Prolusione anno accademico Accademia lucchese di scienze, lettere e arti (Lucca, 29 novembre 2016)
La custodia del creato alla luce della enciclica “Laudato si” di Papa Francesco
Prolusione per l’apertura dell’anno accademico dell’Accademia lucchese di scienze, lettere e arti (Lucca 29.11.2016)
Come si sa, centocinquanta anni fa nasceva quella che da allora si chiamò “ecologia”[1], dal greco οίκος (casa) e lόgος (discorso). Nasceva come scienza che studia gli organismi viventi nelle loro relazioni reciproche e nella relazione con l’ambiente. Una scienza che si è sviluppata ed è diventata sempre più di attualità.
Lo “status quaestionis” dell’ecologia
Negli ultimi decenni l’attenzione si è concentrata nell’analisi dell’impronta umana sui cambiamenti del clima globale e sull’erosione della biodiversità, un’erosione così rapida da indurre alcuni ecologi a parlare addirittura di grande estinzione di massa. Pian piano, questa impronta umana è stata riconosciuta come determinante in modo sempre più deciso. Nel 2000 Paul Crutzen, premio Nobel per la Chimica nel 1995 per i suoi studi sull’ozono e membro dell’Accademia pontificia per le scienze, ha proposto di chiamare “antropocene” l’attuale fase della storia dell’ecosistema Terra, per sottolineare l’impronta enorme e inedita che una singola specie, l’Homo sapiens, imprime nei sistemi ecologici locali e globali. Nella Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo organizzata dalle Nazioni Unite nel 1992 a Rio de Janeiro (UNCED), praticamente tutti gli stati della Terra, preso atto della situazione, si impegnarono solennemente a cercare di ridurre l’influenza umana sulla dinamica del clima e sulla dinamica della biodiversità. Firmarono quindi la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC) che resta un punto di riferimento fondamentale nella questione ecologica odierna. Negli ultimi decenni ci si è soffermati sul problema del surriscaldamento del pianeta. Tutti credo ricordiamo il COP[2] 21 tenutosi nel dicembre 2015 a Parigi a cui è seguito ultimamente, ai primi di novembre, il COP 22 a Marrakech. Dal settembre 2015 le Nazioni Unite con l’Agenda 2030[3] hanno fissato i 17 obiettivi per uno “sviluppo sostenibile” dell’umanità da raggiungere entro quell’anno. Obiettivi che sono raggruppati poi in tre grandi prospettive: crescita economica; inclusione sociale; tutela dell’ambiente. Nell’Agenda è espressa con molta chiarezza l’urgenza di ridurre le emissioni di gas serra e di affrontare il tema dell’adattamento agli impatti negativi dei cambiamenti climatici. Maggiori emissioni di gas serra condurranno a un maggior riscaldamento che amplificherà i rischi esistenti per i sistemi umani e naturali e ne creerà di nuovi.
Nel novembre del 2015 (20 novembre) una dozzina di società e associazioni scientifiche italiane hanno steso una Dichiarazione comune alla vigilia della COP 21 di Parigi. Gli scienziati italiani si sono rivolti a tutti i protagonisti coinvolti nel tema dei cambiamenti climatici per offrire uno sguardo interdisciplinare sulle soluzioni possibili. In questa Dichiarazione si afferma che “i cambiamenti climatici costituiscono per la comunità internazionale una delle sfide più complesse e importanti, le cui conseguenze negative hanno un’elevata rilevanza per economie e società, non solo per l’ambiente.” Vi si riporta inoltre quello che il Quinto Rapporto di Valutazione sui Cambiamenti Climatici dell’IPCC[4], che è la più esaustiva e aggiornata raccolta delle conoscenze scientifiche sul clima, afferma; cioè che esiste un consenso condiviso all’interno della comunità scientifica su alcuni punti. E cioè:
– che l’influenza umana sul sistema climatico è inequivocabile ed è estremamente probabile che le attività umane siano la causa dominante del riscaldamento verificatosi a partire dalla metà del XX secolo. Il continuo riscaldamento del pianeta aumenta i rischi di impatti gravi, pervasivi e irreversibili sul sistema climatico;
– che gli impatti dei cambiamenti climatici si stanno già manifestando e interessano sia i Paesi in via di sviluppo che i Paesi più sviluppati. Le comunità più deboli da un punto di vista sociale, economico, culturale, politico, istituzionale sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici;
– che dal 1950 ad oggi sono aumentati gli eventi climatici estremi (ad esempio ondate di calore, innalzamento del livello del mare, precipitazioni violente, gravi siccità) e molti di questi sono attribuibili all’influenza delle attività umane;
– che l’esposizione e la vulnerabilità ai cambiamenti climatici e agli eventi estremi, insieme ad eventi pericolosi connessi al clima, costituiscono componenti cruciali per la valutazione e la gestione del rischio di ogni attività economica o sociale.
