Omelia per l’apertura del Sinodo Diocesano

Omelia per l’apertura del Sinodo Diocesano. V° Domenica di Quaresima anno A

(Cattedrale di San Zeno, 25 marzo 2023)

 

“Lazzaro, vieni fuori!”. Il grido a gran voce di Gesù squarcia le tenebre della morte e preannuncia la Pasqua.

L’amico è morto; è già nella tomba da quattro giorni e ogni speranza sembra totalmente persa. Invece quel grido cambia le carte in tavola: Lazzaro esce fuori dalla tomba, richiamato in vita dalla potenza dell’amore di Cristo. Di lì a poco Cristo stesso verrà catturato, processato e crocifisso. Morto, sarà anch’egli deposto in un sepolcro. Ma tra pochi giorni, nella notte della grande Veglia pasquale grideremo: Alleluia, Cristo è Risorto; Cristo nostra speranza è risorto; vittorioso sul peccato, su ogni male, sulla morte!

Ma il grido di Gesù, carissimi amici e fratelli, questa sera è rivolto a ciascuno di noi e alla nostra chiesa. Gesù ci vede bisognosi di salvezza. Bisognosi di uscire fuori dalle nostre paure e chiusure. Con il sinodo Diocesano, ci dice di alzarci, di risorgere a vita nuova, di intraprendere con coraggio la vita nella testimonianza del suo amore.

Il Sinodo diocesano è un atto d’amore del Padre per la nostra Chiesa. Un atto d’amore di Dio Padre per mezzo del Figlio unigenito, mediante una speciale effusione dello Spirito Santo. È un dono d’amore innanzitutto perché ci riunisce insieme, noi così tante volte dispersi e frantumati; perchè ci fa essere un corpo solo che voi sinodali ben rappresentate, investiti stasera dal soffio dello Spirito, per vivere giorni indimenticabili di unità e di speranza; è un dono d’amore perché ci insegna ad essere una chiesa sinodale che cammina insieme e insieme testimonia l’amore del Signore. È un dono d’amore, inoltre, perché ci invita a guardare avanti, verso gli altri, verso tutti gli uomini e le donne del nostro tempo e dei nostri territori, ai quali siamo inviati come debitori di amore e come testimoni che rispondono alle attese di Vangelo presenti nel cuore di tutti e della società. Ma questo sinodo è un dono d’amore di Dio anche per la nostra terra e per i suoi abitanti che possono incontrare una chiesa rinnovata, amica e più disponibile al servizio del Vangelo e quindi risorsa importante per il bene stesso di tutti.

Una cosa vorrei però che faceste attenzione: è un fatto che merita la nostra attenzione: il grido pieno di vita e di speranza di Cristo verso l’amico Lazzaro è preceduto dal pianto di Gesù. Raramente si ricorda nei racconti evangelici il pianto del Signore. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, si dice addirittura che Gesù “scoppiò in pianto”, commosso profondamente e molto turbato dalle parole piene di lacrime di Maria. Gesù piange per la morte dell’amico. Ma possiamo vedere in questo pianto qualcosa di simbolico che rimanda a Gesù che piange davanti alla città santa Gerusalemme, che non ha compreso la via della pace (Luca 19, 41-42) o a Gesù che piange ancora drammaticamente mentre suda sangue nella notte terribile del Getsemani. Il pianto di Gesù è dunque per la morte dell’amico ma soprattutto per quello che la morte significa: il peccato degli uomini.

Questa sera, allora, carissimi amici dobbiamo sapere che il Signore Gesù piange anche sulla nostra chiesa, su di noi, perché ci vede spesso morti o feriti mortalmente. A lui sono noti tutti i nostri peccati; Egli conosce le nostre divisioni, le nostre faziosità, le gelosie, le invidie; conosce i nostri tradimenti, le inadempienze della nostra chiesa; vede e conosce tutte le fragilità delle nostre parrocchie, la povertà della nostra fede, il nostro poco entusiasmo nell’annunciare il vangelo, la chiusura del cuore e della mente nei confronti dei fratelli e sorelle del mondo. Vede tutte le rughe della nostra Chiesa e piange. Il pianto sull’amico Lazzaro è stasera il pianto di Cristo anche su di noi, morti a causa delle nostre infedeltà. Ma è proprio per questo che Egli ci convoca in sinodo: perchè riconosciamo i nostri mali, li confessiamo e per essere da Lui perdonati e riprendere il cammino in novità di vita. E celebrando il nostro sinodo, noi sentiamo le lacrime di Cristo scorrere su di noi, per farci pentire dei nostri peccati e purificarci, lavandoci dalle nostre sozzure.

Non vorrei però che sfuggisse ancora un’altra circostanza nell’episodio narrato dal Vangelo; molto importante per completare la nostra riflessione di questa sera: il grido che richiama alla vita Lazzaro è preceduto dal pianto di Gesù ma questo è a sua volta preceduto e causato dal grande affetto di Gesù per Lazzaro e le sue sorelle Marta e Maria. Quella dei tre fratelli era infatti anche la casa di Gesù. Dove Egli spesso si è riposato dalle fatiche dell’annuncio del Regno. Lì ha trovato conforto, il calore dell’amicizia, la fraterna condivisione di un pasto tra amici. A loro aveva donato più volte la sua amicizia. Sottolineo questo fatto perché ci riguarda molto da vicino e dobbiamo esserne consapevoli, proprio nel momento in cui celebriamo il nostro Sinodo.

Cosa voglio dire? Che saremmo davvero degli ingrati e prima di tutto dei ciechi se ci fermassimo questa sera e durante la celebrazione del sinodo a guardare soltanto ai nostri mali in un lamento che non ha fine e che non è che sterile rimpianto che nasce dall’orgoglio. Innanzitutto, dobbiamo invece riconoscere l’amore che Dio ha mostrato a noi e alla nostra Chiesa. Dobbiamo piuttosto saper rendere grazie per quanto lo Spirito Santo ha operato e va operando in mezzo a noi. Lo Spirito infatti ha operato e suscitato ministeri e carismi, spinto alla conversione e compiuto meraviglie nei cuori di tanti di noi. Egli ci ha riempito di doni preziosi di santità, quella della porta accanto ma anche quella di figure eminenti e particolarmente significative; ci ha riempito di doni preziosi di carità feconda e gioiosa. Ne dobbiamo essere consapevoli e dire, con San Paolo: lo Spirito Santo abita in noi e ci dà la vita. Abbiamo alle spalle una storia nella quale, come in quella del popolo di Israele, non possiamo non riconoscere i magnalia dei, cioè gli interventi premurosi e teneri del Signore. Anche i suoi scossoni forti, ma sempre con la sovrabbondanza della misericordia e della sua tenerezza. Non siamo qui provenienti dal nulla. Abbiamo alle spalle un cammino di salvezza che di anno in anno ci ha condotto a conoscere il Signore e a sperimentare la grandezza del suo amore. Si, spesso siamo stati ingrati e peccatori. Ma ciò non toglie che dobbiamo riconoscere anche tutte le cose buone che ci sono in mezzo a noi, nelle nostre parrocchie, nelle nostre varie realtà, dono premuroso dello Spirito Santo. E un sinodo si fa anche per rendere grazie a Dio di quanto Egli ha fatto per noi, perché Egli ci ha condotto e continua a soffiare nelle ali della nostra vita e della nostra chiesa perchè siamo testimoni coraggiosi e fedeli del suo amore.

È proprio in questa scia di bene e di doni che si inserisce il nostro Sinodo, tenerezza dello Spirito, consolazione del suo soffio vitale. Siamone riconoscenti e viviamo questo sinodo che iniziamo oggi e che chiuderemo, a Dio piacendo l’anno prossimo, con impegno ma soprattutto con gratitudine. Ne usciremo una chiesa più sinodale, che cammina insieme e che, insieme, si fa attenta alle attese, alle gioie e alle angosce, alle sofferenze e alle speranze delle persone in mezzo alle quali vive.

