gaudium, perché mi ci ritrovo davvero molto.. “La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: «Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi» (Gv 1,48). Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo» (1 Gv 1,3). La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri.




Lettera alla Chiesa di Dio che è in Pistoia “Lasciamoci guidare dallo Spirito”

“Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.” (Rm 8,14). Con queste parole San Paolo ci ricorda una delle caratteristiche fondamentali della vita cristiana sia personale che comunitaria: lasciarsi guidare dallo Spirito Santo il quale ci conduce alla verità tutta intera (cfr Gv 16,13). Lo Spirito di Dio, che è Signore e dà la vita, alita su di noi la sua brezza leggera, a volte è soffio impetuoso, sempre ci spinge, ci muove, ci parla. “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito». (Gv 3,8)

E’ necessario allora che spieghiamo le vele della nostra vita al vento dello Spirito, che ne ascoltiamo la voce dentro le pieghe della storia e delle nostre vicende, dentro le sfide del tempo, come nel profondo del cuore, negli insegnamenti e nell’esempio del successore di Pietro, nella Parola che si fa pane di vita nella divina Eucaristia.

Non abbiamo da decidere e fare ciò che ci pare e piace. No. Abbiamo piuttosto da discernere e compiere la santa volontà di Dio. Non abbiamo da conformarci all’andamento di questo mondo, ma da lasciarci trasformare rinnovando il nostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (cfr Rm 12,2). Occorre cioè lasciarsi guidare dallo Spirito.

“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Nei primi capitoli del libro dell’Apocalisse quest’appello risuona per ben sette volte. Insistente. Incalzante. Assolutamente provocante. Ai nomi delle chiese di cui parla la Scrittura, possiamo benissimo aggiungere quello di Pistoia. Così l’invito è diretto: “Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alla chiesa di Pistoia”.

Da poco tempo sono tra voi, carissimi amici e fratelli e quello che sto cercando di fare è esattamente questo: cogliere gli inviti dello Spirito, i doni che Egli ha profuso a questa Chiesa nella sua storia e nelle sue persone, cercando di comprendere le sue ispirazioni e lasciarmi guidare da Lui per essere il pastore che Dio vuole. Riflettendo, ho pensato che questo mio atteggiamento interiore potesse essere anche quello di tutti voi. Ho ritenuto che il mio primo anno di episcopato pistoiese, potesse e dovesse essere un periodo di discernimento nello Spirito Santo, non solo per me ma anche per tutta la chiesa di Pistoia. Un tempo nel quale insieme cerchiamo di capire la voce, il soffio dello Spirito e i segni dei tempi.

Dove possiamo però avvertire gli impulsi dello Spirito? Dove coglierne il soffio vitale? Dove e come comprendere la direzione verso la quale ci sta sospingendo?

Innanzitutto mi sento di dire che possiamo comprendere la direzione verso la quale lo Spirito ci sta muovendo, facendo viva memoria del passato, rileggendo cioè la storia di questa Chiesa, il suo cammino pastorale, quello che i vescovi, in particolare il mio immediato predecessore, Mons. Mansueto Bianchi, hanno tracciato nei solchi di questa comunità diocesana. Il Signore ha visitato questa santa Chiesa, si è fatto presente: lo Spirito Santo ha operato, ha permesso che si maturassero convinzioni e orientamenti; ha sparso semi di un futuro bello. Scrutando con occhi di fede il cammino compiuto negli anni passati, riusciremo ad apprezzare i grandi doni ricevuti dallo Spirito del Signore e insieme, i ritardi, le lentezze, i peccati, i tradimenti che hanno segnato la nostra storia e che hanno ostacolato e ostacolano l’opera dello Spirito.

