Un mondo di ciechi
Venerdì della IV° settimana di Quaresima – 5 aprile 2019 – Quarta Stazione Quaresimale
“Un mondo di ciechi”
Il vangelo del cieco nato ci introduce sempre di più nel mistero pasquale. Il Signore infatti, come disse lui stesso nella sinagoga di Nazareth all’inizio del suo ministero, è venuto per dare la vista ai ciechi. Anzi, riprendendo il brano evangelico appena ascoltato, Gesù precisa, sconcertandoci un po’, per la verità: “Io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi”.
Tornerò più avanti su questa enigmatica frase. Intanto però una cosa è certa: ridare la vista ai ciechi è una caratteristica dell’opera del Salvatore che culmina appunto con la Pasqua. Possiamo dunque pensare il mistero pasquale come un evento che toglie il velo dagli occhi degli uomini, che ridà la vista agli uomini, resi ciechi dal peccato.
Nelle vicende pasquali che vivremo tra non molto, la passione e la morte del Signore, come pure la sua sepoltura, sono ben rappresentate dal buio, dalla notte, dall’oscurità: è il trionfo delle tenebre. In quei momenti, tutto il mondo appare avvolto da densa caligine e niente sembra più riconoscibile. Accade qualcosa di atroce che oscura il cuore, facendo morire ogni speranza. Colui che aveva fornito una speranza ad Israele, Gesù, nel quale molti avevano creduto, appare definitivamente sconfitto. L’oscuro signore delle tenebre sembra aver vinto e il mondo degli uomini è cieco, non vede più, non riconosce più il valore delle cose, il volto degli altri; non distingue più il bene dal male perché il bene non risulta più evidente, sembra definitivamente sparito dal mondo.
La luce viene col mattino di Pasqua. Lì tutto è luminosità e chiarore; il Risorto risana gli occhi degli uomini accecati dall’odio, dalle cattive passioni, dall’indifferenza. Gli uomini e le donne cominciano a vedere. La loro vista si acuisce a tal punto da riuscire a vedere anche l’invisibile: vedono il Risorto, colui che è passato dalla morte alla vita; lo riconoscono che cammina con loro e mangia con loro e nello stesso tempo riescono a vedersi tra loro, a riconoscersi e ad abbracciarsi come fratelli. La Verità risplende luminosa e il bene torna a farsi evidente, anche se l’oscurità sconfitta continuerà a insidiare i discepoli che restano nel mondo.
Con la Pasqua accade ciò che nel miracolo del cieco nato si annuncia. Come il cieco passa dalla oscurità alla luce per l’intervento taumaturgico del Cristo, così ognuno di noi, per la passione, morte e risurrezione di Cristo, passa dall’oscurità del male alla luce del bene. Il cieco nato riacquista la vista e riesce così a vedere gli altri e il creato; noi, per la Pasqua, riacquistiamo quella vista spirituale che ci fa riconoscere il Risorto vivo e presente in mezzo a noi, gli altri come fratelli nostri e la storia come storia di salvezza. La vicenda del cieco nato ci fa pregustare la gioia della Pasqua.
Ma stasera siamo ancora in Quaresima e il cammino penitenziale non è ancora terminato. Ed ecco allora che il miracolo della guarigione del cieco, non può non farci riflettere sulle nostre cecità. Perché sia Pasqua per davvero – ci ricorda la liturgia penitenziale della Quaresima – occorre riconoscere le tenebre che sono in noi, che oscurano la nostra coscienza e si allungano come ombre minacciose nella vita di chi ci sta accanto e nella stessa società. E qui allora torna in ballo e si spiega l’enigmatica frase del vangelo che ho citato all’inizio: “Sono venuto, dice il Signore, perché quelli che vedono, diventino ciechi”. Come a dire, sciolto l’enigma: che chi crede di vederci e di vederci bene, mentre non si rende conto della sua cecità, è in realtà il vero cieco perché non vede né Dio né gli altri.
E allora soffermiamoci un attimo a pensare alle nostre cecità, perché non vorremmo meritarci il rimprovero che Gesù rivolge ai farisei, come abbiamo sentito nella conclusione del vangelo di questa sera: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane.”
Allora no. Noi non vediamo. Lo vogliamo riconoscere. Non ci vuol molto a capirlo del resto. Basta un attimo di attenzione per capirlo. Quante volte infatti il Signore si affaccia nella nostra vita, si fa presente nelle pieghe della nostra esistenza, negli avvenimenti che ci capitano e non lo vediamo! Quante volte Egli non c’è nella nostra vita; per noi è assente; non ci accorgiamo di Lui, delle sue premure, dei suoi rimproveri. Quante volte non lo riconosciamo nei segni sacramentali, perché la nostra fede è fiacca e li trasformiamo in gesti vuoti o magici. Quante volte non lo vediamo presente in mezzo a noi, vivo e reale, Risorto e datore di vita e riduciamo il nostro radunarci a un semplice convenire umano o a una occasione di scontro tra di noi. Quante volte infine non lo riconosciamo nel volto degli altri, della sposa, dello sposo, del figlio, dell’anziano, oppure del povero all’angolo della strada, del migrante, del rifugiato, persino del nemico!
Se poi allarghiamo lo sguardo, bisogna constatare che per certi versi si vive oggi in un mondo di ciechi, perché non si riesce più nella nostra società a cogliere l’evidenza del bene che non è più evidente a molti e lo si scambia facilmente per male o infelicità. Ciechi e guide di ciechi, verrebbe da dire. Per cui non si riesce più a scorgere né la presenza di Dio Padre buono e provvidente, né la dignità inalienabile della persona umana dal concepimento fino alla sua morte naturale, né il valore fondamentale della famiglia fondata sul matrimonio; e quel che è peggio, la menzogna la fa da padrona in ogni aspetto della vita sociale; tutto viene manipolato a proprio uso e consumo per piegarlo ai propri interessi, a volte affermando nello stesso tempo una cosa e il suo contrario, in una contraddizione palese ma tranquillamente nemmeno avvertita. Accecati dalle passioni, accecati dalle voglie, accecati dai desideri irrefrenabili, dalla rabbia e da un narcisismo senza limiti: questo sembra il quadro drammatico della nostra società.
In essa, carissimi fratelli e amici, ognuno di noi è chiamato a una conversione profonda del cuore, così da poter dire col cieco nato, con umiltà ma insieme forza e determinazione: “Solo una cosa so: ero cieco e ora ci vedo”. E se qualcuno, preso dalla rabbia per la nostra vista riacquistata, ci vorrà far tacere dicendo come al cieco “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?”, noi risponderemo che si, è vero, siamo nati nei peccati e conosciamo il peccato, ma il Signore ci ha usato misericordia perché tutti potessero avere speranza. E se anche ci cacceranno fuori dalla società, sempre come accadde al cieco del vangelo, tacciandoci magari di medievali e antiscientifici, noi ce ne andremo contenti perché sappiamo con San Francesco che lì sarà perfetta letizia.