Nell’ampia consultazione che ha preceduto questa prima sessione del Sinodo diocesano e che in parte ha trovato sintesi nello Strumento di Lavoro che oggi vi viene messo tra le mani come base del lavoro sinodale, sono emersi alcuni bisogni, alcune attese, alcune importanti aspettative dentro il cuore delle persone. Riconosciamo in tutto questo la voce dello Spirito. Attraverso i lavori sinodali questa voce si farà più chiara e capiremo ciò che lo Spirito dice alla nostra chiesa, quelle che sono le sfide principali da affrontare per essere chiesa fra la gente, ospedale da campo, tenda della fraternità che fa respirare già fin d’ora pezzi di cielo.

Mi pare che si possa allora concludere al meglio questa riflessione, riportando le parole della prima lettura tratta dal profeta Ezechiele, dove Dio stesso, rivolto a noi, chiesa di Pistoia, stasera ci dice: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò».

 




Conferimento ministeri dell’Accolitato e del Lettorato

Conferimento ministeri dell’Accolitato e del Lettorato
Festa del Battesimo del Signore (Cattedrale di San Zeno, 8 gennaio 2023)

 

La festa del Battesimo del Signore ci fa comprendere la missione redentrice del Verbo incarnato e conseguentemente, quella della Chiesa, suo corpo nel tempo della storia.

La missione redentrice del Figlio di Dio è manifestata con un gesto, senza tante parole. Poi c’è la conferma da parte del Padre. E’ però il gesto a parlare: Gesù scende nelle acque del Giordano come un peccatore e di fronte alla resistenza del Battista Egli insiste perché è con quel gesto che Egli fa capire che è venuto per prendere su di sè i peccati del mondo e aprire così all’umanità le porte del paradiso.

La discesa poi dello Spirito Santo su Gesù, come la voce del Padre, vengono a confermare quella che è la missione del Salvatore, espressione della volontà del Padre, sostenuta dall’opera dello Spirito: ridare speranza all’umanità peccatrice.

Col Battesimo inizia la vita pubblica di Gesù, la manifestazione in parole e opere del Regno presente nel mondo. Ma i tre anni della vita pubblica sono fondati sui 30 anni di vita nascosta a Nazaret. Con il Battesimo nelle acque del Giordano inizia la vita pubblica ma non l’opera della redenzione dell’umanità. Questa, inizia con l’incarnazione del Verbo e prosegue con i trent’anni della vita nascosta, dove il verbo di Dio ha semplicemente vissuto la vita umana nella sua ordinarietà, assumendola e santificandola.

Da questa festa odierna scaturiscono alcune considerazioni importanti circa il conferimento stasera dei ministeri dell’accolitato e del lettorato ad alcuni nostri fratelli, e per la prima volta anche a una donna, a Beatrice.

Innanzitutto, nella festa di oggi troviamo il senso dei ministeri: essi sono per la salvezza dell’umanità; sono espressione della missione di Cristo e della Chiesa che è quella di aiutare gli uomini a ritrovare la via della salvezza che li fa veri figli di Dio e fratelli veri gli uni degli altri. I ministeri istituiti esprimono la missione che però è di tutta la Chiesa nel suo complesso. Essi sono al servizio della missione di tutta la chiesa. Non assorbono cioè la missionarietà della chiesa, che resta di ogni battezzato, uomo o donna che sia; essi sono dati invece per l’animazione, il sostegno, la crescita di tutto il popolo di Dio. Non sono sopra il popolo ma in mezzo al popolo, per aiutarlo nella sua risposta al mandato missionario del Signore. Essi non sostituiscono il mandato di tutti né ne sono l’espressione più alta: sono invece al servizio, un servizio da svolgersi mai da sopra un piedistallo ma dall’ultimo posto.

Come dicevo, il Battesimo del Signore da inizio alla vita pubblica di Gesù, ma questa vita pubblica poggia sulla vita nascosta di Nazaret che ne è la base. Ecco la seconda cosa che la festa di oggi ci insegna. Il diventare accoliti o lettori da parte di laici, non può far dimenticare il fatto appunto di essere dei laici, immersi cioè dentro la vita ordinaria e quotidiana dei laici. Questa vita di tutti i giorni, vissuta nelle cose di tutti i giorni, dentro il lavoro, la famiglia, la società deve rimanere il primo e fondamentale campo di testimonianza cristiana. Essere accoliti o lettori non significa diventare uomini o donne di “sagrestia”, separati cioè o distaccati da quella quotidianità dell’esperienza umana che è la vita di un laico. Tutto al contrario, significa portare dentro il servizio ministeriale primariamente la propria condizione di vita laicale vissuta nel mondo.

Infine, la festa di oggi ci richiama al dono dello Spirito, fonte di ogni ministero nella chiesa. L’effusione dello Spirito Santo su Gesù al momento del Battesimo evidenzia che questa missione è divina, è opera di Dio e non si può svolgere che nello Spirito. Così ogni ministero nella Chiesa, come ogni carisma, nasce dallo Spirito Santo, è una fioritura dello Spirito per l’utilità comune e non si può esercitare che nella docilità allo Spirito Santo, attingendo sempre nella preghiera al suo calore e alla sua luce. Ciò è evidente nel ministero ordinato che è conferito da un sacramento. Ma anche nei ministeri istituiti opera lo Spirito di Dio e non possono esercitarsi in definitiva che in riferimento al dono dello Spirito. In essi non sono le nostre capacità che vengono esaltate: è invece il dono dello Spirito che ci rende capaci di svolgere al meglio il ministero. Per questo, ogni ministro deve invocare continuamente il dono dello Spirito e lasciarsi plasmare dal suo soffio vitale, senza mai perdere questo riferimento “dall’alto” del compito che gli è affidato.

Ecco allora che con il cuore pieno di gratitudine al Signore, ci possiamo avviare al conferimento dei ministeri di lettori ne accoliti ai nostri fratelli e sorelle.

 

 




Epifania (6 gennaio 2023)

Epifania
(Cattedrale di San Zeno, 6 gennaio 2023)

 

Nella grotta di Betlemme si è manifestata la Gloria del Signore.  Nel piccolo bambino, si è resa visibile la Vita stessa. Dio Onnipotente si è manifestato come l’amore che non ha paura della debolezza della creatura, per riscattarla da morte ed aprigli la strada della figliolanza divina. Si è rivelato, si è fatto conoscere Dio stesso, e noi abbiamo contemplato la sua Gloria.

Ecco l’Epifania, carissimi fratelli e sorelle.

Epifania significa appunto manifestazione. Manifestazione di Dio e del suo amore per noi, della sua gloria, nascosta nella carne del bambino di Betlemme. Manifestazione che è anche illuminazione, luce che brilla nelle tenebre, luce che rischiara la vita degli uomini:

“alzati, rivestiti di luce, – ci ha detto il profeta Isaia nella prima lettura poco fa – perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra, nebbia fitta avvolge le nazioni; ma su di te risplende il Signore”

La manifestazione di Dio è tale nella fede, però. Gli occhi del corpo continuano a vedere la pochezza di un piccolo bambino. Non vedono la magnificenza della gloria, le vesti del re. I Magi, di cui parla il Vangelo, cercavano il Re dei Giudei, ma non trovano che un piccolo bimbo avvolto in fasce. Inginocchiati però l’adorarono ed offrirono i doni che avevano portato con sé. Il loro è un atto di fede, che supera quanto gli occhi del corpo vedono, quello che i sensi sperimentano. Vedono un bambino e riconoscono il Re. Vedono un piccolo e riconoscono l’onnipotente Dio. Vedono un esserino povero e bisognoso di tutto e riconoscono il salvatore del mondo.

E’ nella fede dunque, che anche noi siamo chiamati ad accostarci al mistero del Dio fatto uomo.

Rinnoviamo allora quest’oggi, fratelli e sorelle, la nostra fede. Crediamo con tutto il cuore, aldilà di quello che ci dicono i nostri sensi e la nostra stessa ragione. Crediamo che Dio è davvero venuto in mezzo a noi 2000 anni fa, veramente tra noi; ci ha visitato e si è fatto uno di noi, per dare salvezza a ciascuno. Crediamo con tutto il cuore alla verità strabiliante del Natale, all’incarnazione di Dio, alla sua presenza nella storia dell’umanità, e che questa presenza è precisamente Gesù di Nazaret, quel Gesù che i vangeli ci raccontano, di cui ci viene presentata la vita, e che muore per noi e risorge il terzo giorno.