Nel discernimento è necessario allargarsi anche ad una comprensione per quanto possibile dei tempi che stiamo vivendo, del grido dei poveri che si leva dalla nostra società e dalla situazione del nostro mondo globalizzato. Le vicende degli uomini infatti sono il concreto contesto in cui si dipana la storia della salvezza e in cui opera misteriosamente lo Spirito Santo. Guardare, osservare, capire la nostra società, il nostro mondo, la nostra città, è momento dunque ineludibile per una Chiesa che è posta dal Signore quale “lampada sul moggio”, quale “lievito” di speranza e “sale della terra”.

L’ascolto di ciò che lo Spirito Santo ci dice non può prescindere in particolare dall’attenzione alla nostra terra pistoiese, ai suoi bisogni e alle sue attese, a quelli della gente. Attese di lavoro e di dignità, di futuro e di speranza. Attese che emergono da una fascia sempre più larga di poveri e di “scartati”. Attese di giustizia e di onestà, proprio quando pare così facile e diffusa la disonestà e la corruzione. Attese di fraternità solidale ma anche, e guai se non cogliessimo questo grido profondo dell’anima, attese di Dio, del suo amore misericordioso, della conoscenza di Colui che è via, verità e vita, l’unico a dare senso pieno all’esistenza e sostanza al futuro. “Non di solo pane vivrà l’uomo, infatti ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). L’uomo non cerca solo pane ma dignità e amore fedele e stabile, proprio quello che gli viene solamente da Dio e che lo fa sentire prezioso e mai solo.

Il discernimento poi non può dimenticare le sfide dell’oggi, gli inviti pressanti dello Spirito che provengono da ciò che è all’ordine del giorno dell’agenda ecclesiale. Mi riferisco al Sinodo dei vescovi, al Convegno ecclesiale di Firenze e, prima ancora al magistero di Papa Francesco. Dietro a queste cose percepiamo distintamente il grido che viene dalle famiglie, attaccate duramente dall’esterno come dall’interno; dalle famiglie frantumate, spezzate, dalle famiglie che attendono un annuncio di salvezza che restituisca loro la bellezza della propria identità e della propria missione, l’energia e il coraggio dell’amore fedele, la voglia di edificare il Regno di Dio. Il prossimo Sinodo è lì a dirci quanta attenzione, quanto ascolto, quanta cura richiedono oggi le famiglie.

Oltre a questo, percepiamo distintamente anche il desiderio di una umanità nuova. Un desiderio che percorre la nostra società, il mondo intero, proprio quando si affaccia con insistenza purtroppo il rischio non più ipotetico della barbarie e dell’inciviltà. Oggi si fa più forte l’attesa di un’umanità rinnovata che sappia ricostruire se stessa e realizzare un mondo diverso, mettendo a buon frutto le enormi potenzialità espressive e tecnologiche che abbiamo. Il Convegno delle Chiese che sono in Italia che si terrà a Firenze nel novembre prossimo, vuole esprimere un’attenzione forte a questa attesa, a questa domanda, per un rinascimento dell’uomo, nella giustizia, nella verità e nella pace.

Attraverso infine l’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” di Papa Francesco, lo Spirito Santo ci sta invitando a una profonda, esigente riforma della Chiesa perché ritrovi la gioia dell’incontro con Cristo, la gioia dell’annuncio del Vangelo in un nuovo slancio missionario, la gioia di curare con “l’olio della consolazione e il vino della speranza”, l’uomo ferito e piagato in mille modi, lasciato solo ai margini della strada della nostra società.

Ecco dunque come e dove possiamo percepire l’azione dello Spirito e lasciarci guidare da Lui. In questo modo siamo in grado di capire quanto Lui ci stia dicendo e dove ci stia guidando, ciò che il Signore attende da noi in questa contingenza storica, ciò che il Signore si aspetta da ciascuno di noi e da noi come sua famiglia.