Quanto fin qui detto potremmo considerarlo lo status quaestionis sulla ecologia, oggi. Come dice Gianfranco Bologna, Direttore scientifico WWF, sull’ultimo quaderno di “Scienza e vita”[5], la comunità scientifica internazionale concorda sostanzialmente sui punti ora ricordati.
Non possiamo però negare – lo dico per inciso – che esista anche un dibattito attorno a queste problematiche. In particolare circa il surriscaldamento del mondo che sarebbe dovuto principalmente all’intervento umano. Si leva qua e là qualche voce critica nel merito. Senza citare i “negazionisti” per partito preso, richiamo soltanto una voce assai moderata e ragionevole, quella di Mieli in un articolo recentissimo, dei primi di novembre, in occasione del COP 22 a Marrakech; articolo apparso sul Corriere della sera che così titolava “È ragionevole che, sia pure a titolo precauzionale, vengano prese misure anche drastiche contro il global warming. È invece irrazionale dar retta a chi lo ritiene un campo delle certezze assolute”. Ed è soprattutto ignobile – aggiungeva Mieli – accodarsi al linciaggio di chi muove legittime obiezioni all’assunto che riconduce interamente all’uomo il surriscaldamento del pianeta. Ancora Mieli indicava come per lo meno da discutere, la questione dell’influsso dell’uomo sul clima, dal momento che il clima ha una sua storia molto particolare e il suo andamento anche soltanto nell’era cristiana ha subito notevoli variazioni.[6]
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L’intervento del Papa
Aldilà però dei dibattiti, ecco comunque il grido del Papa che scende in campo e fa propria la indiscutibile preoccupazione mondiale sulla “casa comune”. Il Papa ritiene indilazionabile e necessario un cambiamento nella vita degli uomini del nostro tempo e quindi della economia e della politica che governa il mondo, per la salvaguardia del creato. Sbaglieremmo però se vedessimo nell’Enciclica semplicemente un contributo del Papa e della Chiesa alla preoccupazione ecologica. L’Enciclica è molto di più e, aldilà delle questioni scientifiche soggiacenti, essa appartiene al grande magistero sociale dei papi dalla fine dell’800 ad oggi: si tratta sempre di “Caritas in veritate in re sociali”, cioè del messaggio evangelico di Cristo “in re sociali”, nelle questioni sociali; quindi rappresenta un invito a scoprire la bellezza del creato donatoci da Dio; la nostra responsabilità nel custodirlo e farlo diventare casa accogliente per tutti gli uomini di oggi e di domani e infine, un invito a cambiare i nostri comportamenti, gli stili di vita e le nostre stesse società perché siano sempre più umane.
Ecco allora che al n. 2 dell’enciclica Papa Francesco afferma: “Questa sorella – la terra – protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra. «I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e politiche, e costituiscono una delle principali preoccupazioni attuali dell’umanità», scrive il Papa. Se inoltre, «il clima è un bene comune, di tutti e per tutti», l’impatto più pesante della sua alterazione ricade sui più poveri.
Nel messaggio per la giornata del creato del primo settembre scorso, il Papa aggiungeva: “Con questo Messaggio, rinnovo il dialogo con ogni persona che abita questo pianeta riguardo alle sofferenze che affliggono i poveri e la devastazione dell’ambiente. Dio ci ha fatto dono di un giardino rigoglioso, ma lo stiamo trasformando in una distesa inquinata di «macerie, deserti e sporcizia» (Enc. Laudato si’, 161). Non possiamo arrenderci o essere indifferenti alla perdita della biodiversità e alla distruzione degli ecosistemi, spesso provocate dai nostri comportamenti irresponsabili ed egoistici. Il pianeta continua a riscaldarsi, in parte a causa dell’attività̀ umana: il 2015 è stato l’anno più̀ caldo mai registrato e probabilmente il 2016 lo sarà̀ ancora di più̀. Questo provoca siccità̀, inondazioni, incendi ed eventi meteorologici estremi sempre più̀ gravi. I cambiamenti climatici contribuiscono anche alla straziante crisi dei migranti forzati. I poveri del mondo, che pure sono i meno responsabili dei cambiamenti climatici, sono i più̀ vulnerabili e già̀ ne subiscono gli effetti. Ascoltiamo «tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri» (ibid., 49), e cerchiamo di comprendere attentamente come poter assicurare una risposta adeguata e tempestiva.”