In questa fede camminiamo, in essa viviamo, operiamo, con coerenza e impegno fino alla morte.

Ma nella grotta di Betlemme Dio non si è semplicemente fatto conoscere come a colmare una nostra curiosità, o solo per affermare, per così dire, la sua presenza. No. Nel mistero del Natale Dio si è manifestato per tutto quello che è, cioè Amore, si è manifestato allora anche con tutto il suo progetto d’amore, col suo progetto riguardo all’uomo, a ciascun uomo e a tutta l’umanità.

A Natale si è manifestato quindi che Egli è venuto per chiamare tutti gli uomini alla vita piena, perché li vuole tutti salvi dalla morte, vuole fare di tutta l’umanità, di tutti i popoli, di tutti gli uomini e donne della terra una sola, grande famiglia che si ama, un solo grande popolo di fratelli che sanno riconoscersi, volersi bene, rispettarsi e accogliersi, amarsi profondamente. Egli, a Natale si manifesta come luce per illuminare tutte le genti.

Ci dice San Paolo nella seconda lettura di stamani: “Questo (è il) mistero ….. (che) al presente è stato manifestato ….: che i Gentili (cioè anche i non ebrei, i non appartenenti al popolo eletto, tutti, insomma) sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo.”

E l’episodio significativo degli uomini d’oriente, chiamati magi, di cui parla il vangelo di oggi, di uomini che non appartengono al popolo d’Israele ma che, movendosi da lontano, giungono alla casa di Maria e Giuseppe ed adorano il Signore, esprime emblematicamente l’universale chiamata di tutti gli uomini, di ogni etnia e cultura, di ogni lingua e nazione, di ogni tempo e di ogni luogo, a formare un solo corpo, una sola famiglia riunita nell’amore.

Tutti, nessuno escluso, sono amati dal Signore. Per tutti, nessuno escluso, Dio si è fatto uomo, per tutti, nessuno escluso Gesù è morto ed è risorto. Nel progetto di Dio che si manifesta a Natale, nella grotta di Betlemme, nella scena dell’adorazione dei magi, non c’è quindi posto, non ci può essere posto per alcuna forma di razzismo, di discriminazione, di emarginazione, di privilegio per pochi ad esclusione di altri. Non c’è posto per visioni nazionalistiche dei popoli, visioni ristrette e discriminatorie. Non c’è posto per modi di vedere che dividono gli uomini per categorie e li selezionano in classi. Non c’è posto per scontri di civiltà, né per muri di divisione o separazione, né per barriere e confini tra chi è dentro e chi è fuori, né per guerre sempre fratricide. In questo progetto di Dio non ci sono stranieri e forestieri, né extracomunitari, né immigrati, perché tutti sono chiamati ad esser figli del re, figli di Dio altissimo, figli di un solo padre che ama tutti infinitamente. E, se figli, anche fratelli, diversi, certo, diversissimi per carattere e aspetto, ma fratelli veri con la stessa dignità di esseri umani, creati a immagine e somiglianza di Dio.

E la chiesa di questo progetto di Dio sull’umanità è segno bellissimo e anticipatore. E’ il motivo della sua presenza nel mondo. Pur con tutte le ombre dei suoi membri peccatori, la Chiesa di oggi, sparsa in tutto il mondo, coacervo di ogni lingua, cultura, etnia, è “segno” dell’unità di tutto il genere umano; un piccolo segno se volete, ma reale, profetico ed anticipatore che però deve brillare sempre di più nella scena del mondo, attraverso la testimonianza dei credenti. E noi oggi intendiamo dar lode al Signore e rivolgerci a Lui con gratitudine perché lo rende possibile e perché che ce ne ha resi partecipi aggregandoci alla sua santa chiesa.

 




Ultimo dell’anno 2022

ULTIMO DELL’ANNO 2022
(Cattedrale di S. Zeno, 31 dicembre 2022)

 

Non è stato davvero un bell’anno quello che abbiamo appena trascorso. No. Non è stato buono. Non sto qui ad elencare le situazioni difficili che si sono susseguite l’una all’altra senza soluzione di continuità: le abbiamo ben presenti. E la cosa drammatica è che siamo ancora pienamente dentro a questa serie di difficoltà che ostacolano il nostro irrefrenabile desiderio di vivere con gioia la vita. Anche la morte del nostro amato Papa emerito Benedetto XVI° conclude con un dolore tutto particolare questo 2022.

Di fronte alle angustie dell’esistenza e alle piaghe della storia, come pure di fronte a disastri che coinvolgono la vita di tante persone, anticamente si faceva una considerazione elementare ma direi profondamente ingiusta. Si diceva che tutto il male che capitava nel mondo, non era che una specie di castigo divino per la ribellione dell’uomo di fronte alle leggi sante di Dio.
Abbiamo – e meno male – abbandonato definitivamente questa concezione sbagliata della giustizia divina e abbiamo smesso da tempo di parlare di punizione per i peccati dell’umanità. Giustamente, direi, dal momento che conosciamo il volto misericordioso del Padre che ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo non per condannare il mondo ma per salvarlo.

Eppure, ho come l’impressione che, come dice il detto popolare, con l’acqua sporca, si sia a volte buttato via anche il bambino che si voleva lavare. E dico questo per un motivo preciso. Non ci si è semplicemente limitati a buttar via la pessima idea del castigo divino: a sparire dal nostro orizzonte di pensiero e di pratica di vita, come pure dalle valutazioni sul vivere sociale, è stata addirittura l’idea stessa di “peccato”. Chi oggi parla più di peccato? C’è forse qualche comportamento che venga riconosciuto come “peccaminoso”? Rientra mai questa categoria nelle analisi dei mali della società? Direi proprio di no. Al suo posto si sono fatti strada ben altri concetti e modi di pensare. Ecco per es. un concetto molto in voga: non peccato ma reato. Il reato, quello si, è esecrabile. Ma attenzione: il reato lo stabilisce la legge umana, non quella divina e c’è sempre distinzione tra reato e reato. Quello che a me torna è sempre gravissimo – e in genere i rei sono sempre gli altri – quello che a me invece non torna è puro legalismo che vuole imbrigliare la libertà. Altra parola che ha preso ormai preso il posto del concetto di peccato è “discriminazione”. Veramente il male sopra ogni altro male. Laddove però spesso essa è intesa come il disaccordo degli altri con quello che noi facciamo e diciamo, anzi, con quello che a noi piace fare e dire.

Mi pare infine che un altro concetto abbia ormai preso il posto del “peccato”: quello di turba psicologica o più genericamente disturbo di carattere psicologico o psichiatrico. Anche in questo caso, se applicato a se stessi, è un modo ben collaudato per togliersi di dosso ogni responsabilità; se applicato agli altri, diventa comunque un alibi per giustificare ogni tipo di comportamento.
Siamo dunque – come vediamo – ben lungi dal concetto di “peccato”, direi ormai quasi del tutto scomparso dalla percezione della coscienza individuale e collettiva. Quel peccato che il Catechismo della Chiesa Cattolica definisce con Sant’Agostino «una parola, un atto o un desiderio contrari alla Legge eterna» (sant’Agostino). Offesa a Dio, nella disobbedienza al suo amore che ferisce la natura dell’uomo e attenta alla solidarietà umana (compendio 392), che può riguardare direttamente Dio, il prossimo o noi stessi. (compendio 393). Che distrugge in noi la carità, ci priva della grazia santificante, ci conduce alla morte eterna dell’inferno se non ci si pente (compendio 395). Che si condensa spesso nelle strutture di peccato, situazioni sociali o istituzioni contrarie cioè alla legge divina. (compendio 400).