Vorrei allora che tutti quanti a partire da me, fino ai presbiteri e ai diaconi, ai laici tutti, aggregati in vario modo o semplicemente partecipi delle diverse comunità parrocchiali, consacrati e consacrate della chiesa pistoiese, avessimo a cuore profondamente, intensamente, amorosamente, la ricerca della volontà di Dio su di noi, rendendoci docili all’opera dello Spirito Santo. Vorrei che avessimo tutti l’atteggiamento di Maria, la sposa dello Spirito, per dire con lei: “avvenga di me secondo la tua parola”. Vorrei che in questo tempo la chiesa di Pistoia fosse in qualche modo lei, Maria, adombrata dallo Spirito Santo, Vergine dell’umiltà che null’altro cerca, null’altro desidera e ama, che ascoltare la parola di Dio e metterla in pratica, in piena docilità allo Spirito che la rende feconda.

E perché sia così, occorre molto pregare, invocando giorno e notte lo Spirito Santo perché ci copra con la sua ombra, ci dia occhi per vedere, coraggio per rinascere, letizia per vivere, amore per testimoniare. Occorre acquisire la sapienza del cuore, perché solo con questa sapienza si vede il cammino da compiere e soprattutto si ha la forza per compierlo. Occorre molto adorare la Maestà umilissima di Colui che si è fatto uno di noi e si è consegnato a noi come pane della vita, pane della condivisione e pane della lode.

Nello stesso tempo, consapevoli che lo Spirito è dato a ciascuno e tutti siamo “profeti”, desidererei che questo tempo fosse dedicato oltre che alla preghiera anche al dialogo fraterno, all’ ascolto reciproco e all’ aiuto scambievole per comprendere gli inviti del Paraclito in questo frangente della storia del mondo e di Pistoia. Occorre che agiamo come una “mistica persona” unita nell’amore, perché tali siamo in quanto corpo di Cristo, variegato nella bellezza della diversità ma sempre unito da un vincolo più forte di quello del samgue. Dobbiamo imparare il “discernimento comunitario”, riuscendo a praticarlo come espressione dinamica della comunione ecclesiale e metodo di formazione spirituale, di lettura della storia e di progettazione pastorale. Ricordando che “perché sia autentico, questo discernimento deve comprendere: docilità allo Spirito e umile ricerca della volontà di Dio; ascolto fedele della Parola; interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo; valorizzazione dei carismi nel dialogo fraterno; creatività spirituale, missionaria, culturale e sociale; obbedienza ai pastori, cui spetta disciplinare la ricerca e dare l’approvazione definitiva.” (CEI, Con il dono della carità dentro la storia. La Chiesa in Italia dopo il Convegno di Palermo, 21).

Ed ora qualche piccola indicazione pratica. In questi mesi compiremo un cammino comune che dovrebbe coinvolgere nel suo insieme la nostra Chiesa. Primi fra tutti i presbiteri e i diaconi. Per loro sono previste alcune assemblee generali, incontri vicariali e una “due giorni” di convivenza e verifica il mercoledì 9 e il giovedì 10 settembre prossimi. Una novità che propongo con fiducia, sperando possa essere accolta dai sacerdoti con piena disponibilità. Consiglio presbiterale e Commissione pastorale diocesana faranno la loro parte. I laici aggregati nella Consulta Diocesana e i Consacrati per loro verso avranno anch’essi momenti di incontro.

Ai parroci chiedo che compiano ogni sforzo per rendere consapevoli i fedeli del cammino che la Diocesi sta facendo in questo tempo. Se ne parli, si informi, ci si torni sopra più volte. “Chiesa di Pistoia: lasciamoci guidare dallo Spirito Santo!” Sia questo il ritornello che passi di bocca in bocca, il canto che insieme innalziamo al Signore, il desiderio ardente che tutti ci accomuni.