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La “Laudato si” nel magistero sociale
Forse è utile a questo punto inquadrare la Laudato si nel contesto del magistero sociale della Chiesa, cogliendone quindi gli assunti fondamentali, cioè il messaggio in essa contenuto. Si tratta dunque di un’enciclica, come recita il suo sottotitolo – “sulla cura della casa comune”. Il titolo, “Laudato si” è preso, come ben sapete dal Cantico di frate sole di San Francesco d’Assisi ed è la prima volta – mi piace sottolinearlo – che un documento del magistero papale inizia con parole “in volgare” e non in latino.
La “Laudato sì” si colloca nel solco delle altre encicliche sociali – a partire dalla “Rerum novarum” di Papa Leone XIII (1891), per passare alla “Quadragesimo anno” di Pio XI (1931), alla “Mater et magistra” (1961) e alla “Pacem in terris” (1963) di San Giovanni XXIII, al Concilio Vaticano II con la “Gaudium et spes” (1965), arrivando alla “Populorum progressio” (1967) e “Octogesima adveniens”di Paolo VI (1971)), alla “Laborem exercens” (1981), alla “Sollecitudo rei socialis” (1987) e “Centesimus annus” (1991) di San Giovanni Paolo II e alla “Caritas in veritate” di Papa Benedetto XVI nel 2009.
Pur collocandosi in questa scia, l’enciclica di Papa Francesco ha una sua specificità, una sua originalità. Rappresenta un interessantissimo e in buona parte nuovo capitolo del magistero sociale. Per vari motivi. Il primo è proprio il tema e cioè la “cura della casa comune”. E’ la prima volta che il supremo Magistero prende esplicitamente in esame la questione ecologica. Il secondo motivo di originalità è di essere rivolta non solo ai cristiani o ai credenti o anche solo agli uomini di buona volontà ma a “ogni uomo che abita questo pianeta”. Infine è originale perché vi si dice chiaramente che “le soluzioni” non ci sono già ma vanno cercate e ciò si può fare soltanto attraverso un dialogo portato avanti ad ogni livello (n. 14), con tenacia e convinzione.
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Gli assi portanti dell’Enciclica
Quali sono gli assi portanti – domandiamoci ora – che attraversano l’enciclica (cfr n.16)? A mio parere sono quattro: 1°. L’interconnessione tra problema ecologico e comportamento umano; non solo, ma l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta, tra poveri e rovina ambientale. Per cui la questione ecologica è oggi questione sociale. 2°. Il paradigma tecnologico come causa del disastro. O meglio come viene intesa e usata la tecnologia, con quale mentalità ci si rivolge ad essa. Per cui è necessario criticare il nuovo paradigma e le forme di potere che derivano dalla tecnologia; conseguentemente occorre cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso 3°. La ricerca di una ecologia integrale, cioè veramente umana, complessiva rispetto alle diverse dimensioni dell’essere umano. 4°. La necessità di una conversione personale e sociale, assumendo stili di vita nuovi e uno sguardo direi “francescano” sul creato. Non per niente il cantico delle creature di frate Francesco è il ritornello di questa Enciclica.
Passo rapidamente in rassegna questi quattro assi portanti della Laudato si. Partiamo dall’interconnessione tra stato dell’ambiente e comportamento umano. L’Enciclica, per espressa ammissione di Papa Francesco, è una riflessione “gioiosa e drammatica” insieme (n. 246). Non è un’enciclica per abbellire una casa che si presenta già bene, quindi semplicemente da rifinire. No. La casa comune è considerata in uno stato miserando, per cui se non si prende rimedio, se non avviene una svolta, la situazione rischia di precipitare in modo disastroso. La situazione è molto pericolosa. La sua drammaticità è ben espressa nei nn. 2, 61 e 162 dell’Enciclica. La casa comune ma anche gli abitanti di questa casa sono in grave difficoltà. (vedi tutto il I capitolo). E questo è dovuto in gran parte alle scelte dell’uomo, ai suoi comportamenti. Una situazione drammatica dunque anche per l’uomo. Anzi è proprio questo un assunto dell’intervento papale: l’uomo è pienamente coinvolto nella vicenda della “casa comune”, non solo come abitante di essa ma anche come responsabile del suo stato di salute. La sua salute morale e spirituale influisce in modo determinante sulla “casa comune” e a sua volta, lo stato della “casa comune” influisce su di essa. Per questo la “questione ecologica” è innanzitutto questione umana, questione di giustizia sociale. I problemi della salvaguardia dell’ambiente vanno insieme a quelli della salvaguardia dell’umano. La questione ecologica è oggi il nuovo volto della questione sociale e mostra al suo interno la necessità di risolvere una crisi ambientale che non è solo tale. È prima di tutto crisi etica, crisi antropologica, crisi nei rapporti con Dio. Ed è questione sociale perché implica un problema di giustizia ecologica, di degrado degli ecosistemi che finisce per nuocere le popolazioni più povere. Implica una questione di giustizia sociale anche perché vede un debito ecologico tra i vari paesi nord-sud: debito contratto da alcuni paesi più sviluppati, che hanno utilizzato con le loro potenzialità tecnologiche le risorse umane oltre il dovuto, sprecandole e creando dei problemi di inquinamento anche per gli altri.