Carissimi fratelli ed amici, a me pare davvero urgente recuperare il senso autentico del peccato, riconoscerlo in noi e nel mondo e, al termine di questo anno, imparare a chiedere sinceramente perdono per i nostri peccati. Per i peccati degli uomini e delle donne del nostro tempo; per i numerosi peccati dell’umanità. Riconoscendo con coraggio che i nostri peccati personali finiscono per coagularsi in strutture di peccato che rovinano la società. Le sofferenze del mondo, le profonde ingiustizie, le violenze e le guerre, come ogni negazione della dignità della persona umana fin dal suo concepimento, sono peccato; sono manifestazione del peccato di ciascuno di noi. I mali del mondo non sono certo il castigo di Dio che invece è Padre giusto e infinitamente misericordioso: essi sono però la conseguenza amara delle nostre scelte scellerate, delle scelte che poniamo nella nostra libertà.

Con il salmo Miserere diciamo allora stasera con convinzione: “Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto”.
Certamente però il recupero dell’dea di peccato nella coscienza personale e nel vivere sociale non può che essere accompagnato e direi preceduto, dalla percezione dell’amore misericordioso di Dio per noi. Se l’acuta coscienza del nostro peccato non si accompagnasse e non fosse preceduta dalla straordinaria e stupefacente certezza che Dio ci è venuto a cercare, che si è fatto piccolo bambino per noi; che per noi ha assunto la nostra condizione umana, in tutto fuorché nel peccato, fino ad abbracciare l’umiliazione di una condanna e della morte di croce; se non fosse così, la coscienza del peccato diventerebbe un peso insopportabile e angoscia mortale, desiderio di autodistruzione oppure sfida contro tutti e contro tutto. In preda al peccato, senza via di uscita, l’uomo è portato a distruggersi, distruggendo gli altri e il mondo in cui abita.

Ma noi possiamo cantare stasera con Maria, la Vergine Santa, la Madre di Dio, “grandi cose ha fatto in noi l’Onnipotente e santo è il suo nome”. Con Maria meditiamo nel cuore tutto quello che il Signore ci ha dato e ci ha detto anche in questo anno. Con Maria, Madre di Dio, siamo pronti anche noi a riconoscere il dono grande che Dio ci ha fatto nel chiamarci a collaborare con Lui alla diffusione della sua misericordia nel mondo, nonostante tutti i nostri peccati. Maria SS.ma è nostra madre, madre di Dio e madre nostra, più grande di tutti noi, ma creatura come noi, senza macchia di peccato, emblema e aurora di una umanità nuova possibile per la grazia di Cristo.

Ecco allora che con animo grato riconosciamo i segni dell’amore di Dio che egli non ha smesso di darci nella nostra vita anche in quest’anno. Sono tanti i doni che ancora egli ci ha fatto, se ci pensiamo bene. Tanti sono i suoi gesti di premura e di attenzione; infinita la sua pazienza con la quale ha raccolto le nostre fragili volontà e ci ha rimesso in piedi. Ecco perché tradizionalmente, alla fine dell’anno, cantiamo a cuore pieno e voce aperta il Te Deum: un antico inno della chiesa che è un inno di grazie e di riconoscenza, per tutti i doni ricevuti ma soprattutto per il dono più grande di tutti: che per noi e la nostra salvezza Egli discese dal cielo e ha preso dimora in mezzo a noi.




Ordinazione presbiterale di Alessio Biagioni e Maximilien Baldi

ORDINAZIONE PRESBITERALE
Alessio Biagioni e Maximilien Baldi
Cattedrale di S. Zeno (domenica, 25 settembre 2022)

«Ma tu, uomo di Dio, tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza. Combatti la buona battaglia della fede, cerca di raggiungere la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni».
Queste raccomandazioni dell’apostolo Paolo a Timoteo stasera sono rivolte a voi, carissimi Alessio e Maximilien. Sono per voi. Per voi che state per diventare presbiteri, che ricevete dal Signore un mandato speciale, una consacrazione, per essere immagine viva di Lui Buon Pastore in mezzo al popolo di Dio e anche tra chi non fa parte di questo popolo.

Quello che mi sento di dirvi oggi, proprio sulla scia dell’apostolo Paolo, è che siate uomini dai grandi desideri. Sì: uomini dai grandi desideri. Non desideri di piccolo cabotaggio, limitati, sbiaditi, bensì grandi come l’orizzonte sul mare. Non quei desideri che sono soltanto capricci di un io malato di delirio di onnipotenza. No. Quei desideri invece che solo Dio sa mettere nel nostro cuore e suscitare in noi per la sua misericordia.
Che siate dunque uomini animati da questi desideri potenti, forti; che siate sempre in cammino, tesi a vivere il presente ma con l’ardore del cuore che vi fa guardare avanti in una tensione continua e gioiosa. Animati da desideri capaci di smuovervi, che originano impegni concreti e un modo di vedere il presente carico di speranza. Animati in particolare da tre grandi desideri direi, di cui stasera vi voglio parlare. Imparate a coltivarli; che non si affievoliscano mai dentro di voi ma che anzi si approfondiscano sempre di più nel corso degli anni.
Il primo di questi desideri da coltivare è di essere una cosa solo con Cristo, di configurarsi pienamente a lui in tutto, di partecipare con ogni fibra del vostro essere, alla morte e alla resurrezione del Signore. Per arrivare a dire, ancora con Paolo nella lettera ai Galati: «non vivo più io ma Cristo vive in me».

Ecco il primo grande desiderio che deve bruciare dentro le vostre anime ogni giorno. Questo il vostro anelito, questo la vostra prospettiva che si rinnova ogni volta che celebrerete l’eucaristia: diventare pane donato nel Pane che viene dal cielo; divenire ogni giorno di più vino versato per amore insieme al sangue di Cristo. Acquisire ogni giorno di più i sentimenti che furono in Gesù Cristo, il quale venne per servire e non per essere servito.
Sia questo il vostro primo grandissimo, rinnovato desiderio: quello di un amore sempre più intenso e profondo a Cristo morto e risorto, così da essere sempre più lui, nei pensieri, negli atteggiamenti, nelle scelte, nel ministero. Un desiderio che, certo, si accompagnerà sempre anche alla consapevolezza che tutto è dono di Grazia e che la vostra partecipazione alla vita di Cristo rimane su questa terra sempre imperfetta e lacunosa. Ma proprio per questo, il desidero di una piena comunione con Cristo si farà sempre più intenso e struggente.

C’è però anche un secondo grande desiderio che deve abitare il vostro cuore e tutta la vostra vita: è il desiderio dell’apostolo. E cioè che ogni persona possa incontrare e conoscere il Signore Gesù e trovare la pienezza della vita. Dovete imparare a bruciare per questo desiderio perchè infiammi la vostra esistenza di ministri del Signore. Tutto in voi e nel vostro operare deve mirare a questo: che le persone possano incontrarsi col Signore, che possano riconoscere la sua presenza amorevole di salvatore nella loro vita; che possano sentire la gioia che produce la sua sequela. Voi siete al servizio di questo incontro. Come Giovanni Battista, voi siete gli amici dello sposo, non lo sposo. Non dovrete portare avanti la vostra persona, ma solo Lui, invitando a scoprirlo e a lasciarsi incontrare ed amare. Siete chiamati a preparare la strada al Signore per lasciare poi a lui l’incontro con le persone che cambia loro la vita e che salva.
Questo desiderio grande e forte vi porterà ad amare tutte le persone che incontrerete con un amore pienamente umano ma che è quello di Cristo perché le vedrete coi suoi occhi; vi porterà a spendervi per distribuire il pane per i bisogni degli uomini e delle donne, vi spingerà a fare tutto ciò che è fattibile per il bene delle persone ma sempre con questa grande prospettiva nel cuore: che oltre il pane materiale, conoscano il Pane della vita; che oltre i bisogni terreni, possano scoprire colui che dona la vita eterna in modo che i loro giorni divengano un canto di lode al Signore.