Mi sento di fare una forte, accorata raccomandazione: un cammino di discernimento comunitario nello Spirito Santo ha bisogno di molta preghiera. L’ho già detto ma lo voglio ripetere: in questo tempo dobbiamo saperci mettere in ginocchio a lungo e pregare tanto, invocando la luce e la forza dello Spirito, sull’esempio di Maria SS. e insieme a lei. Si facciano speciali intenzioni nelle Eucaristie domenicali, si organizzino momenti di preghiera o di adorazione che significhino concretamente la nostra volontà di compiere solo ed esclusivamente la volontà del Signore. Si celebrino liturgie penitenziali per la purificazione dei nostri cuori. Ci si accosti alle Sante Scritture nei gruppi biblici, seguendo il sussidio preparato allo scopo, con dedizione e ascolto amoroso. “Preghiamo il Signore e preghiamolo con amore e grande fiducia perché ci doni la grazia celeste dello Spirito.” “Lo stesso Spirito ci guidi e ci conduca a vivere secondo la divina volontà e ci ristori nella pace” (Dalle “omelie” di un Autore spirituale del secolo quarto).

Su questo comune terreno di preghiera, faremo discernimento attraverso incontri vicariali aperti a tutto il popolo di Dio, in particolare nel periodo dopo Pasqua e nei mesi di settembre e ottobre prossimi. Lì faremo memoria del cammino pastorale percorso dalla nostra Chiesa, raccoglieremo le sfide presentateci dal sinodo sulla famiglia, dal Convegno ecclesiale di Firenze e dall’Esortazione apostolica “Evangelii gaudium”. In questi incontri vicariali nel dialogo franco e sereno inizieremo a cercare di comprendere dove il soffio dello Spirito ci stia spingendo.

Tutto il lavoro troverà poi un momento importante di elaborazione e di sintesi in un’“Assemblea sinodale” diocesana che celebreremo giovedì 19 e venerdì 20 novembre. Anche questa forse è una specie di novità, perchè l’assemblea avrà a tutti gli effetti carattere sinodale. Non sarà un semplice convegno o un’occasione di aggiornamento pastorale o teologico. Piuttosto un momento alto di espressione del Popolo di Dio che vive in Pistoia, innanzitutto per dar lode a Dio e nella lode di Lui, fatti docili all’azione dello Spirito santo e sottoposti alla Parola, parlare e discutere. Clero, laici e consacrati, rappresentanti di tutte le parrocchie della diocesi e delle associazioni e movimenti ecclesiali, guidati dallo Spirito, cercheremo d’individuare il cammino da percorrere nel prossimo triennio 2015 – 2018. Sarà poi mio compito di pastore della Chiesa di Pistoia, raccogliere quanto emergerà e riproporlo secondo la responsabilità che il Signore mi ha affidato.

Concludo con una preghiera che in tutto questo tempo sarebbe bello fiorisse sulla bocca e nel cuore di tutti noi, singolarmente e comunitariamente: “Ispira nella tua paterna bontà o Dio i pensieri e i propositi di noi tuo popolo, perché vediamo ciò che dobbiamo fare e abbiamo la forza di compiere ciò che abbiamo veduto.”

Il Signore vi benedica e vi accompagni l’intercessione preziosa di Maria Santissima dell’umiltà, il beato apostolo Jacopo, San Zeno, S. Atto, il beato Franchi e tutti i santi e sante della chiesa pistoiese.

Pistoia, 2 febbraio 2015,
Festa della Presentazione al tempio del Signore

+ Fausto Tardelli




Omelia in morte di Mons. Mario Leporatti

In morte di Mons. Mario Leporatti
(Cattedrale di San Zeno, 30 giugno 2015)

La lettura dall’Apocalisse ci ha aperto lo sguardo sulla Gerusalemme del cielo, la Santa Città di Dio, abitata dai giusti di ogni tempo, dai testimoni del vangelo, dai santi e beati che hanno combattuto la buona battaglia, quella dell’amore più vero. Ci è stato dato di contemplare la Gerusalemme del cielo che già però si va edificando sulla terra, attraverso al testimonianza dei servitori del vangelo.