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Il “paradigma” tecnocratico
Da dove viene la situazione così drammatica che stiamo vivendo? Che cosa l’ha prodotta e la produce? I nomi sono diversi. Il Papa parla di antropocentrismo (n. 115) e di relativismo (n. 122) ma soprattutto di dominanza del “Paradigma tecnocratico”(n. 106) che si sposa perfettamente con un sistema economico ostile all’uomo, che produce una “economia che uccide” (n. 109).
Che cos’è questo “paradigma tecnocratico”? Dice il Papa al n. 106 “In tale paradigma risalta una concezione del soggetto che progressivamente, nel processo logico-razionale, comprende e in tal modo possiede l’oggetto che si trova all’esterno….. È come se il soggetto si ponesse di fronte alla realtà informe ritenendola totalmente disponibile alla sua manipolazione.
L’intervento dell’essere umano sulla natura si è sempre verificato, ma per molto tempo ha avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte dalle cose stesse. Si trattava di ricevere quello che la realtà naturale da sé permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti.
Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia – dice il Papa. Ciò suppone la menzogna circa la disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che «esiste una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possono essere facilmente assorbiti ».
Questo paradigma tecnocratico “tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano mentre la finanza soffoca l’economia reale.
In alcuni circoli si sostiene – afferma ancora il Papa – che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali; ugualmente si afferma che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. In realtà si da luogo soltanto a una «sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria disumanizzante». (n.109)
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Necessità di un cambiamento
Per tutte queste ragioni l’umanità ha bisogno di cambiare (n. 202). C’è necessità di una vera “rivoluzione”. Una “rivoluzione” culturale, morale, interiore, politica, economica… (cfr n. 111). Una rivoluzione che nasce dalla presa di coscienza della situazione e delle nostre responsabilità (leggi n. 114). Non ci si può illudere di risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente, senza però risanare anche le relazioni umane fondamentali (n. 118 e 119). Questa rivoluzione è una “conversione ecologica” in senso ampio, interiore e spirituale. Una conversione che è sicuramente possibile (n. 217). Il Papa non è pessimista. Piuttosto realista. Anche quando appare quasi spietato nelle analisi, le sue parole sono sempre cariche di positività, perché manifestano una grande fiducia in Dio e nell’uomo, il quale può sempre riprendersi. Da questo punto di vista, la Laudato si è un’enciclica di grande speranza. Dentro vi è la certezza dell’amore del Signore, della sua misericordia e della possibilità che l’uomo ha di cambiare rotta. Non tutto quindi è perduto (nn. 61, 112, 205).
In che consiste questa conversione, questo cambiamento? Si tratta di andare verso una “un’ecologia integrale” che “esige di fermarsi a pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e consumo” (n.138). Il cap. IV della Laudato si’ è dedicato proprio ai diversi elementi di una ecologia integrale. Vi si parla quindi di una ecologia ambientale, economica e sociale; di una ecologia culturale; di una ecologia della vita quotidiana; di una ecologia che si costruisce attorno al principio del bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica sociale, inteso – questo bene comune – come «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente »[7]; infine si parla di una ecologia che tenga conto della giustizia tra le generazioni.
Dunque possiamo dire che l’ecologia integrale riguarda non solo l’ambiente ma anche l’uomo; l’uomo e l’ambiente in relazione tra di loro. Per cui, se si vuole salvaguardare l’ambiente, ci si deve interessare del comportamento dell’uomo, della cultura che ha l’uomo, di come sono organizzate le città in cui si vive, di quali debbono essere gli stili di vita da assumere.