Se questo desiderio si affievolisse in voi, diventereste magari dei bravi operatori sociali, ma verreste meno a quella che è la missione propria che vi è stata affidata, ciò per cui siete ordinati, ciò per cui il Signore vi ha chiamato.
E questo desiderio, sappiatelo, vi porterà inevitabilmente a piangere, qualche volta. Constatando la vostra opacità, il vostro essere strumenti inefficaci a causa dei vostri peccati, oppure scontrandovi – impotenti – con la durezza dei cuori e la refrattarietà alle parole di Cristo. Questo desiderio vi procurerà sicuramente dolore, nel vedere l’ostinazione nel male che c’è nel mondo, la chiusura di quelli che la prima lettura di oggi dal profeta Amos chiama “gli spensierati di Sion”, che «bevono il vino in larghe coppe e si ungono con unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano». Le vostre lacrime non si dovranno però trasformare in rabbia o sconforto ma in preghiera, in supplica al Signore, in intercessione come quella di Mosè per quel popolo eletto dalla dura cervice che gli era stato affidato. Soprattutto dovrete continuare ad amare; ad amare tutti; anche coloro che magari in qualche modo vi crocifiggeranno. Anche nei loro confronti il vostro amore vi porterà non solo a sopportare con pazienza ma a desiderare per essi la conoscenza della misericordia di Cristo salvatore.

Infine, ecco anche il terzo grande desiderio che dovete coltivare: quello cioè di un mondo che diventa regno di Dio. Quello cioè di un mondo trasformato e trasfigurato dall’amore. «Venga il tuo regno», ci fa pregare Gesù, spingendoci a coltivare questo desiderio. Una preghiera che si ripete ogni giorno, per chiedere ogni giorno che si realizzi il suo «regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace». Voi, carissimi, siete chiamati a far crescere sempre di più questo desiderio ardente e operoso nel vostro cuore, di fronte a un mondo che è ancora così lontano da ciò che dovrebbe essere. La parabola del povero Lazzaro, ascoltata nel Vangelo, non è semplicemente un invito alla elemosina. Essa denuncia una situazione di grave ingiustizia che c’è nel mondo e che solo la misericordia di Dio sa compensare in modo straordinario. Purtroppo, questa nostra società è segnato da ingiustizie e strutture di peccato; è segnato in larga misura dalla violenza e dalla guerra; il dio denaro spadroneggia su uomini e cose, mentre il malaffare e la corruzione sono diffusi. Stiamo rovinando la casa comune per noi e per chi verrà dopo di noi. Voi dovete essere uomini che sentono forte il desiderio che le cose siano diverse, che le cose cambino, che l’umanità diventi luogo di pace e di fraternità. E dovrete cominciare a vivere, a dare concretezza a questo desiderio, nel piccolo della vostra vita, all’interno della vostra realtà, dentro gli spazi di vita che abiterete per il vostro ministero. E questo desiderio di un mondo nuovo e migliore, dovrete cercare anche di trasmetterlo alle persone che vi saranno affidate, educando le coscienze, perchè le nostre comunità cristiane siano luoghi dove si impara a mettersi al servizio e ad impegnarsi per il bene comune e non ci si accontenti di curare individualisticamente la propria anima.

Sì, carissimi Alessio e Max, ecco ciò che mi sento di raccomandarvi stasera mentre rendo grazie al Signore per il dono che siete per me e per la nostra chiesa: siate dunque uomini dai grandi desideri. Osate ciò che umanamente sembra impossibile, confidando però sempre non nelle vostre povere forze ma nel dono dello Spirito che oggi vi consacra come ministri di Dio.




Esequie di don Leonildo Toni (19 settembre 2022)

Esequie di don Leonildo Toni
PISTOIA, CHIESA CATTEDRALE DI SAN ZENO (9 APRILE 2022)

 

LETTURE: Gal 6,14-18; Sal Cfr Gal 2; Fil 1; Lc 9, 23-26

 

Ho scelto le letture che abbiamo ascoltato per un motivo ben preciso: sono le letture della memoria liturgica delle sacre stimmate di San Francesco, che si celebra il 17 di settembre, giorno in cui San Francesco le ricevette.
Non credo al caso. Il 17 settembre è proprio il giorno in cui don Leonildo ha terminato il suo cammino terreno.
Mi è parso che queste letture e la memoria stessa delle stimmate, fossero significative e che illuminassero questa morte che tutti ci addolora; me personalmente, l’intero presbiterio, la diocesi, ma anche tante persone che hanno conosciuto e apprezzato don Leonildo, come l’intera città di Pistoia, direi.

Don Leonildo, da quando gli fu diagnosticato il male, ha vissuto un lento ma progressivo calvario, faticoso, debilitante, frustrante che lo ha costretto a venir via dalla sua amata chiesa e a rimanere a letto.
Le parole di Paolo nella lettera ai Galati ben si addicono alla vicenda di don Leonildo. Anch’egli oggi può dire: “D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo. Possiamo davvero ben dire che le stimmate di Gesù crocifisso si sono piano piano stampate in lui, nella sua carne, in quel suo corpo fattosi ogni giorno di più, più sottile e diafano.
Ha vissuto con grande fede il sentiero di questa sua via crucis. Vorrei dire anzi, nonostante il disagio e la fatica, con leggerezza. Non gli è infatti mai venuta meno quella leggerezza che gli faceva parlare con lucidità e serenità del suo male. Una leggerezza, animata da una fede profonda che gli faceva sopportare – direi con letizia francescana – la sua non facile condizione di vita.
Davvero ha portato le stimmate di Gesù nel suo corpo. Si sono formate piano piano e in quel letto della sua cameretta in seminario, ha concluso la sua configurazione a Cristo crocifisso e risorto. Quel Gesù che lo aveva affascinato e chiamato a seguirlo per farlo pescatore di uomini.

Ci mancherà don Leonildo. La sua presenza nel cuore della città era significativa, amorevole, originale, simpatica. Intelligente ed arguto, dietro una patina di ironia pronta alla battuta colorata e quasi scanzonata, celava una fede solida, una calda umanità, il gusto dell’amicizia, un affettuoso attaccamento alle persone che anche io ho potuto sperimentare personalmente. Ci mancheranno anche i suoi brontolii che ogni tanto venivano fuori ma che non si faceva fatica a riconoscerne la matrice in una grande bontà d’animo.

Oggi però non siamo qui per fare degli elogi funebri. Con il realismo della fede cristiana, sappiamo che ognuno di noi ha da farsi perdonare dal buon Dio tante mancanze. Per questo preghiamo oggi per il nostro fratello Leonildo, affidandolo appunto alla misericordia di Dio, perché ogni sua eventuale mancanza gli sia perdonata e possa contemplare da subito la gloria di Dio.
Siamo consapevoli delle nostre fragilità perché la misura della nostra vita è alta. Ci dobbiamo misurare infatti tutti quanti con le parole del vangelo che abbiamo ascoltato. Esse ci indicano quale è il nostro impegno e la responsabilità; quel cammino che don Leonildo ha cercato di percorre nella sua vita e che ha compiuto pienamente in questi suoi ultimi mesi. Dice Gesù: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, renda la sua croce ogni giorno e mi segua”.
Questa è la strada. Questo è il percorso, questa è la via della pienezza della vita!

È la strada dell’amore autentico, dell’attenzione e del servizio agli altri,; è la strada degli operatori di pace, dei misericordiosi; di coloro che hanno fame e sete di giustizia; di coloro che come poveri si affidano a Dio.
È la strada che, davanti alle spoglie mortali del nostro fratello Leonildo, noi sentiamo di dover percorrere, così che anche noi possiamo essere pienamente configurati a Cristo crocifisso e risorto e godere in terno la beatitudine dei santi.




Messa Crismale (13 aprile 2022)

Messa Crismale

Cattedrale di San Zeno (13 aprile 2022)

Carissimi amici presbiteri, diaconi, ministri; carissimi laici e religiose qui riuniti; carissimi ragazzi che riceverete la Cresima in quest’anno: convocati tutti dalla Misericordia di Dio, ci sentiamo questa sera depositari di un messaggio di pace per il mondo intero.

È necessario che sentiamo questa responsabilità in modo forte, proprio nel momento in cui crepitano le armi così vicine a noi, l’odio scorre a fiumi e un’immensa sofferenza travolge intere popolazioni. Oggi più che mai dobbiamo sentirci chiamati senza poterci sottrarre, ad essere operatori di pace; oggi, quando purtroppo proprio tra cristiani ci si uccide e da parte di membri autorevoli delle chiese, si sostengono guerra e ideologie nefaste.