In questa Gerusalemme del cielo ci sono i santi Pietro e Paolo che abbiamo ieri venerato. Ci sono i santi martiri della chiesa romana che oggi la liturgia ricorda. Ci sono i nostri celesti patroni, San Jacopo, san Zeno, Sant’Atto, il beato Franchi. Ci sono i tanti martiri dei nostri tempi. Di questa Gerusalemme celeste noi confidiamo, anzi ne siamo certi, che sia già pienamente partecipe anche il nostro fratello, don Mario, sacerdote, per godere in eterno del premio promesso dal Signore ai suoi servitori ed amici.

E’ già la seconda volta che nel giro di pochi giorni mi trovo a celebrare le esequie di sacerdoti, anziani, che sono stati segno vero della misericordia del Padre; che hanno interpretato al meglio il Vangelo – pur con tutti i loro limiti e peccati, per i quali siamo qui a invocare il perdono di Dio – con semplicità e umiltà, senza fare molto rumore, servendo il popolo di Dio a nome e per conto del Buon Pastore, imitandone la vita, identificandosi con lui, prestando a Lui la voce, le mani, la testa e il cuore.

La figura e l’opera di Mons. Leporatti, da quello che ho potuto conoscere, sono state di grande rilievo. Anche i tanti riconoscimenti di queste ore lo attestano. E’ stato un significativo punto di riferimento per tante persone, un uomo profondo e mite, umile e forse nascosto, culturalmente preparato, ma nello stesso tempo, sacerdote vero, educatore di generazioni di laici cristiani. E’ stato un sacerdote a tutto tondo che si è consumato giorno per giorno per il Regno di Dio. Anche questi ultimi mesi, da quando, in carrozzina, volle comunque essere presente al mio ingresso in Cattedrale, l’8 dicembre scorso, sono stati quasi il segno visibile del consumarsi lento e costante, generoso, fino in fondo, di un’intera vita al servizio del Signore e della sua Chiesa. Con l’ultimo respiro ha veramente dato tutto se stesso, essendo ridotto ormai a niente.

Ringraziamo il Signore per la testimonianza di sacerdoti come Mons. Leporatti. La nostra Chiesa, la chiesa di Pistoia, con la morte di questi presbiteri si sente più orfana, ma sa che il bene seminato nei solchi della sua terra da questi preti non andrà perduto, rimarrà come patrimonio indelebile, portando frutto a tempo debito.

Allora guardiamo avanti, carissimi fratelli e amici. A noi raccogliere il testimone e adempiere il compito che il Signore ci ha affidato, per il tempo che Lui vorrà. L’importante è che ognuno faccia la sua parte, così che si trasmetta la testimonianza dell’amore di Dio di generazione in generazione.

La via da percorrere l’abbiamo ben tracciata davanti nel vangelo che abbiamo ascoltato: è la via delle beatitudini, che non sono quelle che il mondo proclama, ma quelle vere che portano alla pace, alla Gerusalemme del cielo. Impariamo quindi ogni giorno di più a essere poveri e ricchi solo di Dio; impariamo ad essere misericordiosi, operatori di giustizia e di pace; impariamo a soffrire e a piangere per la sorte dei nostri fratelli; impariamo ad essere retti nelle intenzioni e puri di cuore e non ci scoraggiamo di fronte alle difficoltà e alle persecuzioni. Questa è la via di Cristo, da Lui tracciata e che con Lui è possibile percorrere. Questa è la strada per la quale siamo chiamati ad andare.

Noi sacerdoti i primi fra tutti, per essere esempio al gregge che ci è affidato. E’ sulla strada delle beatitudini vissute e testimoniate personalmente che noi dobbiamo svolgere il nostro ministero. Non coi discorsi e le chiacchiere, ma vivendo le beatitudini. Su questa strada dobbiamo essere i primi, così da sostenere anche gli altri nel cammino.

Ma poi noi tutti, popolo di Dio, laici e sacerdoti insieme, tutti siamo chiamati a camminare su questa strada. Ed è questo anche l’unico modo per onorare e ricordare degnamente chi ci ha preceduto nel segno della fede.

+Fausto Tardelli