Dall’ecologia integrale sorgono alcune linee di orientamento e di azione. Per promuoverla (nn. 137-155) non bastano le leggi. Occorre una coscienza formata e degli orientamenti etici chiari. Tutto il Cap. VI è molto interessante a questo proposito perché parla della educazione per una cittadinanza ecologica (n. 211). Si tratta di «puntare su un altro stile di vita», che apre anche la possibilità di «esercitare una sana pressione su coloro che detengono il potere politico, economico e sociale». Poi ci sono alcuni “grandi percorsi di dialogo” da avviare e continuare che ci aiutano a uscire dalla spirale di autodistruzione in cui siamo affondati.” (Cap. V). La Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invita a un dibattito onesto e trasparente. Invita al dialogo e a credere nella forza del dialogo (“parlarsi”). Diversi sono gli ambiti entro i quali ci si dovrà impegnare in un dialogo serio e approfondito. Sarebbe qui troppo lungo soffermarci sui suggerimenti importanti che l’Enciclica da in molti settori della vita umana e sociale. Ne accenno soltanto qualcuno come quello per es. della politica internazionale, dove si ha “bisogno di un accordo sui regimi di governance per tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali»; poi quello delle politiche nazionali, perché ci sia trasparenza nei processi decisionali e metodologicamente ci si domandi sempre per quale scopo si prendano certe decisioni. Per quale motivo. Dove. Quando. In che modo. A chi sono dirette. Quali sono i rischi. A quale costo. Chi paga le spese e come lo farà. Lo studio dell’impatto ambientale di un nuovo progetto è importantissimo e «richiede processi politici trasparenti e condotti nel dialogo. Occorre quindi dare maggior spazio a una politica che sia capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, superando pressioni di lobby e inerzie viziose. La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi abbiamo bisogno che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana. E ciò vuol dire anche porsi seriamente il problema di un rallentamento di un certo ritmo di produzione. “Quando si pongono tali questioni – nota il Papa – alcuni reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermare irrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci che rallentare un determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità di progresso e di sviluppo.” (n. 191)
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Le critiche all’enciclica
Una presa di posizione così forte e decisa, come quella espressa dalla Laudato si, non poteva non incontrare contestazioni, soprattutto direi in ambito anglosassone e liberistico. E così è stato. Si è preso spunto anche in parte dal dibattito ancora in corso, a cui ho accennato all’inizio del mio intervento, sul reale peso del comportamento umano sul surriscaldamento del pianeta, ma in genere però si è trattato di reazioni da parte di persone o realtà che appartengono alle lobby sotto accusa quando si parla di responsabilità umana sull’ambiente. Ho raccolto da un articolo della rivista di cose ecclesiali Zenit, una carrellata di queste critiche. Per es. sul The Guardian sono apparse critiche anche da parte di alcuni cattolici statunitensi dichiaratamente “negazionisti”, arrivando addirittura a definire la Laudato si “un autentico disastro, parte di un movimento radicale verde anticristiano e anti progresso”.[8] L’American Petroleum Institute, una lobby potentissima nel settore, ha controbattuto all’Enciclica affermando che “l’uso del carbone aiuta i poveri a migliorare le loro condizioni”. L’Heartland Institute, centro conservatore di studi climatici, ha criticato il Papa per aver imputato all’uomo il cambiamento climatico. Duro anche l’attacco di Nick Butler, editorialista del Financial Times, secondo cui “il messaggio del Papa non centra il punto”, poiché a suo avviso la critica alla tecnologia non è il modo giusto per risolvere problemi ecologici. “La cosa scioccante dell’enciclica– scrive Butler – è il suo attacco alla scienza e alla tecnologia, gli strumenti reali, i soli strumenti, che offrono una soluzione al cambiamento climatico”. Il giornalista critica, quindi, l’idea di dover abbandonare il “paradigma tecno-economico”, in quanto tale abbandono sarebbe irresponsabile, dal momento che la ricerca scientifica e tecnologica è l’unico modus operandi affidabile per ridurre l’inquinamento e far beneficiare le popolazioni più povere di alternative credibili ai combustibili fossili.