L’unità visibile, che stasera sperimentiamo attorno alla mensa della Parola e del Pane di vita, è segno e testimonianza a un tempo, del comando esigente del Signore: «Amatevi come io ho amato voi». Siamo ben consapevoli della complessità della storia, delle sue contraddizioni e delle dure necessità. Ma siamo chiamati ad essere dentro la storia allo stesso modo in cui c’è stato Nostro Signore, del quale siamo seguaci, discepoli ed amici: e cioè col suo amore, la sua pazienza e la sua fortezza.

Del resto, stiamo vivendo la Settimana Santa, segnata dal racconto ripetuto della Passione del Signore. Da quel racconto emergono tutte le nefandezze della storia. Si manifestano tutte le bassezze a cui l’uomo può arrivare. È una vicenda drammatica, quella che domina la Settimana Santa, piena di malvagità, incomprensioni, vigliaccherie, piena di odio, di ingiustizia, di sangue. È la storia del mondo, concentrata in una settimana. Il Signore Gesù c’è entrato dentro con tutto se stesso, si è caricato di tutto il dolore del mondo, di tutte le peggiori cose di cui è capace l’umanità e per questo ha provato angoscia mortale nell’orto degli ulivi. Per amore, senza venir meno all’amore, ha bevuto il calice amaro dei peccati del mondo e ha invitato i suoi discepoli a seguirlo sulla via della croce. Una proposta sconvolgente, di fronte alla quale i suoi stessi amici sul momento non hanno retto. Si sono dileguati. Lo hanno rinnegato. Torneranno poi sui loro passi solo nell’incontro col Risorto e, solo col dono dello Spirito Santo, troveranno la forza di seguire il Signore Gesù fino all’estremo, annunciando la buona notizia del Regno di Dio, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace.

Così noi oggi, proprio in questo frangente della storia, siamo chiamati ad essere discepoli del Signore, superando lo smarrimento che produce la sua esigente proposta. Siamo chiamati ad essere operatori di pace, seminatori di pace, artigiani della pace che viene dall’alto per diffondersi nei cuori ma che ha bisogno della nostra collaborazione per estendersi nel mondo.

A questo siamo chiamati noi, innanzitutto, carissimi presbiteri e diaconi. In quanto ministri del Signore, dobbiamo essere operatori di pace. Gli oli santi che stasera si consacrano servono per i sacramenti che donano la pace. Come l’eucaristia che è affidata alle nostre mani per edificare i cuori nel corpo del Signore. Sono segni efficaci dell’amore di Cristo. Noi ne siamo gli amministratori. Lo Spirito del Signore è sceso su di noi e ci ha consacrato per portare ai “poveri il lieto annunzio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

Impegniamoci dunque, carissimi amici e fratelli, a costruire la pace dentro i nostri cuori, tra di noi, con la nostra gente, nella società. È una testimonianza necessaria oggi al mondo come l’acqua per un assetato. Cerchiamo di diventare instancabili e infaticabili operai di comunione. Cerchiamo il dialogo, nella stima reciproca, nell’ascolto premuroso dell’altro. Non cediamo mai al rancore, all’invidia, al risentimento ma nemmeno alla tentazione di chiuderci in noi stessi, all’indifferenza, all’individualismo. Reagiamo a questi rischi e, attingendo al dono che viene dall’alto, all’amicizia con Cristo e al dono del suo Santo Spirito, cerchiamo veramente di amarci come Lui ci ha amato e ci ama.

Questo impegno però vale anche per tutti voi, carissimi fratelli e sorelle che riempite questa cattedrale. Laici, religiose, ragazzi, famiglie. Tutti quanti, come chiesa santa di Dio, come popolo regale, sacerdotale e profetico, in forza dell’unico battesimo ricevuto, dobbiamo risplendere nel mondo come segno e strumento di unità di tutto il genere umano. In questa ora tristissima del mondo, lo Spirito Santo ci spinge con forza a camminare insieme, ad essere una chiesa unita nell’amore, ad essere un’oasi di pace dentro la società; ci spinge ad essere profezia di fraternità, di servizio, di amore disinteressato; spazio umano accogliente e premuroso. A partire dalle nostre parrocchie, che devono arrivare ad essere esemplari nella testimonianza della carità fraterna che si apre alle necessità degli ultimi.

Abbiamo iniziato il cammino sinodale insieme alle chiese che sono in Italia e nel mondo. Il prossimo 4 giugno, vigilia di Pentecoste, tutta la diocesi sarà convocata in assemblea eucaristica per invocare il dono dello Spirito per una rinnovata Pentecoste e dare così l’avvio ufficiale anche al nostro sinodo diocesano.

Fare sinodo – vorrei che fosse chiaro a tutti – è oggi davvero un gesto profetico. In questo nostro mondo lacerato da contese e discordie, frantumato nelle ingiustizie e in preda a un grande individualismo, la testimonianza dei discepoli del Signore, quella della sua Chiesa, che fa unità nella comunione e cammina insieme, è fondamentale. Un’unità fraterna, variegata e molteplice, segno nel mondo di quel progetto di comunione e di amore che Dio ha sull’umanità. Sinodalità vuol dire riscoprire il mandato originario della Chiesa che il Signore ha ben espresso nella sua preghiera al Padre, riportata nel vangelo di Giovanni: che siano una cosa sola perché il mondo creda. E si tratta di una urgenza, di qualcosa che sicuramente lo Spirito Santo sta chiedendo con forza alla Chiesa, perché gli uomini e le donne del nostro tempo hanno bisogno di fiducia, di speranza, di amore vero e solo un’umile ma gioiosa fraternità di uomini e donne che hanno sperimentato la misericordia del Signore, può essere un’oasi di pace e di resurrezione della vita.

Un’ultima breve parola la rivolgo a voi ragazzi presenti qui stasera che riceverete la Cresima con il sacro Crisma che tra poco consacreremo: Innanzitutto voglio manifestarvi tutto il mio affetto e la vicinanza a voi e alle vostre famiglie, di tutta la chiesa. Con la Cresima diventerete testimoni e apostoli di Gesù: siatene degni e orgogliosi: mettete in gioco la vostra giovane vita per essere generosi aiutanti di Gesù affinchè la pace di Cristo regni nei cuori delle persone, nella società e nel mondo.




Domenica delle Palme (9 aprile 2022)

Domenica delle Palme

Pistoia, Chiesa Cattedrale di San Zeno (9 aprile 2022)

 

La Settimana Santa è parabola della vita; anzi, paradigma della vita; percorso cioè che sintetizza il cammino che siamo chiamati a compiere per rispondere alla nostra vocazione. La nostra esistenza in fondo e una grande “settimana santa”. Come in sette giorni fu creato il mondo e in una settimana si concentro la redenzione dell’umanità, cosi gli anni della nostra vita si dipanano come in una unica, dilatata, Settimana Santa. Questo è ciò che ci ricorda la liturgia ogni anno, facendoci celebrare il mistero della nostra redenzione. Davanti ai nostri occhi pone la vita di Cristo nel suo momento supremo, ma e la nostra vita in Lui, l’obiettivo a cui essa punta. Quest’anno poi la Settimana Santa vive l’angoscia del mondo. Quella che stiamo sperimentando in questi tristi tempi. Giorno dopo giorno, la Settimana Santa ci conduce fino all’abisso del dolore e della tragedia. Dalla domenica delle palme, dal momento trionfale dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme, le cose peggiorano sempre di più. Si scende nell’abisso della crudeltà e della barbarie. Tradimento, condanna, calunnia, tortura e infine la morte crudele della croce con il silenzio assordante della tomba. Un’escalation di dolore disumano, quello che si vive nella settimana santa che fu la settimana atroce del sacrificio supremo del Cristo. La stessa escalation la stiamo vivendo nel dramma della guerra. Ogni giorno qualche orrore in più, verso un abisso che sembra un vicolo cieco senza speranza. Ma la Settimana Santa si apre alla fine alla speranza. Nel giorno dopo il sabato ecco l’inaudito giorno della risurrezione. Per questo vogliamo continuare a sperare.