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Accoglienza positiva
Aldilà di questa voci critiche, L’Enciclica di Papa Francesco ha suscitato generalmente grande interesse in Italia e in tutto il mondo e anche l’accoglienza è stata assai positiva, particolarmente in ambienti progressisti, come era immaginabile. L’impatto dirompente di questo documento non è stato ignorato dai più importanti media anglosassoni, i quali hanno discusso ampliamente le parole del Papa. E’ notevole rilevare come la Santa Sede sia stata capace di entrare nel vivo della problematica attuale, operando un’influenza positiva su un tema scottante. Sempre nella rassegna della stampa anglosassone da parte della citata rivista on line Zenit, si sottolinea che sono due le principali linee emerse: in primis un forte fascino per l’esposizione raffinata e a tratti poetica del Papa e, secondo, l’impressione che il Papa sia riuscito ad affrontare la questione ecologica con sensibilità, inserendosi abilmente fra i cunicoli non solo teologici ma anche economici, scientifici e sociologici del problema. L’Economist, per es. in un editoriale del 16 giugno, ha dato atto del successo mondiale dell’Enciclica e ne ha attribuito la ragione al tono “universale del Papa”, che ha permesso alla Santa Sede di poter divulgare il suo messaggio a un pubblico più ampio, non solo all’interno del mondo cattolico. Per l’Economist, inoltre, il documento del Papa è così universale che a tratti potrebbe essere scambiato per un documento delle più grandi organizzazioni ecologiche, come Greenpeace o il WWF.
Conclusione
Giunto al termine di questa mia comunque breve relazione rispetto all’argomento in discussione, direi che le critiche non scalfiscono minimamente il messaggio profetico della Laudato si. Messaggio, lo ribadisco, evangelico, non sociale o politico in senso stretto. Con questa Enciclica il Santo Padre si rivolge alla coscienza di ogni uomo e lo invita, invita ciascuno di noi a prendersi seriamente cura della “casa comune”, a fare tutto il possibile per essa attraverso un dialogo a trecentosessanta gradi accompagnato da un impegno personale, culturale e sociale in genere. Prima di tutto però l’invito è a prendersi cura di quella “casa” che siamo ognuno di noi e che sono le relazioni tra di noi, le quali debbono essere improntate a rispetto, giustizia e amore fraterno. Qui non ci possono essere obiezioni di sorta. Tutti dovremmo maturare e lavorare per maturare, quello sguardo contemplativo che fu di San Francesco, il solo sguardo che ci permetterà di custodire in senso pieno la nostra amata terra. Uno sguardo cioè pieno di rispetto e di amore, dove le cose sono valorizzate, senza essere né sfruttate né idolatrate e sono viste come beni da condividere in fraternità. Chiudo dunque leggendo il n.1 della nostra Enciclica. In questo caso l’incipit fa anche da degna conclusione: «Laudato si’, mi’ Signore », cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: « Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti ori et herba ».
+Fausto Tardelli
[1] Nel 1866, il biologo Ernst Haeckel pubblicò Generelle Morphologie der Organismen. In esso, parlando di morfologia generale degli organismi coniò una nuova parola: oekologie.
[2] COP “Conferenza delle parti” Berlino 7 aprile 1995
[3] «Cambiamo il nostro mondo: l’Agenda di sviluppo sostenibile» “Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development” settembre 2015.
[4] “Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico” (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC) è il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO) ed il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale.
[5] “Per una ecologia integrale, Laudato si’ un anno dopo. I quaderni di scienza & vita, n.16, 21 giugno 2016
[6] Dice Mieli nell’articolo citato che nel primo secolo dell’era cristiana ci furono temperature elevate più di oggi, cosa che si ripetè intorno all’anno mille. Successivamente cis sono stati diversi innanlzamenti e abbassamenti. Cosa che è accaduto anche nel secolo XX°.
[7] Conc. eum. vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 26.
[8] Sul The Guardian John Vidal e Suzanne Goldeberg elencano le opposizioni registrate negli Stati Uniti, terreno decisivo per lo scontro aperto. John Boehner, leader repubblicano del Congresso, e Rick Santorum, candidato alla Presidenza, cattolici dichiarati e negazionisti sul clima, non hanno tardato ad esprimersi contro. Stephen Moore, un economista cattolico, definisce Francesco “un autentico disastro, parte di un movimento radicale verde anticristiano e anti progresso”. Mentre James Inhofe, il capo della commissione ambiente al Senato americano, ha dichiarato: “Il Papa dovrebbe fare il suo mestiere”. Jeb Bush, cattolico e candidato repubblicano per la presidenza americana, ha affermato che non intende lasciarsi dettare strategie economiche dal Papa e che la religione non dovrebbe riguardare la sfera politica.