Il Cristo entra come Re – Messia ma va, sapendo che sarà immolato. Entra in Gerusalemme e con questa azione abbraccia consapevolmente il suo destino per la salvezza di Gerusalemme e di tutto il popolo. L’entrata in Gerusalemme e un’accettazione piena e consapevole della sua missione, fino in fondo. E osannato – ma sa bene che poi sarà condannato.

Credo che anche per noi sia il momento di prendere dentro il cuore insieme con Cristo il dolore del mondo e di accettare fino in fondo di entrare con lui a Gerusalemme, perchè piangendo con chi piange, piangendo per i nostri peccati e quelli dell’umanità, partecipiamo alla redenzione del mondo. Forse questa partecipazione e già avvenuta altre volte nella nostra vita – senz’altro. Ma oggi occorre rinnovarla. Saggiamente la Chiesa ci fa rivivere ogni anno il mistero pasquale, perchè la nostra partecipazione si rinnovi. Oggi è particolarmente necessario in questo buio dolore della storia. Con la fede però nel cuore che ci fa dire che tanta sofferenza portata con Cristo non sarà vana. Con la fede che vede la luce della risurrezione anche dove sembra esserci solo tenebra. Celebrando l’ingresso a Gerusalemme del Signore Gesù, giunge l’ora di togliere di mezzo ogni indugio e di accettare di seguirlo; occorre “entrare”, buttarsi, decidersi di stare con lui – costi quello che costi – perchè il mondo ha da essere salvato – e se e Cristo che lo salva, Egli vuole che facciamo la nostra parte con Lui. Accogliendo la sofferenza di questo terribile momento, continuando però ad amare e a cercare sentieri di riconciliazione e di pace.




Ordinazione Diaconale (13 marzo 2022)

Ordinazione diaconale dei seminaristi Alessio Biagioni e Maximilien Baldi

Pistoia, Cattedrale di San Zeno, 13 marzo 2022

 

Il Signore prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo. Li prese con sé e li portò sul monte, dove manifestò loro la sua gloria, il suo splendore di Unigenito del Padre, di figlio eletto, compimento della legge e dei profeti, da ascoltare e da seguire.
Allo stesso modo, carissimi Alessio e Maximilien, il Signore ha preso anche voi e vi ha portato sul monte per manifestarvi la sua gloria. E’ la storia della vostra vocazione: il Signore a un certo punto si è fatto sentire; è entrato nel vostro cuore, vi ha chiamato per nome – cosa di cui oggi avete la certezza attraverso il riconoscimento della chiesa da parte del vescovo. Ma non vi ha soltanto chiamato – vi ha preso con sé e vi ha portato a salire il monte della sua conoscenza: sono stati gli anni del seminario, degli studi, dell’approfondimento spirituale, del cammino interiore. Vi ha condotti così sul monte e si è rivelato a voi.
E’ evidente che si sia fatto conoscere a voi, altrimenti non sareste qui stasera. Voi lo avete visto, lo avete sentito e lo portate nel cuore. Se non lo aveste incontrato, se Lui non si fosse rivelato a voi, se voi non aveste visto la sua gloria di Unigenito del Padre, che merita di essere ascoltato e seguito, davvero qui stasera non ci sareste.

Allora vi dico innanzitutto questo: sentitevi sempre persone che il Signore ha preso con sé, chiamati a seguirlo, chiamati con amore a sperimentare la sua bellezza, la sua grandezza, la sua umile misericordiosa potenza. Custodite questo rapporto vivo con il Signore Gesù. Non dimenticate mai questo incontro decisivo con Lui: rinnovatelo ogni giorno, perché ogni giorno avvenga il miracolo della “trasfigurazione”. Con gli occhi della fede, contemplate ogni giorno la luce del risorto trasfigurato nella gloria e fatelo anche e soprattutto nei momenti bui e difficili della vita e del mondo come quelli che ci è dato oggi di sperimentare.

Questo contatto vivo col Signore risorto, questo “stare nel mondo col Signore” contemplando la sua gloria, è fondamentale per ogni cristiano, e particolarmente per i ministri del Signore. E’ fondamentale per tutta la Chiesa, proprio oggi direi, quando dense nubi di distruzione e di morte si addensano sul mondo. Oggi, quando la speranza sembra davvero impossibile; quando tutto parla di morte e davanti agli occhi si presentano orizzonti vuoti di speranza, proprio oggi, quello sguardo di fede che ci fa vedere il Signore ammantato di gloria e ce lo fa sperimentare risorto e vittorioso sulla morte, diventa essenziale per sperare contro ogni speranza. Non per una facile e mistificatoria consolazione ma perché quella è la verità del Regno di Dio che – aldilà di ogni apparenza – avanza e cresce nella storia del mondo.

Il racconto evangelico della trasfigurazione però ci insegna un’altra cosa: che non ci si può fermare, anche se sarebbe bello restare sul monte a contemplare la luce sfolgorante della gloria del Signore. Finché siamo su questa terra, occorre andare. Occorre camminare verso Gerusalemme e combattere ogni giorno la buona battaglia dell’amore di Dio. Occorre riprendere continuamente la strada, ben sapendo che non saranno sempre rose e fiori, ma anzi, che il cammino ci condurrà necessariamente al dono di tutta la nostra vita, per il bene e la salvezza degli uomini. Ma il cammino lo facciamo con lo sguardo trasfigurato della fede, sempre in compagnia di Gesù.

Quindi, carissimi Alessio e Maximilien, camminate senza timore, con coraggio: il Signore oggi con voi stipula un’alleanza che non verrà meno. Come con Abramo – di cui abbiamo sentito nella prima lettura – oggi, con il sacramento dell’Ordine il Signore stipula con voi una duratura alleanza di amore. Si dona a voi col suo Santo Spirito e vi fa suoi ad un titolo speciale che si aggiunge al Battesimo; in un patto d’amore che non verrà meno: l’Ordine sacro infatti non è a tempo: è un dono permanente che vi abilita ad essere Lui in mezzo al popolo ad un titolo speciale. Un dono permanente e stupendo che investe tutta la vostra vita, tutto il vostro essere, tutto il vostro tempo; che non annienta – sia ben inteso – la vostra umanità, anzi, la esalta, perché proprio di questa il Signore ha bisogno per essere concretamente presente ancora oggi in mezzo agli uomini. La vostra vita rimarrà e dovrà rimanere una vita pienamente umana, fatta di cose umane, capace di apprezzare e vivere anche tutte le cose della terra: il riso, il pianto, gli affetti, l’amicizia, la bellezza del mondo, i drammi e la sofferenza che la vita porta sempre con sé. Però, tutta questa vostra umanità, per la potenza dello Spirito Santo, diventerà strumento dell’amore misericordioso del Signore, presenza amorevole di Lui, segno della sua vicinanza ad ogni uomo o donna in questi tempi difficili.

Ricordatelo sempre, dunque: oggi il Signore stabilisce con voi un’alleanza speciale con la quale vi assicura il dono permanente del suo Spirito perché siate suoi ministri in ogni momento della vostra esistenza, con tutta la vostra persona. L’Ordine sacro non è un vestito che si mette nelle ore di lavoro e poi si smette nel tempo libero. No! E’ un dono che pur riversandosi in fragili vasi di argilla trasforma la persona e la rende, in quanto tale, segno di Lui.

Fortificati dal dono dello Spirito Santo, in quanto diaconi, voi sarete di aiuto a me, vostro vescovo e al presbiterio nel ministero della parola, dell’altare e della carità, mettendovi al servizio di tutti i fratelli, quali custodi del servizio nella chiesa.
Divenuti ministri dell’altare, annunzierete il Vangelo, preparerete ciò che è necessario per il sacrificio eucaristico, distribuirete ai fedeli il sacramento del corpo e del sangue del Signore. Inoltre, secondo la missione che vi conferirò, avrete il compito di esortare e istruire nella dottrina di Cristo i fedeli e quanti sono alla ricerca della fede, guidare le preghiere, amministrare il Battesimo, assistere e benedire il Matrimonio, portare il Viatico ai moribondi, presiedere il rito delle Esequie. Consacrati con l’imposizione delle mani secondo l’uso trasmesso dagli Apostoli e uniti più strettamente all’altare, eserciterete particolarmente il ministero della carità in nome del vescovo o del parroco.

Questi compiti esigono una dedizione totale, perché il popolo di Dio vi riconosca veri discepoli del Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire.
Carissimi Alessio e Maximilien, il Signore vi ha dato l’esempio, perché come egli ha fatto così facciate anche voi. Come ministri di Gesù Cristo che in mezzo ai discepoli si mostrò come un servo, siate sempre pronti e disponibili per compiere la volontà di Dio e servite con gioia e generosità il Signore e i fratelli.
Ricordate che nessuno può servire a due padroni e, mettendo la vostra vita a servizio del Signore, rifiutate gli idoli di ogni impurità e dell’avarizia, che rendono schiavi gli uomini.
Poiché vi accostate liberamente all’ordine del diaconato, seguendo l’esempio dei diaconi scelti dagli Apostoli al ministero della carità, siate degni della stima del popolo di Dio, pieni di Spirito Santo e di sapienza. Voi avete scelto di consacrare il vostro celibato per farne segno e richiamo alla carità pastorale, sorgente di fecondità spirituale nel mondo. Animati dal desiderio di un sincero amore per Cristo e vivendo con totale dedizione in questo stato di vita, vi consacrate al Signore a un titolo nuovo e sublime; e aderendo a lui con cuore indiviso, sarete più liberi di dedicarvi al servizio di Dio e dei fratelli, e più disponibili all’opera della salvezza.
Fondati e radicati nella fede, siate sempre irreprensibili e senza macchia davanti a Dio e agli uomini, come devono essere i ministri di Cristo, dispensatori dei misteri di Dio. Non venga mai meno in voi la speranza del Vangelo, di cui sarete non solo ascoltatori, ma araldi e testimoni. Custodite il mistero della fede in una coscienza pura, manifestate con le opere la parola di Dio che predicate, perché il popolo cristiano, animato dallo Spirito Santo, diventi una oblazione pura, gradita a Dio. E quando andrete incontro al Signore nell’ultimo giorno, ciascuno di voi possa udire da lui: «Vieni, servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo Signore».

 




Mercoledì delle Ceneri (2 marzo 2022)

Mercoledì delle Ceneri

2 marzo 2022 – Pistoia, Cattedrale di San Zeno

«“Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!”. È questo il momento favorevole per la nostra conversione. La Quaresima ci ricorda che siamo peccatori, ci ricorda che ognuno di noi ha tradito il Signore, che ognuno di noi è venuto meno alle promesse del Battesimo, all’amore di Dio in mille modi. La Quaresima ci ricorda che siamo peccatori bisognosi di essere salvati che hanno bisogno di rinnovamento profondo».

E se avessimo dei dubbi sul nostro essere peccatori le drammatiche vicende che stiamo vivendo in questi giorni ce lo ricordano, perché la guerra, terribile, orribile, schifosa, ci dice che noi uomini siamo capaci delle peggiori cose: di odio, di violenza, cattiveria, sopraffazione. Siamo capaci di mettere sotto i piedi i comandi del Signore, per la nostra presunzione, per la nostra convinta superiorità. Di questa guerra abbiamo paura. In un mondo globalizzato come il nostro non c’è niente di circoscritto, niente che può restare limitato a un punto del globo. Il tutto si ripercuote su tutti. E dunque sentiamo il pericolo di reazioni a catena che producano un irrimediabile disastro. La guerra ci ricorda che siamo dei peccatori, che noi uomini non sappiamo trovare altra via di soluzione ai nostri problemi se non con la violenza e la morte.

È quanto mai opportuna questa Quaresima, che ci invita a riconoscere che siamo peccatori, ma non per puntare il dito sugli altri che sarebbero più peccatori di noi e dunque meritevoli del nostro biasimo. La Quaresima ci invita a guardare il nostro peccato, il nostro individuale peccato. Il nostro individuale peccato si assomma a quello degli altri e distrugge il mondo. Non esiste un peccato privato che non abbia ripercussioni sociali, che non abbiano ripercussioni sull’andamento del mondo.

Le situazioni drammatiche del mondo sono tra popoli, tra nazioni, ma la radice è sempre nel cuore, nel cuore di ogni uomo e quindi anche nel nostro. Dobbiamo sentirci tutti responsabili delle cose che avvengono nel mondo. Nessuno può dire, “non dipende da me”. “Non in mio nome”, si dice. Ridicola affermazione, perché siamo uniti nell’umanità, siamo uniti dalla responsabilità. Ecco allora quanto è importante che ci sottoponiamo al giudizio della parola di Dio, che con sincerità ci apra il cuore la spada tagliente della parola di Dio, che discerne, distingue, pota.

La Quaresima è il tempo propizio per questo cammino di riconciliazione. Cammino di purificazione durante il quale siamo chiamati a rivedere la nostra vita, a vedere come ci poniamo nelle nostre relazioni, davanti al mondo, davanti a Dio; a vedere le nostre relazioni, a capire se Dio resta per noi un cartellone pubblicitario o se, invece, il Signore Gesù Cristo entra davvero nella nostra esistenza e determina la nostra vita. Un cammino che ci invita a capire se davvero siamo impegnati a rispondere al suo amore con la radicalità del nostro amore per lui.

Il Santo Padre ci ha invitato a vivere il giorno di oggi nel digiuno. Ma il Papa vuole dare anche un particolare significato al digiuno, per la riconciliazione con Dio e tra noi. È un digiuno, una penitenza per fare pace, con Dio e con gli uomini. Perché cessi questa maledetta guerra che ha già fatto tante rovine, tanti morti, tanti lutti, ha creato uno sconquasso umano incredibile. Questa guerra deve cessare! Dobbiamo digiunare e  pregare perché cessi questa guerra e si ritrovi la via — difficile certo — ma l’unica via percorribile: quella del dialogo.

La Quaresima è indicata anche come un combattimento, ce lo ricordava la preghiera colletta di oggi. Il linguaggio della guerra ritorna nella liturgia quaresimale. È un combattimento contro le forze del male che sono dentro di noi e condizionano il mondo. Le si combatte con armi spirituali: la preghiera, il digiuno, l’elemosina, la carità.

Termino richiamando un passaggio del Vangelo. Un Vangelo curioso, perché proprio nel giorno del digiuno ci invita  a profumarci il capo e a sorridere. Ci invita a non fare le cose per essere visti, a non fare le cose per pubblicità. Noi oggi siamo maestri anche in questo, nel far apparire ciò che non è, nel presentarci in un modo diverso da quello che siamo. Siamo in un mondo di manipolazione delle informazioni dove cerchiamo continuamente di apparire meglio di quello che siamo. Il Vangelo ci invita a fare un cammino serio, interiore.

Non ce ne facciamo nulla delle ceneri che riceviamo in testa, di questo segno esteriore, se non cadono nel nostro cuore, se non avviano un processo di rinnovamento interiore della nostra vita. Non possiamo accontentarci dell’esteriorità. Dobbiamo camminare nella profondità di noi stessi, del nostro animo, davanti a Dio. Ecco perché il Vangelo ci dice: chiuditi in camera tua, dove solo il Padre Tuo ti vede. Lì prega il Signore. A indicare che ognuno deve tornare nella stanza della propria vita, nella camera del proprio cuore. Lì è il combattimento, lì il confronto con Dio, lì è l’ascolto della sua parola, lì è il cambiamento dell’esistenza.

Approfittiamo di questi giorni che ci separano dalla Pasqua: che siano giorni preziosi, giorni favorevoli. Ogni giorno di Quaresima è il giorno favorevole per accogliere il nome del Signore e rinnovare la nostra vita. E continuiamo a pregare con insistenza per la pace nel mondo, perché cessi la guerra e si ritrovi la via della pace.